INITIAL COIN OFFERING

Tipo voce : Voci enciclopediche
Categorie:   Finanza d'impresa   |   Fintech   |   Sistema e servizi di pagamento  

Abstract
Con il termine Initial Coin Offering (ICO) si intende l’offerta al pubblico di cripto-attività (o token) in cambio di un contributo economico da parte del partecipante alla raccolta. Questo strumento di finanziamento alternativo impiega, per il proprio funzionamento, tecnologie basate sull’utilizzo di registri distribuiti (in inglese Distributed Ledger Technology o DLT) grazie alle quali è possibile utilizzare smart contract per la gestione dell’emissione e di alcune fasi successive alla raccolta. I token emessi, infatti, interagendo con gli smart contract consentono al partecipante l’esercizio dei diritti acquisiti dall’adesione all’offerta.

Una Initial Coin Offering (ICO) è uno strumento di finanziamento alternativo di cui oggi le imprese possono avvalersi grazie ai recenti sviluppi delle tecnologie basate sull’utilizzo di registri distribuiti (in inglese Distributed Ledger Technology o DLT), fra cui spicca la “blockchain”, ovvero la DLT oggi più famosa ed utilizzata. Una ICO consiste, infatti, nell’offerta al pubblico di c.d. “cripto-attività” in cambio di cripto-valute (i.e. Bitcoin, Ethereum, etc) oppure di moneta avente corso legale.
Per il fatto di rivolgersi ad una “folla” indistinta di partecipanti, il fenomeno delle ICO può essere ricondotto al più noto fenomeno del crowdfunding, di cui le ICO possono essere considerate una evoluzione. Il crowdfunding, infatti, è un altro strumento di finanziamento alternativo che consente al promotore della raccolta di pubblicizzare il proprio progetto imprenditoriale su un’apposita piattaforma e, grazie a questa, ricevere contributi monetari da una folla indistinta di soggetti direttamente tramite internet. Una ICO differisce da una raccolta di crowdfunding per due aspetti sostanziali. L’utilizzo della tecnologia blockchain (e dei suoi derivati), nonché l’assenza di una piattaforma che offra il servizio di intermediazione fra il promotore e i partecipanti.
Una azienda che decida di lanciare una ICO presenta il proprio progetto imprenditoriale pubblicando un documento (comunemente chiamato whitepaper), il quale contiene tutte le informazioni ritenute necessarie per descrivere il proprio progetto nonché il funzionamento, anche tecnico, degli strumenti informatici impiegati nella raccolta (smart contract, blockchain, token). A tal riguardo è importante sottolineare che il whitepaper, nonostante intenda svolgere le medesime funzioni di un prospetto, non è soggetto ad alcun controllo né, tanto meno, segue un contenuto prefissato da alcuna autorità.
L’impiego della tecnologia blockchain costituisce l’elemento di innovazione di questo strumento di finanziamento alternativo. La sua esistenza ha trovato già un primo riconoscimento normativo all’interno dell’art. 8-ter del d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, c.d. Decreto semplificazioni (convertito in legge dalla l. n. 12/2019), contenente una definizione di tecnologia basata su registri distribuiti, categorie di cui fa parte la blockchain. La blockchain consente l’esercizio “sicuro” dei diritti conferiti dall’impresa proponente ed incorporati nel token. Infatti, le sue caratteristiche (quali l’immutabilità, tracciabilità, non dipendenza da certificatori o operatori centrali) permettono che la raccolta di denaro e l’esercizio dei diritti ricevuti possa avvenire con un livello di sicurezza tale da invogliare i potenziali finanziatori a partecipare alla raccolta nonostante la non presenza di alcun intermediario che si occupi di disciplinarla, consentendo la raccolta anche di ingenti somme di denaro. Molte delle funzioni tipiche svolte dagli intermediari nei tradizionali sistemi dematerializzati, infatti, non risultano più necessarie. Quanto detto vale sia nella fase di raccolta di denaro e contestuale offerta di cripto-attività, sia in quella di esercizio dei diritti ricevuti e incorporati nel token, sia, infine, nell’attività di detenzione del token stesso.
Ciò è possibile grazie all’automazione data alle menzionate procedure dall’utilizzo di c.d. smart contract, programmi informatici (anche essi, ormai, oggetto di definizione normativa all’interno dell’art. 8-ter del Decreto semplificazioni) che, in quanto alimentati dalla potenza di calcolo fornita dai processori dei partecipanti alla rete blockchain, acquisiscono le caratteristiche di immutabilità possedute dalla rete stessa. In particolare, infatti, il loro impiego nella fase di offerta consente l’automazione del processo di emissione del token, di scambio con il denaro del partecipante alla raccolta e di invio del token al portafoglio dell’acquirente. Appositi smart contract possono, inoltre, gestire anche le fasi di esercizio dei diritti attribuiti dalla società emittente e incorporati all’interno del token. Infine, un servizio di intermediazione diventa superfluo anche nella fase di deposito e detenzione del token stesso. Sebbene si assista sempre di più alla nascita di aziende che offrano servizi di detenzione degli stessi, queste non sono necessarie come nell’attuale sistema di dematerializzazione azionaria. Ciò è possibile grazie all’esistenza di c.d. wallet, programmi informatici che consentono la detenzione dei token acquisiti a seguito dell’offerta, occupandosi di conservare la complessa sequenza numerica con la quale un utente si identifica nella rete blockchain e “firma” le proprie transazioni.
