RIFORMA DELLE PENSIONI MONTI-FORNERO (ENCICLOPEDIA)

Abstract

La riforma delle pensioni Monti-Fornero, introdotta dall’art. 24 del decreto legge 6 dicembre 2011, costituisce il più recente intervento di grande portata in materia pensionistica in Italia. Dopo un’introduzione generale che enuncia i principali obiettivi della riforma, si descrivono i nuovi requisiti richiesti per accedere alla pensione di vecchiaia prestando particolare attenzione alle modifiche introdotte per adeguare l’età pensionabile alle prospettive di vita della popolazione e all’abolizione del meccanismo delle finestre mobili. In seguito, vengono analizzate le caratteristiche della nuova pensione anticipata e gli effetti dovuti all’eliminazione della pensione di anzianità. Argomenti trattati sono anche le principali deroghe alla riforma, il contributo di solidarietà, le nuove aliquote contributive e la creazione del Super-Inps.

L’articolo 24 del decreto legge 6 dicembre 2011 n.201, convertito, con modificazioni dalla Legge 22 dicembre 2011, n.214, ha come oggetto esclusivo la riforma delle pensioni ideata dall’allora Ministro del Welfare, Elsa Fornero.

I provvedimenti perseguono tre obiettivi, enunciati dal comma 1 dell’art. 24 del Decreto:

- Equità e convergenza intragenerazionale e intergenerazionale, con abbattimento dei privilegi e clausole derogative soltanto per le categorie più deboli;
- Flessibilità nell’accesso ai trattamenti pensionistici anche attraverso incentivi alla prosecuzione della vita lavorativa;
- Adeguamento dei requisiti di accesso alle variazioni della speranza di vita; semplificazione, armonizzazione ed economicità dei profili di funzionamento delle diverse gestioni previdenziali.

La prima grande innovazione è l’estensione, su scala generale, del calcolo contributivo; secondo tale sistema più contributi si versano maggiore sarà la pensione corrisposta, indipendentemente dalla retribuzione percepita durante la vita lavorativa.

L’estensione del metodo di calcolo contributivo a tutti i lavoratori ha effetto anche su coloro che, al 31 dicembre 1995 (data discriminante per l’entrata in vigore della Riforma Dini) avevano maturato almeno diciotto anni di contribuzione e che erano stati esclusi dall’applicazione del nuovo sistema, ottenendo così il vantaggio di una prestazione pensionistica calcolata col solo metodo retributivo. A partire dal 1 gennaio 2012, invece, la loro pensione sarà calcolata col sistema pro-rata, che prevede l’applicazione del sistema retributivo per le anzianità maturate sino al 31 dicembre 2011 e di quello contributivo per le anzianità successive a tale data.

La Riforma non apporta cambiamenti nel sistema di calcolo per chi è entrato nel mondo del lavoro dopo il 31 dicembre 1995 perché trovava già piena applicazione il sistema contributivo; anche per chi in tale data poteva vantare meno di diciotto anni di contributi il Decreto Legge n. 201/2011 non modifica il calcolo delle prestazioni che avviene utilizzando il sistema misto.

La finalità di tale provvedimento è stata quella di equiparare il trattamento pensionistico per tutti i lavoratori per il raggiungimento dell’equità del sistema.

La seconda decisione di grande portata introdotta dalla Riforma è quella di ridefinire le tipologie pensionistiche erogate dal sistema previdenziale italiano, sia nel sistema contributivo sia nel misto; la pensione di anzianità cede il passo alla pensione “anticipata”, resta, invece, in vigore la pensione di vecchiaia.

Altro elemento di innovazione è quello di incentivare la prosecuzione dell’attività lavorativa sino ai 70 anni d’età, introducendo nuovi coefficienti di trasformazione per il calcolo contributivo, che permetteranno al lavoratore che decida di continuare la sua attività lavorativa nonostante i 40 anni di contribuzione, di ottenere un assegno pensionistico maggiore di quanto possibile in passato.

1. La nuova pensione di vecchiaia

1.1 La decorrenza dei trattamenti

Con il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 sono stati modificati i requisiti necessari per ottenere la pensione di vecchiaia, cioè quella che si ottiene al raggiungimento di una certa età anagrafica, avendo almeno vent’anni di contributi1.

Il comma 6 dell’Articolo 24 definisce i nuovi requisiti per quattro diverse categorie di lavoratori.

La prima categoria è quella dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti del settore pubblico, per cui, a partire dal 1 gennaio 2012, si richiede di avere 66 anni d’età per ottenere la pensione di vecchiaia.

