RISCHIO DI CREDITO
Rischio di insolvenza della clientela finanziata da una banca, cioè rischio di perdita totale o parziale dei relativi crediti, per capitali prestati ed interessi maturati. In genere la gestione bancaria si cautela contro questa componente di rischio sia attuando preventivamente una prudente ed oculata valutazione di affidabilità della clientela richiedente prestiti, ed eventualmente stipulando tipologie contrattuali di prestito assistite da garanzie di natura reale e personale, sia precostituendo, mediante congrui accantonamenti su base annuale, appositi fondi rischi su crediti, ai quali verranno addebitate in seguito le eventuali perdite su crediti realizzate dopo l’esperimento delle svariate procedure di recupero dei crediti in contenzioso. Ne consegue che il rischio di credito partecipa alla formazione del risultato economico gestionale in via preventiva, tramite gli accantonamenti di idonee quote ai suddetti fondi.
Nel rapporto tra creditore e debitore, sottostante ad una data attività finanziaria, il Rischio di Credito (Credit Risk) rappresenta il rischio che il creditore, in qualunque forma tecnica esso conceda il prestito, non si veda rimborsato tutto o parte dell’ammontare di risorse finanziarie impiegate nell’operazione (counterparty risk).5 Tale rischio può essere limitato alla sola quota interessi dovuti alla controparte, o anche alla quota-capitale. Il rischio di credito si genera dunque all’interno di una qualunque transazione finanziaria.
All’interno della categoria del rischio di credito vengono contemplati anche i rischi legati al deterioramento per pagamenti ritardati (crediti past-due) e il rischio-paese (country risk). I crediti past-due si generano nel momento in cui il debitore produce sensibili ritardi nei pagamenti delle rate dovute secondo i termini prestabiliti per il pagamento degli interessi o per il rimborso delle quote-capitale. Il rischio-paese (country risk) caratterizza invece le transazioni finanziarie tra soggetti appartenenti a differenti paesi, ed è determinato dalla probabilità che uno stato sovrano in difficoltà blocchi i pagamenti in valuta estera incagliando così la transazione tra debitore e creditore, transazione il cui esito influenza il valore dell’attività finanziaria sottostante.
Generalmente il creditore pone in essere azioni per fronteggiare il rischio di credito. Ad esempio, ciò può avvenire aggiustando il prezzo delle attività finanziarie in funzione del rischio (risk-based pricing), andando cioè a “caricare” la probabilità di default del debitore sul costo della transazione, oppure chiedendo delle garanzie, reali o personali, a supporto della transazione stessa (collaterals), o ancora ricorrendo a forme di assicurazione contro il fallimento delle proprie controparti (Credit default swap (CDS)). Nei casi in cui il creditore ritenga che la copertura del rischio di credito non sia qualitativamente adeguata, o sia quantitativamente insufficiente, possono generarsi effetti negativi sulla concessione del credito stesso quali ad esempio la concessione di un ammontare inferiore rispetto a quello richiesto dal debitore (c.d. Credit crunch).
Raccomandazioni e linee-guida del Comitato di Basilea. Il rischio di credito rappresenta ancora oggi il fattore principale delle crisi bancarie. Negli ultimi anni pertanto esso è stato oggetto di approfondita analisi da parte sia delle autorità di vigilanza, nazionali ed internazionali, sia di istituzioni creditizie, specie quelle di primaria rilevanza internazionale. Nel corso del 1999 il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha pubblicato quattro documenti contenenti raccomandazioni e linee guida, rivolte alle autorità di vigilanza e alle banche che svolgono in prevalenza attività internazionale, relativi in particolare: all’adeguatezza delle procedure di contabilizzazione (Sound practices for loan accounting and disclosure); allo sviluppo di procedure “sane” con riferimento alla coerenza tra strategie-politiche-procedure adottate oltre che ai controlli interni (Principles for the management of credit risk); all’informativa al pubblico, soprattutto agli investitori, sulla qualità del credito per rispondere efficacemente alle esigenze di maggiore trasparenza (Best practices for credit risk disclosure); alla natura creditizia del rischio di regolamento nelle operazioni in cambi, infine, che per molte grandi banche rappresenta la fonte principale di esposizione al rischio di credito (Supervisory guidance for managing settlement risk in foreign exchange transactions). Le principali banche internazionali, per contro, hanno esercitato una crescente pressione per una revisione del sistema di ponderazione vigente di determinazione del coefficiente di solvibilità, con riferimento in particolare all’imposizione di un fattore di ponderazione unico per grandi categorie di rischi. Alcune istituzioni internazionali, inoltre, hanno realizzato modelli avanzati di valutazione dell’esposizione al rischio di credito (soprattutto Creditmetrics di JP Morgan e Creditrisk+ di Credit Suisse), in base ai quali il rischio di credito viene quantificato non solo rispetto al singolo obbligato o operazione, ma anche rispetto al portafoglio crediti e obbligazionario nel suo complesso, derivando (con logiche VAR di tipo finanziario) misure attendibili e consistenti sul flusso di perdite medie attese e di perdite massime attese a un certo percentile di confidenza.
Si è pertanto giunti a delle modifiche al procedente accordo di Basilea del 1988 con nuovo Accordo sul capitale definito dal Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria (Basilea 2). Nell’attuazione del primo pilastro ha previsto diversi metodi per la valutazione della rischiosità degli impieghi sulla quale viene calcolata la copertura patrimoniale minima obbligatoria che l’intermediario deve mantenere. In particolare, secondo il quanto stabilito dal nuovo accordo, l’approccio standard che nel precedentemente si basava su fattori di ponderazione del rischio fissi per predeterminate categorie di attività, può basarsi anche su rating esterni emessi da agenzie di rating esterne. Tali società sono riconosciute dalla Banca d’Italia previo accertamento del possesso di determinati requisiti, anche di competenza tecnica e di indipendenza (art. 53 comma 2bis TUB, art. 6 comma 1bis TUF) e sono denominate Agenzie esterne di valutazione del merito di credito (in inglese External Credit Assessment Institution, ECAI). Inoltre è stata eliminata per le esposizioni verso i soggetti sovrani la distinzione tra paesi OCSE o non OCSE al fine di migliorare la sensibilità al ischio di tale approccio. Infine il trattamento riservato alle aziende viene determinato dalla presenza e dal grado di rating loro assegnato. In alternativa a tale metodo per la misurazione del merito creditizio l’intermediario può applicare un sistema di rating interno, denominato Internal - Rating - Based (IRB) suddiviso in due categorie: approccio di "base" e "avanzato". Nonostante gli elevati costi di sviluppo di tale approccio, esso presenta diversi vantaggi per le banche che lo utilizzano: il maggior sfruttamento del vantaggio informativo delle banche, il perfezionamento delle tecniche di gestione del rischio che risultano da precise responsabilità poste in capo al management, la possibilità per i vertici aziendali di gestire in modo più informato la politica creditizia delle banche1.
____________________________
1Cfr. DELL'ATTI A. (2002), Lineamenti di gestione bancaria, Cacucci Editore.
© 2018 ASSONEBB