POLITICA FISCALE
Parte della politica economica che si occupa del governo della domanda aggregata attraverso la manovra della tassazione, della spesa pubblica e, di conseguenza, del disavanzo e del debito pubblico. La gestione del debito pubblico è in comune con la politica monetaria. È detta “fiscale” per traduzione dell’espressione americana fiscal policy, dove fiscal ha un significato più esteso del corrispondente aggettivo italiano (“fiscale” nel linguaggio giuridico ed economico tradizionale del nostro Paese ha un senso limitato a ciò che attiene al Fisco, cioè al prelievo forzoso in denaro dello Stato). La politica fiscale riguarda la gestione della finanza pubblica che negli Stati costituzionali è generalmente sottoposta all’approvazione e al controllo del Parlamento. Nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento prevalevano dottrine per una finanza neutrale, tale cioè da ridurre al minimo le distorsioni causate dall’imposizione di tributi e dalla spesa pubblica. Caratteristiche della finanza neutrale più rigorosa erano la preferenza per l’imposta diretta, la regola del pareggio del bilancio e la concentrazione della spesa in soli tre servizi pubblici (difesa, giustizia, sicurezza pubblica), oltre agli organi costituzionali (cortereale e parlamento). Ogni attività produttiva industriale e commerciale andava rimessa all’iniziativa privata. Di fatto una politica fiscale del genere non è mai stata realmente seguita. I Governi hanno sempre fatto ricorso all’imposizione indiretta, finanziato le grandi opere di pubblica utilità (porti, strade, ferrovie), l’istruzione, l’assistenza, l’industria e l’agricoltura con dazi protettivi, hanno costituito e gestitoimprese pubbliche e hanno portato il bilancio in disavanzo di frequente. I principi della finanza neutrale restavano comunque il punto di riferimento della politica economica dei Governi,da rispettare sempre salvo contingenze straordinarie. A partire dagli anni Quaranta del Novecento hanno preso il sopravvento le dottrine keynesiane (ispirate alla General Theory of Employment, Interest and Money, l’opera pubblicata nel 1936 da John Maynard Keynes, 1883-1946) favorevoli al governo della domanda aggregata attraverso la manovra della tassazione e della spesa anche in disavanzo (deficit spending). Fondamento della dottrina keynesiana della politica di disavanzo era che il deficit spendine favorisce lo sviluppo economico attraverso la stimolazione della domanda aggregata (sempre che l’economia non sia in condizioni di pieno impiego delle risorse e non vi siano strozzature dal lato dell’offerta). La serie degli obiettivi delle politiche di ispirazione keynesiana si è formata nel tempo: inizialmente controllo del ciclo economico (politica fiscale anticiclica; politica di bilancio per la stabilità), poi realizzazione del pieno impiego delle risorse, poi sviluppo del reddito con la politica del doppio bilancio e del bilancio per lo sviluppo pianificato. Con queste due ultime forme ha avuto forte impulso il fenomeno dell’economia mista. Il doppio bilancio prevedeva la distinzione tra spese di bilancio in spese di parte corrente e spese in conto capitale, le prime da mantenere sempre in misura minore delle entrate tributarie o, almeno, in pareggio, le seconde eseguibili in disavanzo finanziato con l’accensione di prestiti per investimenti in “capitale collettivo” capace di rendere utilità e aumentare il benessere per gli anni futuri. La politica del bilancio per lo sviluppo pianificato era pensata per interventi pubblici inseriti nel quadro di una programmazione economica. Essa è stata la bandiera di battaglia di tutti i partiti di sinistra e peronisti negli anni Sessanta e Settanta in Europa occidentale e nell’America latina, non ha mai avuto una teorizzazione unitaria, l’unico comun denominatore essendo la dichiarazione dell’obbligo dello Stato di assumersi la responsabilità di promuovere e guidare lo sviluppo economico in un ambito di economia mista. Nel nostro Paese una politica fiscale avvicinabile a quella del doppio bilancio è stata adottata negli anni Sessanta con la formazione dei primi governi di centro-sinistra e una politica del bilancio per lo sviluppo pianificato è stata teorizzata nello stesso periodo e tentata col 1° piano quinquennale per il periodo 1966-1970 (ma approvato con l. 27.7.1967 n. 685). Un successivo documento del Ministero del bilancio e della programmazione economica, denominato Progetto 80 e pubblicato nel 1970, ha costituito il rapporto preliminare ai due programmi economici 1971-1975 e 1976-1980 non attuati in legge. Di fatto la politica di bilancio italiana è stata condotta per un trentennio in disavanzo anche nella parte corrente. Tutte le politiche fiscali keynesiane hanno portato a trascurare l’obiettivo della stabilità. Le manovre di fine tuning con cui i keynesiani pensavano di governare con precisione i livelli di produzione e di realizzare la piena occupazione si sono rivelate l’origine delle pressioni inflazioniste e dell’instabilità delle aspettative che hanno travagliato i Paesi industriali fino agli anni Novanta. Tutto ciò in dottrina ha fatto maturare, nell’ultimo quarto del secolo scorso, sfiducia verso le politiche di tipo keynesiano, ha indotto a negare in qualche misura le manovre discrezionali di politica fiscale e ha portato al primo posto negli obiettivi di politica economica la stabilità dei prezzi e, nel governo dell’economia, gli strumenti di politica monetaria. Questa linea è stata adottata in sede comunitaria. Agli Stati membri che intendevano entrare nella terza fase dell’UEM la Comunità Europea ha imposto col trattato di Maastricht (Trattato sull’Unione europea 7.2.1992) regole fisse sotto la specie di criteri di convergenza che riguardano la politica fiscale (in particolare per il disavanzo e il debito pubblico), il tasso di inflazione, il cambio e il livello dei tassi di interesse. Il Trattato che istituisce la Comunità Europea pone all’art. 4.3 (ex art. 3A) il mantenimento della stabilità dei prezzi al primo posto (insieme a finanze pubbliche e condizioni monetarie sane e bilancia dei pagamenti sostenibile) nella politica economica subordinandogli le altre politiche. Sono vietati disavanzi pubblici eccessivi, definiti secondo certi valori di riferimento (art. 104 TCE). La realizzazione dell’obiettivo della stabilità dei prezzi è assegnata con la stessa priorità dall’art. 105 TCE al SEBC. Il principio è ripreso con le stesse parole dall’art. 2 dello Statuto del SEBC (v. politica monetaria).