DISCIPLINA VALUTARIA ITALIANA
Complesso di provvedimenti legislativi tendenti a regolamentare il movimento delle valute estere, che per la loro funzione di mezzi di pagamento internazionali sono assimilabili alle riserve auree. Al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) è attribuita l’alta vigilanza in materia valutaria. L’UIC deteneva il monopolio del commercio delle divise estere oltre che di qualsiasi altro mezzo di pagamento internazionale. Nonostante la liberalizzazione valutaria ne abbia ridimensionato il ruolo, data la complessità dei rapporti commerciali che si svolgono in tale settore, la maggior parte delle operazioni attinenti avvengono attraverso le banche. La Banca d’Italia amministra le riserve valutarie nazionali e opera sul mercato dei cambi acquistando e vendendo valuta. L’attuale assetto normativo valutario italiano scaturisce da un processo di liberalizzazione valutaria in atto da anni, che ha modificato radicalmente i criteri ispiratori del sistema italiano, basato su norme restrittive e sanzionatorie. I cittadini italiani a differenza dei non residenti, non godevano del diritto alla libera convertibilità della propria moneta. Il d.l. 6.6.1956 n. 476, stabiliva per i residenti l’obbligo dell’offerta in cessione all’UIC, tramite le banche agenti, delle valute estere determinate con decreto del Ministro del Commercio con l’Estero di concerto con il Ministero del Tesoro. Altro concetto di base della legislazione valutaria era il divieto per i residenti di compiere atti idonei a produrre obbligazioni nei confronti di non residenti, senza aver preventivamente ottenuto autorizzazione ministeriale. Faceva eccezione a questa regola la stipulazione dei contratti per acquisto di merci per l’importazione e di contratti di vendita di merci per l’esportazione, ferma restando, anche in questi casi, la necessità dell’autorizzazione perché i residenti potessero dare esecuzione ai contratti. Lo stesso decreto prevedeva inoltre: l’obbligo di denuncia dei crediti vantati dai residenti nei confronti di non residenti e di riscossione dei crediti e dei debiti con le modalità ed entro i termini stabiliti dal Ministro per il commercio con l’estero; il divieto di possedere quote di partecipazione in società aventi la sede fuori del territorio della Repubblica, oltre che titoli azionari e obbligazionari emessi o pagabili all’estero se non in base ad autorizzazioni ministeriali; la necessità di ottenere l’autorizzazione ministeriale per ogni atto di disposizione concernente titoli di credito fra residenti e non residenti. Questa restrittività era moderata dall’esistenza di autorizzazioni di carattere generale che, per talune operazioni, rendevano superflua la richiesta di una autorizzazione specifica. Le operazioni valutarie delle banche agenti erano regolamentate in base al principio del pareggio a fine giornata della loro posizione in cambi. Con la l. 25.7.1956 n. 786 si è avuto un primo impulso innovativo di liberalizzazione delle transazioni con l’estero, processo interrotto solo nel periodo di crisi petrolifera, con la reintroduzione delle sanzioni penali a carico dei responsabili di reati valutari (l. 30.4.1976 n. 154). Superata la crisi, ripresero con forza le spinte alla liberalizzazione (sostenute in particolare dalle direttive comunitarie e dall’internazionalizzazione dell’economia) che portarono alla creazione dello SME, alla direttiva 86/566/CEE e alla l. 26.9.1986 n. 599 che per la prima volta sanciva il principio della libertà delle relazioni economiche e finanziarie con l’estero, dando delega al Governo per il riordino della legislazione valutaria. Si voleva adeguare il sistema valutario italiano a quello degli altri paesi industrializzati e agevolare l’ingresso sui mercati internazionali per gli operatori economici. Veniva attribuito agli organi statali un ruolo limitato, di intervento e controllo, a garanzia dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti e dell’economia nazionale. Veniva, però, confermato il monopolio dei cambi. Venivano ricordati il rispetto degli accordi internazionali e il diritto di circolazione e soggiorno; venivano stabiliti criteri di semplificazione e snellimento delle procedure amministrative. Già nel 1987, alcuni provvedimenti anticipano ad experimentum taluni alleggerimenti normativi e snellimenti procedurali. Erano aboliti determinati obblighi, quali il versamento del deposito vincolato infruttifero per gli investimenti di capitali italiani all’estero e il finanziamento in valuta a fronte dei pagamenti anticipati delle importazioni. Veniva allungato il termine per l’offerta in cessione delle valute e di validità dei conti valutari; venivano istituiti conti valutari cumulativi ed erano altresì adottati altri provvedimenti di liberalizzazione all’importazione e all’esportazione e al turismo. Con il d.p.r. 29.9.1987 n. 454 e il d.m. 1.2.1988 n. 21 (entrati in vigore il 1°.10.1988) poteva dirsi compiuta la riforma valutaria, ma l’assetto definitivo era raggiunto con il TU delle norme di legge in materia valutaria approvato con d.p.r. 31.3.1988 n. 148 (testo unico delle norme in materia valutaria, in vigore dal 10.1.1989) e con d.m. 10.3.1989 n. 105 di attuazione che abrogavano, tra gli altri, il d.p.r. 1987/454, la l. 1976/159, la I. 1956/786 e la l. 1986/599 (salvo gli articoli di delega). Il TU valutario, oltre a elencare atti e operazioni effettuabili da un residente e da un non residente classificava e disciplinava quattro gruppi di operazioni con