TUTELA DELL'ATTIVITÀ DI VIGILANZA, DISPOSIZIONI PENALI
1. Falso nelle comunicazioni alla Banca d’Italia. L’art. 134 del TUBC, riformulando in termini sostanzialmente analoghi le disposizioni contenute nell’art. 39, d.lg.14.12.1992 n. 481 (che a sua volta traeva origine dalla disciplina di cui all’art. 4, l. 17.4.1986 n. 114), prevede una fattispecie di falso nelle comunicazioni alla Banca d’Italia. Dispone infatti la norma che “chi svolge funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso banche, intermediari finanziari e soggetti inclusi nell’ambito della vigilanza consolidata ed espone, nelle comunicazioni alla Banca d’Italia, fatti non rispondenti al vero sulle condizioni economiche delle banche, degli intermediari finanziari o dei citati soggetti o nasconde, in tutto o in parte, fatti concernenti le condizioni stesse al fine di ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza, è punito, sempre che il fatto non costituisca reato più grave, con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire due milioni a lire venti milioni”. Appaiono evidenti le analogie della disposizione in esame con l’art. 2621 n.1 c.c. (v. falso in bilancio), che deve ritenersi applicabile quando non possa ricorrersi all’art.134 TUBC. Se la comunicazione, oltre che alla Banca d’Italia, è diretta anche ad altri soggetti, si può certo configurare concorso materiale fra i due reati. Si tratta di reato proprio, in quanto può essere commesso solo da coloro che rivestono le qualifiche soggettive individuate dalla norma, sebbene ciò avvenga non rispetto alle qualifiche formali ma, opportunamente, facendo riferimento alle funzioni effettivamente svolte in seno all’azienda. La condotta può consistere nella comunicazione di un fatto non rispondente al vero circa le condizioni economiche dell’ente, ovvero nell’occultamento di fatti veri relativi alle condizioni stesse. Il reato si consuma nel momento in cui la comunicazione giunge all’Istituto di vigilanza. Il dolo richiesto è specifico, poiché il fatto deve essere commesso al fine di ostacolare le funzioni di vigilanza. Il secondo comma dell’art. 134 prevede la pena dell’arresto fino a un anno e dell’ammenda da lire venticinque milioni a lire cento milioni quando l’ostacolo alle funzioni di vigilanza sia portato “fuori dei casi previsti dal comma 1”. Si tratta quindi di ipotesi contravvenzionale, che funge da vera e propria norma di chiusura del sistema delle falsità nelle comunicazioni all’Istituto di vigilanza. Ai soggetti indicati dal primo comma sono peraltro aggiunte anche le “altre società comunque sottoposte alla vigilanza della Banca d’Italia”.
2. Falso nelle comunicazioni all’UIC. Il TUBC appresta una tutela penale in relazione alla funzione di controllo svolta dall’UIC nei confronti degli intermediari finanziari iscritti nell’elenco generale previsto dall’art. 106 TUBC. La fattispecie di cui all’art. 141 TUBC, infatti, colpisce con l’arresto fino a tre anni l’ipotesi in cui vengano fornite indicazioni false nelle comunicazioni previste dall’art. 106 commi 6 e 7.
3. Trasparenza degli assetti proprietari. L’art. 140 TUBC (così come modificato dall’art.64, comma 27, del d.lg. 23.7.1996 n. 415) appresta un apparato sanzionatorio teso a tutelare la trasparenza degli assetti proprietari (v. struttura proprietaria) di banche, di società appartenenti a gruppi bancari e di intermediari finanziari, tutela in precedenza accordata dagli artt. 9, 10 e 11, della l. 8.8.1985 n. 281, abrogata dall’art. 161 TUBC La norma punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria da due a venti milioni di lire l’omissione delle comunicazioni previste dall’art. 20, commi 1, 3, primo periodo,e 4, 21, commi 1, 2 e 3 dell’art. 63 e dell’art. 110, commi 1, 2 e 3; la stessa sanzione è prevista per le comunicazioni eseguite con ritardo superiore a trenta giorni, mentre, se il ritardo è inferiore, è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire dieci milioni. Qualora le comunicazioni in oggetto contengano indicazioni false, sempre che il fatto non costituisca più grave reato, si applica l’arresto fino a tre anni e, trattandosi di contravvenzione, il reato è punibile tanto a titolo di dolo che di colpa. Soggetti attivi dell’illecito in esame sono i soggetti che partecipano al capitale di una banca, di un intermediario finanziario o di una società finanziaria capogruppo oltre il limite stabilito dall’istituto di vigilanza e non ne danno comunicazione alla Banca d’Italia e alla società. L’entità della percentuale, oltre che i presupposti e le modalità della comunicazione della partecipazione rilevante sono determinati dall’autorità di vigilanza.
