DENOMINAZIONE BANCARIA ABUSIVA

L’abuso di denominazione bancaria è previsto dall’art. 133 TUBC, che punisce con la multa da lire due milioni a lire venti milioni la condotta di chiunque contravviene al precetto in base alla quale “l’uso, nella denominazione o in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico, delle parole “banca”, “banco”, “credito”, “risparmio” ovvero di altre parole o locuzioni, anche in lingua straniera, idonee a trarre in inganno sulla legittimazione allo svolgimento dell’attività bancaria è vietato a soggetti diversi dalle banche”. La fattispecie, limitando ovviamente il campo di applicazione all’interno del settore dell’intermediazione finanziaria, costituisce una vera e propria riserva di denominazione. Essa è la conseguenza del principio di tipicità degli intermediari bancari ed è diretta a salvaguardare la fiducia dei risparmiatori sulla legittimazione professionale degli operatori (non solo in relazione all’autorizzazione all’esercizio, ma anche sul controllo dell’autorità di vigilanza). Il secondo comma dell’art. 133 TUBC stabilisce una deroga alle previsioni del primo comma (“le parole e le locuzioni indicate nel primo comma possono essere utilizzate da soggetti diversi dalle banche”) nel caso di esistenza di controlli amministrativi e in base a circostanze di fatto. Da ultimo, va segnalato che l’art. 64 del d.lg. 23.7.1996 n. 415 (decreto Eurosim) ha parzialmente modificato l’art. 133 TUBC nel senso che ha esteso la responsabilità nella misura prevista al primo comma (multa da due milioni a venti milioni) alla condotta di chi “attraverso informazioni e comunicazioni in qualsiasi forma, induce in altri il falso convincimento di essere sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia ai sensi dell’art. 107 TUBC” (millantata sottoposizione a vigilanza).

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