Utilizzare la tecnologia blockchain permette, quindi, di ridurre i costi di intermediazione in alcune fasi della procedura di finanziamento con l’effetto di rendere la stessa molto più accessibile alle piccole e medie imprese.
Come anticipato, in cambio del proprio contributo monetario, ogni partecipante alla raccolta fondi riceve un token. Questo può essere definito come lo strumento di legittimazione che permette al suo possessore l’esercizio dei diritti acquisiti all’esito della raccolta. I diritti “conferibili” solitamente spaziano dal diritto ad ottenere la proprietà di beni o a usufruire di determinati servizi fino alla possibilità di esercitare diritti patrimoniali o amministrativi nei confronti della società emittente. I diritti che un’azienda decide di attribuire ad ogni partecipante alla raccolta dipendono, solitamente, sia dal modello di business adottato, sia dalla somma di denaro versata.
In aggiunta, l’utilizzo dei token porta innumerevoli vantaggi al sistema, primo fra tutti quello di garantire maggiore liquidità allo stesso. Questo processo di “tokenizzazione” (termine semi-gergale, con il quale si intende il processo di incorporazione di un diritto all’interno di uno strumento informatico e cioè, materialmente, la creazione di uno strumento informatico che consente l’esercizio del diritto conferito a seguito della raccolta) favorisce lo sviluppo di un mercato secondario degli strumenti emessi a seguito della raccolta. Il token, infatti, da un punto di vista tecnico, è facilmente trasferibile e, come anticipato, può essere detenuto dallo stesso partecipante. In questo modo il partecipante alla raccolta non sarà più “prigioniero” del proprio investimento e avrà la possibilità di smobilizzarlo con maggiore facilità, alienando in ogni momento il token acquisito.
Relativamente alle tipologie di token che è possibile emettere, oggi non esiste ancora una tipizzazione normativa, sebbene alcune autorità di regolamentazione del mercato si siano espresse cercando di fare chiarezza ed individuare alcune precise categorie.
Solitamente si è soliti distinguere tre tipologie di token: criptovalute, utility token e investment token.
Nella tipologia delle criptovalute rientrano le valute virtuali, prive di alcun riconoscimento normativo espresso che le parifichi alla moneta corrente. Queste possono essere definite come un bene immateriale (concretamente una registrazione sul registro distribuito), “prodotto” dal protocollo della rete blockchain al realizzarsi di determinate condizioni. Esse sono utilizzate solo per espressa volontà delle parti come corrispettivo dello scambio di beni o servizi. La loro principale caratteristica è quella di poter svolgere tutte le funzioni tipiche della moneta, potendo fungere da unità di conto, mezzo di pagamento e riserva di valore.
All’interno della seconda tipologia rientrano gli utility token. Essi si caratterizzano per attribuire al possessore il diritto di utilizzare i servizi offerti della società emittente.
Nella categoria degli investment token rientrano solitamente i token che attribuiscono al possessore diritti patrimoniali oppure diritti amministrativi nei confronti dell’impresa che li ha emessi. Come è facile immaginare, gli investment token sono dunque la categoria maggiormente assimilabile a veri e propri prodotti e strumenti finanziari ed è per questo che la loro emissione, al contrario delle restanti tipologie, è soggetta a regole e requisiti molto più severi. Salva l’applicazione di particolari esenzioni previste dalla normativa specialistica, fra gli obblighi più rilevanti possono rientrare sicuramente quelli di redigere e pubblicare un prospetto informativo.
Oltre alle tre categorie sopra elencate, è possibile individuare una serie specifica di sub-categorie, nonché token ibridi, in cui, cioè, è possibile individuare caratteristiche appartenenti a categorie di token diverse. In questi casi, in assenza di una normativa specifica sull’argomento, individuare con precisione le regole che una determinata offerta al pubblico di token dovrebbe rispettare diviene ancora più complesso. È chiaro allora che, sebbene l’ICO sia uno strumento di finanziamento che consente all’emittente di impostare la raccolta nel modo che meglio si adatta alle proprie esigenze imprenditoriali, a così tanta libertà corrisponde però, a oggi, un alto grado di incertezza legislativa e regolamentare. È chiaro, infatti, che la disciplina applicabile dipenderà dai diritti che i token oggetto di offerta conferiranno. Ciò obbligherà l’emittente, ma soprattutto le Autorità di vigilanza, a dover effettuare un giudizio caso per caso onde evitare l’elusione o la non applicazione di normative più stringenti, con specifico riferimento a quelle che attengono alla tutela degli investitori e dei mercati, il non rispetto delle quali potrebbero implicare spiacevoli sanzioni.

Redattore: Salvatore Luciano FURNARI

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