4. Vigilanza sulle SIM. La tutela penale dell’attività di vigilanza disciplinata nel TUF del 1998 completa il sistema delineato nel TUBC. Il precedente storico della normativa attuale si rinviene nell’art. 42 del d.lg. 23.7.1996 n. 415 (decreto Eurosim) con il quale il legislatore, nell’intento di armonizzare in modo coerente le fattispecie contenute nella legislazione complementare (in particolare l’art. 134 TUBC), aveva introdotto la sanzione penale a tutela dell’attività di vigilanza della Banca d’Italia e della Consob con riguardo alle SIM. L’art. 171 TUF contiene nell’esordio, sia al primo che al secondo comma, una clausola di riserva a favore dell’art. 134 TUBC e dei reati più gravi (il richiamo implicito è all’art. 2621 n. 1 c.c. “false comunicazioni sociali”) prevedendo, in questo modo, una “tutela residuale” dell’attività di vigilanza pubblica. La fattispecie punisce, al primo comma, con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire due milioni a lire venti milioni “chi svolge funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso soggetti abilitati allo svolgimento di servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio” ed espone fatti non veri o nasconde fatti che avrebbe dovuto comunicare alla Banca d’Italia o alla Consob relativi alle condizioni economiche dei soggetti stessi o alle “attività svolte per conto degli investitori, ovvero, nasconde, in tutto o in parte, fatti che avrebbe dovuto comunicare, concernenti le condizioni o le attività stesse”. Il secondo comma, fatti salvi i casi previsti nel primo comma, incrimina gli esponenti degli stessi soggetti controllati che ostacolano le funzioni di vigilanza attribuite alla Banca d’Italia o alla Consob(il reato è previsto nella forma contravvenzionale: arresto fino a un anno e ammenda da lire venticinque milioni a lire cento milioni). Soggetti attivi sono coloro che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo: i responsabili del reato vengono individuati sulla base di un criterio “oggettivo/ funzionale” (tecnica normativa assai criticata in dottrina perché non in linea col principio di determinatezza, ma comunque conforme alle recenti scelte normative in sede di riforma del codice penale nella ridefinizione delle figure di pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio: artt. 357/358 c.p.) che consente di estendere il campo di applicazione della fattispecie anche a coloro che non rivestono particolari qualifiche formali (amministratori di fatto). Per la nozione di “soggetti abilitati allo svolgimento di servizi di investimento, o di gestione collettiva del risparmio” si rinvia integralmente alla disciplina relativa ai servizi di investimento (si veda la nozione all’art. 1 comma 5 TUF) contenuta nel titolo II del TUF e a quella della gestione collettiva del risparmio (si veda la nozione all’art. 1 lettera m TUF) disciplinata nel titolo III del TUF Sul piano dell’elemento soggettivo, il reato previsto al primo comma dell’art. 171 TUF, diversamente dal secondo comma, richiede il dolo specifico (ostacolare le funzioni di vigilanza): la descrizione della fattispecie, eccessivamente ampia in relazione all’oggetto della condotta, va delimitata caratterizzando il dolo specifico con riguardo al fatto concreto sulla base di una valutazione di idoneità in concreto, formulata ex ante.