TITOLI ATIPICI
Forme innovative di titoli di credito, non inquadrabili in quello delle obbligazioni regolate dal codice civile, e che trovano fondamento nel principio dell’autonomia negoziale ammessa in via generale dall’art. 1322 c.c Hanno avuto un notevole sviluppo nel corso dell’ultimo decennio, soprattutto a causa dell’indeterminatezza del regime fiscale applicato. Le denominazioni utilizzate per tali titoli sono le più diverse: certificato immobiliare; certificato finanziario; certificato agricolo; certificato patrimoniale; certificato mobiliare; quote di fondi comuni d’investimento immobiliare; buono di associazione in partecipazione; certificato di partecipazione. Le tipologie più frequenti fanno riferimento ad una particolare forma contrattuale: il contratto di associazione in partecipazione, disciplinato all’art. 2549 c.c Secondo tale contratto, l’imprenditore associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili dell’impresa di uno o più affari in relazione ad un determinato apporto. L’emissione, da parte dell’associato, di certificati frazionati e trasferibili per girata consente di spersonalizzare il rapporto e di rendere praticabile un mercato degli stessi. Spesso l’affare consiste nella gestione di un immobile o di un terreno (p.e., un albergo o un residence). L’associato non può intervenire nella gestione dell’affare, ma ha diritto a ricevere un rendiconto periodico e finale. Vanno sottolineate, a questo proposito, le numerose diffi- coltà che spesso si manifestano nel delineare i diritti degli associati ed il valore dei loro titoli e che rappresentano un aspetto assai rilevante anche dal punto di vista fiscale. Il valore dei certificati è stimato su base annua da parte dell’associante. Gli enti emittenti pubblicano poi con cadenza mensile, a titolo indicativo per il mercato secondario, delle valutazioni che tuttavia non sempre corrispondono ad effettivi prezzi di mercato. Il fatto che la valutazione venga fatta dall’emittente, abbinata alla ristrettezza del mercato secondario, conferiscono infatti una notevole indeterminatezza a tali aspetti. È probabilmente anche per queste ragioni, oltre che per l’introduzione di una specifica regolamentazione amministrativa e tributaria (d.l. 30.10.1983 n. 512, convertito nella l. 25.11.1983 n. 649), che lo sviluppo dei titoli atipici si è progressivamente attenuato fino quasi a far scomparire il fenomeno e che la propensione dei risparmiatori ad investire in essi si è fortemente ridotta a favore di più trasparenti forme di impiego, quali p.e. le quote dei fondi comuni d’investimento. La disciplina fiscale di questi titoli è rimasta indeterminata per lungo tempo. A essi si applicava residualmente la disposizione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 26 del d.p.r. 29.9.1973 n. 600, che prevedeva una ritenuta a titolo di acconto del 15%. Successivamente il d.l. 30.10.1983 n. 512 ha assoggettato tali titoli ad una ritenuta del 18% a titolo di imposta con l’obbligo di rivalsa sui proventi di ogni genere corrisposti ai possessori. La ritenuta si applica anche all’eventuale differenza tra la somma pagata ai possessori o il valore dei beni attribuiti alla scadenza e il prezzo di emissione. Dal 1989 la ritenuta è del 30%. Se i titoli sono ad emissione continuativa o comunque non hanno una scadenza predeterminata è stabilito un versamento a titolo di anticipazione delle relative ritenute per un importo pari al 6%o della differenza del valore conferito al 31 dicembre ai titoli non rimborsati a tale data (esclusi quelli emessi nell’anno) e il corrispondente valore precedente.