PROTOCOLLO DI KYOTO (ENCICLOPEDIA)
Il Protocollo di Kyoto è un accordo internazionale sorto nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (o UNFCCC)1 del 1992 ed entrata in vigore nel 1994.
Mentre la convenzione si limita ad incoraggiare le nazioni industrializzate a controllare le emissioni di gas ad effetto serra (GHGs)2 indotte dall’uomo, il Protocollo le impegna con vincoli cogenti ad una strategia di riduzione delle emissioni. Pur criticato da più parti per la sua scarsa "efficacia ambientale" esso rappresenta comunque oggi, l’accordo internazionale più importante in campo climatico. Il Protocollo fissa un obiettivo di riduzione delle emissioni sia collettivo che specifico per ciascuna nazione firmataria, rispetto ai valori del 19903. A ciascuna nazione viene associato un certo numero di unità di emissione, Assigned Amount Units (AAUs), che rappresenta il diritto ad emettere un preciso ammontare di GHGs.
Il Protocollo è stato adottato in Giappone l’11 dicembre 1997 durante la Terza Sessione delle Conferenze delle Parti (COP) ed è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, in seguito alla ratifica da parte della Federazione Russa. Questa avvenuta nel novembre del 2004, ha permesso al complesso dei partecipanti di rappresentare il 55% delle emissioni di anidride carbonica mondiali, l’ammontare minimo richiesto per l’entrata in vigore del Protocollo. Ad oggi 184 membri della Convenzione (nazioni e organi governativi), hanno ratificato il documento. Attraverso la ratifica del Protocollo le nazioni appartenenti al cosiddetto Annex B (o le Annex B countries)4 si rendono disponibili a controllare il loro impatto sul clima sottomettendosi ad un accordo legale che le obbliga, nel quinquennio che va dal 2008 al 2012, a tagliare le loro emissioni antropogeniche per un valore almeno pari al 5% in meno rispetto ai livelli del 1990. I paesi sviluppati, che sono considerati i principali responsabili dei livelli attuali di concentrazione di gas ad effetto serra nell’atmosfera, possono raggiungere i loro obiettivi di riduzione sia (i) limitando il consumo di combustibili fossili sia (ii) incrementando il sequestro netto di carbonio nei serbatoi naturali terrestri (IGBP, 1998).
Inoltre, nel rispettare i vincoli alle emissioni, le nazioni possono avvantaggiarsi di misure di carattere nazionale ed internazionale. Queste ultime, i c.d. meccanismi flessibili o flexibility mechanisms consentono di raggiungere i target globali ed individuali nella maniera più economica possibile. Essi sono lo Schema di Scambio di Emissioni o Emission Trading Scheme (EU-ETS), anche noto come il Mercato del Carbonio, il Meccanismo di Sviluppo Pulito o Clean Development Mechanism (CDM), e l’Implementazione congiunta o Joint Implementation (JI). Nell’ambito del Mercato del Carbonio le unità di emissione e sequestro di GHG possono essere cedute da un venditore che riduca le sue emissioni più del target richiestogli ad un acquirente che si trovi invece ad emettere in eccesso rispetto ai suoi vincoli. In questo modo l’acquirente sostiene comunque un costo relativo al fatto che inquina di più di quanto dovrebbe, e il venditore viene premiato per aver emesso meno rispetto a quanto gli era stato consentito. L’aspetto interessante è che se lo scambio avviene significa che sia il venditore che l’acquirente ne traggono vantaggio e che quindi l’operazione comporta un risparmio di costo e un maggior guadagno per entrambi. In base allo stesso principio, il CDM (Art. 12 del Protocollo) permette alle nazioni industrializzate di sviluppare progetti per la riduzione dei GHGs nelle regioni in via di sviluppo, dove non sono previsti target di riduzione. In particolare, la nazione che implementa il progetto guadagna diritti di emissione nella forma di crediti di carbonio (CERs: Certified Emission Reduction Units), che possono essere scambiati ed usati per raggiungere gli obiettivi. La nazione ospitante può trarre benefici dagli investimenti esteri e dai trasferimenti tecnologici. Infine, il meccanismo JI (Art. 6 del Protocollo), offre la possibilità di eseguire progetti in altre nazioni con vincoli di emissione, per ridurre le fonti di carbonio o incrementarne la cattura attraverso i serbatoi naturali. Con tale approccio la nazione che implementa il progetto guadagna Emission Reduction Units (ERUs), mentre la nazione ospitante, come nel caso precedente, beneficia di investimenti esteri e trasferimenti di tecnologia.