Anche per i lavoratori autonomi l’età minima necessaria è quella di 66 anni. Per tali categorie l’effetto sostanziale della riforma è invariato rispetto a quanto precedentemente richiesto, cioè il compimento di 65 anni d’età, ma applicando il meccanismo della “finestra”, bisognava comunque attendere un altro anno per poter andare in pensione (18 mesi per i lavoratori autonomi).

Il vero cambiamento interessa, però, le lavoratrici del settore privato e autonome: per le prime saranno richiesti, per ottenere la pensione di vecchiaia, 62 anni dal 1 gennaio 2012, 62 anni e 3 mesi nel 2013, che si trasformeranno in 63 anni e 9 mesi a partire dal 1 gennaio 2014, 65 anni e 7 mesi nel 2016 fino a arrivare a 66 anni e 3 mesi nel 2018 per adeguamento alle speranze di vita.

Per le lavoratrici autonome si richiedono, invece, 63 anni e 6 mesi nel 2012, 63 anni e 9 mesi dal 1 gennaio 2013, 64 anni e 9 mesi nel 2014, 65 anni e 9 mesi nel 2016 per giungere a 66 anni nel 2018.

Per tali categorie la differenza tra il 2011 e il 2012 è, di fatto, di un anno, poiché nel 2011 le lavoratrici dipendenti del settore privato potevano andare in pensione al compimento dei 60 anni d’età a cui andavano sommati i dodici mesi previsti dalla finestra d’uscita, che diventavano diciotto per le lavoratrici autonome.

Lo scopo di tale manovra, è quello di far sì che, a partire dal 2018, per tali categorie valgano uguali regole di accesso alla pensione, raggiunte attraverso percorsi intermedi diversi per ciascuna di loro.

Bisogna anche tenere in considerazione che, prescindendo dai requisiti richiesti per accedere alla pensione di vecchiaia, sono necessari almeno vent’anni di contributi versati, altrimenti si potrà andare in pensione solo compiuti i settant’anni anagrafici, con almeno cinque anni di contribuzione.

Il comma 15-bis dell’Art. 24 introduce una deroga per le lavoratrici dipendenti del settore privato permettendo alle stesse di ottenere la pensione di vecchiaia al compimento dei 64 anni, se al 31 dicembre 2012 possono vantare 60 anni d’età anagrafica e vent’anni di contributi.

Ai lavoratori del settore privato, che entro il 31 dicembre 2012, hanno maturato almeno trentacinque anni di contribuzione, è data la possibilità di uscire a 64 anni d’età.

E’ inoltre previsto che, per coloro il cui trattamento pensionistico è calcolato esclusivamente col metodo di calcolo contributivo (cioè i lavoratori contribuenti a partire dal 1 gennaio 1996), la pensione dovrà necessariamente avere un importo non inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale rivalutato annualmente sulla base della variazione quinquennale del Prodotto Interno Lordo (PIL) nominale determinata dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT).

1.2 Adeguamento dell’età pensionabile alle future prospettive di vita

La Riforma Fornero, col comma 4 dell’Art.24, introduce un’altra novità: si permette, infatti, ai lavoratori che abbiano raggiunto i requisiti minimi per accedere alla pensione di vecchiaia, di poter prolungare la propria vita lavorativa sino ad un massimo di 70 anni d’età anagrafica.

Più si deciderà di continuare a lavorare, maggiore sarà la pensione maturata grazie all’applicazione di particolari coefficienti di rendimento del capitale accumulato.

Si potrà andare in pensione, grazie al pensionamento flessibile, in un’età compresa tra i sessantadue (66 anni per i dipendenti della pubblica amministrazione) e i settant’anni, tenendo conto degli incentivi e delle penalizzazioni che si hanno, rispettivamente, prolungando la propria vita lavorativa o decidendo di uscire prima dal mondo del lavoro.

Bisogna tener conto, applicando tale disposizione, dell’adeguamento delle prestazioni delle pensioni alle speranze di vita, come introdotto dalla Riforma. Infatti, essendo la popolazione italiana sempre più longeva grazie al miglioramento delle speranze di vita, è necessario, per riequilibrare il sistema previdenziale, andare in pensione più tardi.

Ciò è stato realizzato collegando i requisiti anagrafici per il pensionamento agli indici forniti dall’Istat sulla speranza di vita. L’adeguamento partirà dal 1 gennaio 2013, anticipandolo, poiché precedentemente previsto a partire dal 1 gennaio 2015, e si applicherà a tutte le prestazioni pensionistiche. I prossimi adeguamenti avranno luogo nel 2016 e nel 2019, poiché le speranze di vita vengono adeguate con scadenza triennale, che diventerà biennale a partire dal 2021.

