PICCOLO IMPRENDITORE

Figura imprenditoriale individuata sulla base del criterio dimensionale e perciò contrapposta all’imprenditore medio-grande. La nozione definitoria è contenuta all’art. 2083 c.c. che dispone che “sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”. In realtà, la seconda parte della norma rappresenta il vero criterio generale e qualificatore della fattispecie, la quale, dunque, prescinde dalle figure tipiche ivi richiamate. Deve riconoscersi, infatti, valore determinante al cosiddetto criterio della prevalenza qualitativa-funzionale del lavoro dell’imprenditore e dei propri familiari sugli altri fattori produttivi rappresentati dal capitale utilizzato e dal lavoro altrui. Pertanto, secondo l’orientamento prevalente gli artigiani e tutti gli imprenditori potranno qualificarsi piccoli solo in presenza del rispetto delcriterio della prevalenza suindicato. Il piccolo imprenditore è esonerato dall’applicazione del c.d. “statuto dell’imprenditore commerciale” e, pertanto, non è soggetto all’obbligo giuridico-civilistico di tenuta delle scritture contabili, all’obbligo di iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese (dovendosi oggi iscrivere in una sezione speciale con effetti di pubblicità notizia) e non è assoggettato alle procedure concorsuali ed in primis al fallimento. In passato vi è stato qualche problema di coordinamento, ai fini della individuazione della fattispecie in esame, fra l’art. 2083 c.c. e l’art. 1 della l.fall. Quest’ultima, prima delle modifiche subite, ai fini dell’esonero dal fallimento, individuava i piccoli imprenditori esclusivamente sulla base di due alternativi criteri monetari e patrimoniali. Infatti, ai sensi del 2° comma dell’art. 1 l. fall. era considerato piccolo imprenditore chi, in sede di accertamento ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, risultava titolare di un reddito inferiore al minimo imponibile oppure chi, in assenza di accertamento, aveva investito nell’azienda un capitale inferiore a lire 900.000. Il contrasto fra la norma del codice civile e quella fallimentare era evidente, dal momento che entrambe individuavano la stessa figura imprenditoriale sulla base di criteri differenti. Ciò poteva determinare situazioni incongruenti, in quanto un soggetto poteva qualificarsi piccolo imprenditore ai sensi dell’art. 2083 c.c. (nel rispetto del criterio dellaprevalenza), ma poteva contestualmente essere comunque assoggettato al fallimento qualora il suo complesso aziendale avesse un valore pari a lire un milione. Oggi, il contrasto interpretativo è venuto meno in seguito a due modifiche che hanno sostanzialmente eliminato quasi tutto il comma 2 dell’art. 1 l. fall. Ci riferiamo alla soppressione dell’imposta di ricchezza mobile (sostituita dall’IRPEF) che rende inapplicabile il criterio del reddito fisso e a un intervento della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo, nel 1989, il criterio del capitale investito in quanto non più idoneo in seguito alla svalutazione monetaria. Della formulazione originaria del comma in esame, rimane in vigore solo l’ultima frase la quale dispone che “in nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le società commerciali”. Alla luce di quanto esposto, il piccolo imprenditore è colui che rispetta il criterio della prevalenza codificato nell’art. 2083 c.c. e, in quanto tale, beneficia dell’esclusione dal fallimento così come dagli altri obblighi correlati al c.d. “statuto dell’imprenditore commerciale”, ferma restando l’applicazione, nei suoi confronti, degli obblighi ed oneri inerenti l’impresa, quali p.e., quelli relativi alla disciplina della concorrenza, dei segni distintivi. ecc.

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