DISMISSIONE DEL PATRIMONIO IMMOBILIARE DELLO STATO E DEGLI ENTI PUBBLICI
Fino ai tempi più recenti (inizio anni Ottanta), la gestione del patrimonio immobiliare dello Stato era regolata da una normativa con prevalenti connotazioni di carattere pubblicistico e sociale, con scarsi riferimenti a obiettivi di carattere economico. Con gli anni Novanta si è però affermato un indirizzo politico-legislativo ispirato alla gestione produttiva del patrimonio immobiliare pubblico. Con la legge finanziaria per il 1990 e con il DPEF per gli esercizi 1991-93 è stato per la prima volta previsto, per lo Stato, l’obiettivo di avviare un processo di privatizzazione immobiliare nel più ampio ambito delle cosiddette privatizzazioni dello Stato. In particolare, il predetto DPEF prevedeva, al paragrafo 1.3.2 che “un punto qualificante dell’azione di risanamento della finanza pubblica è il ricorso alla dismissione di una parte dell’ingente patrimonio immobiliare dello Stato ed una profonda revisione delle procedure di gestione dei beni immobili che resteranno di proprietà dello Stato”. Da questo indirizzo politico-legislativo è scaturita una multiforme attività legislativa, che nei paragrafiche seguono è più dettagliatamente descritta. Il tema delle privatizzazioni immobiliari è di grande interesse almeno sotto tre profili: originalità come operazione di Stato; effetti sul bilancio dello Stato; modalità e tempi di realizzazione.
1. Precedenti.
Sotto il primo aspetto, l’operazione ha precedenti antichi, in quanto un intervento analogo fu effettuato oltre un secolo fa, alla nascita dello Stato unitario. Nel 1862, infatti, il Ministro delle finanze Quintino Sella, rilevato che il debito dello Stato cresceva ogni anno in maniera esponenziale a causa dell’accumularsi dei debiti passati e delle ingenti spese militari da affrontare, iniziava la liquidazione, o come allora si diceva “la disammortizzazione”, di vaste proprietà dello Stato non indispensabili per finalità istituzionali. Tali proprietà si componevano innanzitutto dei beni demaniali propriamente detti, appartenenti agli Antichi Stati e della rilevantissima quantità di beni di proprietà di enti soppressi per il rinnovamento politico, fra i quali, innanzitutto, la Cassa Ecclesiastica. Nel decennio 1861-1870 lo stock lordo del debito pubblico risultava quasi triplicato in valore (da 3.105 a 8.871 milioni di lire) e più che raddoppiato rispetto al PIL (dal 45% al 96%). Le esigenze pressanti di copertura della spesa pubblica, l’impossibilità di accrescere il prelievo tributario e l’eccessiva onerosità delle emissioni di titoli pubblici resero indispensabile, quindi, la manovra di finanza straordinaria rappresentata dall’alienazione delle proprietà demaniali. L’esito non favorevole delle prime operazioni di vendita gestite direttamente dallo Stato (60 milioni di lire nel biennio 1862-1863) indusse il Ministro Sella a predisporre un altro disegno di legge (approvato non senza contrasti dal Parlamento il 20 novembre 1864) che autorizzava il Governo a stipulare una convenzione per l’affidamento a terzi delle operazioni di cessione di gran parte dei beni demaniali da alienare; il contratto fu poi stipulato con la Società Anonima per la vendita dei beni del Regno d’Italia, appositamente costituita nel 1864 a Firenze con capitale maggioritario della Società generale di Credito Mobiliare, che, tra l’altro, si impegnò ad anticipare allo Stato subito 150 milioni di lire. Le vendite del patrimonio pubblico consentirono di acquisire al Bilancio dello Stato rilevanti entrate che, nel solo periodo 1864-1869, si ragguagliarono complessivamente ad oltre 900 milioni di lire, pari a circa il 15% dell’intera spesa pubblica del sessennio indicato. Per ottenere risultati analoghi, ai giorni nostri le dismissioni dovrebbero rendere circa 150 milioni di euro.
