PRIVATIZZAZIONE DELLE IMPRESE

Con il termine privatizzazione, nella sua accezione più ampia, si suole indicare quel procedimento in virtù del quale un’impresa pubblica cambia il proprio regime giuridico. Ciò può avvenire mediante trasformazione in società per azioni e conseguente collocamento sul mercato delle azioni, oppure in seguito alla dismissione della partecipazione pubblica sul mercato, a seconda che si tratti di c.d. “aziende di Stato” o municipalizzate oppure di imprese ancora sotto il controllo pubblico ma già costituite in forma di spa. La disciplina delle privatizzazioni è contenuta nella l. 30.7.1994 n. 474 (Norme per l’accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni). In materia bisogna distinguere fra privatizzazione formale e privatizzazione sostanziale. La prima si realizza con la modifica della forma giuridica, mediante l’adozione di un modello societario al posto del precedente regime di ente pubblico economico o azienda municipalizzata. Permane in questo caso, tuttavia, un controllo da parte del potere pubblico attraverso l’uso di alcuni strumenti quali p.e. il possesso della cosiddetta “golden share” che gli attribuisce poteri speciali. Con la privatizzazione sostanziale, invece, cambia effettivamente il controllo dell’impresa, la quale passa in capo a soggetti privati svincolati dall’influenza dominante del potere pubblico e dello Stato che non rimane neanche l’azionista di riferimento. Concettualmente la privatizzazione vera e propria coincide con la seconda ipotesi, relegando la prima situazione ad un ruolo marginale in cui vi è una semplice trasformazione giuridica senza modifica del controllo. Tuttavia, la privatizzazione formale deve essere considerata strumentale rispetto a quella sostanziale, in quanto spesso rappresenta una fase necessaria nella trasformazione di un ente pubblico in spa al fine di cedere ai privati le azioni di quest’ultima. L’esito della procedura di privatizzazione può essere ricondotta sostanzialmente a tre ipotesi relative all’assetto proprietario ed all’influenza dominante sulla spa: spa in mano pubblica; spa ad azionariato diffuso; spa sotto il controllo di un nucleo stabile di azionisti di riferimento. Nel primo caso, coincidente di fatto con la privatizzazione formale, si tende a perseguire obiettivi di economicità ed efficienza nella gestione dell’impresa che resta in mano pubblica a fronte di una partecipazione del capitale privato in posizione minoritaria. La società ad azionariato diffuso, ispirata al modello della public company anglosassone, presenta un notevole diffusione delle azioni fra il pubblico dei risparmiatori con un limitato assetto di controllo ancorato a patti di sindacato. Infine, la terza ipotesi si basa sull’esistenza di un c.d. “nocciolo duro” costituito da un nucleo di azionisti privati di riferimento in grado di esercitare un forte ed assoluto controllo sulla società e di evitare scalate alla stessa che, invece, nel modello precedente, data la limitata forza del gruppo di controllo, sono spesso effettuate con successo. L’art. 2 della normativa suindicata ha disposto che, nello statuto delle società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, venga introdotta una clausola che attribuisce al Ministero del Tesoro uno o più poteri speciali che costituiscono il contenuto della cosiddetta “golden share” in mano allo Stato. I poteri speciali in questione consistono nella c.d. “clausola di gradimento”, vincolante circa l’ammissione e l’assunzione nella società, da parte di qualsiasi soggetto, di partecipazioni rilevanti pari al 5% delle azioni con diritto di voto nelle assemblee ordinarie; nel gradimento alla conclusione di accordi o patti o che coinvolgano una percentuale di azioni uguale a quella precedente; nel diritto di veto in relazione all’adozione di delibere di scioglimento della società, di modifiche dell’atto costitutivo e di soppressione della golden share; nella nomina di almeno un amministratore o di un numero di amministratori non superiore ad un quarto dei membri del consiglio e di un sindaco (come già previsto dagli artt. 2458 e 2459 c.c.). In materia di possesso azionario, l’art. 3 della disciplina ha previsto la possibilità di inserire un limite pari al 5% per tutti i soggetti diversi dallo Stato. Tuttavia, in seguito alla modifica della norma apportata dall’art. 212 del TU, tale clausola decade comunque quando il limite viene superato per effetto di un’offerta pubblica di acquisto promossa ai sensi degli artt. 106 e 107 del TUF. La disciplina delle privatizzazioni ha introdotto, inoltre, alcuni istituti diretti a favorire la partecipazione degli azionisti alla assemblee ed agli organi sociali. Ci riferiamo al voto per corrispondenza ed al voto di lista. Il voto per corrispondenza, nell’introdurre un’importante novità sotto il profilo del diritto societario, deve essere previsto nello statuto e legittima i soci ad esprimere in tal modo la propria volontà sulla delibera indicata per esteso nell’avviso di convocazione che contiene anche la scheda del voto. L’introduzione della clausola che dispone il voto di lista per l’elezione degli amministratori, diretta a tutelare le minoranze azionarie, deve obbligatoriamente effettuarsi quando nello statuto di una società operante nell’ambito dei servizi pubblici sia stata introdotta una clausola di limitazione del possesso azionario.

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