BENE PUBBLICO (ENCICLOPEDIA)

I beni pubblici si caratterizzano per due elementi fondamentali: la non escludibilità dei benefici e la non rivalità nel consumo. Tali caratteristiche generano una produzione sub-ottimale di tali beni, poiché nessun agente economico razionale è disposto a produrre o scambiare le proprie risorse per ricevere dei benefici, quando potrebbe ottenerli adottando un comportamento opportunistico (free riding). È inevitabile, quindi, una maggiore cooperazione tra le parti interessate o perfino la centralizzazione delle decisioni di produzione e allocazione di tali beni poiché, in assenza di coordinamento, la quantità aggregata fornita volontariamente tenderebbe ad essere inferiore al livello socialmente desiderabile.

Il concetto di bene pubblico affonda le sue radici nella cultura del Settecento e può essere ricondotto all’economia classica. Il filosofo David Hume fu uno dei primi ad analizzare le difficoltà riguardanti la fornitura dei “beni comuni” nel suo “Trattato sulla natura umana”, pubblicato per la prima volta nel 1739. Circa trent’anni dopo Adam Smith approfondì la stesa tematica nella sua “Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni”.
Hume e Smith erano entrambi convinti che l’intervento dello stato fosse necessario per distribuire i beni e i servizi caratterizzati da benefici collettivi. Se lasciati all’azione spontanea degli individui, o delle organizzazioni, tali beni non sarebbero stati adeguatamente forniti.

In seguito ad un importante contributo da parte di Richard Musgrave nel 1939 una moderna e completa teoria sui beni pubblici fu sviluppata, per la prima volta, da Paul Samuelson con la pubblicazione nel 1954 del suo famoso scritto: “La teoria pura della spesa pubblica”. Da allora l’interesse per l’argomento, da parte della ricerca, iniziò a crescere rapidamente. Nella sua opera Samuelson definì un bene pubblico, o “bene di consumo collettivo” come un bene di cui tutti possono usufruire in modo tale che il suo consumo da parte di ciascun individuo non vada ad ostacolare o ad impedire il consumo di quello stesso bene da parte di un altro individuo. Questa proprietà è diventata nota con il nome di “non rivalità”.

Un bene pubblico è dunque … come sostengono Samuelson e Nordhaus - un bene che può essere fornito ad un individuo singolo tanto facilmente tanto quanto può essere fornito ad ogni altro individuo. Secondo i due studiosi la difesa nazionale può ritenersi l’esempio per eccellenza di bene pubblico. La difesa nazionale differisce, infatti, completamente da un bene privato, come il pane. Dieci fette di pane, ad esempio, possono essere divise in molti modi e la parte che viene consumata da un individuo non può più essere consumata da altri. La difesa nazionale, spiegano i due economisti, risponde invece ad un diverso meccanismo: una volta fornita, essa beneficia tutti allo stesso modo, a prescindere dalla lingua, dal credo, dalla razza, dallo status fisico o psicologico. Se una persona in un’area geografica gode di protezione da un attacco o da un’invasione esterna, coloro che si trovano nella stessa area saranno ugualmente difesi.

Pertanto i beni pubblici possono definirsi come quei beni i cui benefici sono indivisibilmente distribuiti all’intera comunità, a prescindere dal singolo desiderio di acquistare un bene. I beni privati al contrario sono quei beni che possono essere divisi e forniti separatamente a diversi individui senza esternalità positive o costi per altri. La fornitura efficiente dei beni pubblici spesso richiede l’azione dello stato mentre i beni privati possono essere allocati in maniera efficiente dal mercato.

Principali caratteristiche dei beni pubblici

I beni pubblici presentano due aspetti ben distinti: la non escludibilità e la non rivalità nel consumo. La non escludibilità implica che il costo di impedire a coloro che non pagano di usufruire dei benefici del bene o del servizio risulta troppo alto, così che nessuno può essere escluso dall’utilizzo del bene.

