IMPAIRMENT TEST (ENCICLOPEDIA)

Tipo voce : Voci enciclopediche
Categorie:   Regolamentazione e vigilanza   |   Strumenti e mercati finanziari  

Impairment test è il procedimento di verifica delle perdite di valore delle attività iscritte in bilancio previsto dai principi contabili internazionali IAS/IFRS che deve essere effettuato dalle società che redigono il bilancio di esercizio in conformità ai principi contabili internazionali ai sensi del D. Lgs. n.38/2005.
Il principio contabile internazionale IAS 36 “Impairment of Assets” disciplina la procedura che gli amministratori devono porre in atto tale per verificare che gli elementi patrimoniali siano iscritti in bilancio ad un valore non superiore al c.d. valore recuperabile (recoverable amount). Tale standard ha un ambito di applicazione ben definito. Infatti, sono escluse le attività alle quali sono applicabili altri IAS/IFRS che già contengono specifiche disposizioni per la loro rilevazione e valutazione.
Piu precisamente, il principio non si applica alle seguenti attività patrimoniali:
- rimanenze di magazzino (IAS 2);
- attività derivanti da lavori su ordinazione (IAS 11);
- attività fiscali differite (IAS 12);
- attività derivanti da benefici per i dipendenti (IAS 19);
- investimenti immobiliari valutati al fair value (IAS 40);
- attività biologiche connesse all’attività agricola, valutate al fair value meno i costi stimati al punto di vendita (IAS 41);
- attività finanziarie compresi i derivato (contratto derivatoERIVATO) (IAS 39);
- attività non correnti (o gruppi di dismissione) classificate come possedute per la vendita in conformità al Principio IFRS 5;
- attività immateriali derivanti da contratti di assicurazione e costi di acquisizione differita (Principio IFRS 4). In sintesi, il campo di applicazione di tale standard è limitato alle immobilizzazioni materiali e immateriali, ivi incluso l’avviamento, e agli investimenti partecipativi in società controllate, collegate e joint venture valutati con il criterio del costo (e, pertanto, esclusi dalla disciplina del Principio IAS 39).
Il termine “attività” è riferito a tutti gli elementi patrimoniali attivi che soddisfano la definizione di “attività” contenuta nel Quadro Sistematico (“Framework”) degli IAS/IFRS, ai quali si applica il Principio IAS 36, ossia:
- fabbricati, impianti e macchinari disciplinati dal Principio IAS 16;
- attività immateriali, compreso l’avviamento, disciplinati dal Principio IAS 38;
- investimenti immobiliari valutati al costo (IAS 40);
- partecipazioni in società controllate, collegate e joint venture, disciplinate dagli IAS 27, 28 e 31.
Nell’ambito dello IAS 36 il procedimento di determinazione ed allocazione delle perdite di valore si sviluppa attraverso le seguenti fasi:
a) identificazione di un’attività che possa aver subito una perdita di valore;
b) determinazione del valore recuperabile, considerato come il maggiore fra il fair value al netto dei costi di vendita e il valore d’uso (value in use);
c) determinazione ed iscrizione in conto economico della perdita per riduzione di valore di singole attività.
Per ciò che concerne l’avviamento e le attività non valutabili autonomamente:
d) configurazione delle unità generatrici di flussi finanziari (“cash-generating units” o “CGU”);
e) allocazione dell’avviamento e delle corporate assets ad uno o piuÌ CGU e determinazione del valore recuperabile;
f) determinazione del valore recuperabile delle CGU, considerato come il maggiore fra il fair value al netto dei costi di vendita e il valore d’uso (value in use);
g) determinazione ed iscrizione in conto economico della perdita per riduzione di valore della CGU.
In linea generale, se alla data di riferimento del bilancio esiste una indicazione di riduzione durevole del valore di un’attività, l’entità deve procedere ad una stima del valore recuperabile della stessa. Pertanto, la determinazione del valore recuperabile delle attività al termine di ciascun anno non è automatica, ma è subordinata all’esito positivo della fase di screening sull’esistenza di condizioni di perdita di valore.
Nel caso di attività immateriali a vita indefinita, quale ad esempio l’avviamento, o non disponibili per l’uso (es. un’invenzione industriale rispetto alla quale devono essere ancora svolti alcuni test di controllo prima del suo utilizzo), l’impresa deve effettuare il test di impairment almeno su base annuale. Tale eccezione eÌ riconducibile a due ordini di considerazioni: la prima è che per loro natura tali valori sono maggiormente esposti a rischi di impairment; la seconda è che tali attività non sono assoggettate ad un processo sistematico di ammortamento.


