DEBITO PUBBLICO
Mezzo di finanziamento delle spese pubbliche, che può assumere forme diverse, le quali caratterizzano a loro volta i diversi tipi di prestiti pubblici e differenziano gli effetti che un dato ammontare di debito pubblico può avere sull’economia.
1. Forme di debito pubblico. La differenza più importante da un punto di vista economico riguarda la scadenza dei titoli del debito pubblico, distinguendosi a tal fine tra debito fluttuante e consolidato, questo secondo redimibile e irredimibile. Tipicamente a breve termine, il debito fluttuante è quello contratto per far fronte a momentanee esigenze di cassa per un periodo non superiore alla durata di un anno e che non viene perciò iscritto in bilancio. Tipica forma di debito fluttuante sono i BOT (forma molto liquida di impiego del risparmio) e il risparmio postale depositato dalla Cassa DDPP in presso la Tesoreria dello Stato. Il debito consolidato (il nome deriva dal consolidamento, nei bilanci degli anni successivi all’emissione, delle somme necessarie al pagamento degli interessi) è costituito da titoli a scadenza medio-lunga o indeterminata (v. consolidamento del debito pubblico). Nel primo caso si ha il debito redimibile, contratto per provvedere alla copertura del disavanzo di bilancio per un periodo di più anni e che deve essere restituito alla scadenza. Certificati di credito del Tesoro (18-24 mesi i CTZ, 7 anni i CCT), Buoni Poliennali del Tesoro (di regola a 3, 5, 7 ma anche a 30 anni). Sono possibili (ma oggi estinti) anche altri prestiti speciali redimibili. Il debito irredimibile, invece, è quello per il quale esiste soltanto l’obbligo di pagare gli interessi (onde è chiamato usualmente rendita), salva sempre, s’intende, la facoltà del Tesoro di riscattare il capitale, mediante rimborso dei titoli, al momento ritenuto più opportuno. La vecchia rendita consolidata, derivante dalle iscrizioni riunite nel Gran Libro del Debito Pubblico del 1861) è l’unico esempio di prestito irredimibile statale italiano (a esso era riservato nel linguaggio usuale il termine “consolidato”). Tutti questi prestiti sono emessi in lire. La Repubblica italiana emette, inoltre, titoli in euro e in valuta estera, in forma di obbligazioni a medio-lungo termine o di carta commerciale, offerte sui mercati internazionali e solitamente sottoscritti da investitori istituzionali. Altre forme di debito a breve (che non sono debito fluttuante) sono l’emissione di biglietti di Stato (v. biglietto di Stato), di vaglia del Tesoro, i depositi di terzi in Tesoreria, i debiti di bilancio (residui passivi). Altre forme di debito pubblico a medio-lungo termine sono il debito vitalizio e i debiti di guerra. L’importanza relativa assunta da queste tre forme di prestiti dipende sia dall’evoluzione nei criteri di gestione del debito pubblico, sia dai mutamenti intervenuti nelle strutture istituzionali, produttive e finanziarie del sistema economico. Negli ultimi cinquant’anni il debito consolidato si è ridotto Altre caratteristiche differenziali dei prestiti pubblici possono riguardare: a) il luogo nel quale sono sottoscritti (prestiti interni ed esteri); b) le modalità di sottoscrizione (prestiti volontari, cioè a condizioni di mercato; prestiti forzosi; prestiti patriottici; prestiti politici); c) il sistema di emissione, secondo che i titoli vengano offerti ai sottoscrittori direttamente, o soltanto indirettamente il tramite di intermediari quali un consorzio di banche, o attraverso sportelli di banche, le quali garantiscono il collocamento dell’intero prestito impegnandosi a sottoscrivere la parte di titoli eventualmente non assorbita dal pubblico (emissione mista); d) le modalità di emissione, secondo che si abbiano emissioni alla pari o sotto la pari; gli aspetti giuridici della trasferibilità dei titoli. (nominativi o al portatore); e) l’elevatezza del valore nominale dei singoli titoli (di piccolo o grosso taglio); f) la remunerazione assicurata al sottoscrittore (titoli a premio, fruttiferi e misti, che producono un interesse oltre a partecipare all’estrazione per il rimborso e per l’assegnazione di premi: tra i titoli fruttiferi vanno distinti i titoli indicizzati, nel capitale o negli interessi, a indicizzazione reale o finanziaria, dai titoli rimborsati e remunerati ai valori nominali; zero coupon bonds, ossia obbligazioni il cui rendimento consiste solo nella differenza tra il prezzo di emissione e quello di rimborso a scadenza); g) il rimborso (in unica soluzione alla scadenza, ovvero secondo un piano di ammortamento).
