GOLDEN POWER
Tipo voce : Voci enciclopediche
Categorie: Regolamentazione e vigilanza | Sistema finanziario | Strumenti e mercati finanziari
Abstract
Con il termine golden power ci si riferisce ai poteri speciali dello Stato sugli assetti societari strategici, i quali trovano la propria origine nel passaggio dall’esercizio dell’attività imprenditoriale da parte della mano pubblica alla privatizzazione delle imprese pubbliche, con l’introduzione di varie normative nazionali – note come golden shares – volte al mantenimento in capo allo Stato della facoltà di intervenire sulla gestione di tali società. L’attuale conformazione dei poteri speciali nell’ordinamento italiano - i c.d. golden powers di cui al d. l. 21/2012 - prevede una differente gradazione di tali poteri in relazione al settore ed ai destinatari su cui essi incidono. Volgendo lo sguardo al contesto europeo ed internazionale, è possibile osservare come lo stesso sia divenuto progressivamente più sensibile alla tematica in esame in seguito all’aumento degli investimenti esteri in società strategiche da parte di fondi sovrani e imprese pubbliche, specie di nazionalità cinese.
1. Introduzione
La tematica dei poteri speciali dello Stato sugli assetti societari strategici affonda le proprie radici nella cd. “stagione delle privatizzazioni”, durante la quale gli Stati nazionali hanno ceduto ai privati la proprietà di numerose imprese pubbliche, anche di quelle esercenti attività considerate strategiche in virtù del settore di operatività (es. difesa e servizi pubblici essenziali). Tale pratica è invalsa sulla scia del Washington consensus, il quale ha determinato un nuovo ripensamento circa l’intensità dell’intervento pubblico nell’economia.
Segnatamente in riferimento a tali società strategiche, diversi Stati europei, tra cui l’Italia, hanno introdotto varie normative nazionali, note come golden shares, volte al mantenimento in capo allo Stato della facoltà di intervenire sulla gestione di siffatte società al fine di mantenerne de facto il controllo anche in seguito alla cessione ai privati.
Tali disposizioni, secondo la Commissione Europea, costituivano una violazione del principio di non discriminazione, della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali.
Pertanto, vi fu un’annosa saga giudiziaria tra numerosi Stati membri e Commissione e Corte di Giustizia dell’Unione europea, i cui esiti permettono di enucleare i requisiti cui siffatte normative devono attenersi per essere considerate compatibili con il diritto UE.
2. La disciplina nazionale
L’attuale conformazione dei poteri speciali nell’ordinamento italiano, i c.d. golden powers di cui al d. l. 21/2012, costituisce la derivazione della cd. golden share di cui al d. l. 332/1994. Tra le due normative vi è una differenza di fondo, in quanto in precedenza i poteri speciali venivano inseriti sotto forma di clausole statutarie negli statuti di singole società con deliberazione assembleare prima della perdita del controllo pubblico sulle stesse, mentre dal 2012 i poteri speciali trovano compiuta definizione a livello normativo e divengono esercitabili nei confronti sia di società pubbliche che di società private, purché operanti nei cd. settori strategici, in caso di operazioni che costituiscono una minaccia di grave pregiudizio agli interessi essenziali dello Stato.
La normativa distingue tra i settori della difesa e della sicurezza nazionale (art. 1) e i settori di energia, trasporti e telecomunicazioni (art. 2), prevedendo una differente gradazione dei poteri speciali sia sotto il profilo soggettivo, in merito ai soggetti su cui essi incidono, sia da un punto di vista oggettivo, in relazione alla gradazione di tali poteri. Per quanto concerne gli aspetti procedurali, l’esercizio dei poteri speciali da parte del Governo è scandito da brevi termini decadenziali e si basa sulla notifica da parte delle società strategiche delle operazioni rientranti nell’ambito applicativo della disciplina de qua, cui segue un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.) di esercizio ovvero di non esercizio del golden power. In caso di assenza della predetta notifica le operazioni eventualmente compiute sono nulle ed il Governo può altresì ingiungere alla società e all'eventuale controparte di ripristinare a proprie spese la situazione anteriore. Inoltre, salvo che il fatto costituisca reato, chiunque non osservi gli obblighi di tale disciplina è soggetto ad un’ingente sanzione amministrativa pecuniaria.
Dato il forte tecnicismo che contraddistingue siffatta materia, la normativa di dettaglio è demandata a decreti attuativi, i quali assumono la forma giuridica del D.P.C.M. ovvero del Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.). Essi, in particolare, contengono l’indicazione degli asset rientranti nell’ambito di applicazione del golden power, nonché delle operazioni infragruppo che ne sono escluse.
