LIRA

Moneta base, accompagnata da multipli e da sottomultipli, di alcuni sistemi monetari odierni, tra cui quello italiano fino al 31.12.2001. Lira è l’unità monetaria di Malta, della Turchia (v. lira turca) e lo è stata per lo Stato della Città del Vaticano fino al 31.12.2001. Il termine lira ha origini lontane e incerte e molto probabilmente è derivato per caduta della consonante intermedia nelle parole equivalenti, sia di libra, in uso nel mondo romano, latino, italico, imperiale, bizantino e medievale, sia di λßτρα in quello della Sicilia antica e poi per trasformazione fonetica e scritturale di libra in livre (donde: in Francia Livre Tournois, Livre Parisis, Livre Colonial; in Olanda: Livre de Gros. in Germania: Livre di Schilling, Livre di Groschen). Altra trasformazione è stata quella di libra in pound (donde: in Inghilterra pound sterling = lira sterlina; in Egitto egyptian pound = lira egiziana; in Libano libanese pound = lira libanese; ecc.). Non è sempre esattamente notoquando queste trasformazioni siano avvenute e nemmeno quando in alcuni paesi si sia verificata la scissione tra il significato di unità ponderale di base e quello di piede monetario. Nel IX secolo della nostra era, quelle che passano per lire di Montecassino, di Pavia e di Venezia sono ancora librae e nel contempo piede monetario da cui ritagliare un certo numero di monete effettive, come sempre era accaduto fin dai tempi della Roma di Servio Tullio. In altri paesi, come p.e. in Germania, questa duplice identità è durata fino all’introduzione del sistema metrico decimale. Il marco d’oro del Bismarck ha avuto la libbra come piede monetario. Per lungo tempo, infine, la lira è stata anche moneta di conto e non moneta effettiva sotto forma di disco metallico liberamente circolante e successivamente di biglietto. La lira è sempre piede monetario non moneta di conto, come erroneamente si suppone, al tempo dei re merovingi e in tutta Europa nel X secolo durante le nuove invasioni barbariche. Allora la moneta coniata quasi uscì di scena e si ritornò in molte contrade all’economia naturale, ossia l baratto, oppure l’oro, l’argento e il bronzo erano dati in pagamento in peso, ossia in libbre e in once, alla stessa stregua del pagamento in sacchi di grano, in botti vino, in buoi e in pecore e in altri beni di consumo. In questa confusione ci fu l’intermezzo dei re carolingi. Durante il regno di Pipino il Breve, che cerca di accentrare nel Palazzo la monetazione dispersa in centinaia di zecche e in un numero ancor più elevato di monetieri (maggiore è la dispersione, minore è la quantità di moneta circolante) la libbra è quella romana di 327,5 grammi ed è peso e nel contempo piede monetario, dalla quale i suoi monetieri ricavano 264 denari in lega al 90% di argento fino e al 10% di rame. Dodici di questi denari formano un soldo d’argento non coniato, che non ha alcun aggancio con le monete d’argento bizantine, in particolare il miliaresion di circa 1/115 circa di libbra. D’altra parte, il quel periodo ell’alto Medioevo gli scambi internazionali e quelli interni di un certo importo, invero più che in quantità, si regolano soltanto con il solido d’oro (o nomisma) bizantino di 1/72 di libbra. Il soldo di Pipino è troppo caro per l’economia del suo regno e rimane quindi moneta di conto. Da una libbra di metallo si ricavano dunque idealmente 22 soldi e in concreto 264 denari di 1,24 grammi ciascuno. Il denaro è quello classico romano,scaduto a moneta di conto nel basso impero, scomparso e poi riapparso nell’impero bizantino e tra i popoli invasori in Europa, usato dai vandali e da altri popoli, tra cui i franchi e dal particolare loro gruppo dei merovingi. Nel periododella loro decadenza questi ultimi lo battono come 1/300 di libra. Il soldo d’oro è moneta effettiva bizantina ed è imitato dai popoli invasori dell’impero romano d’occidente. Questo soldo d’oro scade a un modesto triens, ovvero 1/3 di solido bizantino, ma a basso contenuto aureo. La libbra continua a essere peso e piede monetario. Carlo Magno, che, al contrario di suo padre e nell’intento di rafforzare il denaro, abbandona la libbra romana e prende a riferimento una nuova libbra, che con un conteggio in chicchi di grano turchino d’Aquitania (32 chicchi per spiga equivalenti a 1,5 scrupoli romani), in once di 24 scrupoli e dovendo lasciare immutato il taglio di 264 denari per libbra, la nuova libbra risultò di 396 scrupoli d’argento, pari a 16,5 libbre romane. Dovendo aggiungere due soldi di rame per alligare il metallo, la libbra risultò di 18 once romane, corrispondenti a 491,22 grammi. Da qui il novus denarius di 1,70 grammi in argento e di 1,86 grammi in lega. Come sottomultiplo fu battuto l’obolo, del valore di mezzo denaro, peraltro introvabile se non a Marsiglia. Il rafforzamento del denaro non sortì gli effetti sperati di dare respiro all’economia che si involveva giorno dopo giornonella