Indicatori di Impairment
In merito agli indicatori di impairment da osservare il Principio IAS 36 fornisce un elenco esemplificativo delle fonti di informazione che devono essere considerate, con distinzione tra fonti interne e fonti esterne. Tra gli indicatori di impairment riconducibili a fonti informative esterne, sono presenti:
- una riduzione del valore di mercato di un’attività, di molto superiore a quella prevedibile per il normale utilizzo;
variazioni significative, con effetto negativo per l’entità, intervenute nell’ambiente tecnologico in cui un’entità opera o nel contesto normativo di riferimento (ad es. norme che vietano o limitano l’impiego di determinati impianti, l’esercizio di alcune attività, la commercializzazione di taluni prodotti);
- un aumento dei tassi di interesse presenti sul mercato, in quanto può incidere negativamente sul valore recuperabile condizionando il tasso di attualizzazione utilizzato nel calcolo del valore d’uso (ad es. un incremento del tasso risk free);
- il valore contabile dell’attivo netto dell’entità, superiore alla sua “capitalizzazione di mercato”.
Banca d’Italia, Consob ed Isvap nel Documento n. 4 del 6 marzo 2010 hanno richiamato la necessità che gli amministratori svolgano adeguate considerazioni in ordine all’esistenza di segnali esogeni di perdita di valore, quali, ad esempio, quelli espressi dal mercato finanziario, come la presenza di una capitalizzazione di mercato della società significativamente inferiore al patrimonio netto contabile. In tale ambito gli amministratori devono ricercare le ragioni delle eventuali differenze che potrebbero emergere tra le valutazioni “esterne” e il risultato al quale giunge la procedura di impairment. Tale analisi deve essere compiutamente documentata nell’ambito di tale procedura.
Gli indicatori di impairment di origine interna, invece, sono i seguenti:
a. una evidente obsolescenza o il deterioramento fisico di un’attività;
b. significativi cambiamenti sfavorevoli della misura o del modo di utilizzo dell’attività. Tali cambiamenti possono riguardare, ad esempio, un’attività che diventa inutilizzata, eventuali piani di dismissione o di ristrutturazione del settore operativo al quale l’attività appartiene;
c. il sistema informativo interno che segnala, con riferimento all’esercizio dell’attività, risultati effettivi sensibilmente inferiori rispetto a quelli attesi.


Concetto di “valore recuperabile”
Il valore recuperabile (recoverable amount) è definito come il maggiore tra:
1) il fair value dell’attività meno i costi di vendita (fair value less costs to sell);
2) il valore d’uso (value in use).
La prima configurazione di valore è espressione dell’importo ottenibile dalla vendita dell’attivitaÌ in una libera transazione tra parti consapevoli e disponibili, dedotti i costi legati alla dismissione.
Il value in use, invece, rappresenta il valore attuale dei flussi finanziari futuri netti derivanti dall’utilizzo continuativo dell’attività e dalla sua dismissione finale.
In sostanza, si tratta di due configurazioni di valore, ciascuna delle quali esprime una diversa prospettiva valutativa:
- la stima del fair value less costs to sell si basa su aspettative dei partecipanti del mercato;
- la stima del value in use si basa su aspettative della specifica impresa.
Pertanto, se il valore contabile di un’attività eÌ maggiore del valore che può essere recuperato mediante il suo utilizzo o la vendita, l’impresa deve rilevare in bilancio una perdita di valore (impairment loss) di importo pari a tale eccedenza. Tuttavia, non sempre è necessario calcolare entrambi i parametri valutativi al fine di verificare l’eventuale perdita di valore di un’attività. Infatti, se uno dei due risulta già superiore al valore contabile, ciò significa che non c’è perdita di valore e che non è necessario calcolare anche il valore d’uso.

Criterio del fair value less costs to sell
Per quanto riguarda il calcolo del fair value dedotti i costi di vendita, la migliore evidenza di esso è il prezzo pattuito in un accordo vincolante di vendita (binding sale agreement) in una operazione fra parti indipendenti, rettificato dei costi marginali direttamente attribuibili alla dismissione del bene (es.: spese per mediazioni a carico del venditore). Se, per quel determinato cespite, non vi è alcun accordo vincolante di vendita, ma esso è commercializzato in un mercato attivo, il valore ricercato è pari al prezzo corrente di mercato (alla data di riferimento della valutazione) al netto dei costi di dismissione. Se il prezzo corrente non è disponibile si deve far ricorso al prezzo della transazione più recente, purché non siano intervenuti significativi cambiamenti nel contesto economico fra la data dell’operazione e la data di riferimento della stima. Se non esistono neÌ un accordo vincolante di vendita neì un mercato attivo, va stimato (in base alle migliori informazioni disponibili) il prezzo ottenibile in una libera contrattazione fra parti consapevoli e disponibili, al netto dei costi di dismissione, tenendo conto dei risultati di transazioni per beni analoghi effettuate all’interno dello stesso settore industriale.