2. Aspetti economici. I problemi che pone il ricorso al debito pubblico possono riassumersi nella valutazione degli effetti che esso ha sull’accumulazione di capitale, sulla distribuzione del reddito e sulla stabilità dell’economia nel breve periodo. Dal punto di vista degli effetti sull’accumulazione e lo sviluppo, la preferibilità del ricorso al debito pubblico dipende dalle variabili che si ritiene influenzino le decisioni di risparmio del pubblico (e se, tra queste variabili, rientri anche la ricchezza finanziaria), dalle ipotesi che si fanno circa il processo di trasformazione del risparmio in investimenti, e dalla definizione di “ottimo” saggio di accumulazione e di sviluppo che si adotta. Gli effetti sulla distribuzione del reddito dipendono dal tipo di prestito (in particolare, se interno o estero), dall’impiego più o meno produttivo del ricavo del prestito, dal tipo di imposte prelevate per ottenere i fondi necessari al servizio del debito, dalla distribuzione tra i componenti la collettività dei patrimoni e del possesso dei titoli del debito. La manovra del debito pubblico per conseguire l’obiettivo della stabilità del reddito dell’occupazione richiede, in prima approssimazione, che in periodi di depressione si ricorra al finanziamento della spesa pubblica mediante debito piuttosto che mediante imposte (e si faccia l’inverso in periodi di espansione inflazionistica); e ancora che, per ogni dato ammontare di debito pubblico, si cerchi in periodi di depressione di accrescere le caratteristiche di liquidità dei titoli e di spostarne il possesso da chi non ha possibilità o volontà di impiegarli per finanziare un aumento di liquidità a chi invece possiede tali requisiti (viceversa, in periodi di pressione inflazionistica, si dovranno modificare caratteristiche e possesso dei titoli in circolazione in modo da ottenere il maggiore effetto restrittivo sulla domanda). C’è da aggiungere, peraltro, che tale manovra si presenta particolarmente complessa (e quindi richiede un accorto dosaggio) nei sistemi economici, come quelli contemporanei, specie quando sono caratterizzati, come è avvenuto negli ultimi trent’anni del secolo scorso, dalla contemporanea presenza di inflazione e di recessione. Tra gli effetti economici probabili dell’accumulo di debito pubblico va menzionato l’aumento dei tassi d’interesse di mercato. Oggi i problemi del debito pubblico vengono per lo più studiati alla luce della sua sostenibilità di lungo periodo. Il debito pubblico è considerato sostenibile quando il rapporto tra lo stock del debito pubblico e il prodotto nazionale lordo non aumenta nel tempo (o diminuisce). L’indicatore principale della sostenibilità è il vincolo intertemporale del bilancio pubblico, secondo il quale il valore attualizzato delle imposte future deve essere uguale al valore attualizzato delle spese future, al lordo delle spese per interessi sul debito pubblico. In relazione al vincolo di bilancio intertemporale, la sostenibilità dello stock di debito pubblico dipende dall’andamento del deficit primario, dalla differenza tra tasso d’interesse reale sui titoli pubblici e tasso di crescita reale dell’economia e dal tasso d’inflazione. Una misura semplice ed eloquente del peso del debito pubblico è dato dal suo rapporto col PIL. Nei Paesi industrializzati il debito pubblico negli ultimi cinquant’anni si è accresciuto più rapidamente del reddito nazionale. In Italia, p.e., il rapporto debito pubblico/PIL è aumentato da una media stabile intorno al 30% nei decenni 1950-1960 fino a raggiungere il 100% nel 1990 e poi sfiorare il 125% nel 1996. Negli altri Paesi dell’UE il rapporto è superiore al 100% solo per Grecia e Belgio.
3. Misura del debito pubblico. Col termine debito pubblico, se altra specificazione non è aggiunta, si intende comunemente la consistenza delle passività del settore pubblico relative a BOT e raccolta postale e debiti netti verso Banca d’Italia e UIC, titoli a medio e lungo termine collocati sul mercato (inclusi i CTZ) e BTE, debiti verso banche, altri debiti interni, debiti esteri. Il debito delle altre componenti il settore pubblico si calcola in analogo modo. Non rientrano nel computo i residuo passivi e il debito vitalizio.
4. Politica finanziaria europea. La politica economica comunitaria dà molto rilievo alla dinamica del debito pubblico. Già nel Trattato di Maastricht (1992) il rapporto tra debito pubblico e PIL non inferiore al 60% è stato posto tra i criteri di convergenza degli Stati membri, cioè il metro di misura conseguimento da parte di ciascuno degli obiettivi per la realizzazione e per il mantenimento dell’UEM. Intorno al 1998, anno che ha preceduto l’avvio della terza fase dell’UEM, diversi Stati membri non ottemperavano ancora a questo criterio (tra questi c’erano Germania, Austria, Belgio, Paesi Bassi e Spagna). La rigidità del principio è stata perciò attenuata nel senso di considerare realizzato l’obiettivo se il rapporto si sta riducendo in misura sufficiente e si avvicina al valore di riferimento con ritmo adeguato. Grazie a questa correzione Italia e Grecia sono potute entrare nell’Eurosistema, nonostante l’ostilità di alcuni Paesi membri.