2. La legge 25.1.1992 n. 35.
Nella legge finanziaria del 1990 furono contabilizzate nel bilancio di previsione del Ministero delle Finanze per l’esercizio 1991 entrate per un totale di 4.600 miliardi per dismissioni immobiliari, peraltro non realizzate. Nella manovra di finanza pubblica per gli anni ‘93-’95, varata nel luglio 1992, furono contabilizzati come fonti di entrata, finalizzate al risanamento della finanza pubblica, 7 mila miliardi per il 1992, 15 mila miliardi per il 1993 ed il 1994, 12 mila miliardi per il 1995 senza però alcuna distinzione di apporto tra la componente mobiliare e quella immobiliare. Il primo intervento legislativo in materia di dismissioni del patrimonio immobiliare dello Stato è rappresentato dalla l. 1992/35 che regolamentava la “Trasformazione degli enti pubblici economici, dismissione delle partecipazioni statali ed alienazione di beni patrimoniali suscettibili di gestione economica”. Tale provvedimento era costituito da solo due articoli di cui l’art. 2 si riferiva alle dismissioni immobiliari e conferiva al Ministro delle Finanze la facoltà di far censire e poi dismettere da società appositamente costituite in base a criteri stabiliti dal CIPE, i beni considerati non indispensabili allo svolgimento delle attività istituzionali dello Stato. Effettuato parzialmente il censimento degli immobili alienabili, nel 1993, su delibera del Consiglio dei Ministri, veniva costituita Immobiliare Italia spa. La società, nata su iniziativa dell’IMI, dell’ENI, della BNL, della Banca di Roma e di altri istituti di credito, pur mettendo immediatamente a punto, d’intesa con il Ministero delle Finanze, una bozza di regolamento di attuazione della legge citata e una bozza di convenzione da sottoporre al Tesoro, incontrò innumerevoli difficoltà nel perseguimento dei suoi obiettivi. Da principio, infatti, furono manifestate perplessità da parte del Ministero delle Finanze in ordine alla convenienza per lo Stato di chiedere (obbligatoriamente a parere del Ministero) anticipazioni di almeno il 50% sul valore dei beni conferiti a Immobiliare Italia per la dismissione in quanto il tasso di interesse applicabile sulle anticipazioni poteva essere più elevato rispetto al normale costo dell’indebitamento a breve dello Stato. Per superare l’ostacolo veniva emanato quindi il d.l. 1994/216 che modificava l’art. 2 della l. 1992/35 nel senso di rendere facoltativo per lo Stato richiedere la citata anticipazione. Nel 1994, mentre si provvedeva agli approfondimenti volti ad emendare le bozze di convenzione, furono prospettate altre perplessità dal Ministero delle Finanze in ordine al conferimento dell’incarico ad Immobiliare Italia, avanzando l’ipotesi che la convenzione costituisse violazione delle norme comunitarie che stabiliscono un divieto alla discriminazione in materia di servizi (artt. 52 e 59 TCE). Anche tale argomento veniva superato da Immobiliare Italia nel corso di vari incontri con i competenti uffici della Comunità, in quanto nel caso in esame andava applicata la deroga di cui all’art. 55 del Trattato per il carattere strettamente fiduciario e quindi necessariamente esclusivo del mandato da conferire. Successivamente sorsero nuovi dubbi in ordine all’avvio delle dismissioni, per la circostanza che le crescenti privatizzazioni di alcuni degli enti pubblici azionisti di Immobiliare Italia (come p.e. l’IMI) potevano far ritenere non rispettata la direttiva CIPE del 31.12.92 che prescriveva che la maggioranza azionaria di Immobiliare Italia dovesse essere riservata ad enti pubblici economici. Un disegno di legge (n. 1365) all’art. 28, eliminava la norma relativa al conferimento dell’incarico ad una società a capitale misto (che doveva essere a maggioranza pubblica), consentendo che della materia potesse occuparsi una società per azioni, e fissava al contempo (art. 36) una serie di ulteriori prescrizioni per agevolare le procedure di dismissioni degli immobili dello Stato. Gli articoli venivano poi stralciati dalla legge finanziaria e inseriti in un altro disegno di legge n. 1365 quater, mai poi approvato dal Parlamento. Vista, pertanto, l’impossibilità oggettiva di addivenire al perfezionamento della convenzione e del conseguente venir meno delle condizioni per mantenere in vita l’iniziativa; considerato inoltre che le mutate condizioni soggettive di alcuni azionisti e il quadro normativo che ha portato alla nascita dei Fondi immobiliari (l. 1994/86), avrebbero comunque imposto un ripensamento delle modalità sino ad allora ipotizzate per procedere all’alienazione del patrimonio dello Stato, Immobiliare Italia nel marzo del 1996 comunicava formalmente al Ministero delle Finanze di rinunciare a proseguire le trattative per la stipula della Convenzione.
3. La l. 23.12.1996 n. 662 (legge finanziaria 1997).
Con l’emanazione della l. 23.12.1996 n. 662, contenente “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica” (Finanziaria 97), viene definitivamente annullato l’originario progetto di dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato in quanto all’art. 3 comma 97 è disposta l’abrogazione dell’art. 2 del d.l. 5.12.1991 n. 386, con. della l. 29.1.1992 n. 35 e del comma 6 dell’art. 32 della l. 23.12.1994 n. 724. Con la stessa legge 1996/662 però si delinea il nuovo quadro normativo di riferimento e le nuove modalità di attuazione delle privatizzazioni dei cespiti immobiliari pubblici. Queste, sinteticamente possono così riassumersi: a) cessione diretta per immobili (l.1996/662, art. 3 comma 99); b) costituzione di Fondi Immobiliari chiusi (l. 1994/86 e l. 1996/662, art. 3, comma 86); c) dismissione di immobili del Ministero della Difesa (l. 1996/662, art. 3 comma 112)
3.a) Cessione diretta degli immobili.