Criterio del value in use
Il valore d’uso è il valore attuale dei flussi finanziari futuri netti che la singola attività (o l’unità generatrice di flussi finanziari nella quale essa è inserita) è in grado di generare durante la sua prevista vita utile, più il valore attuale del flusso finanziario netto derivante dalla dismissione del cespite (o della CGU) alla fine della vita utile. Occorre, dunque, procedere alla stima dei flussi finanziari futuri in entrata ed in uscita che derivano dall’uso continuativo del cespite (o del complesso di cui fa parte) e dalla sua dismissione finale ed all’applicazione a quei flussi di un tasso di attualizzazione appropriato. Nel calcolo del valore d’uso occorre tener conto dei seguenti elementi:
a) stima dei flussi finanziari futuri generati dal cespite considerato;
b) aspettative in merito a possibili variazioni dell’importo o del tempo di verificazione dei flussi;
c) valore temporale del denaro misurato come tasso corrente d’interesse privo di rischio;
d) prezzo per l’assunzione del rischio connesso all’incertezza implicita nell’utilizzo del cespite (riguardante in particolare l’ampiezza e la collocazione temporale dei flussi finanziari);
e) altri fattori di rischio, connessi all’utilizzo di quel determinato cespite o se si tratta di una CGU (es.: un’azienda), che tengano conto dei rischi che si affrontano nello svolgimento dell’attività (es.: rischio specifico del settore in cui opera l’azienda, rischio connesso alle dimensioni ridotte rispetto a quello delle imprese concorrenti quotate alle quali sono riferiti i parametri del mercato finanziario, rischio di illiquidità implicito nella non quotazione in borsa, ecc.).
L’elemento riguardante l’incertezza nell’ampiezza dei flussi finanziari, che assume un’importanza fondamentale, può essere considerato o riducendo opportunamente i flussi finanziari futuri o incrementando il tasso di attualizzazione. L’importante è non duplicare l’effetto rettificando sia i flussi che il tasso. Comunque, il risultato deve riflettere il valore attuale atteso dei flussi, ossia la media ponderata dei risultati prevedibili nei diversi scenari futuri che possono essere prospettati.


Criteri di stima dei flussi finanziari futuri
Nel calcolare i flussi finanziari futuri, deve essere tenuto in conto che:
1) la stima dei flussi deve essere basata su presupposti ragionevoli e sostenibili e deve rappresentare la miglior stima della direzione aziendale di una serie di condizioni economiche che esisteranno per tutta la restante vita utile del cespite, dando maggior peso alle evidenze provenienti dall’esterno;
2) occorre effettuare, in base ai più recenti budgets o piani pluriennali approvati dalla direzione, proiezioni analitiche per un periodo massimo di cinque anni, o per un periodo maggiore se esso può essere giustificato (es.: in presenza di contratti che prevedono ricavi per commesse a lungo termine di durata superiore). Vanno esclusi i flussi in entrata e uscita relativi a ristrutturazioni o miglioramenti o ottimizzazioni future, per i quali non esiste ancora un obbligo delle imprese di attuarli;
3) per il successivo periodo di vita utile, le proiezioni dei flussi finanziari devono essere basate su un tasso di crescita stabile o in diminuzione rispetto al periodo analitico (o anche pari a zero o negativo), che non deve eccedere il tasso medio di crescita a lungo termine per la produzione, i settori industriali, il Paese o i Paesi in cui l’impresa opera o per il mercato in cui il cespite è inserito (a meno che sia possibile fornire una adeguata giustificazione dell’utilizzo di un più alto tasso di crescita).
I flussi da stimare devono includere:
a) i flussi in entrata derivanti dall’uso continuativo del cespite;
b) i flussi in uscita che eÌ necessario sostenere per ottenere i flussi in entrata;
c) i flussi finanziari netti che saranno percepiti (o pagati) per la dismissione finale del cespite, al termine della sua vita utile.
I flussi in uscita devono includere quelli per la manutenzione ordinaria del cespite e la quota di spese generali future direttamente attribuibili al cespite medesimo (o alla CGU). Se si tratta di un cespite non ancora pronto per l’uso o per la vendita, occorre stimare anche i flussi in uscita che si verificheranno fino a che esso non sarà pronto per l’uso o per la vendita (es.: un edificio in costruzione o un progetto di sviluppo non ancora completato).
I flussi in entrata ed uscita non devono comprendere i seguenti:
? quelli derivanti da crediti e debiti già rilevati in bilancio (es.: crediti verso i clienti, debiti verso fornitori, fondi per rischi ed oneri, passività per pensioni, ecc.);
? i flussi in entrata o uscita derivanti da attività di finanziamento (perché il tasso di attualizzazione, come si vedrà è pari al “costo del capitale” e prescinde dall’utilizzo di finanziamenti onerosi ed in generale dalle fonti di finanziamento utilizzate dall’impresa);
? i flussi connessi a pagamenti o rimborsi di imposte (perché il tasso di attualizzazione eÌ al lordo delle imposte dirette).
I flussi devono essere stimati facendo riferimento alle condizioni correnti dei cespiti, senza includere previsioni di entrate ed uscite che deriveranno da future ristrutturazioni alle quali l’impresa non è ancora impegnata (es.: future riduzioni sui costi del personale) o dal miglioramento o dall’ottimizzazione della performance dei cespiti considerati (es.: un incremento della produttività di un impianto).
Le stime dei flussi devono includere, dunque, solo le uscite necessarie per mantenere il livello di benefici economici che si prevede derivino dal cespite nelle sue attuali condizioni (compresa la sostituzione di parti deteriorate o consumate). Nella stima del flusso derivante dalla dismissione del cespite, occorre stimare il fair value al netto dei costi di vendita di cespiti similari usati alla fine della loro vita utile ed utilizzati in condizioni similari a quelle del cespite considerato e tener conto dei futuri aumenti dei prezzi dovuti all’inflazione, se i flussi attualizzati sono flussi nominali al lordo dell’inflazione.
Se si tratta di flussi in valuta, va usato un tasso di attualizzazione adatto alla moneta in cui sono espressi. Si procede poi alla conversione del valore attuale, usando il tasso di cambio a pronti alla data di riferimento del calcolo di valore d’uso.