Avverso i provvedimenti adottati nell’esercizio dei poteri speciali è assicurata la tutela giurisdizionale di fronte al T.A.R., con competenza funzionale del T.A.R. Lazio, sede di Roma anche in sede di giurisdizione esclusiva, il quale peraltro giudica con rito abbreviato al fine di garantire la tempestività della decisione, essenziale nel mondo degli investimenti.
In virtù dei summenzionati caratteri, la disciplina de qua sembra compatibile con i dettami del diritto UE e della cd. golden share “virtuosa”, ossia:
- la previsione di tale normativa in un preciso testo normativo;
- l’applicazione della stessa senza discriminazioni in ragione della nazionalità;
- la sua giustificazione in virtù di motivi imperiosi di interesse pubblico, riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte;
- il rispetto del principio di proporzionalità, in quanto idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito senza andare oltre, senza che vi siano possibilità meno invasive per tutelare gli anzidetti interessi;
- la discrezionalità che lo Stato mantiene è rigorosa e ben definita, in ragione del fatto che sono fissati “criteri stabili, obiettivi e resi pubblici”, le “circostanze specifiche e obiettive” e i “tempi e modalità precisi” suscettibili di consentire l’esercizio di tali poteri speciali solo in caso di “minaccia effettiva e sufficientemente grave” ai suddetti interessi generali;
- la previsione di un regime di opposizione successivo;
- la formale motivazione dei provvedimenti che ne costituiscono applicazione;
- la sottoposizione ad un efficace controllo giurisdizionale dei provvedimenti d’esercizio dei poteri speciali.
Dalla conformazione della normativa golden power si evince la sua derivazione dalla disciplina statunitense, la quale affida al Committee on Foreign Investment in the United States (CFIUS) pregnanti poteri di controllo sugli investimenti esteri nei settori strategici.
Nonostante la normativa italiana sia piuttosto giovane, sulla stessa sono già intervenute numerose modifiche: nel 2017 il golden power è stato esteso ai settori c.d. “ad alta intensità tecnologica”, come le infrastrutture finanziarie, mentre è stata modificata la disciplina procedurale dei settori originari.
In seguito, nel 2019 vi è stata l’inclusione della tecnologia 5G nei settori della difesa e della sicurezza nazionale di cui all’art. 1 del d. l. 21/2012, sebbene la disciplina dei poteri speciali nei confronti delle operazioni aventi ad oggetto le reti di quinta generazione sia stata inserita nel novello art. 1-bis, nonché l’estensione dell’operatività del golden power alla sicurezza nazionale cibernetica e il coordinamento con il Regolamento (UE) 2019/452, il quale ha istituito un quadro per il controllo degli investimenti diretti esteri nell'Unione.
Inoltre, nel 2020, al fine di contrastare gli effetti della tristemente nota emergenza epidemiologica da COVID-19, la disciplina in esame ha subito una nuova – nonché, probabilmente, la più incisiva – modifica: il suo ambito di applicazione, invero, ha subito un incremento sia sotto il profilo soggettivo, in merito ai soggetti su cui essa incide, sia da un punto di vista oggettivo, in relazione alle modalità ed ai settori di applicazione.
Alle predette modifiche legislative è stato associato uno spasmodico incremento dell’esercizio dei poteri speciali, sebbene gli stessi siano stati finora utilizzati dall’esecutivo con notevole parsimonia: difatti, vi è stato un solo caso di divieto totale nei confronti di un’operazione, mentre negli altri casi sono state imposte soltanto specifiche condizioni e prescrizioni ai soggetti interessati.
Così come è congegnato, il solo golden power – probabilmente - non è sufficiente a garantire la tutela delle società strategiche e, pertanto, al fine di assicurare una migliore tutela contro le scalate ostili, potrebbe essere efficacemente affiancato da un istituto già presente nel nostro ordinamento, ossia il voto maggiorato, il quale permette di inserire negli statuti delle società quotate una clausola attributiva di un diritto di voto doppio rispetto all’entità della partecipazione detenuta agli azionisti in possesso del titolo azionario continuativamente da almeno due anni, maggiorazione che decadrà una volta ceduta la partecipazione azionaria.
3. Il contesto europeo ed internazionale
Volgendo l’attenzione al contesto europeo ed internazionale nella materia de qua, è possibile osservare come lo stesso sia divenuto progressivamente più sensibile alla tematica in esame in seguito all’aumento degli investimenti esteri in società strategiche da parte di fondi sovrani e state owned enterprises (SOEs), le cui ingenti operazioni finanziarie possono nascondere motivazioni politiche avulse dalle logiche di mercato, con la conseguente necessità di tutelare gli interessi essenziali dello Stato ospite.
