VINCOLO DI PORTAFOGLIO
Obbligo, imposto dalle autorità monetarie alle banche, di accrescere la quantità di titoli in portafoglio per un ammontare minimo rispetto alla consistenza od all’incremento dei depositi. Rappresenta, insieme con il massimale sugli impieghi, il più importante strumento di controllo diretto e selettivo del credito a disposizione delle autorità monetarie. Attraverso tale misura viene modifi- cata la composizione dell’attivo bancario fino a raggiungere il rapporto desiderato dalle autorità monetarie fra investimenti in titoli e prestiti. Tale dispositivo produce, tuttavia, tra gli altri effetti, quello di indurre le banche ad espandere il proprio volume di intermediazione onde ridurre l’onere del vincolo sulla redditività del proprio attivo. In particolare, l’obbligo di portafoglio provoca un twist nei saggi attivi aumentando quello sugli impieghi e riducendo quello sui titoli, e genera una contrazione nelle riserve libere con crescita del moltiplicatore del credito e dei depositi per la convenienza ad espandere gli impieghi. Nel complesso, il sistema tende ad accrescere il volume della massa fiduciaria, attivando la base monetaria posseduta dal pubblico o riducendo le riserve libere. Una maggiore rapidità di effetti o un minore margine di errori tra intendimento ed obiettivo sono gli aspetti positivi della manovra creditizia attuata in modo selettivo attraverso l’obbligo di portafoglio. Il quadro va tuttavia completato ricordando il costo che, in termini aziendali e microeconomici, il sistema subisce. Il vincolo, infatti, introduce non solo un notevole grado di immobilismo nell’attivo delle banche, ma tende a fissarne in modo rigido il rendimento. Lo sfasamento che si crea tra il rendimento di larga parte del credito concesso e costo di acquisizione dei depositi, essenzialmente variabile, genera un’alterazione ciclica del rapporto che in un’ordinata gestione bancaria dovrebbe esistere tra rendimento medio degli impieghi e quello della raccolta. La conseguenza di ciò è l’ampliarsi del margine di intermediazione, cioè la differenza tra i saggi attivi sui prestiti e saggi passivi corrisposti sulla raccolta. Il vincolo di portafoglio, egli effetti distorsivi che esso produce sui bilanci degli operatori, appare, inoltre, strumento inadeguato rispetto all’obiettivo di stabilizzare i mercati e migliorare la destinazione dei flussi, in presenza di eccessivi deficit del settore pubblico. Il vincolo sposta infatti l’eccedenza dell’offerta dal mercato dei titoli a quello dei depositi, aggravando, nel più lungo periodo, gli effetti del disavanzo del Tesoro in termini di controllabilità del sistema. Qualora, inoltre, gli investimenti obbligatori si combinino con una politica monetaria restrittiva, l’impatto espansivo del deficit pubblico risulta attenuato, ma il pesodel finanziamento di esso viene a gravare sulle banche con la conseguenza di innalzare il costo dei prestiti e determinare una consistente riduzione degli impieghi privati. L’intensità con cui l’effetto restrittivo provocato dal vincolo si ripercuote sulle imprese private è resa ancor piùevidente se si tiene conto della rigidità del fabbisogno finanziario della pubblica amministrazione e della bassa elasticità di prezzo della domanda di credito del settore pubblico. Ne consegue che il provvedimento può aiutare a conseguire l’allocazione desiderata delle risorse a condizione che le cause di squilibrio nella ripartizione dei fondi siano temporanee e non un dato strutturale. In caso contrario il vincolo di portafoglio perde di efficacia in ordine all’obiettivo di una diversa composizione della domanda globale. Esso può trovare un impiego efficiente solo quale provvedimento transitorio di politica economica. Nell’esperienza italiana il vincolo di portafoglio venne imposto agli istituti di credito speciale nel 1973, reso meno stringente a partire dal 1978 ed infine revocato nel1986.