METODO DEI RATING INTERNI - IRB

Il nuovo Accordo sul Capitale (cd. "Basilea 2") e la direttiva 2006/48/CE relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi e al suo esercizio, prevedono che le banche possano avvalersi di tre diversi metodi per il calcolo della copertura patrimoniale minima obbligatoria a fronte del rischio di credito. In particolare, Banca d’Italia ha emanato le "Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche" (Circolare 263 del 27 dicembre 2006) per il recepimento della normativa contenuta nelle Direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE del 14 giugno 2006, in cui tali sistemi vengono regolamentati. Il metodo dei rating interni (cd. Internal rating - based approach, IRB) è una delle opzioni disponibili per le banche. Per le classi di attività diverse dalle esposizioni al dettaglio, il metodo dei rating interni si presenta in due tipologie distinte di calcolo in relazione ai parametri di rischio da stimare: "di base" e metodo " avanzato". La Banca d’Italia dopo aver verificato il rispetto di un insieme di requisiti organizzativi e quantitativi concede dunque alle banche l’autorizzazione cui è subordinato l’utilizzo dei metodi IRB ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali. A differenza rispetto al metodo standard che si basa principalmente sul rating esterno assegnato alla controparte, nei metodi IRB le banche effettuano internamente delle valutazioni sui debitori e stimano il capitale necessario per coprire la massima perdita che potrebbe registrarsi in un dato periodo di tempo con una certa probabilità. Vengo dunque calcolati i coefficienti di ponderazione tenendo conto dei seguenti elementi qualitativi:

- l’esposizione al momento del default (Exposure At Default, EAD): il valore delle attività di rischio per cassa e fuori bilancio (garanzie rilasciate e impegni). Per queste ultime si fa ricorso ad uno specifico fattore di conversione creditizia (Credit Conversion Factor, CCF);

- la probabilità di default (Probability of default, PD): probabilità riferita a ogni singolo debitore o ai pool (aggregati di attività) che passi allo stato di insolvenza in un orizzonte temporale di un anno;

- la perdita in caso di default (Loss given default, LGD): valore atteso del rapporto tra la perdita relativa al default e l’importo dell’esposizione al momento del default (EAD). Per perdita si tiene conto dei flussi recuperati e dei costi diretti e indiretti collegati al recupero dei crediti, che devono essere attualizzati utilizzando un opportuno tasso di interesse;

- la scadenza effettiva (Maturity, M): la media, delle durate residue contrattuali, per una data esposizione, ciascuna ponderata per il relativo importo;

- la ponderazione dei rischi (Risk Weighting, RW);

- l’aggiustamento per il grado di frazionamento del portafoglio (granularity, G): correzione da apportare al totale delle attività ponderate per rischio per includere nel sistema di calcolo il livello di diversificazione dell’attivo.

Nel metodo avanzato le banche possono utilizzare direttamente le proprie stime, oltre che di PD, anche di perdita in caso di default (LGD), il fattore di conversione creditizia CCF o la maturity (M); nel metodo di base, solo la probabilità di default (PD).

Tra i benefici per le banche relativi all’applicazione di tali metodologie in alternativa allo standard approach vi sono il maggior sfruttamento del vantaggio informativo delle banche, il perfezionamento delle tecniche di gestione del rischio che risultano da precise responsabilità poste in capo al management, la possibilità per i vertici aziendali di gestire in modo più informato la politica creditizia delle banche.
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