Il concetto di non rivalità fa, invece, riferimento al fatto che il consumo del bene da parte dell’individuo non è in grado di ridurre la possibilità che il medesimo bene venga consumato nel medesimo istante da altri individui. Ad esempio, se un individuo paga per una visita medica vi è una visita in meno per ognuno ed è possibile impedire ad altri di essere visitati nello stesso momento dallo stesso specialista. Ciò rende la visita medica un bene privato rivale ed escludibile. Al contrario, l’atto di respirare aria, non riduce l’ammontare di aria disponibile per gli altri e non si può effettivamente escludere qualcuno dall’utilizzo di tale bene. Ciò rende l’aria un bene pubblico, sebbene economicamente insignificante, in quanto bene gratuito. Un altro esempio è lo scambio di file musicali mp3 su internet. L’utilizzo di questi file da parte di ogni persona non compromette infatti il loro utilizzo da parte di altri ed è previsto uno scarso controllo sullo scambio di questi file.

Beni pubblici impuri

Nella realtà non esistono beni pubblici realmente puri, vale a dire del tutto non rivali e non escludibili. La gran parte dei beni pubblici possiede benefici misti. I beni che presentano parzialmente entrambi o solo uno dei due classici criteri sono definiti beni pubblici impuri. Poiché i beni impuri sono più diffusi di quelli puri, gli economisti usano solitamente il termine “bene pubblico” per descrivere entrambe le tipologie di beni. Questa è considerata dalla letteratura un’utile semplificazione in quanto molte delle implicazioni di un bene pubblico rimangono tali anche quando il bene è parzialmente non rivale o parzialmente non escludibile. Pertanto, in base a tale definizione, si può guardare al bene privato puro e al bene pubblico puro come ai due estremi di un continuum pubblico-privato. Anche una semplice attività, come il consumo di un pasto, che a primo avviso può sembrare prettamente privata, ad un più attento esame, presenta in realtà benefici pubblici. Infatti, un buon pasto favorisce la buona salute di un individuo e a sua volta la buona salute ne incrementa le abilità oltre che la capacità di perfezionarsi e lavorare in maniera efficiente. Questo, di conseguenza, beneficia non solo il diretto interessato, ma anche la sua famiglia e l’intera comunità. Ad ogni modo i benefici immediati rimangono principalmente privati.

I beni pubblici impuri ricadono in due categorie come si può notare nella tabella sottostante:
- beni che sono non rivali nel consumo ma escludibili: club goods;
- beni che sono in gran parte non escludibili ma rivali nel consumo: common goods; questi ultimi presentano caratteristiche simili ai beni pubblici: lo speculare del problema dei beni pubblici in questo caso è noto come "tragedia dei beni pubblici". Ad esempio, è così difficile mettere restrizioni alla pesca che l’ammontare mondiale di pesci può essere visto come una risorsa non escludibile, ma allo stesso tempo finita e deperibile e quindi rivale.

Problemi di distribuzione

Essendo non rivali nel consumo e non escludibili, i beni pubblici sono tipicamente soggetti a problemi di fornitura e sono, quindi, spesso visti come un caso di fallimento del mercato. I problemi dei beni pubblici sono anche spesso strettamente connessi alle esternalità. Le esternalità si presentano quando un individuo o un’impresa intraprende un’azione, ma non ne sostiene tutti i costi (esternalità negativa) o non ne ricava tutti i benefici (esternalità positiva). Ad esempio l’educazione femminile avrà effetti positivi sulla sopravvivenza dei figli e sul rallentamento della crescita della popolazione. Rilasciare l’inquinamento in un fiume, al contrario, avrà effetti negativi sulla natura e sugli esseri umani. In altre parole, le esternalità possono essere definite come il risultato di determinate attività con conseguenze nella sfera pubblica.

Gli economisti Corner e Sandler sostengono che i beni pubblici, in particolare beni pubblici puri, possono essere visti come un caso speciale di esternalità. Per molti economisti le esternalità positive e negative si distinguono per i loro effetti positivi e negativi nei confronti di una terza parte. Pertanto il termine “bene pubblico” è di solito usato per beni e attività con utilità positiva, vale a dire, con positive esternalità. Se si tratta di disutilità pubblica, si parla in tal caso di “male pubblico”.

