DEPOSITO BANCARIO

Il codice civile disciplina nella medesima sezione (“Dei depositi bancari”) sia i depositi di danaro (artt. 1834-1836 c.c.) che il deposito di titoli di amministrazione (art. 1838 c.c.). Questi due istituti, pur avendo in comune la presenza della banca in veste di depositaria, sono profondamente diversi sotto il profilo della loro funzione economica e della loro regolamentazione giuridica. Infatti i depositi pecuniari costituiscono la tipica operazione bancaria passiva, dalla quale deriva un costo per la banca, e rappresentano lo strumento tradizionale di raccolta del risparmio, essenziale per l’assolvimento della funzione bancaria di intermediazione. Il deposito di titoli in amministrazione, invece, rientra tra le operazioni bancarie accessorie o collaterali. È perciò preferibile una separata trattazione che tenga conto non solo del deposito di titoli (v. deposito di titoli in amministrazione), ma anche del deposito di qualsiasi altro oggetto diverso dal danaro (v. cassette di sicurezza). Ai sensi dell’art. 1834 c.c., con il contratto di deposito la banca acquista la proprietà della somma ricevuta e si obbliga a restituirla nella stessa specie monetaria, alla scadenza del termine convenuto (deposito vincolato), ovvero a richiesta del depositante (deposito libero), con l’osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi. Questo contratto ha natura reale, perfezionandosi con la consegna materiale del danaro alla banca. È, inoltre, un contratto non formale: la stipulazione mediante sottoscrizione di moduli o formulari è imposta soltanto dall’esigenza di soddisfare al requisito di forma prescritto per la validità delle eventuali clausole vessatorie. Il contratto di deposito bancario può essere stipulato non soltanto dalle banche, ma anche dagli istituti di credito. La disciplina legale del deposito bancario è estremamente scarna, risolvendosi in pratica nella regolamentazione del libretto di deposito. Di conseguenza è importante qualificare il contratto in esame per vedere quali norme possono, in via integrativa, essere applicate. La dottrina è propensa ad affermare che il deposito bancario non sia né un sottotipo del mutuo, né del deposito in generale, quanto piuttosto un tipo particolare di deposito irregolare. Il contratto in esame, infatti, assolve una propria duplice funzione, non esauribile compiutamente né in quella di custodia, né in quella di credito: è al tempo stesso un contratto di credito nell’interesse della banca e di custodia e di investimento nell’interesse del depositante. Da tale qualificazione si può trarre la considerazione che, per colmare le eventuali lacune normative, non saranno direttamente applicabili né la disciplina del mutuo né quella del deposito irregolare. Sarà dunque necessario ricorrere all’analogia: con l’avvertenza, tuttavia, che l’utilizzo dello strumento analogico potrà dirsi corretto solo quando il silenzio della disciplina specifica del contratto di deposito bancario non sia colmatile attraverso norme che, per quanto riferite espressamente ad altri contratti bancari, siano espressione di principi comuni all’intera categoria dei contratti bancari. Possiamo classificare i diversi tipi di deposito bancario in base alla forma assunta dal deposito, che condiziona contenuto e modalità di svolgimento del rapporto banca-depositante. Al riguardo, sia le disposizioni codicistiche sia le norme contenute nei vari moduli predisposti dalle banche con cui vengono recepite le norme bancarie uniformi conducono alla seguente tripartizione: depositi ordinari o semplici, depositi in conto corrente e depositi a risparmio. I depositi ordinari, non regolati dalle norme bancarie uniformi, sono caratterizzati dal fatto che non possono essere alimentati con successivi versamenti e che non prevedono la facoltà di prelevamenti parziali durante lo svolgimento del rapporto, essendo invece rimborsabili solo in un’unica soluzione. A fronte del deposito possono essere rilasciati documenti, aventi efficacia meramente probatoria, come le ricevute di cassa e le lettere di accreditamento. Più frequentemente, nella pratica, tali operazioni sono caratterizzate dal rilascio di buoni fruttiferi o di certificati di deposito a breve o a lungo periodo. Tali documenti, secondo la prevalente dottrina, dovranno considerarsi documenti di legittimazione se nominativi e titoli di credito se al portatore. Il deposito in conto corrente è regolato dal codice civile nell’ambito della più ampia categoria delle operazioni bancarie in conto corrente (arti. 1852-1857 c.c.) e dalle relative norme bancarie uniformi. Esso si caratterizza per la circostanza che il depositante può disporre delle somme depositate non solo in contanti, ma anche mediante l’emissione di assegni bancari. Può inoltre alimentare il conto anche grazie al versamento di assegni da riscuotere. Le somme depositate sono necessariamente disponibili a vista. Al depositante viene rilasciato un libretto