L’art. 3 comma 99 della l. 1996/662 prevede che i beni immobili appartenenti allo Stato non conferiti nei Fondi immobiliari di cui al comma 86 del medesimo articolo (cioè il cui valore catastale non sia superiore a due miliardi), possano essere alienati direttamente dall’Amministrazione Finanziaria mediante asta pubblica, e qualora questa vada deserta, mediante trattativa privata, sulla base del miglior prezzo di mercato. I procedimenti di alienazione saranno curati dagli Uffici dell’Amministrazione Finanziaria della Provincia in cui si trovano i beni o la maggior parte di essi. Il prezzo di vendita, a norma del successivo comma 103, viene determinato dall’Osservatorio del mercato dei valori immobiliari istituito presso il dipartimento del territorio, a seguito di documentate indagini di mercato e tenuto conto dei valori rilevanti all’attualità. Sempre nell’ottica di incentivare dette alienazioni, il legislatore ha anche previsto la possibilità di poter accordare agli acquirenti la rateizzazione del prezzo di vendita, secondo modalità e termini indicati nel comma 104 e sempre che ovviamente ne ricorrano i presupposti ivi stabiliti.
3.b) Costituzione di fondi immobiliari chiusi.
L’art. 3 comma 86 della l. 23.12.1996 n. 662 (legge finanziaria 1997), stabilisce invece che il Ministero del Tesoro, per attivare la dismissione dei beni immobili dello Stato, possa sottoscrivere quote di fondi immobiliari istituiti ai sensi dell’art. 14 bis della l. 25.1.1994 n. 86 (introdotto dall’art. 3, comma 111 della l. 1996/662), mediante apporto di beni immobili e di diritti reali su immobili appartenenti al patrimonio dello Stato, aventi valore significativo (cioè un valore catastale complessivo non inferiore a due miliardi) o mediante apporti in denaro. La l. 1994/86 ha, come noto, istituito i fondi comuni d’investimento immobiliare chiusi (v. fondo d’investimento immobiliare) e ne ha disciplinato gli aspetti strutturali organizzativi oltre che il regime fiscale. L’art. 1 infatti recita espressamente: “il Ministero del Tesoro autorizza le Società per azioni aventi per oggetto esclusivo la gestione di fondi comuni d’investimento collettivo in immobili o partecipazioni in società immobiliari ad istituire uno o più fondi comuni d’investimento immobiliare di tipo chiuso”. Le opzioni fondamentali adottate dal Legislatore nel disciplinare e regolamentare tale istituto (che costituisce l’ingresso nel sistema giuridico italiano di un importante strumento di investimento finanziario), sono consistite da un lato nella scelta della struttura chiusa del Fondo, in luogo della pur possibile formula organizzativa aperta, e dall’altro nel modello contrattuale in luogo di quello statutario. Sotto il primo profilo infatti viene prevista la preclusione per il sottoscrittore di recedere e di essere rimborsato della quota sottoscritta in ogni tempo, ma solo al termine del periodo stabilito. Conseguenza di ciò è che nel fondo di tipo chiuso l’ammontare del patrimonio che sarà oggetto di gestione è determinato. Sotto il secondo profilo l’organizzazione del fondo viene prevista secondo la struttura contrattuale che suppone la presenza di due entità giuridiche distinte: da un lato la società di gestione, dall’altro il fondo costituito da quote rappresentative dei versamenti effettuati dagli investitori. Una delle ragioni più evidenti che hanno indotto il legislatore a optare per tale struttura è la tutela dell’investitore, per la diversa incidenza delle perdite, che in tali casi possono riguardare tanto il fondo, e allora sono a carico dell’investitore, quanto la Società rimanendo ad esclusivo carico di questa. Successivamente, il d.l. 26.9.1995 n. 406, conv. con modificazioni nella l. 29.11.1995 n. 503, ha notevolmente trasformato la legge istitutiva dei fondi immobiliari chiusi, rendendo più agevole l’uso di tale strumento anche per quel che concerne le dismissioni immobiliari pubbliche. È stata infatti interamente rivisitata la disciplina fiscale, disposta dall’art 15, in quanto la previsione originaria era tale da scoraggiare la possibilità sostanziale di costituzione dei fondi immobiliari poiché era previsto un trattamento penalizzante e paralizzante delle iniziative sia private che pubbliche in merito. Tra le novità più rilevanti introdotte con detta legge, va inoltre segnalato l’art. 14 bis che consente l’istituzione di Fondi immobiliari con apporto di beni immobili o di diritti reali di godimento, purché le quote sottoscritte siano costituite per oltre il 90% con beni conferiti dallo Stato, da enti previdenziali pubblici da regioni, da enti locali e loro consorzi, oltre che da società interamente possedute, anche indirettamente dagli stessi soggetti. Tale articolo viene interamente sostituito dal comma 111 dell’art.3 della l.1996/662 e le modifiche agevolano ancora di più la costituzione dei fondi immobiliari consentendo così l’effettivo uso di tale strumento nel processo di alienazione del patrimonio immobiliare dello Stato. Esso stabilisce, infatti, che possono conferirsi ai fondi anche cespiti pubblici sia pure con il limite minimo del 51% (rispetto al 90% precedentemente previsto); la residua sottoscrizione delle quote del fondo può avvenire anche da soggetti diversi ma solo con il conferimento di immobili. Viene anche previsto l’obbligo per gli stessi soggetti di integrare l’apporto in natura con un conferimento in denaro che non potrà comunque essere inferiore al 5% del valore del fondo e che andrà necessariamente ad aggiungersi nella valutazione delle quote del fondo ricevute in cambio (tale obbligo non sussiste qualora vi sia la sottoscrizione delle quote del Fondo soltanto con apporto in denaro, sempre che il relativo apporto non sia inferiore al 10% del valore del Fondo). L’operazione di apporto è disciplinata in modo da caratterizzarsi per la sua neutralità fiscale in quanto viene stabilito che gli apporti del Fondo non diano luogo a redditi imponibili ovvero a perdite deducibili per l’apportante (qualunque sia la tipologia giuridica) al momento dell’apporto. Le quote ricevute in cambio dell’immobile o