miseria. Ma Carlo Magno fu contraddittorio. Vuole riordinare misure e pesi, giacché chi commercia usa una libbra piccola per vendere e una grande per acquistare, vuole stroncare la piaga dell’usura con il connesso prestito in natura e cerca di impedire il commercio dei chierici. Non trova di meglio che definire immorale tutto il commercio e istituire due giorni di digiuno obbligatori alla settimana. Il negozio era lecito solo nel caso di reintegro delle scorte familiari. Inconsapevolmente Carlo Magno privò la moneta del suo naturale ambito. Il re dei Franchi e poi dei Longobardi, che bramava e tramava per diventare imperator Romanorum, titolo che Bisanzio non gli riconosceva anche se alla fine, nell’812, gli viene riconosciuto dall’imperatore Michele I il titolo di βασιλlεýς et imperator come un qualunque re barbarico (da quel momento a Bisanzio sono gli imperatori afregiarsi del titolo di imperator Romanorum), porta a Palazzo i campioni dei nuovi e delle nuove monete, ma non riesce ad accentrare la monetazione, che si disperde di nuovo tra conti e abati. Anche il papa a Roma moneta per proprio conto. Anche il Papa batte moneta per proprio conto. A sua volta, suo figlio Ludovico il Pio, prigioniero di potenti abati, nel tentativo di rafforzare ulteriormente il denaro, lo fa batterecome 1/240 di libbra, corrisponde te a 2,04 grammi in lega, mentre il soldo diventa 1/20 dilibbra e rimane sempre moneta di conto. Normanni e sassoni rimangono fedeli a questa nuova suddivisione e la introducono in altre terre, tra cui la Britannia. Il penny si stabilizza a 1/ 240 di libbra, un peso questo che l’Isola ha conosciuto durante il basso impero e forse in periodi successivi. La scellino è il soldo tedesco. Nel frattempo gli altri re carolingi, a far data da Carlo il Calvo, ribassano sistematicamente il peso del denaro e quindi del soldo di conto. Anche nella fase iniziale e poi di pieno vigore dell’economia comunale si continua a parlare, come a Pisa, Lucca e Cortona, di librae come piede monetario, mentre si va affermando un altro piede monetario e precisamente il marco, il cui peso è di norma di 8 once delle varie librae in uso nell’Europa continentale. La libbra è diventata un piede monetario troppo elevato per l’economia dell’epoca e ci ripiega sulla mezza libbra, detta marco, del peso di norma di 9 o di 8 once Il marco è piede monetario che si scambia a peso sotto forma di un lingotto d’oro o d’argento che reca impressi il peso e il titolo, che per l’oro si esprime in carati e per l’argento in denari (in 24° per l’oro zecchino, in 12° per l’argento puro). Firenze batte fiorini d’argento e d’oro di 1/64 del suo marco, che pesa circa 226 grammi. Ci sarà una lira di fiorini, una lira di denari grossi, una lira di denari piccioli. È incerto il periodo in cui la libbra diventa moneta di conto e nel contempo rimane piede monetario più basso del marco di conto. Siamo al tempo dei Capetingi quando nasce la lira di Troyes, inventata dai banchieri che frequentano le fiere della Champagne. A questa lira si affiancano con Luigi IX di Francia la lira tornese, moneta di conto nazionale di Francia, e la lira parigina, rispettivamente di 81 e di 101 grammi. Si diffondono le lire italiane dalle quali si ritagliano soldi di denari grossi e soldi di denari piccoli. Verso la fine del XII secolo a Genova si stilano cambiali in lire e la lira genovese è circa un terzo del marco di Troyes. La lira continua però a essere moneta di conto e tale significato conserva quando si parla di lira di banco, di lira fuoribanco, di lira di cartulario ecc. La lira diventa moneta effettiva, dapprima d’argento e poi d’oro, a far data una ventina di anni prima della scoperta dell’America. Nel 1472 nasce la lira veneta, seguita da quelle di Milano e di Genova. La lira toscana di Cosimo I è coniata nel 1539. Dopo la metà del XVI secolo fioriscono lire un po’ ovunque. Sono da ricordare le lire della Savoia, di Mantova, di Modena e di Bologna. Con Napoleone I la lira diventa in Piemonte un pezzo d’argento di 5 grammi e 900 millesimi (4,5 grammi di fino), parificata al franco francese. Gli stati italiani si dotano, al pari di altri paesi, anche della moneta d’oro e cioè la lira oro. Con la Restaurazione post napoleonica la lira parificata al franco francese fu definita lira nuova di Piemonte con Regia Patente del re Vittorio Emanuele I 6.8.1816, rimanendo inalterata nel peso e nel titolo della lira napoleonica e nella doppia versione di lira oro e di lira d’argento nel rapporto di valore di 1 a 15,5. Con il procedere dell’unificazione del Paese il sistema monetario piemontese, ossia napoleonico, fu esteso alle altre regioni. Con l’elezione del nuovo Parlamento italiano la lira nuova di Piemonte fu sostituita con l. 24.8.1862 dalla lira italiana, parificata sempre al franco francese, al franco svizzero e al franco belga.

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