In particolare, gli Stati nazionali hanno modificato e/o adottato normative di controllo degli investimenti esteri al fine di proteggere i propri “campioni” dalla strategicità del capitalismo di stato cinese reso evidente dall’incremento delle acquisizioni da parte di società cinesi di società strategiche estere.
Il ricorso alla propria legislazione interna da parte di singoli Stati è dovuto all’assenza, nel quadro normativo europeo ed internazionale in materia di investimenti esteri diretti, di una specifica disciplina a tutela delle legittime preoccupazioni degli Stati ospiti. La normativa europea, invero, si limita a consentire delle deroghe alle libertà fondamentali per ragioni eccezionali, mentre sul piano internazionale sono previste delle clausole generiche, quali la tutela degli interessi essenziali, la forza maggiore e lo stato di necessità. Segnatamente a livello dell’Unione europea, tradizionalmente aperta agli investimenti esteri, la predetta massiccia irruzione sul mercato globale di fondi sovrani e SOEs – specie cinesi – ha determinato una maggiore attenzione verso la salvaguardia dei propri interessi essenziali, culminata con la Proposta della Commissione circa un Regolamento in materia di investimenti esteri diretti.
All’adozione del predetto Regolamento (UE) 2019/452 si è pervenuti in lasso di tempo relativamente breve, peraltro senza ingenti emendamenti. Un risultato affatto scontato, se si considera la storica ritrosia degli Stati membri rispetto alla rinuncia a parte delle loro prerogative circa il controllo degli investimenti esteri diretti e alla condivisione di informazioni riservate.
Sebbene tale Regolamento sia stato adottato unicamente sulla base della competenza esclusiva dell’Unione europea in tema di investimenti esteri diretti, sancita dall’art. 207 TFUE, esiste un’altra norma che avrebbe potuto essere all’uopo utilizzata, ossia l’art. 64 TFUE, par. 2, il quale prevede la possibilità di adottare mediante la procedura legislativa ordinaria le misure volte “a conseguire, nella maggior misura possibile e senza pregiudicare gli altri capi dei trattati, l'obiettivo della libera circolazione di capitali tra Stati membri e paesi terzi”.
Il Regolamento non contiene un’esplicita elencazione dei settori rilevanti ai fini della sua applicazione, i quali sono pertanto desumibili dall’enumerazione esemplificativa - di cui all’art. 4, par. 1 - degli asset la cui incisione da parte dell’investimento estero diretto può essere valutata dagli Stati membri e dalla Commissione al fine di determinare se l’investimento influenzi la sicurezza o l’ordine pubblico. Tali asset sono largamente coincidenti con i settori originariamente oggetto della predetta disciplina italiana, con alcune aggiunte e/o specificazioni, ad esempio “il trattamento o l'archiviazione di dati” e“l'intelligenza artificiale”.
La peculiarità del Regolamento consiste nell’assenza di qualsivoglia obbligo per gli Stati membri di adottare un meccanismo di screening degli investimenti esteri diretti, in quanto esso si limita a stabilire dei requisiti minimi cui le normative in materia eventualmente adottate dagli Stati membri devono uniformarsi.
L’apparente ridotta efficacia del predetto meccanismo di “soft harmonization” del Regolamento è controbilanciata dalla creazione di un sistema di cooperazione istituzionalizzata tra gli Stati membri e tra essi e la Commissione, il quale, grazie alla convergenza delle procedure di controllo nazionali e all’inevitabile scambio di informazioni e best practices tra gli Stati membri, ha lo scopo di creare un modello comune di controllo degli investimenti esteri diretti.
La rapidità con cui si è giunti all’adozione del Regolamento e il costante incremento degli investimenti esteri nei settori strategici consentono di affermare che tale normativa costituisce un primo passo verso un inedito interventismo dell’Unione europea nel controllo degli investimenti esteri, in un’ottica diametralmente opposta alla predetta iniziale apertura agli stessi, manifestata sin dalla sua creazione.
4. Conclusione
Dalle considerazioni suesposte emerge l’evidenza di una ciclicità nella gradazione dell’intervento pubblico nell’economia, nonché le indiscutibili qualità, le zone d’ombra e le prospettive future dell’approccio interno, europeo ed internazionale verso un tema destinato ad accrescere la sua centralità nei prossimi anni.
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Redattore: Federico FIUMARA