Tasso di attualizzazione
Il tasso di attualizzazione deve essere un tasso al lordo delle imposte, che rifletta sia il valore temporale del denaro, sia i rischi specifici dell’attività svolta dal cespite o dalla CGU di cui si vuole determinare il valore d’uso. Se del rischio specifico si è invece tenuto conto negli importi dei flussi finanziari netti, il tasso deve essere un tasso d’interesse a medio-lungo termine free- risk (normalmente il tasso dei titoli di Stato a media-lunga scadenza). Il tasso comprensivo della componente rischio deve corrispondere al rendimento richiesto dal mercato per un investimento che genera flussi finanziari di importo, tempistica e rischi equivalenti a quelli che l’impresa prevede si verifichino. Esso viene stimato o attraverso il tasso implicito utilizzato per attività similari nelle contrattazioni correnti di mercato o attraverso il costo medio ponderato del capitale di un’impresa quotata che svolga un’attività similare in termini di servizi e di rischi.
L’Appendice A al Principio IAS 36 “Utilizzo delle tecniche di attualizzazione per la determinazione del valore d’uso” fornisce una serie di criteri applicativi sulla determinazione dei flussi e del tasso di attualizzazione, sia con “l’approccio tradizionale” col quale la componente di rischio viene fatta influire per intero sul tasso, sia con “l’approccio dei flussi finanziari attesi”, nel quale a ciascun importo dei flussi previsti viene associata una probabilità.
In merito alla determinazione del tasso di attualizzazione, nell’ipotesi che venga utilizzato l’approccio “tradizionale” sopra richiamato, la citata “Appendice” precisa quanto segue:
- il tasso d’interesse prescelto non deve riflettere rischi già considerati attraverso una rettifica dell’importo dei flussi finanziari;
- il tasso da stimare deve tener conto sia del valore temporale del denaro, sia dei seguenti elementi di rischio: aspettative di possibili variazioni dell’importo e della tempistica dei flussi finanziari; oneri per l’impresa connessi all’incertezza implicita nell’utilizzo del cespite o dell’unitaÌ generatrice di flussi finanziari; altri fattori che gli operatori di mercato rifletterebbero nella misurazione dei flussi futuri, come ad esempio la mancanza di liquidità. Nell’approccio alternativo dei “flussi finanziari attesi”, tutti i fattori indicati comportano una rettifica dei flussi attraverso il calcolo della loro media aritmetica ponderata;

- quando il tasso specifico non eÌ disponibile direttamente dal mercato, occorre adottare, come punto di partenza per la stima del tasso di attualizzazione, o il costo medio ponderato del capitale per l’impresa (“WACC”) con l’uso della tecnica del Capital Asset Princing Model (“CAPM”), o il tasso di finanziamento marginale dell’impresa o altri tassi di finanziamento reperibili sul mercato;
- il tasso scelto in prima approssimazione deve essere rettificato per tener conto dei rischi legati al Paese (se il cespite è utilizzato in un Paese con un rischio significativo), alla valuta (se vi è un rischio di cambio da considerare) ed al prezzo (se vi è un rischio finanziario di variabilità dei prezzi di mercato o dei tassi d’interesse. Ciò può riguardare, ad esempio, attività finanziarie come titoli di debito, quotati o non quotati). La rettifica deve anche essere operata per escludere dal tasso di prima approssimazione rischi non pertinenti ai flussi finanziari generati dal cespite considerato o rischi di cui si è già tenuto conto rettificando i flussi
- il tasso di attualizzazione è indipendente dalla struttura del capitale dell’impresa e dal modo con cui essa ha finanziato l’acquisto del cespite considerato;
- se nei vari esercizi di previsione dei flussi vi sono sensibili differenze di rischio o condizioni differenti nella struttura dei tassi, occorre applicare non un solo tasso di attualizzazione bensiÌ piuÌ tassi distinti per esercizi successivi.
Il tasso più utilizzato, specie quando si tratta di calcolare il valore d’uso di CGU costituite da intere aziende o da complessi aziendali, è rappresentato dal WACC, con il ricorso alla metodologia CAPM per la determinazione del costo del capitale proprio.
Il costo medio ponderato del capitale (Wacc) è così determinato:

Wacc = Ke * E/(E+D) + Kd * (1-t) * D/(E+D)

dove:
- Ke è il costo del capitale proprio;
- E è il valore economico del capitale;
- D è il valore economico dei debiti di finanziamento;
- Kd è il costo del capitale di terzi (costo dei debiti finanziari);
- t è l’aliquota fiscale applicata agli oneri finanziari.