del diritto oggetto di conferimento mantengono, ai fini delle imposte sui redditi, il medesimo valore fiscalmente riconosciuto anteriormente all’apporto. Altra modifica prevista dal citato comma 111 concerne l’offerta al pubblico delle quote, che dovrà concludersi, non più in dodici mesi dall’istituzione del fondo,come precedentemente previsto, ma entro 18 mesi dalla data dell’ultimo apporto in natura e dovrà altresì comportare collocamento di quote per un numero non inferiore al 60% del loro numero originario presso investitori diversi dai soggetti conferenti. A detti fondi potranno confluire appunto, a norma dell’art. 3 comma 86 della l.1996/662, i cespiti immobiliari, aventi valore significativo, suscettibili di valorizzazione e di proficua gestione economica, che dovranno essere inclusi in un apposito elenco predisposto dal Ministero delle Finanze che dovrà comprendere, tra l’altro, la descrizione dei beni con tutti i dati necessari alla loro individuazione. È fatto pertanto obbligo alle Amministrazioni dello Stato che utilizzano, detengano o abbiano diritti reali su tali beni di comunicare al Ministero suddetto i dati identificativi degli immobili. Tale elenco dovrà poi essere trasmesso al Ministero del Tesoro il quale, avrà tra l’altro il compito di promuovere la costituzione di una o più società di gestione con facoltà di assumere direttamente o indirettamente partecipazioni nel relativo capitale. La legge demanda inoltre sempre al Ministero del Tesoro il compito di fissare, con decreto, le condizioni di cessione delle quote dei fondi immobiliari di cui al comma 86 oltre che le modalità e le condizioni per l’emissione di titoli speciali, disciplinati dal comma 13 dell’art. 14 bis della l. 1994/86, convertibili in quote dei fondi.
3.c) Dismissioni immobiliari del Ministero della Difesa.
Con la stessa l. 1996/662 è stata inoltre varata l’operazione di cessione degli immobili in uso al Ministero della Difesa che verrà poi riconfermata con la L. 1998/448 e successivamente con la l. 23.12.1999 n. 488 (legge finanziaria 2000). L’art. 3 comma 112 della l. 1996/662 stabilisce che, per esigenze connesse alla ristrutturazione delle Forze armate, con decreto del Presidente del Consiglio sono individuati gli immobili da inserire in un apposito programma di dismissioni da realizzare secondo determinate procedure. In particolare, secondo quanto stabilito alla lettera a) del medesimo comma, le alienazioni, le permute, le valorizzazioni e le gestioni dei beni potranno essere effettuate mediante conferimento di apposito incarico a società a prevalente capitale pubblico avente particolare qualificazione nel campo immobiliare. A norma di quanto previsto dalla successiva lettera b), alle attività di utilizzazione e valorizzazione oltre che permuta dei beni che interessano enti locali si potrà invece procedere con accordi di programma ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dall’art. 27 della l. 1990/241. Con l’emanazione della successiva l. 1998/448 vengono previste ulteriori procedure e modalità attuative delle dismissioni in materia. In particolare l’art. 44, commi 1 e 2, prevede che con decreto del Presidente del Consiglio, siano individuati, per la loro dismissione, ovvero per essere attribuiti a terzi in gestione, anche mediante concessione, i beni immobili per i quali sia venuto meno l’interesse per finalità militari. Per quanto riguarda l’espletamento delle attività di cui sopra, l’art. 44 comma 2 fa espresso richiamo alla lettera a) ed e) del comma 112 dell’art. 3 della l. 1996/662. Conseguentemente, i soggetti affidatari dell’incarico potranno essere anche in questo caso le società a prevalente capitale pubblico aventi particolare qualificazione in campo immobiliare. Viene inoltre dettagliatamente disciplinato il diritto di prelazione in favore dei comuni delle province e delle regioni, di cui si faceva solo cenno nella l. 1996/662 al comma 113. Secondo quanto stabilito al comma 3 dell’art 44, il Ministero della Difesa è tenuto a notificare agli enti territoriali (comuni regioni e province) in cui è situato l’immobile il valore dell’immobile al prezzo di mercato corrente: gli enti interessati debbono esercitare il diritto entro il termine di tre mesi dalla notificazione. La priorità per l’esercizio della prelazione è attribuita ai comuni e in subordine alle regioni. Viene inoltre previsto il diritto di riscattare la quota dall’acquirente in capo agli stessi enti territoriali in caso di mancata notificazione. Il comma 6 dell’art. 44 prevede infine la sopravvivenza delle modalità di vendita stabilita dall’art. 3 comma 112 della l. 1996/662 per quanto concerne i beni inseriti nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 agosto 1997, adottato in conseguenza dell’emanazione di detta legge. Il legislatore ha poi individuato un punto cruciale nel processo dismissorio dei beni demaniali pubblici, costituito dalla disciplina prevista per quei beni rientranti in tale categoria ma che sono espressamente vincolati ai sensi delle l. 1939/1089 e 1939/1497 o suscettibili di esservi assoggettati per le loro caratteristiche storiche, artistiche, architettoniche, o di pregio ambientale. L’art. 32 della l. 1998/448 prevede espressamente che tali beni possano essere alienati solo a seguito dell’emanazione di apposito regolamento da mettere a punto (entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge) dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali d’intesa con il Ministero della Difesa. Tale disposizione ha costituito senza dubbio un elemento pesantemente frenante nella procedura di alienazione ed un allungamento ulteriore dei tempi per le vendite di questa tipologia di immobili, già eccessivi rispetto a quelli delle normali transazioni commerciali. Detto regolamento, di cui più appresso si parlerà, è stato emanato col d.p.r. 7.9.2000 n. 283. Per le innovazioni apportate dalla l. 23.12.1999 n. 488 (legge finanziaria 2000) v. avanti sub 5. La legge 23 dicembre 1999 n. 488 (legge finanziaria 2000), g) Dismissioni di beni della Difesa e prelazioni degli enti territoriali.
