PARTECIPAZIONE AGLI UTILI
Gli utili prodotti dalla società sono costituiti dall’eccedenza del patrimonio netto rispetto al capitale sociale nominale ed alle eventuali riserve, oltre che alle perdite dell’esercizio. Quando vengono distribuiti ai soci, generalmente in proporzione alla partecipazione sociale detenuta,danno luogo al c.d. dividendo e rappresentano, di fatto, la remunerazione del conferimento del socio in relazione ai risultati dell’attività sociale. Bisogna distinguere in proposito fra società di persone e società di capitali. Nelle prime, fermo il divieto di distribuire utili fittizi nonrealmente conseguiti (art. 2303 c.c.), i soci godono di ampia discrezionalità nella distribuzione degli stessi. In tali tipi societari, non è necessario, infatti, che la distribuzione degli utili sia proporzionale al conferimento, data la presenza, in materia, del solo limite rappresentato dal divieto di patto leonino (ex art. 2265 c.c.), in virtù del quale, come noto, è nullo ogni patto con cui uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite. Pertanto, al di fuori di questo precetto normativo, i soci possono regolare statutariamente la distribuzione degli utili come ritengono opportuno ma, in assenza di specifiche pattuizioni, si presume che il diritto agli stessi sia proporzionale ai conferimenti. Nella società semplice e nella s.n.c., il diritto del socio a percepire gli utili nasce con la rispettiva approvazione del rendiconto e del bilancio (ex art.. 2262 c.c.), predisposto normalmente con cadenza annuale, salvo diversa previsione. L’approvazione di tali documenti contabili rappresenta, infatti, l’unica condizione giuridica necessaria e sufficiente affinché possa nascere, in capo a ciascun socio, il diritto di percepire una determinata percentuale degli utili conseguiti dalla società, secondo una determinata percentuale; solo con il consenso di tutti i soci, salvo diversa disposizione statutaria, è possibile deliberare la non distribuzione ed il conseguente investimento degli stessi. Nell’ambito delle società di capitali, invece, il diritto a percepire gli utili conseguiti, proporzionalmente al numero delle azioni possedute, nasce in capo al socio solo dopo una specifica delibera assembleare che, con successivamente all’approvazione del bilancio, decida la distribuzione degli utili conseguiti o di parte degli stessi. Tuttavia, non tutti gli utili possono essere distribuiti data la presenza di alcuni vincoli di destinazione sugli stessi; vincoli di natura sia legale sia statutaria. Infatti, se negli esercizi precedenti si è verificata una perdita che ha intaccato le riserve obbligatorie e/o il capitale, gli utili devono essere utilizzati, in primis, per reintegrare tali elementi. Inoltre, almeno il 5% degli utili annuali deve essere accantonatoobbligatoriamente nella riserva legale, fino a quando la stessa non abbia raggiunto una misura pari ad almeno un quinto del capitale sociale (art. 2430 c.c.); accanto a questa, vi possono essere anche altre riserve di natura statutaria in cui è possibile far confluire una parte degli utili annuali. Infine, sia i promotori (indipendentemente dalla loro qualità di soci) che i soci fondatori possono riservarsi, nell’atto costitutivo, una partecipazione non superiore complessivamente al decimo degli utili netti risultanti dal bilancio e per un periodo massimo di cinque anni dalla costituzione della società. In caso di emissione di azioni di risparmio ai titolari delle stesse era riconosciuto fino al 1998 il diritto a percepire un dividendo minimo predeterminato (pari al 5% del valore nominale di ogni azione posseduta). Con la riforma della disciplina delle società quotate il legislatore abbandona il criterio della predeterminazione della misura del privilegio e ne rimette la quantificazione all’autonomia statutaria. In sede di s.r.l., si ritiene che le quote, rappresentanti la partecipazione sociale, possano attribuire ai loro titolari, contrariamente ai titoli azionari delle spa, diritti patrimoniali in misura proporzionale diversa anche in sede di distribuzione degli utili. Infine, per quanto concerne le società cooperative, dati i limiti legali alla distribuzione degli utili, limiti derivanti dalla natura dello scopo mutualistico perseguito,è previsto che l’atto costitutivo indichi la percentuale massima degli utili distribuibili e la destinazione di quelli residui (art. 2518 c.c.). Disposizione questa che deve essere coordinata con la disciplina speciale la quale, ai fini dell’ammissione ai benefici fiscali, impose, dapprima, il divieto di distribuzione di dividendi superiori all’interesse legale sul capitale effettivamente versato mentre oggi, in seguito alle successive modifiche, dispone che la remunerazione del capitale versato non può essere superiore alla remunerazione dei prestiti sociali, non potendo quindi superare il tasso dei buoni fruttiferi postali aumentato di due punti e mezzo. Tasso, quest’ultimo, che può essere maggiorato del 2% per i soci sovventori mentre è aumentato ex lege nella stessa misura per le azioni di partecipazione cooperativa, fermo restando il diritto dell’assemblea di deliberare la non distribuzione. Va ricordato, in merito, che è possibile destinare una parte degli utili ad aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato entro i limiti dell’indice annuale dell’infl azione accertato dall’ISTAT, al fine di effettuare in tal modo la rivalutazione della quota di partecipazione sociale dei soci.