RUOLO DELLA POLITICA MONETARIA NEGLI SHOCK DEL PREZZO DEL PETROLIO IN USA (ENCICLOPEDIA)
Se le recessioni economiche seguite ai principali shocks del prezzo del petrolio siano principalmente da attribuire agli shocks stessi o invece alle decisioni di politica monetaria implementate dai policy-maker per ridurre le ripercussioni di tali shock, è ancora materia di ampia discussione all’interno dell’attuale dibattito dell’economia dei prezzi del petrolio.
Due principali filoni della letteratura hanno analizzato tale fenomeno, decomponendo la catena causale che lega l’andamento degli oil prices alle risposte di politica monetaria dei policy maker in diverse fasi. Nella prima fase, vi è un aumento nel livello dei prezzi domestici a fronte di un aumento del prezzo del petrolio1; questo implica una depressione del livello della domanda e quindi, un minore livello di output (Segal, 2007). Nella seconda fase emergono le decisioni dei consumatori i quali prendono coscienza del declino nel loro reddito reale causato dagli effetti della prima fase; ciò impatta direttamente, oltre che sulle decisioni di consumo, anche su quelle di risparmio e investimento del singolo operatore. In particolare, la letteratura empirica che investiga sul collegamento tra lo shock del prezzo del petrolio e le politiche monetarie si è profondamente interessata all’analisi del meccanismo di propagazione attraverso cui lo shock del prezzo del petrolio contribuisce e in che maniera alle recessioni macroeconomiche.
In particolare, i meccanismi maggiormente esaminati sono:
(i) il mercato del lavoro: Davis and Haltiwanger (2001) affermano che gli shock del prezzo del petrolio sono una delle principali fonti di diminuzione dell’occupazione in ogni settore industriale. Ciò è particolarmente dovuto all’effetto degli shock su output e produttività;
(ii) l’uso di beni strumentali: Finn (2000) ha sviluppato a livello aggregato un sistema in cui i rialzi dei prezzi del petrolio deprimono l’output marginale del capitale, riducendo, allo stesso tempo, i livelli degli investimenti e lo stock futuro del capitale;
(iii) andamento dei tassi di interesse: Balke ed al. (2002) hanno trovato evidenza che vi sia una consistente differenza tra i tassi di interesse a sei mesi sul mercato e i T-Bill a sei mesi. Ciò significa che quando si verificano gli aumenti del prezzo del petrolio vi è un maggiore incentivo per gli investitori di acquistare asset meno rischiosi (T-Bills);
(iv) l’incertezza e la riduzione del livello degli investimenti: Bernanke (1983) ha stimato che vi è un’ampia tendenza, nel settore industriale, di ritardare le decisioni di investimento fin quando non vi è una riduzione dell’incertezza caratterizzante l’andamento del prezzo del petrolio;
(v) shock settoriali: Lilien (1982) ed Hamilton (1988) affermano che uno shock capace di produrre effetti importanti su di un settore esterno (ma collegato) al settore dove lo shock impatta direttamente. Ciò accade in virtù del fatto che l’effetto sull’occupazione di uno shock del prezzo del petrolio su un settore potrebbe indirettamente impattare il livello di occupazione anche in un altro nel caso in cui vi siano strette connessioni tra i due.
Fonte: Elaborazioni dell’autore
In letteratura vi sono comunque un cospicuo numero di contributi che non concordano con l’idea che uno shock del prezzo del petrolio possa avere un effetto così diretto sull’output come precedentemente asserito. Tra gli altri Bohi (1989), analizzando l’impatto economico dello shock del prezzo del petrolio del 1973-74 e 1979-80 sull’economia del Giappone e degli Stati Uniti non ha trovato alcuna evidenza della relazione tra variazioni dei prezzi del petrolio e livello dell’occupazione nel settore produttivo. In tale direzione egli supporta la teoria che la riduzione dell’ouput sia da attribuirsi maggiormente a una politica monetaria restrittiva (implementata per ridurre l’impatto dello shock del prezzo del petrolio) piuttosto che allo shock stesso del prezzo. La stessa view è condivisa da Mork (1989) che, (introducendo per la prima volta il concetto di effetti asimmetrici di aumenti e diminuzioni del prezzo del petrolio sull’output) ha trovato evidenza che sebbene gli aumenti del prezzo del petrolio abbiano ridotto lo sviluppo economico, non vi è assolutamente alcun riscontro empirico che riduzioni del prezzo abbiano stimolato la crescita del Pil. Attraverso la teoria degli effetti asimmetrici degli shock del prezzo del petrolio sul Pil, Gilbert e Mork (1986) hanno offerto una valida chiave di lettura dell’elasticità (piatta) della crescita del Pil a diminuzioni dello shock del petrolio.