4. Conferimento o vendita dei cespiti immobiliari statali a società per azioni.
Con la l. 1998/448 (Finanziaria 1999) il legislatore ha inoltre previsto un ulteriore strumento normativo per agevolare la dismissione e la valorizzazione del patrimonio immobiliare statale: il conferimento o la vendita dei cespiti a società per azioni. Secondo quanto previsto infatti dall’art. 19 comma 1 della citata legge, il Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto, per gli immobili soggetti a tutela, con il Ministero per i beni e le attività culturali, ha facoltà di conferire o vendere a società per azioni, anche appositamente costituite compendi o singoli beni immobili, diritti reali sugli stessi, per la più proficua gestione. I beni non alienabili verranno gestiti e valorizzati dalle società cui sono conferiti e per il loro utilizzo queste provvederanno a corrispondere un compenso annuo allo Stato a titolo di corrispettivo. A norma del successivo comma 4 è inoltre previsto che il capitale delle società cui sono da conferire i beni alienabili sia quelli non alienabili, possa appartenere sia ad amministrazioni pubbliche che a soggetti privati.
5. La legge 23.12.1999 n. 488 (legge finanziaria 2000).
Con l’emanazione dell’art. 4 della legge 23.12.1999 n. 488 sono state apportate ulteriori modifiche e innovazioni di notevole rilevanza per quel che riguarda la disciplina delle alienazioni del patrimonio immobiliare dello Stato. Esse in particolare riguardano: a) il conferimento degli immobili dello Stato ai fondi immobiliari chiusi (comma 86 e seguenti dell’art. 3 L. 1996/662) e le vendite dirette (comma 99 del predetto art. 3); b) l’alienazione di beni immobili del demanio storico e artistico; c) i beni da tutelare appartenenti alle Regioni, alle Province e ai Comuni; d) i beni appartenenti allo Stato; e) le prelazioni del Ministro; f) le vendite e i conferimenti degli immobili a società per azioni (art. 19 della l. 1998/448); g) la disciplina del diritto di prelazione in capo agli enti territoriali in ordine alla dismissione dei beni della Difesa (art. 44 comma 3 l. 1998/448).
5.a) Conferimento a fondi immobiliari chiusi. Vendite dirette.
Per quanto concerne il conferimento di cespiti immobiliari pubblici ai Fondi, l’art. 4 comma 1 della l. 1998/448 elimina il limite minimo di valore catastale, fissato in due miliardi, degli immobili conferibili ai fondi. In altre parole pertanto in base alla nuova normativa sarà possibile conferire ai Fondi disciplinati dal comma 86 della l. 1996/662 anche immobili di valore non significativo e pertanto di valore catastale inferiore al suddetto importo. La norma detta inoltre le modalità operative per il conferimento ed è questa la novità più rilevante: stabilisce infatti che il Tesoro si avvalga per l’attività di conferimento oltre che per la valutazione dei beni di uno o più consulenti finanziari o immobiliari, scelti anche in deroga alle norme di contabilità dello Stato, con procedure competitive tra primarie società nazionali ed estere. La procedura fissata dal comma 99 della l. 1996/662 per quel che riguarda le vendite dirette viene completamente modificata. Secondo la nuova formulazione del predetto comma 99, i beni immobili e i diritti immobiliari, non conferiti nei fondi, una volta individuati, possono essere alienati, secondo programmi modalità e tempi definiti, dal Ministero dell’economia e delle finanze che ne cura l’attuazione. Sia i beni inseriti in detti programmi che quelli non compresi, sono alienati in deroga alle norme di contabilità dello Stato. Anche per l’espletamento di tale attività è previsto che il Tesoro si avvalga di uno o più consulenti finanziari o immobiliari, scelti anche in deroga alle norme di contabilità dello Stato, con procedure competitive tra primarie società nazionali ed estere, a condizione che non svolgano attività di consulenza o professionale in conflitto di interessi con i compiti dell’incarico. I beni in questione, ed è questa la novità più rilevante, possono essere alienati ad uno o più intermediari scelti con procedure competitive. In tali casi gli intermediari corrisponderanno al Tesoro l’importo pattuito e si impegnano a rivendere gli immobili acquistati entro un termine concordato corrispondendo allo stesso Ministero la differenza tra il prezzo di rivendita e il prezzo di acquisto, al netto di una commissione percentuale progressiva calcolata su tale differenza. Qualora l’intermediario non proceda alla rivendita nel termine concordato e abbia però esperito inutilmente tutte le procedure finalizzate alla rivendita, compreso l’espletamento dell’asta pubblica, dovrà corrispondere al Ministero la differenza tra il valore di mercato degli immobili e il prezzo di acquisto, al netto della commissione percentuale sopra detta. In caso contrario la differenza dovuta sarà calcolata includendo pure la commissione. È previsto infine che singoli immobili, anche non compresi nei programmi possano essere venduti a soggetti diversi dagli intermediari: in tal caso alla alienazione provvederà il Ministero dell’economia e delle finanze.