Generalmente, il costo del capitale proprio corrisponde al rendimento cui l’azionista rinuncia non investendo i propri mezzi finanziari in attività alternative sotto il profilo del rischio (rischio operativo correlato alle caratteristiche operative del business dell’impresa e rischio finanziario connesso alle politiche di indebitamento). Il costo del capitale proprio si identifica quindi nel rendimento atteso da impieghi alternativi confrontabili sul piano del rischio.
Il CAPM è il metodo utilizzato per stimare il costo del capitale proprio. Secondo tale metodologia, il costo del capitale proprio è calcolato secondo la formula che segue:

Ke = rf + β * (rm– rf)

dove:
- rf è il rendimento di un’attivitaÌ risk free;
- ? è il coefficiente di rischiosità sistematica non diversificabile;
- rm è il rendimento atteso del mercato;
- (rm - rf) è il premio per il rischio di mercato.

Normalmente, nella pratica professionale, il costo del capitale proprio Ke viene espresso al netto delle imposte ed il costo dei debiti finanziari Kd viene anch’esso “detassato”, moltiplicandolo per il fattore (1 - t). Tuttavia, secondo il paragrafo 55 del Principio IAS 36, al fine di calcolare il tasso di sconto da utilizzare per attualizzare i flussi finanziari, si deve usare un tasso al lordo delle imposte su flussi finanziari attesi anch’essi al lordo delle imposte. Nell’Appendice A dello IAS 36, che costituisce parte integrante del principio, tale regola viene ribadita (paragrafo 20).
La motivazione dell’utilizzo di un tasso di attualizzazione e di flussi finanziari al lordo delle imposte dipende dalla volontà del Board di escludere dal computo del valore recuperabile gli effetti fiscali futuri delle differenze temporanee. Il Board ha specificato (BC 93) che qualsiasi decisione in merito alla modifica della disposizione che richiede l’attualizzazione dei flussi finanziari al lordo delle imposte a un tasso di attualizzazione al lordo delle imposte, sarebbe stata adottata soltanto dopo che il Board avesse risolto la questione relativa a quale connotazione fiscale attribuire al valore d’uso.
Peraltro, il Principio IAS 36 osserva che concettualmente l’adozione di flussi finanziari ed un tasso di attualizzazione al netto delle imposte dovrebbero produrre lo stesso risultato di quello derivante dall’utilizzo di flussi finanziari e tasso di attualizzazione al lordo delle imposte. Si possono ricondurre i tassi e flussi finanziari al netto delle imposte a tassi e flussi al lordo delle imposte. Il procedimento di riconduzione tuttavia potrebbe non essere semplice, in quanto influiscono sul calcolo la tempistica dei futuri flussi finanziari fiscali e la vita utile dell’attività. Il tasso di attualizzazione al lordo delle imposte non è sempre pari al tasso di attualizzazione al netto delle imposte maggiorato di una aliquota fiscale media, ma potrebbe essere necessario un procedimento di calcolo più complesso.
Infatti, la seguente formula è utilizzabile esclusivamente quando si adotta la formula della rendita perpetua, cioè una capitalizzazione di un flusso annuale senza crescita.

Nel caso in cui il valore recuperabile è ottenuto per capitalizzazione di un flusso di reddito di un solo anno proiettato in perpetuo sulla base di un saggio di crescita “g” il tasso wacc lordo diviene pari a:

Laddove la valutazione considerasse un saggio di crescita nel valore terminale e un periodo di previsione esplicita, il tasso Wacc lordo in grado di restituire lo stesso risultato del tasso wacc netto dovrebbe essere ottenuto sulla base di un processo iterativo.


Rilevazione delle perdite e dei ripristini di valore
Nel caso in cui il valore recuperabile sia inferiore al valore contabile, è necessario iscrivere immediatamente una perdita di valore. In base al Principio IAS 36, occorre rilevare una perdita di valore nel momento in cui essa viene determinata, a prescindere da valutazioni relative al profilo temporale e alla probabilità della perdita.
Nel caso di una singola attività, lo IAS 36 prevede, in linea generale, che la perdita sia iscritta in conto economico.
Tuttavia, per le attività che sono valutate a “valore rivalutato”, la svalutazione deve essere iscritta come riduzione della riserva di rivalutazione iscritta nel patrimonio netto fino a concorrenza della stessa e poi eventualmente nel conto economico per la differenza residua.
Ad esempio, lo IAS 16 prevede, con riferimento alle attività materiali valutate con il criterio del valore rivalutato, l’applicazione del c.d. trattamento asimmetrico con obbligo di riassorbimento. Tale trattamento si definisce asimmetrico poiché, in linea generale, i plusvalori sono trattati in conto capitale (con effetti, pertanto, solo sul patrimonio netto) e i minusvalori, invece, sono addebitati al Conto economico.
Tuttavia, in virtù della previsione dell’obbligo di riassorbimento, la perdita di valore non va sempre e comunque addebitata in conto economico, bensì trattata in conto capitale fino ad azzeramento della riserva di rivalutazione e solo per la parte eccedente iscritta in conto economico.
Infine, l’iscrizione della perdita implica la rilevazione delle connesse attività fiscali differite e con riferimento ai beni ammortizzabili, la rettifica delle quote di ammortamento negli esercizi successivi, al fine di adeguarle al nuovo valore contabile e/o alla nuova vita utile residua del bene.
Successivamente alla rilevazione della perdita di valore, l’impresa deve verificare ad ogni data di bilancio, qualora esistano indicazioni che i fattori che avevano giustificato la precedente svalutazione siano venuti meno e che la perdita si sia ridotta o annullata.
Gli indicatori del possibile ripristino di valore di un’attività, rispecchiano fondamentalmente le fonti informative già utilizzate per accertare i sintomi di impairment.
La misura del valore ripristinato di un’attività diversa dall’avviamento, tuttavia, non può eccedere l’importo del valore contabile che sarebbe stato determinato, al netto di svalutazioni e ammortamenti, qualora non fosse stata rilevata la svalutazione negli esercizi precedenti.
Anche il ripristino di valore deve essere rilevato immediatamente a conto economico, a meno che si tratti di attività rivalutate al fair value (in base agli IAS 16 o 38); pertanto, qualora la precedente svalutazione dell’attività rivalutata non sia stata imputata a conto economico, il ripristino è considerato ad incremento della riserva di rivalutazione.
Il ripristino di valore è comunque vietato con riguardo al goodwill, in virtù del forte rischio che la crescita di valore sia legata all’avviamento internamente generato e non già allo storno di una precedente svalutazione.
In ogni caso, la vita utile, il valore residuo e il metodo di ammortamento devono essere riconsiderati, anche se non si procede ad alcun ripristino del valore del cespite.


