SME

Acr. di: Sistema Monetario Europeo (Accordo monetario di cambio tra le valute dei Paesi CEE, entrato in funzione il 13.3.1979 al fine di realizzare una zona di stabilità monetaria in Europa, dopo tentativi infruttuosi messi in atto in seguito allo scardinamento dell’accordo dei cambi fissi, che era stato siglato a Bretton Woods nel 1944 (Accordi di Bretton Woods). Tra questi tentativi vi fu il Serpente monetario europeo, che dopo l’uscita tra il 1973 e il 1974 della Gran Bretagna, dell’Irlanda, dell’Italia e della Francia, si era ridotto a una “zona del marco” (Germania, Benelux e Danimarca). Le ripetute crisi valutarie e la quadruplicazione del prezzo del petrolio produssero andamenti divergenti delle principali variabili economiche all’interno dei paesi europei. Nel 1978 con la risoluzione del 5 dicembre, il Consiglio europeo riprendeva il tentativo di arginare la deriva monetaria. Allo SME aderirono tutti i paesi allora membri della CEE, compreso il Regno Unito, che però rimase in posizione marginale, senza cioè partecipare ai meccanismi di funzionamento del nuovo accordo monetario. Elemento centrale del sistema fu la moneta di conto denominata Scudo, parola equivalente al francese Écu e all’inglese European Currency Unit (v. ECU). Lo scudo fu utilizzato dalle banche centrali nei seguenti modi: a) come moneta di conto per il meccanismo di cambio; b) come base per l’indicatore di divergenza dei cambi; c) come denominatore per le operazioni relative ai meccanismi di intervento e di credito; d) come mezzo di regolamento tra le autorità monetarie della CEE. Le banche centrali conferirono al FECOM il 20% delle loro riserve in oro e in dollari sotto la forma tecnica di swaps a tre mesi, rinnovabili e alla pari con lo scudo, seguendo precisi criteri di valutazione sia al fixing di Londra per l’oro, sia al corso di mercato per il dollaro. La composizione dell’ECU al 13.3.1979 per quantità e peso percentuale relativo delle monete era la seguente:

Lira italiana 109 9,5
Marco 0,828 33,0
Franco belga 3,66 9,3
Franco francese 1,15 19,8
Franco lussemburghese 0,14 0,3
Fiorino olandese 0,286  10,5
Lira sterlina 0,0885 13,3
Sterlina irlandese 0,00759 1,2
Corona danese 0,2217 3,1

 Per ogni valuta fu fissato il tasso centrale di parità e uno scudo fu equivalente per la valuta italiana a 1.148,15 lire, contro 2,51064 marchi, 39,4582 franchi belga, 5,79831 franchi francesi, 39,4582 franchi lussemburghesi, 2,72077 fiorini olandesi, 0,663247 sterline inglesi, 0,662638 sterline irlandesi e 7,08592 coronedanesi. Il tasso centrale servì a determinare una griglia di tassi di cambio bilaterali, attorno ai quali fu fissata una fascia di fluttuazionedel 2,25 per cento. Avvalendosi della facoltà concessa a ogni partecipante di scegliere tassi più ampi, l’Italia optò per una banda di oscillazione della lira del 6 per cento, con l’intesa di ridurla gradualmente. Solo l’8.1.1990 l’Italia poté entrare nella banda stretta del 2,25 per cento in più del tasso centrale di parità. L’impegno fu mantenuto, ma costò in termini di minori esortazioni e di minore crescita del PIL. Sulla base dei tassi centrali furono determinati a) i corsi minimi e quelli massimi di intervento, b) la soglia di divergenza, che consentiva di individuare la moneta che si distaccava rispetto alla media delle altre. Questa soglia di divergenza si situava al 75 per cento della fascia massima di oscillazione ed era calcolata con apposita formula in modo da tener conto del peso attribuito a ciascuna moneta nello scudo. Quando una moneta superava la propria soglia di divergenza scattava la presunzione che il governo e l’autorità monetaria interessati avrebbero provveduto a correggere lo scostamento con appropriate e adeguate misure e in particolare: con interventi sui mercati dei cambi; con misure di politica monetaria interna; con cambiamento dei tassi centrali e, infine, con altre misure di politica economica. Se per circostanze speciali, questo armamentario di interventi non fosse stato messo in pratica, le autorità degli altri paesi dovevano essere informate, dando ragione del mancato intervento.In linea di principio, gli interventi furono fatti nelle monete dei paesi partecipanti allo SME e quelli in dollari o in altre monete terze furono effettuati sulla base delle disposizioni stabilite dal Comitato dei governatori. Per far fronte a difficoltà finanziarie che un paese membro avesse potuto incontrare furono previsti e funzionarono particolari meccanismidi intervento o sostegni monetari e finanziari avalere su istituiti già in essere, sia delle banche centrali, come il SMBT (Sostegno Monetario a Breve Termine), sia del Consiglio europeo, come il CFMT (Concorso Finanziario a Medio Termine). Lo SME ebbe molte affinità con il serpente monetario europeo, ma si presentò anche con caratteristiche proprie, sì da apparire una costruzione scientifica accurata in teoria, ma in pratica fu farraginoso e alla fine impotente a fronteggiare situazioni che a monte avrebbero richiesto altri strumenti e altre politiche e soprattutto la coesione propria di uno stato europeo almeno confederale. L’ECU, fu una moneta creata a tavolino ed ebbe a soffrire le divergenze economiche, finanziarie e sociali e quindi politiche dei Paesi membri. P.e., una politica energetica e una politica dell’occupazione comunitarie sarebbero state della massima utilità e lo SME avrebbe potuto contribuire a portare le valute dei paesi membri verso un sistema di cambi fissi. Con lo SME si caricò la politica monetaria di compiti che erano prima di tutto politici. Furono proprio le incertezze politiche causate dalla ratifica del Trattato di Maastricht, sottoscritto nel febbraio del 1992, a innescare tensioni monetarie dirompenti, mettendo bene in evidenza l’artificiosità dello SME, che non era mai riuscito a scoraggiare la speculazione internazionale sui cambi valutari. Il sistema dei riallineamenti e l’avvicinamento del cambio di una moneta alla soglia di divergenza creavano attese di svalutazione o di rivalutazione di una moneta e nell’attesa di provvedimenti si innescavano tensioni speculative. Dopo il riallineamento le tensioni esplodevano di nuovo, se il mercato giudicava insufficiente la modifica del tasso centrale di parità. Indecisioni governative erano occasioni di attacchi speculativi. Nell’estate del 1992 lo SME fu investito da forti movimenti di capitali speculativi, che causarono ingenti perdite di riserve ufficiali. Dopo una resistenza non priva di aspetti contradditori, la lira e la lira sterlina uscivano il 16-17 settembre dallo SME. Ma le tensioni sulle altre monete continuarono e poi si accentuarono nei mesi successivi. Il 2 agosto del 1993 il Consiglio dei ministri finanziari della CEE allargò il margine di fluttuazione dal 2,5 per cento al 15 per cento in più o in meno del tasso centrale di parità, decretando in pratica la fine dello SME. I riallineamenti dei tassi centrali interessarono tutte le valute dello SME. Per la lira furono i seguenti e tutti in deprezzamento: il 6% il 23.3.1981; il 3% il 5.10.1981; il 2,75% il 14.6.1982; il 2,5% il 22.3.83; l’8% il 22.7.1985; il 3,5% il 13.9.1992; uscita dallo SME il 17.9.1992

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