5.b) Alienazione di beni immobili del demanio storico e artistico.
L’art. 4 della l. 1999/488 riscrive, inoltre, il comma 100 dell’art. 3 della legge 1996/662 stabilendo così che le valutazioni di interesse storico e artistico sugli immobili da alienare debbano essere effettuate secondo le modalità e i termini stabiliti nel regolamento di attuazione dell’art. 32 della l. 1998/448. Il regolamento, che compiutamente disciplina le alienazioni di beni immobili del demanio storico e artistico è stato emanato con d.p.r. 7.9.2000 n. 283. Nell’ambito della sua normativa, che a questo punto corre l’obbligo se pur sinteticamente di analizzare, vengono fissati i limiti e le modalità per le alienazioni relative ai beni immobili di interesse storico e artistico di proprietà dello Stato, delle regioni dei comuni delle province, costituenti il demanio artistico e storico. Vengono da principio individuati i beni inalienabili ma che nonostante tale caratteristica possano comunque essere conferiti in concessione o utilizzo in convenzione, Essi sono: a) i monumenti nazionali (riconosciuti con provvedimenti aventi forza di legge); b) i beni di interesse particolarmente importante (ex art. 2 comma 1 lettera B del TU delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali emanato con il d.lg. 29.10.1999 n. 490); c) i beni di interesse archeologico; d) i beni che, riconosciuti con decreto del Ministro, documentano identità e storia di Istituzioni pubbliche, collettive, ecclesiastiche.
5.c) Beni da tutelare appartenenti alle Regioni, alle Province e ai Comuni.
I successivi art. 3 4 e 5 fissano invece le regole della procedura di formazione degli elenchi dei beni da tutelare appartenenti alle Regioni alle Province ed ai Comuni. Detti enti presentano al Soprintendente regionale per i beni e le attività culturali, entro due anni dall’emanazione del Regolamento, gli elenchi dei beni che presentano interesse storico artistico archeologico o demo-etno-antropologico (art. 2 lett. A d.lg. 29.10.1999 n. 490) oltre che gli elenchi dei beni realizzati almeno 45 anni prima dell’entrata in vigore del regolamento. Il Soprintendente regionale entro 24 mesi comunica all’ente i beni inseriti negli elenchi che non rivestono interesse storico artistico, integra gli elenchi con i beni ultra quarantacinquennali che rivestono interesse storico artistico e dichiara l’eventuale interesse particolarmente importante. Effettuata l’individuazione dei beni e fermo restando i casi di inalienabilità, i beni inseriti negli elenchi potranno essere alienati previo rilascio di autorizzazione da parte dello stesso Soprintendente regionale, disciplinata dai successivi art. 7 e 8.
5.d) Beni appartenenti allo Stato.
Per quel che riguarda i processi di dismissione e valorizzazione dei beni appartenenti allo Stato, disciplinati dal successivo art. 19, le alienazioni avvengono secondo procedimenti più rapidi. Le Amministrazioni Statali inviano al Ministero gli elenchi con i dati degli immobili e il Ministero entro 60 giorni individua gli immobili che non rivestono interesse storico artistico e quelli la cui alienazione è soggetta ad autorizzazione. La procedura successiva è disciplinata dalle prescrizioni del regolamento relative agli altri beni tranne che per i beni in uso all’Amministrazione Militare per i quali è prevista una richiesta di autorizzazione più snella contenente l’indicazione dei dati identificativi dell’immobile della destinazione d’uso e delle modalità di pubblica fruizione.
5.e) Prelazioni del Ministro.
Il regolamento prevede inoltre la disciplina delle prelazioni agli art. 12 e 13. Secondo quanto ivi previsto, il Ministro, che ha facoltà di acquistare i beni a base d’asta, deve esercitare la prelazione entro 60 giorni dalla richiesta di autorizzazione all’alienazione. Qualora Vi sia disaccordo sul prezzo lo stesso verrà stabilito da una apposita commissione. In caso di vendita ad un prezzo inferiore a quello contenuto nella richiesta di autorizzazione, l’Ente alienante deve denunciare la vendita entro 60 giorni e il Ministero può esercitare la prelazione. È infine prevista la possibilità che gli Enti pubblici territoriali possano formulare al Ministero una proposta di prelazione entro 40 giorni dalla data di conoscenza della avvenuta richiesta di autorizzazione all’alienazione. Qualora il Ministro rinunci all’acquisto, emette un decreto di prelazione a favore dell’Ente richiedente.