Determinazione delle Cash Generating Units
Il Principio IAS 36 prevede nel caso in cui non sia possibile stimare il valore recuperabile di una singola attività, che l’entità debba determinare il valore recuperabile della CGU alla quale l’attività appartiene.
La CGU è il più piccolo gruppo di attività in grado di generare, a seguito del suo utilizzo continuativo, autonomi flussi di entrate indipendenti dai flussi finanziari generati dagli altri assets. Pertanto, si richiede che le CGU debbano essere determinate al livello più basso possibile di aggregazione delle attività (intese come singoli elementi).
Lo IAS 36 afferma, in particolare, che il valore recuperabile di un singolo asset non può essere determinato, se sussistono congiuntamente le due seguenti condizioni:
a) il valore d’uso è significativamente diverso dal fair value meno i costi di vendita;
b) il cespite non è in grado di generare autonomamente flussi finanziari che siano indipendenti da quelli derivanti da altri cespiti.
Ciò si verifica sempre per l’avviamento e per le attività aziendali gestite centralmente (corporate assets, come l’immobile adibito a sede sociale), ed in molti altri casi per le attività materiali ed immateriali, che solo in alcune specifiche ipotesi sono in grado di generare singolarmente flussi finanziari autonomi e distinti.
L’impossibilità di determinare il valore d’uso autonomamente comporta la necessità di fare ricorso ad un’unità di livello superiore, la CGU, per la quale è possibile stimare tale parametro.
L'identificazione delle CGU rappresenta un aspetto critico dell'impairment test. Essa deve rispondere alle modalità con cui il top management monitora le attività operative e assume le decisioni di investimento/disinvestimento.
L'indicatore principe da seguire nell'identificare le CGU è rappresentato dalla capacità di generare flussi di cassa in entrata in forma largamente indipendente
Alcune considerazioni che possono portare a tale identificazione, ad esempio, possono essere:
- l’organizzazione del sistema informativo impostato dalla direzione dell’impresa per misurare i risultati conseguiti dai vari settori componenti il processo gestionale (in coerenza con l’IFRS 8);
- la suddivisione della gestione dell’impresa in elementi diversificati in base a criteri di dislocazione geografica, di separazione fisica, di diversificazione delle responsabilità assegnate per il raggiungimento dei risultati desiderati;
- la differenziazione dei mercati, della clientela, della tipologia dei prodotti e/o servizi forniti dall’impresa.
Un’ulteriore disposizione dello IAS 36 che ha effetto sulla identificazione della minima CGU è riportata al paragrafo 70, il quale prevede, nel caso in cui esista un mercato attivo per il prodotto di un’attività o di un gruppo di attività, che esso sia identificato come CGU (anche qualora tutti i prodotti o alcuni di essi siano usati internamente).
Nella declinazione pratica, l’identificazione di una CGU implica una certa discrezionalità da parte del redattore di bilancio e richiede un’adeguata interpretazione. In particolare, per quanto concerne il livello di dettaglio delle CGU, le indicazioni del principio comportano un trade-off tra un’esigenza di analisi ed una di sintesi.
Informazioni integrative
Con riferimento alla disclosure, le norme previste dal Principio IAS 36 prevedono in sostanza almeno i seguenti elementi fondamentali:
(i) definizione delle CGU ed allocazione dell’avviamento alle singole CGU (o gruppi di CGU);
(ii) illustrazione del criterio di stima del valore recuperabile, quando questo si basa sul valore d'uso;
(iii) illustrazione del criterio di stima del valore recuperabile, quando questo si basa sul fair value;
(iv) descrizione dell’analisi di sensitività del risultato dell’impairment test rispetto alle variazioni degli assunti di base;
(v) considerazioni in ordine alla presenza di indicatori esterni di perdita di valore in assenza di svalutazioni degli attivi a seguito della procedura di impairment.
(i) Definizione delle CGU ed allocazione dell’avviamento alle CGU. In conformità con i punti (a) e (b) del paragrafo 134, IAS 36, le società devono indicare il valore contabile dell'avviamento (e delle attività immateriali a vita utile indefinita) attribuito alle singole CGU.
(ii) Valore d’uso. Nelle note al bilancio occorre illustrare il criterio adottato per la determinazione del valore recuperabile (valore d’uso e fair value dedotti i costi di vendita). Quando il valore recuperabile è basato sul valore d'uso, devono essere fornite le informazioni prescritte dal paragrafo 134 lett. (d) del Principio IAS 36 (descrizione degli assunti di base su cui gli amministratori hanno fondato le proiezioni dei flussi finanziari per il periodo oggetto di budget/previsioni più recenti, indicando se questi valori riflettono l’esperienza passata, se sono coerenti con le fonti esterne di informazione e, in caso negativo, come e perché differiscono dalle esperienze passate o dalle fonti esterne di informazione, l’arco temporale considerato dagli amministratori ai fini della determinazione dei flussi di cassa analitici, il tasso di crescita utilizzato per estrapolare le proiezioni di flussi finanziari oltre il periodo coperto dai piani previsionali, il criterio utilizzato per la determinazione del valore terminale, il/i tasso/i di sconto applicato/i alle proiezioni di flussi finanziari.
(iii) Fair value dedotti i costi di vendita. Quando il valore recuperabile è basato sul fair value, dedotti i costi di vendita, devono essere fornite le informazioni richieste dal paragrafo 134 lett. (e) del Principio IAS 36 (metodologia utilizzata per stimare il fair value e le relative fonti)
(iv) Analisi di sensitività. Il paragrafo 134 lett. (f) del Principio IAS 36 richiede di fornire le informazioni in merito all’analisi di sensitività se un cambiamento al valore di uno degli assunti di base potrebbe determinare un valore recuperabile inferiore al valore contabile delle CGU. In tal caso, occorre indicare:
- l’eccedenza del valore recuperabile della CGU rispetto al valore contabile;
- il valore assegnato agli assunti di base;
- la variazione del valore assegnato agli assunti di base che, dopo aver considerato le eventuali modifiche indotte da tale cambiamento sulle altre variabili utilizzate, rende il valore recuperabile della CGU pari al suo valore contabile.
(v) In merito alle informazioni da fornire in bilancio, Banca d’Italia, Consob ed Isvap nel Documento n. 4 del 6 marzo 2010 hanno richiamato l’attenzione degli amministratori sulla necessità di fornire un quadro informativo esauriente quando, pur in presenza di indicatori esterni che segnalano una perdita di valore, la procedura di impairment non conduce ad apportare svalutazioni agli attivi oggetto di valutazione. In presenza di un apprezzamento - da parte del mercato e degli stakeholders esterni all’impresa - difforme da quanto rappresentato dagli amministratori, questi devono fornire un’adeguata informativa sulle ragioni di tali differenze nonché sulla ragionevolezza, coerenza ed attendibilità delle valutazioni svolte.