I mali pubblici sono considerati beni pubblici che impongono costi in maniera uniforme ad un gruppo, e sono stati definiti da Samuelson e Nordhaus come “prodotti involontari di attività di consumo o produzione” (P. A. Samuelson and William D. Nordhaus, 1992, p. 30) Alcuni esempi, a tal riguardo, sono: l’aria, l’inquinamento dell’acqua a causa di prodotti chimici, la produzione di energia, l’utilizzo di automobili, l’esposizione radioattiva dovuta ai test delle armi nucleari nell’atmosfera, come quelli accaduti nello stabilimento nucleare di Chernobyl nel 1986 o a Fukushima nel 2011. Gli esecutori di tali mali, il più delle volte, non provocano danni intenzionalmente. Le esternalità possono dunque anche ritenersi effetti inintenzionali, ma nocivi dell’attività economica.

In realtà molti dei problemi che vengono facilmente ricondotti ai beni pubblici non risultano tali in quanto il mercato può riuscire a gestirli in maniera ragionevole. Ad esempio, sebbene molta gente ritenga che il segnale televisivo sia un bene pubblico, i servizi televisivi via cavo riescono ora a codificare le trasmissioni così da non far ricevere facilmente il segnale a coloro che non pagano, escludendoli pertanto dai benefici del bene. Altri beni, spesso visti come beni pubblici, come i corpi di polizia ed i vigili del fuoco, sono il più delle volte pagati dal settore privato tramite le tasse.

I beni pubblici possono essere anche parzialmente legati all’acquisto di beni privati rendendo simile ad un bene privato l’intero processo d’acquisto. I grandi centri commerciali, ad esempio, forniscono ai clienti una vasta scelta di servizi che sono spesso considerati beni pubblici, come l’illuminazione, la vigilanza, le panchine, i bagni. Pagare direttamente per ciascuno di questi sevizi sarebbe impraticabile, pertanto questi grandi centri commerciali finanziano tali servizi attraverso gli introiti derivanti dalla vendita dei beni privati presenti al loro interno. Da ciò si evince come i beni pubblici e i beni privati siano strettamente collegati.

E’ dunque chiaro come il maggior problema alla base dei beni pubblici sia di tipo distributivo. Esso è noto in letteratura con il termine free riding o easy riding.

Il problema del free rider si basa sulla concezione dell’essere umano come homo economicus puramente razionale e estremamente egoista ed individualista, concentrato unicamente su quei benefici e costi che lo interessano in maniera diretta. I beni pubblici danno a tale individuo un grosso incentivo per divenire free rider. Ad esempio, una volta considerata la difesa nazionale come bene pubblico puro, sappiamo per certo che l’homo economicus non eserciterà mai uno sforzo extra per difendere la nazione e agirà quindi da free rider. La ragione di questo comportamento sta nel fatto che i benefici che gli deriverebbero da tale sforzo sarebbero troppo esigui in quanto distribuiti fra gli altri milioni di individui all’interno del paese. Vi è, inoltre, anche un’alta possibilità che l’individuo rimanga ferito o ucciso durante il servizio militare.

D’altra parte il free rider sa che non potrà essere escluso dai benefici apportati dalla difesa nazionale, a prescindere dal fatto che ne faciliti o meno la realizzazione. Non è nemmeno possibile che questi benefici siano divisi per poi essere distribuiti individualmente.

Pertanto il free rider non eserciterebbe mai volontariamente nessuno sforzo extra a meno che non fosse sicuro di trarne qualche vantaggio personale, ad esempio compensi governativi, allo stesso modo di un soldato volontario o di un mercenario.

Il problema del free riding risulta quindi anche più complesso di quanto non si sia creduto fino ad oggi. Ogni volta che la non escludibilità porterà al mancato pagamento del vero valore marginale, ciò porterà anche alla mancata generazione di adeguati livelli di entrate causando in tal modo inefficienza nella produzione e nell'allocazione del bene.



Bibliografia

Corner, R. and Sandler, T. (1993), "Private Provision of Public Goods under Price Uncertainty", Social Choice and Welfare, Vol. 10, No. 4.
Kaul, I., Grunberg, I. and M. A. Stern (1999), Defining Global Public Goods, New York, Oxford University Press.
Musgrave R. A. and P. B. Musgrave (2003), Prologue in Providing Global Public Goods: Managing Organization, New York, Oxford University Press.
Samuelson P. A. (1954), "The Pure Theory of Public Expenditure", Review of Economics and Statistics, Vol. 36, No. 4, pp. 387…389
Samuelson P. A. and William D. Nordhaus (1992), Economics, Sydney, McGraw-Hill.

Redattore: Francesca BERTI

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