ANATOCISMO

Consiste nella capitalizzazione periodica degli interessi nelle operazioni bancarie dovuti per un capitale. L'anatocismo è il calcolo degli interessi sugli interessi che sono già maturati su una somma dovuta. L’anatocismo è vietato dall’art. 1283 c.c. che, tuttavia, ammette che gli interessi primari possano produrre nuovi interessi dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi. Altre ipotesi di produzione di interessi anatocistici possono essere previste dagli usi o da leggi speciali. La Banca d'Italia fornisce informazioni e dettagli normativi qui.

L'anatocismo bancario rappresenta una problematica nei rapporti tra banca, impresa e clientela retail; nel recente passato, infatti, le banche addebitavano gli interessi passivi alla clientela con cadenza almeno trimestrale, mentre accreditavano gli interessi attivi con cadenza annuale. Questo genera un disallineamento negli interessi e solleva problematiche e conflitti con la normativa nazione (es. Testo Unico delle Disposizioni in materia di Intermediazione Finanziaria -TUF) e Direttiva Europea.

Nel 2015 la Banca d'Italia è intervenuta per definire alcune questioni e dirimere alcune controversie che vedono opposte le banche a la clientela. Per una storia del fenomeno il lettore può andare qui.

Per una interessante analisi critica del fenomeno, anche dal punto di vista finanziario, il lettore può andare qui.

La capitalizzazione degli interessi, sia attivi che passivi, viene generalmente adottata nei rapporti bancari, variando anche, a seconda dei due casi, il periodo di scadenza convenzionale ai fini della capitalizzazione stessa. Così, la capitalizzazione degli interessi avviene a periodi trimestrali nei conti correnti debitori e di regola annualmente nei conti correnti creditori. La legge consente l’anatocismo per le operazioni del Bancoposta e della Cassa DDPP. La capitalizzazione degli interessi, attivi passivi, viene generalmente adottata nei rapporti bancari. Il periodo di scadenza convenzionale ai fini della capitalizzazione era, però, differente a seconda che si trattasse di interessi attivi o passivi. Così la generalizzata prassi bancaria è sempre stata la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito. Ciò in base a quanto previsto per quel che concerne il conto corrente per corrispondenza e servizi connessi predisposte dall’ABI in vigore dal 1952. La giurisprudenza ha dichiarato l’illegittimità di questa pratica in quanto contraria alle disposizioni uniche del TUBC che vietano le clausole contrattuali che rinviano agli usi. L’ha inoltre giudicata vessatoria nei confronti del contraente debole (che nella fattispecie è rappresentato dal correntista) al quale, peraltro, gli interessi a credito sono corrisposti in un’unica soluzione a fine anno, oltre che in contraddizione con la disciplina europea sulla concorrenza, considerato che trattasi di una clausola che ha la sua origine in accordi di cartello fra istituti di credito. Il legislatore è dovuto pertanto intervenire ad apportare importanti modifiche alle disposizioni del TUBC col d.lg. 4.08.1999, n. 342. L’art. 25 del d.lg. 1999/342 ha, in particolare, aggiunto un secondo comma all’art 120 del TUBC con il quale viene demandata al CICR la facoltà di stabilire modalità e criteri per la produzione degli interessi maturati nelle operazioni poste in essere in generale nell’esercizio di attività bancaria. Tale regolamentazione demandata al CICR deve in ogni caso assicurare, nei confronti della clientela e per quel che concerne le operazioni in conto corrente, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori. Il terzo comma del citato art. 25 prevedeva, inoltre, che per quel che concerne i contratti stipulati anteriormente la data di entrata in vigore della delibera del CICR rimanessero valide ed efficaci fino a tale data le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati le quali, tuttavia, dopo tale data, si sarebbero dovute adeguare al disposto della menzionata delibera. La conseguenza del mancato adeguamento sarebbe stata l’inefficacia di tali clausole che avrebbe potuto far valere solo il cliente. La sentenza della Corte Costituzionale, n. 425 del 17 ottobre 2000, ha statuito l’illegittimità costituzionale della succitata norma del d.lg. 1999/342. La Corte, per la precisione, eliminando ogni dubbio in merito all’illegittimità delle clausole anatocistiche, anche se contenute nei contratti bancari, ha ritenuto illegittimo l’art. 25, comma terzo, per violazione dell’art. 76 della Costituzione. La norma, infatti, senza operare alcuna distinzione fra i contratti ad effetti contrattuali anteriori o posteriori alla sua entrata in vigore, stabilisce una indiscriminata validità temporanea alle clausole anatocistiche contenute in contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della prevista deliberazione del CICR, prescindendo dal tipo di vizio da cui sarebbero colpite e da ogni collegamento con il TUBC che non sia meramente occasionale. La Corte, ritiene, infatti, di poter escludere che la suddetta delega legittimi una disciplina retroattiva e genericamente validante, sia pure nell’esercizio del potere di armonizzazione del TUBC con il resto della normativa di settore.

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