Peculiarità dell’impairment test sulle partecipazioni in controllate, collegate e joint ventures
L’impairment test delle partecipazioni in società controllate, collegate e joint ventures è disciplinato dal Principio IAS 36. Pur tuttavia, gli indicatori di impairment sono gli stessi identificati dal Principio IAS 39 per gli investimenti azionari. A questi è stato aggiunto, da un recente emendamento dello IAS 36, un ulteriore elemento (IAS 36 par. 12 lett. (h)) rappresentato dalla distribuzione di un dividendo da parte della partecipata e dal contestuale verificarsi di due circostanze:
i) il valore contabile dell'investimento nel bilancio separato eccede il valore di carico delle attività nette della partecipata (incluso l’avviamento);
ii) il dividendo eccede il reddito della partecipata.
Per quanto attiene alle partecipazioni di controllo, va rilevato che l’impairment test nel bilancio separato deve essere riconciliato con l’impairment test dell’avviamento nel bilancio consolidato, laddove nel bilancio consolidato sia iscritto un avviamento generato dall’acquisizione delle controllate. In questi casi, poiché l’impairment test dell’avviamento nel bilancio consolidato deve essere realizzato con cadenza almeno annuale, l’impairment test delle partecipazioni di controllo nel bilancio separato è strettamente correlato all’impairment test del avviamento del bilancio consolidato.
Per ciò che concerne le partecipazioni di collegamento, contabilizzate sulla base dell’equity method nel bilancio consolidato, il Principio IAS 28 stabilisce che i fattori di presunzione di impairment siano i medesimi definiti per le attività finanziarie disciplinati dal Principio IAS 39.
Poiché l’avviamento relativo alla partecipazione in una collegata non è rilevato separatamente, questo non viene sottoposto separatamente a verifica per riduzione di valore. L’intero valore contabile della partecipazione, invece, è sottoposto ad impairment test ai sensi dello IAS 36 come attività singola tramite il confronto tra il suo valore recuperabile (il più elevato tra il valore d’uso e il fair value al netto dei costi di vendita) e il suo valore contabile, ogniqualvolta vi è evidenza di possibile riduzione di valore della partecipazione.
Il Principio IAS 28 precisa anche che, nel determinare il valore d’uso dell’investimento, si debbano stimare alternativamente:
(a) la quota di valore attuale di futuri cash flow attesi generabili dalla collegata, includendo i cash flow operativi della collegata e il flusso ricavabile dalla cessione dell'investimento;
(b) il valore attuale dei futuri flussi di cassa attesi nella forma di dividendi e dalla cessione della partecipazione.
Secondo il Principio IAS 28 entrambi i metodi dovrebbero fornire il medesimo risultato qualora si utilizzino ipotesi corrette. Lo standard setter sembrerebbe dunque accogliere il principio della irrilevanza della politica dei dividendi di Modigliani Miller, in quanto qualunque sia la politica dei dividendi (nel periodo di previsione esplicita) della partecipata di collegamento, il suo valore non dovrebbe variare.
Per quanto riguarda, infine, le partecipazioni a controllo congiunto si applicano le stesse disposizioni previste dallo IAS 28 per le partecipazioni di collegamento.