Con tale manovra si mantiene l’impegno, preso dal Governo italiano nei confronti della Commissione Europea, di raggiungere i 67 anni d’età pensionabile entro il 1 gennaio 2026. Quanto fissato dall’Art. 24 permette, infatti, di anticipare il raggiungimento di tale soglia al 1 gennaio 2021, ed è inoltre prevista la possibilità che, nel caso in cui l’adeguamento alle speranze di vita non riesca a raggiungere i 67 anni entro la data fissata, potrà essere preso un provvedimento che innalzi l’età fino al valore prefissato.

Per tutelare i lavoratori dal rischio di licenziamento, la riforma fa salve le disposizioni di tutela previste dall’Art. 18 della legge 29 maggio 1970 n. 300 che vengono estese sino al limite massimo di uscita dal mondo del lavoro.

Di notevole importanza è quanto dettato dalla Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 2 dell’8 marzo 2012, che non estende l’incentivazione a protrarre la vita lavorativa sino ai 70 anni ai dipendenti pubblici. Tale direttiva potrebbe dare luogo, per i dipendenti pubblici, a differenze di trattamento sia lavorativo che pensionistico.

L’incentivo al proseguimento dell’attività lavorativa è valido solo per coloro che, al 31 dicembre 2011, non possono vantare alcuna contribuzione versata.

Per coloro che, al 31 dicembre 2011, avevano già maturato i requisiti richiesti per accedere alla pensione, ovvero 65 o 61 anni d’età rispettivamente per uomini e donne o quarant’anni di anzianità contributiva o il raggiungimento per “quota”, non trovano applicazione i nuovi limiti d’età; dal 2012 in poi tali soggetti dovranno andare in pensione al raggiungimento dei 65 anni, salvo l’anno di applicazione delle “finestre” o il biennio di trattenimento, ove possibile2.

1.3 Abolizione delle finestre mobili

Il comma 5 dell’articolo 24 elimina le cosiddette “finestre mobili” introdotte dal decreto legge 31 maggio 2010, n. 78. Con la nuova riforma, infatti, chiunque vada in pensione a partire dal 1 gennaio 2012, si vedrà erogato l’assegno pensionistico già dal mese successivo alla maturazione dei requisiti.

Non sarà più necessario per i lavoratori attendere dodici mesi (diciotto per i lavoratori autonomi) come previsto dalla riforma precedente; con il meccanismo delle “finestre” si era ottenuto nel 2011, secondo il riscontro offerto dai dati dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS), una riduzione del pensionamento del 30% rispetto all’anno precedente. Tale sistema è stato abolito perché non coerente con quello introdotto dalla nuova riforma.

Altro sistema abrogato dall’Art. 24 è quello delle quote, secondo cui si aveva diritto al trattamento pensionistico raggiungendo una certa “quota”, cioè la somma di determinati requisiti sia di età che di anzianità. Chi, prima del 2012, sarebbe andato in pensione raggiungendo la quota 96, cioè con 35 anni di contribuzione e 61 anni d’età, adesso deve attendere il raggiungimento dei 66 anni d’età per potersi ritirare dalla vita lavorativa3.

Le quote non vengono, però, completamente messe da parte; per i lavoratori che svolgono attività usuranti, infatti, si continuerà ad utilizzare tale sistema indicizzato alle speranze di vita.

Dal 2012 tali lavoratori, vanno in pensione raggiungendo la quota 96 con almeno 60 anni d’età anagrafica; dal 1 gennaio 2013 la quota minima passa a 97 con 61 anni d’età. Dal 2013 parte anche l’adeguamento alla speranza di vita che modifica la quota in 97 e 3 mesi con 61 anni e 3 mesi d’età anagrafica. Una volta maturati tali requisiti, i lavoratori usuranti dovranno aspettare altri dodici mesi prima di poter effettivamente vedere corrisposta la loro pensione.

2. Pensione di anzianità

La pensione di anzianità, nel nostro ordinamento, è quella pensione che si può ottenere esclusivamente facendo valere una certa contribuzione indipendentemente dall’età anagrafica raggiunta.

Prima del 1 gennaio 2008 era possibile accedere alla pensione di anzianità maturando quarant’anni di contributi versati oppure, sulla base di requisiti sia anagrafici che contributivi, con 35 anni di contributi e 57 anni d’età.

