RESTRIZIONE MONETARIA E CREDITIZIA

Sin.: stretta monetaria. Politica monetaria praticata attraverso la riduzione del tasso di crescita o del volume assoluto del credito, mediante provvedimenti delle autorità monetarie, per frenare la crescita della domanda aggregata e delle attività finanziarie dell’economia. Infatti, esiste una relazione, non stabile nel corso del tempo, tra creazione di liquidità, espansione del credito e delle attività finanziarie e crescita del reddito nazionale lordo in termini monetari. La stretta monetaria si riflette immediatamente sul mercato monetario (sui tassi a breve termine) e si propaga successivamente a quello finanziario (sui tassì a medio e lungo termine). L’efficacia di una restrizione monetaria dipende dal grado di liquidità presente all’interno del sistema economico (banche, imprese) e si riflette generalmente sui piani di investimento a lungo termine ed in particolare su quelli relativi ai settori produttivi, la cui attività è direttamente correlata all’andamento degli aggregati monetari e creditizi. Questi provvedimenti si rendono necessari in presenza di pressioni inflazionistiche determinate da un eccesso di domanda e/o di un grave squilibrio della bilancia dei pagamenti. L’obiettivo di restringere il credito può essere perseguito indirettamente attraverso il mercato o direttamente con controlli amministrativi dirigistici. Si opera attraverso il mercato mediante operazioni di mercato aperto o mediante l’aumento della riserva obbligatoria e del tasso ufficiale di sconto; si regola così il volume complessivo del credito controllando l’espansione dell’offerta di moneta e la liquidità del sistema. Provvedimenti di controllo amministrativo dirigistico sono l’istituzione di un vincolo di portafoglio e di un massimalesugli impieghi che impongono un limite preciso all’incremento dei prestiti bancari. L’aumento, a volte considerevole, del tasso di disoccupazione, la diminuzione degli investimenti e, in definitiva, il rallentamento dell’attività economica costituiscono i costi immediati, difficilmente evitabili, di una politica restrittiva del credito, la quale può pure causare squilibri settoriali nell’economia, discriminando non solo fra consumi ed investimenti ma anche fra grandi e piccole imprese, come è stato sottolineato nella letteratura economica già durante gli anni Cinquanta. In Italia il ricorso a restrizioni creditizie, anche per l’inefficacia degli strumenti di politica fiscali ai fini della stabilizzazione dell’economia, è stato piuttosto frequente, dando vita un acceso dibattito tra gli economisti sugli agli effetti da esse provocate (v. vincolo di portafoglio e massimale sugli impieghi). Negli anni Settanta tale dibattito si è ulteriormente intensificato, in seguito continuo alternarsi di brevi periodi di restrizione e di espansione del credito terminato dalla c.d. politica di stop and go (freno e avvio): gli squilibri della bilancia dei pagamenti hanno portato all’adozione politiche restrittive che permettevano di riequilibrare i conti con l’estero, creando però contemporaneamente la necessità di immediati stimoli espansivi per risollevare l’economia dalla fase di recessione nel frattempo avviata. Una simile strategia è stata particolarmente criticata per il rischio che essa comporta di aggravare l’instabilità del sistema appiattendone il trend di sviluppo, sia per l’eccessiva ristrettezza del suo orizzonte temporale.

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