5.f) Conferimenti ed alienazioni di cespiti immobiliari pubblici a spa.
In merito ai conferimenti ed alle alienazioni di cespiti immobiliari pubblici a società per azioni il comma 1 dell’art. 19 della L. 1998/448 viene sostituito, dal comma 10 dell’art. 4 l. 1999/488 prevedendo anche in questo caso, come per i fondi e per le vendite dirette che il Ministero dell’economia e delle finanze si avvalga di consulenti (aventi le stesse identiche caratteristiche sopra indicate) ai quali viene anche affidata la valutazione dei beni, con preclusione di acquisto dei beni per i quali hanno fornito la consulenza.
5.g) Dismissioni di beni della Difesa e prelazioni degli enti territoriali.
In ordine, infine, alle novità apportate in materia di dismissioni dei beni della Difesa va segnalata la modifica integrale dell’art. 44 comma 3 in materia di prelazione agli enti territoriali che prevede: 1) la notifica del valore dei beni determinato a norma dell’art. 3 comma 112 lettera c) della l. 1996/662 (alla determinazione del valore provvede in sostanza la società affidataria dell’incarico di alienare, tenendo conto dell’incidenza delle valorizzazioni conseguenti alle eventuali modificazioni degli strumenti urbanistici rese necessarie dalla nuova utilizzazione. La valutazione è approvata dal Ministero della Difesa previo parere espresso da una commissione di congruità appositamente costituita); 2) la riduzione da tre mesi a quarantacinque giorni del termine per esercitare la prelazione; 3) la priorità nell’esercizio della prelazione ai comuni alle province e successivamente alle regioni; 4) l’obbligo per detti enti che acquistano in prelazione di mantenere la destinazione pubblica del bene oggetto di dismissione o concessione per almeno 30 anni.
6. La legge 2.4.2001 n. 139.
Con l’emanazione della l. 2.4.2001 n. 136 recante disposizioni in materia di sviluppo, valorizzazione ed utilizzo del patrimonio immobiliare dello Stato, oltre che altre disposizioni in materia di immobili pubblici vengono apportate ulteriori modifiche all’art. 19 della l. 1998/448 come modificato dal già citato comma 10 dell’art. 4 della l. 1999/488. All’art. 19, prima del comma 1, viene inserito il comma 01 che prevede la possibilità da parte di alcuni soggetti, pubblici o privati, di presentare progetti di sviluppo, di valorizzazione o di utilizzo di beni immobili appartenenti a qualsiasi titolo allo Stato. Le amministrazioni dello Stato, i comuni ed altri soggetti pubblici o privati possano infatti proporre al Ministero dell’economia e delle finanze e all’Agenzia del demanio, progetti per lo sviluppo, la valorizzazione o l’utilizzo di determinati beni o complessi immobiliari appartenenti a qualsiasi titolo allo Stato. Se il progetto di valorizzazione e gestione di beni è presentata dai comuni, a questi verrà attribuita la partecipazione azionaria nella misura del 51% della società che sarà costituita a norma del comma 1 dell’art. 19 (ricordiamo che il Tesoro, anche in deroga a norme sulla contabilità di stato, in base a detto comma che sostanzialmente è rimasto invariato, ha facoltà di conferire o vendere a società per azioni anche appositamente costituite, compendi o singoli beni immobili o diritti reali su di essi, per la loro più proficua gestione). Nel caso in cui il progetto di sviluppo di valorizzazione o di utilizzo presentato a norma del comma 01 richieda per la sua attuazione decisioni rimesse alla competenza di amministrazioni pubbliche diverse da quella proponente e dall’Agenzia del demanio, potrà essere nominato un commissario straordinario del Governo, che curi il coordinamento degli adempimenti necessari ivi compresa la convocazione di una Conferenza di servizi a norma della l. 1990/241 e successive modificazioni e integrazioni. La legge in questione stabilisce inoltre al comma 6 quinquies, che i beni immobili appartenenti allo Stato, per i quali non siano stati presentati progetti ai sensi del comma 01, che non siano adibiti ad uso governativo ma che siano compresi in piani di sviluppo valorizzazione o utilizzo predisposti da comuni province o regioni sul cui territorio insistono, possano su richiesta degli enti medesimi, essere trasferiti agli enti stessi sulla base di apposita convenzione che determina le condizioni e le modalità di trasferimento e le quote di partecipazione dello Stato alla fruizione dei proventi derivanti dalla gestione o dismissione di detti beni, nonché l’eventuale retrocessione degli stessi allo Stato per la mancata attuazione del progetto entro il termine fissato nella stessa convenzione. Infine, per gli immobili per i quali non sussiste la possibilità di utilizzazione nei modi sopra descritti il comma 10 bis prevede la possibilità della loro assegnazione in concessione, anche gratuita, ovvero in locazione, anche a canone ridotto secondo quanto stabilito da un apposito regolamento da emanare nel rispetto dei seguenti principi: a) autorizzazione ai soggetti interessati da parte del Ministero dell’economia e delle finanze; b) utilizzazione dei beni ai fini di interesse pubblico o di particolare rilevanza sociale; c) individuazione della tipologia dei beni per i quali è necessaria l’autorizzazione; d) revoca in caso di violazione delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione. Per espressa previsione normativa va sottolineato inoltre che le disposizioni in argomento non si applicano agli immobili di cui all’art. 3, commi da 99 a 105, della l. 1996/662, come modificato e integrato dall’art. 4 comma da 3 a 7, della legge 23 dicembre 1999 n. 448, inclusi negli elenchi predisposti dal Ministero dell’economia e delle finanze e oggetto di specifici programmi di dismissione. È altresì stabilito che le norme stabilite dall’art 19 come ora modificato potranno essere utilizzate per la dismissione degli immobili del Ministero della difesa, individuati con decreto del Ministero stesso.