l’estero: a) operazioni correnti e cioè importazioni ed esportazioni di merci, acquisto e rivendita all’estero di merci estere in transito, cessione di merci allo Stato estero, prestazioni in adempimento di obbligazioni per fornitura di servizi e beni immateriali; per disposizione di pubbliche amministrazioni o per provvedimento giudiziale, e tutte le transazioni invisibili riconosciute dall’Atto unico europeo (tra le altre, noli, dazi, commissioni, turismo, imposte e tasse, salari e stipendi, rimesse di emigranti, onorari, dividendi, interessi, brevetti, successioni ecc.); b) investimenti diretti, ovvero investimenti attuati per instaurare relazioni durevoli con un’impresa, che comportino una influenza reale sulla gestione (anche investimenti in società capogruppo che controllano direttamente società operative estere), a eccezione degli investimenti diretti in enti o società finanziarie; c) operazioni di natura finanziaria, cioè investimenti diretti in enti o società finanziarie e operazioni diverse da quelle citate; d) operazioni valutarie, relative alla trasformazione di una valuta, compresa la lira, in altre a pronti, a termine e con opzione. Con il t.u. permangono i divieti e gli obblighi discendenti dal mantenimento del regime di monopolio dei cambi che riserva in via esclusiva all’UIC e al sistema bancario la gestione delle valute. Ai residenti non era ancora permesso costituire all’estero disponibilità valutarie o attività, esportare o detenere fuori del territorio dello Stato disponibilità in lire o in valuta, aprire linee di credito in valuta o in lire a favore dell’estero o effettuare con contropartite estere operazioni in cambio a pronti, a termine o con opzione. Inoltre, gli operatori dovevano versare o cedere le valute estere nei termini fissati e depositare titoli o altri valori mobiliari presso le banche abilitate o la Monte Titoli spa. Tuttavia, la riforma del 1988 ha introdotto notevoli modifiche in base al nuovo principio “tutto è permesso salvo ciò che è espressamente vietato”: le operazioni mercantili con l’estero potevano avvenire senza formalità valutarie (non è più necessaria la presentazione in dogana del benestare bancario o modulo valutario e la presentazione della documentazione giustificativa alle banche, salvo in casi particolari); non vigevano più limiti temporali per il regolamento delle operazioni o limiti al pagamento in via anticipata o dilazioni di pagamento; i finanziamenti in valuta a residenti erano liberi, indipendentemente dall’esistenza di un’operazione con l’estero; i residenti potevano anche assumere direttamente prestiti all’estero però sempre con divieto di costituire disponibilità all’estero e con obbligo di canalizzazione bancaria; i residenti potevano esportare banconote italiane fino a 1 milione e mezzo di pagamento in valuta estera senza limiti di importo (oltre 2.500.000 con attestazione bancaria); era possibile intrattenere conti presso banche all’estero per residenti che svolgono attività all’estero (conti speciali in valuta) (v. conti di pertinenza italiana). Solo con il d.m. 27.4.1990 si è però compiuto il processo di liberalizzazione e l’istituzione della piena libertà valutaria, in attuazione della normativa comunitaria che stabilisce la piena libertà di circolazione dei flussi finanziari tra i paesi membri della CEE. Dal maggio 1990, i capitali italiani possono circolare liberamente nei paesi CEE e in altri paesi esterni alla Comunità, e, analogamente, i capitali stranieri possono affluire liberamente in Italia e trovare investimento in attività commerciali, finanziarie ecc. Chiunque può acquistare, vendere e detenere valuta straniera, senza limiti di importo e di tempo, inviare all’estero o ricevere valuta e valori mobiliari, aprire depositi e conti correnti presso banche straniere, rilasciare assegni, effettuare investimenti, acquistare valori mobiliari e fondi comuni d’investimento in paesi stranieri, regolare in valuta estera le proprie obbligazioni ed effettuare operazioni in cambi per contanti, a termine e con opzione. I residenti possono recarsi all’estero o rientrare in Italia liberamente con banconote italiane e valuta straniera al seguito. Permangono disposizioni di natura fiscale, che comportano un controllo attraverso la dichiarazione in dogana o presso banche e uffici postali (su appositi moduli) del contante e dei valori mobiliari importati ed esportati e la denuncia dei trasferimenti internazionali di capitali, investimenti e attività finanziarie estere, sulla dichiarazione annuale dei redditi. È stato abolito l’obbligo di canalizzazione bancaria per i regolamenti di transazioni con l’estero, tuttavia l’introduzione di norme fiscali e di monitoraggio hanno avuto come conseguenza che tutti gli investimenti all’estero di capitali italiani di fatto sono resi nominativi, anche se effettuati con strumenti finanziari al portatore. Per i redditi realizzati all’estero e non dichiarati, sono previste una tassazione presuntiva, in base al tasso ufficiale di sconto italiano e l’applicazione di pesanti sanzioni. La nuova legge valutaria ha mantenuto la facoltà di introdurre divieti temporanei in caso di tensioni valutarie anche se, con l’introduzione dell’euro, tale facoltà è divenuta assolutamente impraticabile. Cade l’obbligo di cedere o versare la valuta estera alle banche abilitate e di depositare i titoli o valori mobiliari esteri. Decadono anche le disposizioni relative ai conti in valuta estera a favore di residenti (v. conti di pertinenza italiana).