Le regole specifiche per l’implementazione del Protocollo (che includono procedure di monitoraggio e rispetto delle norme) si trovano negli accordi di Marrakesh del 2001, adottati durante la settima Conferenza delle Parti (COP). Il rispetto delle regole da parte dei membri e l’attendibilità dei dati usati sulle emissioni, costituiscono due fattori chiave su cui poggia l’esito degli obiettivi del Protocollo di Kyoto. Le Parti vengono quindi monitorate attraverso la revisione degli inventari annuali e dei report nazionali che esse devono sottoporre a regolari scadenze. Inoltre un Sistema di Compliance supporta i membri nel caso in cui essi debbano affrontare problemi di varia natura che ostacolano il raggiungimento degli obiettivi. Sia la Convenzione che il Protocollo assistono inoltre le nazioni nello sviluppare tecnologie e tecniche di adattamento e per migliorare la resistenza al cambiamento climatico.
Un ulteriore fattore chiave da cui dipende la corretta applicazione del Protocollo di Kyoto nonché la sua efficacia è rappresentato dalla cooperazione internazionale e dal supporto finanziario che il Meccanismo Finanziario della Convenzione fornisce ai paesi in via di sviluppo e alle Economie in Transizione.
Nonostante si tratti di un primo sforzo, il Protocollo di Kyoto è da considerarsi un passo importante verso un regime globale di riduzione delle emissioni con cui stabilizzare il clima. Esso incorpora la struttura essenziale da cui partire per lo sviluppo di accordi globali futuri sul cambiamento climatico. Successivamente ai primi cinque anni del Protocollo (2012) sarà necessario negoziare e ratificare un nuovo framework che, alla luce delle recenti scoperte dell’IPCC, assegneranno obiettivi di riduzione delle emissioni più stringenti.
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1Per approfondimenti sulla Convenzione quadro si veda il sito: http://unfccc.int/kyoto_protocol/items/2830.php
2I GHG secondo l’Annesso A del Protocollo di Kyoto sono il biossido di carbonio (CO2), il metano (CH4), l’ossido di azoto (N2O), gli idrofluorocarburi (HFC), i perfluorocarburi (PFC) e l’esafluoro di zolfo (SF6).
3Il 1990 è l’anno base per tutti i vincoli alle emissioni considerate nel Protocollo, ad eccezione di pochi casi.
4Le 39 nazioni industrializzate emissions-capped e le Economie in Transizione (EIT). For more information on this, see the Kyoto Protocol at http://unfccc.int/kyoto_protocol/items/2830.php
Bibliografia
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http://www.ipcc.ch/publications_and_data/publications_and_data_reports.htm#1
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IPCC 2003. Good Practice Guidance for Land Use, Land-Use Change and Forestry- Edited by Jim Penman, Michael Gytarsky, Taka Hiraishi, Thelma Krug, Dina Kruger, Riitta Pipatti, Leandro Buendia, Kyoko Miwa, Todd Ngara, Kiyoto Tanabe and Fabian Wagner. Institute for Global Environmental Strategies (IGES)
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IGBP Terrestrial Carbon Working Group (1998). The Terrestrial Carbon Cycle: Implications for the Kyoto Protocol. Science, pp. 1393-1394
THE KYOTO PROTOCOL Downloadable at: http://unfccc.int/kyoto_protocol/items/2830.php
THE KYOTO PROTOCOL (other information on): http://unfccc.int/kyoto_protocol/items/2830.php
UNITED NATIONS FRAMEWORK Convention on Climate Change (UNFCCC)
http://unfccc.int/national_reports/annex_i_ghg_inventories/items/2715.php
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