7. D.l. 25.9.2001 n. 351 (conv. in l. 23.11.2001 n. 410). Cartolarizzazione.
Una nuova strada per accelerare l’avvio delle dismissioni degli immobili pubblici è stata aperta dal Governo col d.l. 25.9.2001. n. 351 recante disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni d’investimento immobiliari. Il decreto è stato convertito nella l. 23.11.2001 n.410. La l. 2001/410 e riguarda i beni statali, beni demaniali e del patrimonio indisponibile e disponibile, i beni degli enti pubblici non territoriali, i beni non strumentali in precedenza attribuiti a società a totale partecipazione pubblica, diretta o indiretta, riconosciuti di proprietà dello Stato, i beni ubicati all’estero. La legge prevede (all’art. 2) la possibilità di alienare il patrimonio immobiliare pubblico a una o più società a responsabilità limitata con capitale iniziale di 10.000 euro, appositamente costituite dal Ministro dell’economia e delle finanze, aventi ad oggetto esclusivo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato e degli altri enti pubblici individuati dallo stesso decreto. La costituzione di tali società costituisce la novità principale e originale del provvedimento. La disciplina normativa in argomento riguarda tutti gli immobili pubblici, sia del demanio che delle società pubbliche che degli enti previdenziali, per i quali però le nuove norme varranno solo per i cespiti non ancora aggiudicati o non ancora venduti alla data del 31.10.2001. Le società di cui sopra potranno effettuare le operazioni di cartolarizzazione mediante l’emissione di titoli o l’assunzione di finanziamenti. Per ogni operazione di tal genere le società dovranno individuare i beni immobili destinati al soddisfacimento dei diritti dei portatori dei titoli o dei concedenti i finanziamenti; detti beni costituiranno un patrimonio separato da quello delle Società stesse e da quello relativo ad altre operazioni di cartolarizzazione. Il decreto prevede inoltre numerose agevolazioni ed esenzioni fiscali che dovrebbero assicurare il successo dell’operazione. Effettuata la ricognizione del patrimonio immobiliare pubblico, i beni immobili potranno essere trasferiti a titolo oneroso ad una o più delle società di cui sopra. Nei decreti di trasferimento adottati dal Ministero dell’economia e delle finanze verranno tra l’altro fissati: a) il prezzo iniziale che la società deve corrispondere a titolo definitivo per i beni trasferiti e le modalità di pagamento dell’eventuale residuo; b) le caratteristiche dell’operazione di cartolarizzazione che la società realizza per finanziare il pagamento del prezzo; c) la gestione degli immobili trasferiti e dei contratti accessori da regolarsi con convenzione; d) le modalità per la valorizzazione e la rivendita degli immobili trasferiti. Il decreto in argomento, oltre ad introdurre lo strumento della cartolarizzazione per il pagamento all’Erario del controvalore degli immobili, prevede una serie di disposizioni relative ai fondi di investimento immobiliare. Al di là delle novità di natura fiscale che rendono sicuramente più conveniente e agevole l’utilizzo di tale istituto finanziario, viene inoltre prevista la possibilità di promuovere la costituzione di fondi immobiliari conferendo beni immobili dello Stato non residenziali oltre che la facoltà di istituire fondi aventi i beni immobili come oggetto anche prevalente e non solo esclusivo, come precedentemente previsto. Il superamento di eventuali ostacoli costituiti dall’esistenza di vincoli connessi al valore artistico e storico dei beni dello Stato risulta semplificato mediante la previsione che per tali beni i decreti di trasferimento vengano adottati di concerto con il Ministro per i Beni e le Attività Culturali. Per gli immobili ad uso residenziale sono sostanzialmente mantenute le preesistenti agevolazioni a favore dei conduttori nonché di particolari categorie degli stessi (nuclei familiari con reddito annuo inferiore a 19.000 euro; famiglie con componenti ultrasessantacinquenni o disabili) consentendo loro l’opzione all’acquisto con riduzione del 30% rispetto al prezzo di mercato, nonché ulteriori agevolazioni per l’ipotesi che venga acquistato almeno l’80% delle unità residenziali complessive dell’immobile; è altresì confermata la possibilità di rinnovo della locazione a favore delle cd. categorie protette. Le altre disposizioni della legge disciplinano i fondi comuni d’investimento immobiliare prevedendo un regime tributario di favore ed una semplificazione delle procedure relative al conferimento dei beni, così da dare effettivo impulso a tale strumento.