Attraverso l’analisi dei business cycle statunitensi e i principali shock del prezzo del petrolio (vedi tabella sopra) tra il 1965 e il 1995, Bernanke, Gertler e Watson (1997) discutono le decisioni implementate dai policy-maker per rispondere agli shock macroeconomici. In particolare, valutano il ruolo e gli effetti delle risposte di politica monetaria implementate dalla Federal Reserve (FED) per contenere l'inflazione causata dallo shock. Una riduzione nei tassi di interesse, unico strumento a disposizione dei banchieri centrali, stimola l’andamento della domanda che a sua volta alimenta pressioni al rialzo del livello di inflazione; contrariamente, un rialzo dei tassi di interesse raffredda sia la domanda aggregata che l’inflazione. Se la politica monetaria fosse orientata a ridurre il livello dell’inflazione (figura 1) ciò potrebbe condurre ad un ulteriore indebolimento dell’economia. Se la banca centrale invece considerasse l’opzione di stimolare la domanda al fine di neutralizzare la depressione nell’economia reale (figura 1) dovrà tenere in considerazione gli effetti inflazionistici che tale manovra produrrà.
FIGURA 1: EFFETTI DI UN AUMENTO DEL PREZZO DEL PETROLIO
Fonte: Elaborazione dell'autore
Bernanke ed al. (1997) affermano che una politica monetaria alternativa durante gli anni Settanta, cioè fissando i tassi nominali di interesse, avrebbe potuto generare effetti più incisivi sull’output aggregato, eliminando così le conseguenze negative degli shock del prezzo del petrolio sull’economia degli USA. A questo riguardo, Hamilton ed Herrera (2004) affermano che i risultati empirici ottenuti da Bernanke ed al. (1997) siano guidati da mispecificazioni del modello. Riformulando lo studio di Bernanke ed al. (1997) essi identificano, quale causa principale della riduzione dell’output reale, l’aumento nei prezzi stessi: una politica monetaria restrittiva non gioca un ruolo chiave nel limitare gli effetti dei prezzi del petrolio. Bernanke ed al. (1997) sottolineano il ruolo positivo e influente di una politica monetaria restrittiva nell'eliminare qualsiasi conseguenza recessiva di uno shock del prezzo del petrolio. Loro supportano l'idea che un’opportuna politica monetaria debba essere implementata al fine di eliminare, o ridurre, qualsiasi conseguenza recessiva degli shock. Contrariamente, Hamilton ed Herrera (2004) argomentano che anche con una politica monetaria restrittiva, la FED non avrebbe ottenuto alcun successo nell'attenuare il 3 ribasso. Focalizzandosi su questo punto di vista, Leduc and Sill (2004) esaminano una varietà di opzioni di politica monetaria nei differenti modelli di equilibrio generale, concludendo che il comportamento delle banche centrali non può essere considerato pienamente efficiente nel proteggere le loro economie dalle conseguenze degli shock petroliferi. Alla luce dell’importante dibattito poc’anzi evidenziato, emerge che la relazione tra andamento del prezzo del petrolio, macroeconomia e inflazione rimane altamente dibattuta nella letteratura ed è di non semplice gestione da parte delle autorità monetarie. In tale contesto emerge che:
1) La relazione tra prezzo del petrolio e inflazione si è estremamente attenuata tanto che la correlazione risulta essere molto più debole ora rispetto agli anni settanta (Rogoff 2006, Blanchard e Gali 2008). Inoltre, la nuova composizione di mercato ha aiutato a ridurre l'impatto di un prezzo del petrolio instabile sull'inflazione attesa e sull’output potenziale.
2) Come ipotizzato da Segal (2007), la politica monetaria potrebbe rappresentare il più importante canale attraverso il quale le fluttuazioni nei prezzi del petrolio influenzano il livello di produzione aggregato. Questo accade in virtù del fatto che quando i prezzi del petrolio fungono da leva per il livello d'inflazione, le autorità monetarie aumentano i tassi di interesse riducendo il tasso di crescita (Roubini, 2004).
Per concludere possiamo affermare che al verificarsi di un ampio aumento nei prezzi del petrolio, sia quanto mai necessario implementare una politica monetaria che sia sufficientemente restrittiva per prevenire l’impulso inflazionistico derivante dallo stesso aumento dei prezzi e, allo stesso tempo, capace di evitare effetti negativi sulla produzione. La scelta riguardante quale politica sia maggiormente appropriata deve essere determinata caso per caso esaminando gli effetti macroeconomici che un aumento del prezzo del petrolio potrebbe generare, includendo anche un’attenta disamina dell’impatto sull’output potenziale. Inoltre risulterà molto importante osservare quali altri fattori stiano correntemente condizionando il livello di inflazione sebbene gli effetti sul livello dei prezzi siano decisamente attenuati rispetto agli shock degli anni settanta2. Tale analisi non potrà assolutamente prescindere dallo studio dell’origine di questi shock (trainati da elementi della domanda o dell’offerta), in cui politiche monetarie maggiormente appropriate dovranno essere implementate a livello nazionale, e in taluni casi sovranazionale, per limitare il grave impatto e le conseguenze di uno shock sull’economia reale.
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1 Lo shock del prezzo del petrolio viene tipicamente considerato dagli economisti quale “supply shock”.
2 Un fattore chiave nel comprendere che le conseguenze sull’economia reale dei recenti rialzi del prezzo del petrolio si siano attenuate assieme ai moderati rialzi di fenomeni inflazionistici riscontrati a seguito degli shock del 2008 e 2011, è assolutamente offerto dalla struttura produttiva e dalla dotazione dei fattori che vedono le economie industrializzate europee molto meno dipendenti dal petrolio rispetto a quanto lo fossero negli anni settanta.
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