ORO

Metallo nobile dal tipico colore giallo, duttile, malleabile, stabile all’aria, difficilmente attaccato dagli agenti chimici, diffuso per lo più allo stato nativo sotto forma di pepite, pagliuzze e polvere, più raramente in composti da cui è però facilmente separabile. Così come il rame, il ferro. lo stagno ecc., l’oro è conosciuto fin dalla preistoria ed è stato utilizzato puro o in lega con l’argento. La lega naturale oro argento era nota nell’antichità come elettro, detto anche l’oro bianco degli antichi. L’oro è anche materia prima scarsa, nonostante le molte centinaia di tonnellate estratte ogni anno. Queste caratteristiche hanno fatto dell’oro, puro e in lega, il metallo per eccellenza destinato alla monetazione, usato mezzo monetario, riserva di valore, mezzo di pagamento (anche dopo aver perso lo status di moneta legale), sebbene non pochisiano i suoi impieghi industriali (compresa l’industria spaziale) e in manufatti di oreficeria. La quantità di oro fino contenuto in una lega è misurata in carati (v.carato) e in ventiquattresimi. L’oro, p.e., a 18 carati contiene 18 parti di oro e 6 parti di rame (o altro metallo). Meno usata è la misurazione in millesimi, secondo l’uso invalso per l’argento. Leghe con denominazioni particolari sono l’oro bianco che contiene l’80% di oro e il 20% di platino l’oro rosso (o oro di Bologna) ad alto tenore di rame, l’oro verde contenente il 25% di argento. La storia monetaria dell’oro dagli anni Quaranta vede la funzione monetaria sostanzialmente limitata alle riserve ufficiali. Tuttavia, anche dopo l’abolizione della convertibilità nel 1971 le riserve sono cresciute sì che i maggiori detentori sono gli USA (262 milioni di once) e i paesi del FECOM (Fondo Europeo di Cooperazione Monetaria) e dell’ECU (374,6 milioni di once) cioè le massime potenze industrializzate (se si fa eccezione del Giappone). La storia del secolo XIX e fino agli anni Trenta del secolo XX ha conosciuto il periodo di gold standard, nelle sue varianti (quella inglese, 1717-1914, e quella americana, 1834-1914) e di gold bullion standard. In questi regimi e soprattutto nel gold standard il potere d’acquisto dell’oro e i prezzi delle merci sono rimasti sostanzialmente stabili, a costo però di pesanti deflazioni. Da ciò i due “partiti” degli estimatori (antinflazionisti) e dei detrattori (antideflazionisti). Dal 1971, con la fine della convertibilità esterna del dollaro, fissata negli Accordi di Bretton Woods nel 1944 a 35 dollari per oncia di fino, che fu il prezzo stabilito da Roosevelt nel 1934, i1 problema è irrilevante mentre nella teoria economica si continua a discutere, sia pure in modesta misura, di tali questioni. Qualcuno ritiene che l’ECU, basato anche su un deposito aureo dei paesi partecipanti, esprima una qualche forma di convertibilità. Analogo ragionamento potrebbe essere esteso all’euro.

1. Riserve mondiali di oro. Lo stock mondiale di oro si suddivide in due grandi componenti: come riserva di valore e come materia prima per l’industria, in gran parte oreficeria. Le stime più aggiornate indicano in circa 36.000 ton.le riserve ufficiali di banche centrali, governi, organismi internazionali; e in circa 9.500 ton. le riserve di investimento private, per un totale quindi di circa 45.500 ton. L’altra componente è data da 56.000 ton. di oro utilizzato dall’industria, compresa quella spaziale. Di recente la produzione annua è cresciuta ininterrottamente anche se ha mostrato differenti tassi di crescita, specie negli ultimi venti anni. A metà degli anni Novanta ha superato il livello di 2.500 tonnellate l’anno. La produzione è data innanzitutto da tre grandi paesi auriferi: Sudafrica (la cui quota, pur mostrando un trend in declino, è pari al 27% del totale), USA (con una quota crescente nel tempo e ora pari al 14%), URSS (con quota calante nel tempo e ora pari all’11% del totale).

2. Mercato e prezzi dell’oro. Sul lungo termine il prezzo dell’oro è aumentato in termini reali, pur mostrando una decisa flessione nell’ultimo decennio. Dal 1971, anno in cui il Presidente USA Nixon dichiarò l’inconvertibilità esterna del dollaro, l’andamento del prezzo dell’oroha mostrato un profilo di crescita ma con oscillazioni notevoli. Negli anni Settanta ci sono stati grandi aumenti del prezzo, mentre gli anni Ottanta sono stati di pesante caduta, proseguita poi negli anni Novanta. La media annuale del 1991 è stata di 362 dollari per oncia di fino e quella del 2000 di 274 dollari. Effetto momentaneo sulla caduta del prezzo dell’oro ha avuto l’Accordo sull’oro siglato alla fine del 1999 dalle banche centrali dell’Eurosistema, cui hanno aderito la Banca d’Inghilterra, la Banca nazionale svizzera e la Sveriges Riksbank.Le banche centrali firmatarie dell’accordo, che dispongono di circa 33.000 ton. di oro, pari a circa il 47% di tutte le riserve auree uf- ficiali, hanno assunto l’impegno di limitare le vendite di oro fino a un massimo di 400 tonnellate l’anno e di 2.000 tonnellate in un quinquennio. Queste istituzioni finanziarie hanno inoltre affermato che l’oro rimaneva un elemento importante delle loro riserve ufficiali. Fattori speculativi e precauzionali di varia natura hanno facilitato, dal 1974, la nascita e la crescita di mercati a termine sull’oro. Negli stessi mercati si scambiano sulla carta quantitativi che in alcuni anni hanno superato la metà dell’oro storicamenteestratto. L’oro non perde la sua attrattività anche se esso appare polarizzato. Da un lato gli estimatori della gioielleria, che in fondo valutano uesta anche come riserva di valore “domestica”. Dall’altro le banche centrali che, salvo qualche caso sporadico, continuano a detenere l’oro come la “riserva di ultima istanza”. Nel settore privato dell’economia l’oro costituisce sovente un bene rifugio anche se assume la forma di gioielli e di monili, data la relativa facilità di smobilizzo. L’umanità continua quindi a credere nella “barbara reliquia” di cui parlò Keynes, ma il tasso di deprezzamento a mediolungo termine della moneta cartacea e dei titoli di credito espressi in moneta corrente induce la gente a persistere in vecchi costumi.

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