Impairment test delle attività finanziarie - rinvio
Differentemente da quanto accade per le partecipazioni in società controllate, collegate e joint ventures, le attività finanziarie diverse da tali partecipazioni sono sottoposte ad impairment test in conformità alle disposizioni del Principio IAS 39 “Strumenti finanziari: Rilevazione e valutazione” e non del Principio IAS 36.
I paragrafi 58-70 del Principio IAS 39 regolano, per tutte le categorie di attività finanziarie, a eccezione di quelle misurate a Fair value through profit and loss, la procedura di impairment test.
In particolare, ai sensi del paragrafo 58 del Principio IAS 39 occorre valutare alla data di chiusura di ciascun esercizio se vi è qualche obiettiva evidenza che un’attività finanziaria o un gruppo di attività finanziarie abbia subito una riduzione di valore. In caso positivo vanno applicate le differenti regole previste per le attività (i) disponibili per la vendita (cioè le attività iscritte a fair value con variazioni rilevate direttamente a patrimonio netto), (ii) al costo ammortizzato ed (iii) al costo.
(i) Nel caso di attività finanziarie disponibili per la vendita (Available for sales) il test è finalizzato a stabilire se la variazione intervenuta fra il costo di acquisizione ed il fair value corrente, al netto di eventuali altre impairment losses, è recuperabile o se, al contrario, debba registrarsi una riduzione di valore dell'attività. Se tale differenza è giudicata non recuperabile la perdita cumulata iscritta in nella riserva di capitale va riversata a Conto economico.
(ii) Nel caso di attività finanziarie iscritte al costo ammortizzato l’impairment test è invece finalizzato a stabilire se il valore stimato dei futuri cash flow, scontati al tasso effettivo di interesse originario, sia inferiore al valore contabile dell'attività. Se il valore attuale, calcolato al tasso originario, dei nuovi cash flow attesi è inferiore al valore di carico, si deve registrare una perdita di valore e iscriverla in Conto economico.
(iii) Se l'attività è iscritta al costo, l’impairment test si fonda sulla stima del valore attuale dei flussi attesi al tasso corrente dì mercato.

Principi contabili nazionali - Rinvio
Le linee generali del Principio IAS 36 possono essere applicate anche alle imprese italiane che redigono i bilanci con i principi contabili nazionali. Ciò in quanto l’art. 2427 n. 3 bis del Codice Civile stabilisce che, in ipotesi di rilevazione di perdite durevoli di valore sulle immobilizzazioni materiali ed immateriali, le imprese devono determinare l’importo di tali perdite in base a tre parametri costituiti dal “concorso alla futura produzione di risultati economici”, dalla “prevedibile durata utile”, e, per quanto rilevante, dal “valore di mercato”.
In sostanza, le perdite durevoli di valore devono essere determinate in base a tali elementi, i quali corrispondono sostanzialmente, nell’ordine: a) ai flussi finanziari netti che gli elementi delle immobilizzazioni materiali ed immateriali sono in grado di generare, per tutta la loro prevista vita utile, da soli o congiuntamente ad altri; b) al loro fair value, essendo il “valore di mercato” l’espressione in lingua italiana corrispondente al concetto di “fair value” dello IAS 36.


Bibliografia
IASB, IAS 36 “Impairment test”.
BANCA D'ITALIA/Consob/Isvap, Documento n. 4 del 3 marzo 2010 “Esercizi 2009 e 2010 - Informazioni da fornire nelle relazioni finanziarie sugli impairment test, sulle clausole contrattuali dei debiti finanziari, sulle ristrutturazioni dei debiti e sulla gerarchia del fair value”.
Organismo Italiano di Contabilità, “Applicazione 2 - Impairment e avviamento”.
GUATRI L. e  BINI M., “L’impairment test nell’attuale crisi finanziaria e dei mercati reali” ed. EGEA.


Redattori: Gianluca VITTORIOSO, Silvana ANCHINO
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