KEIRETSU

Nome introdotto nel dopoguerra per i vecchi zaibatsu (q.v.), i grandi trust che erano stati lo strumento tecnico-produttivo della politica imperialista del Giappone e che gli Americani volevano scindere per realizzare un’economia di mercato basata sulla concorrenza. Con la guerra di Corea e lo scoppio della guerra fredda gli USA ebbero bisogno di rafforzare il Giappone e diedero libertà di riorganizzare l’economia del Paese contribuendo anche con forti aiuti finanziari alla sua ripresa. I giapponesi ricostituirono i trust rinominandoli keiretsu, alcuni continuazione dei vecchi zaibatsu, altri di nuova costituzione. Il keiretsu è un conglomerato a integrazione orizzontale o verticale (v. integrazione industriale) di imprese industriali, commerciali (v. per queste ultime: sogo shosha) e spesso di una banca che funge da finanziatore del gruppo. A lungo non è stato, infatti, volutamente introdotto in Giappone il principio di separatezza tra banca e industria, comune nei Paesi progrediti (solo nel 1997 è stato posto un tetto al 5% della partecipazione delle banche alle imprese industriali). La presenza di una banca costituisce la principale differenza tra il keiretsu e il chaebol coreano, che pure è stato costruito a imitazione del modello giapponese. L’evoluzione ha portato a differenti forme di keiretsu. La principale è il keiretsu finanziario, il più evoluto e di cui fanno parte le Big six, sei gruppi a integrazione orizzontale con al centro una grande banca. Tre di esse sono ex zaibatsu (Mitsui, Mitsubishi and Sumitomo) e tre (Sanwa, Fuyo and Dai-IchiKangyo) sono di nuova costituzione, avvenuta dopo la guerra. Di regola questi trust hanno una sola impresa per ogni settore di attività per avvantaggiarsi di economie di scale ed evitare la concorrenza infragruppo. Caratteristica delle Big six è il President’s club, sorta di consiglio dell’alta direzione che decide e coordina le strategie del gruppo. Una seconda forma è costituta dal keiretsu di distribuzione (distribution keiretsu) a integrazione verticale per controllare l’intero flusso di beni e servizi dalla produzione al consumatore (B2C). Solitamente sentono meno l’influenza delle banche e sono più piccoli di dimensione rispetto ai keiretsu orizzontali e sovente sono inseriti in essi, ma con autonomia gestionale. Il segreto dell’efficienza di questa struttura sta nel ricorrere a una rete di sub-fornitori che opera come un buffer nei periodi sfavorevoli del ciclo economico (nelle grandi compagnie i dipendenti hanno un diritto alla stabilità del posto a vita, mentre le piccole imprese licenziano e assumono secondo l’andamento della domanda). Una terza forma è il keiretsu manifatturiero (manufacturers keiretsu) che organizza integrandola verticalmente una piramide di fornitori e di sub-appaltatori captive (che costituiscono il buffer del gruppo per i periodi sfavorevoli) di prodotti intermedi e di produttori di beni in un’unica struttura (Toyota, Nissan, Honda-Matsushita, Hitachi, Toshiba, Sony). Esistono anche altre forme, basate anche su cartelli tutti perfettamente leciti in Giappone dove è ferma la convinzione che il keiretsu assicuri la piena occupazione e la sicurezza delle nazione e distribuisca i rischi. Caratteristiche del keiretsu sono le partecipazioni incrociate tra le società del gruppo, che pongono queste al riparo da takeover ostili e la preferenza per l’acquisto infragruppo o, comunque, di prodotti nazionali, anche se più costosi. Questa pratiche sono una potente barriera al libero scambio e impedisce alle imprese straniere di penetrare nel mercato statunitense, al contrario di quanto avviene nei mercati occidentali, dove nessuna barriera viene posta alla penetrazione giapponese.

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