PENSIONI, PRIMO SECONDO E TERZO PILASTRO
Fino agli inizi degli anni Novanta il sistema previdenziale italiano in materia di pensioni IVS (invalidità, vecchiaia, superstiti) era fondamentalmente pubblico, a carattere obbligatorio, gestito ed erogato da enti pubblici a carattere generale (INPS), o settoriale (p.e. INPDAI; Istituti di previdenza del Tesoro, per i quali INPDAP), o anche direttamente dallo Stato per i dipendenti di questo. Questa parte del sistema previdenziale viene chiamata, oggi, primo pilastro, secondo il linguaggio comunitario.Esistevano inoltre forme di previdenza integrativa di tipo privatistico individuale (prevalentemente polizze vita e PAC realizzati confondi comuni) oppure collettivo (cd. “vecchi fondi” o “ vecchie casse di previdenza”). Riforma del sistema previdenziale italiano degli anni Novanta. Il principio su cui si è retto il sistema pensionistico pubblico italiano è quello della “ripartizione” in base al quale i lavoratori attivi pagano, con i loro contributi, la rendita ai pensionati. Il criterio della “ripartizione”, che ha rappresentato l’architrave del sistema previdenziale del nostro Paese, ha mostrato nel corso degli ultimi anni, per una molteplice serie di fattori (andamento demografico, estensione della copertura previdenziale pubblica etc.), tutta la sua criticità ed era quindi indispensabile una correzione di sistema. A partire dai primi anni Novanta (l. 23.10.1992 n. 421, d.lg. 21.4.1993 n. 124 e l. 8.8.1995 n. 335 e successive modif. e integrazioni) il sistema previdenziale viene riorganizzato introducendo un nuovo modello pensionistico in base al quale la previdenza poggia su tre elementi fondamentali: pensione pubblica (primo pilastro), fondi pensione a carattere collettivo (secondo pilastro)e forme individuali (terzo pilastro). La l. 23.10.1992 n. 421 ha indicato le linee di fondo riformatrici e il d.lg. 21.4.1993 n. 124 ha modificato l’intero assetto pensionistico disciplinando nuove forme di previdenza complementare che si prefiggano, come risultato, “l’erogazione di trattamenti pensionistici complementari el sistema obbligatorio pubblico, al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale” (art. 1 d.lg 1993/124). La l. 8.8.1995 n. 335, oltre ad aver ridotto sensibilmente le promesse pensionistiche, rapportando le pensioni ai contributi versati (metodo contributivo; v. capitalizzazione retributiva) anziché al reddito degli ultimi anni di lavoro (metodo retributivo; v. ripartizione contributiva). Con la l. 17.5.1999 n. 144 (legge finanziaria per il 1999) e il d.lg. 18.2.2000 n. 47, che hanno disciplinato le forme pensionistiche individuali,è stato completato il quadro normativo in materia di risparmio avente finalità previdenziali. Sulla pensione pubblica obbligatoria il legislatore è intervenuto con intenti restrittivi (elevamento dell’età pensionabile, aumento dei requisiti minimi contributivi, ricalcolo della retribuzione pensionabile utilizzando medie su periodi temporali sempre più lunghi, modi- fica ai criteri di calcolo della stessa pensione) alla ricerca di un certo riequilibrio tra contributi versati dai lavoratori (attivi) e le rendite erogabili ai percipienti (pensionati). La previdenzacomplementare (collettiva e individuale), a differenza dei regimi pensionistici obbligatori, si fonda sul principio della capitalizzazione individualesecondo il quale la prestazione è determinata dall’ammontare dei contributi versati e dal rendimento della gestione finanziaria senza correttivi di tipo mutualistico. Le forme individuali di previdenza possono essere attuate mediante l’adesione a fondi pensione aperti oppure attraverso contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziali. Tali forme possono essere sottoscritte anche da lavoratori dipendenti per i quali sia operante un fondo chiuso contrattuale. V. anche: fondo pensione; forme pensionistiche individuali.