di deposito nominativo, il quale non costituisce l’unico strumento di documentazione dello svolgimento del rapporto, dato che per i prelevamenti fanno piena prova gli assegni e gli ordini di pagamento in possesso della banca. Considerata la stretta affinità del deposito in conto corrente con il contratto di conto corrente bancario e sottolineata la sua minor duttilità e praticità a rispondere alle esigenze del servizio di cassa della clientela rispetto al contratto di conto corrente, ben si può capire perché il contratto in parola sia progressivamente scomparso nella prassi bancaria. Infatti il conto corrente bancario è oggi il solo tipo di rapporto in conto corrente che le banche intrattengono con la clientela. Nella prassi bancaria, invece, è frequente il ricorso al deposito a risparmio o deposito fruttifero (da sottolineare al riguardo è anche l’estrema diversificazione delle norme bancarie uniformi, che stabiliscono ben nove schemi di regolamento di questi depositi). Esso permette al depositante di operare successivi versamenti e prelevamenti parziali. I depositi a risparmio si caratterizzano sotto il profilo giuridico per il fatto di essere documentati da dei libretti (v. libretto di deposito) che vengono rilasciati dalla banca all’atto del primo versamento. Tali documenti hanno una particolare efficacia probatoria e costituiscono, altresì, lo strumento necessario per l’esercizio, da parte del depositante, dei diritti derivanti dal contratto. Le operazioni di versamento e prelevamento devono risultare dal libretto e le relative annotazioni fanno piena prova dei trasferimenti di danaro avvenuti. Le norme bancarie uniformi precisano che i versamenti ed i prelevamenti debbono effettuarsi per contanti. Nella prassi bancaria permane, però, il fenomeno del versamento di assegni sul libretto. Si ritiene che tale prassi sia solo apparentemente anomala, in quanto è rappresentativa di una duplice operazione: un’anticipazione, da parte della banca, della somma portata dall’assegno e un versamento sul libretto della somma ricevuta dal “cambio” dell’assegno. Principio comune a tutte le forme di deposito bancario è che la banca non può adempiere l’obbligo di restituzione senza una richiesta del depositante. Questo carattere del contratto condiziona la regolamentazione convenzionale del termine di restituzione nei depositi a risparmio. Al riguardo le norme bancarie uniformi prevedono tre distinte ipotesi: depositi liberi, depositi vincolati a scadenza determinata, depositi vincolati a scadenza indeterminata con preavviso. Nei depositi liberi il depositante può effettuare in ogni momento prelevamenti parziali, oltre che estinguere il deposito. Va però notato che il depositante non può pretendere il pagamento, all’atto della presentazione del libretto, di una somma superiore al “disponibile giornaliero”, reso noto al pubblico mediante avviso nei locali della banca. Questa clausola è diretta a garantire la liquidità bancaria, evitando che la filiale della banca presso cui il pagamento è effettuabile non abbia liquidità sufficiente a far fronte a richieste di prelievo immediato di importi rilevanti. Nei depositi a scadenza determinata non sono consentiti prelevamenti prima della scadenza del periodo di vincolo. La banca si riserva tuttavia di consentire, in via eccezionale, rimborsi anticipati alle condizioni dalla stessa stabilite e che consistono normalmente nella perdita parziale o totale degli interessi maturati. Nei depositi a scadenza indeterminata con preavviso, infine, il cliente ha l’onere di far precedere ciascun prelevamento da un termine di preavviso (annotato sul libretto) di regola crescente con l’ammontare del prelevamento richiesto. Da notare che il preavviso, in qualsiasi tipo di deposito a risparmio venga stabilito, è previsto nell’interesse della banca, che può quindi non avvalersi della facoltà di rifiutare il rimborso anticipato. La regolamentazione convenzionale del termine di restituzione incide sulla decorrenza del termine di prescrizione decennale (art. 2946 c.c.) del diritto alla restituzione delle somme depositate. Infatti, nei depositi vincolati (a scadenza fissa o con preavviso) la prescrizione decorre dal rifiuto espresso o tacito della banca di effettuare il rimborso. Nei depositi liberi o a vista, invece, si ritiene - da una parte della dottrina e della giurisprudenza, almeno - che la prescrizione decorra dalla costituzione stessa del rapporto di deposito, o dall’ultima operazione compiuta dalla banca (in particolare: capitalizzazione annuale degli interessi), o dal depositante, attraverso un prelevamento o un versamento. Per quanto concerne la forma, anche il contratto di deposito bancario è soggetto alla prescrizione dell’art. 117 TUBC, che impone la redazione per iscritto a pena di nullità (che, ai sensi del successivo art. 127 comma 2 punto 2, può essere fatta valere solo a favore del cliente).

 

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