A partire da tale data è stato introdotto il cosiddetto “gradone” per la pensione di anzianità, relativo all’età richiesta assieme ai 35 anni di contributi versati, per attenuare la sperequazione del sistema previdenziale; l’età richiesta aumentava progressivamente sino al 2014, poi si sarebbe valutata la possibilità di ulteriori aggravi considerando la situazione politica e sociale contestuale.

Sempre dal 1 gennaio 2008, per le donne, vi fu la sostanziale eliminazione della pensione di anzianità; per le lavoratrici inizialmente si poteva accedere alla pensione di anzianità con la stessa età richiesta per quella di vecchiaia, per diventare, a partire dal 2010, più elevata.

Fino al 2015, in via sperimentale, le donne lavoratrici avrebbero potuto accedere alla pensione di anzianità con 35 anni di contributi e 57 anni d’età anagrafica, optando per l’adozione del sistema contributivo; tale scelta, però, avrebbe causato una decurtazione dell’assegno pensionistico4 considerevole, tant’è che sarebbe stato più conveniente usufruire della pensione di vecchiaia compiuti i 60 anni per evitare di ottenere una pensione decurtata a 57 anni.

Con la Legge 24 dicembre 2007 n. 247 il “gradone” fu modificato prevedendo l’introduzione, a partire dal 1 gennaio 2009, del criterio delle quote; anche queste ultime furono pensate tenendo conto della sperequazione del sistema, per cui, dal 2013, si sarebbero potute modificare se ritenuto opportuno.

I lavoratori che, al 20 luglio 2007, fossero stati autorizzati a proseguire volontariamente l’attività lavorativa, avrebbero avuto accesso alla pensione di anzianità con i requisiti precedentemente richiesti, ovvero 35 anni di contributi versati e 57 anni d’età anagrafica.

Le pensioni d’anzianità sono da sempre state caratterizzate dalla decorrenza differita rispetto al momento di maturazione dei requisiti richiesti per ottenere le stesse. Con la legge n. 247/2007 e le successive modifiche apportate dal decreto legge 31 maggio 2010 n. 78 convertito dalla legge 30 luglio 2010 n. 122 e dal decreto legge 6 luglio 2011 n. 98 convertito dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, la decorrenza dei trattamenti pensionistici sarebbe stata differita di almeno tre mesi rispetto alla data di acquisizione dei requisiti; il differimento a volte poteva ammontare anche ad un anno.

Con la nuova riforma delle pensioni si è voluto apportare un profondo cambiamento a tale forma di prestazione pensionistica: si è deciso, infatti, di eliminare le pensioni di anzianità.

Si è giunti a questa decisione considerando gli effetti gravosi che l’erogazione di tali prestazioni pensionistiche aveva sulle casse dello Stato; chi, avendo maturato i requisiti per la pensione di anzianità, andava in pensione a 57 anni, si vedeva corrispondere il trattamento pensionistico per un lungo arco della propria vita, tenendo conto della maggiore longevità della popolazione. In questo modo la pressione per le casse dello Stato sarebbe aumentata inesorabilmente aggravandone la situazione.

A partire dal 1 gennaio 2012 entra in vigore, al posto della pensione di anzianità, la nuova pensione anticipata.

3. Pensione anticipata

La pensione anticipata, in vigore dal 1 gennaio 2012, è rivolta a tutti quei soggetti che, avendo una anzianità contributiva di 42 anni e un mese se uomini e 41 anni e un mese se donne, vogliano andare in pensione pur non avendo raggiunto i requisiti necessari per la pensione di vecchiaia.

I requisiti aumentano nel 2013 e nel 2014 di un mese per ciascun anno, fermo restando che anche questi dovranno adeguarsi alle speranze di vita.

Il comma 10 dell’Art. 24 prevede, inoltre, dei disincentivi per chi richieda la pensione anticipata prima di aver maturato i requisiti necessari per la pensione di vecchiaia; per chiunque acceda al pensionamento prima dei 62 anni d’età anagrafica, sarà applicata una riduzione dell’assegno pensionistico pari all’1% per ogni anno di anticipo entro un massimo di due anni; la percentuale di penalizzazione si eleva al 2% per gli anni ulteriori ai primi due. In caso di frazionamenti di anni, la riduzione è proporzionale al numero di mesi.

Per i lavoratori che hanno optato per il calcolo col sistema contributivo (cioè attivi dal 1 gennaio 1996) per accedere alla pensione anticipata è necessario avere un’età non inferiore a 63 anni, vantare un’anzianità contributiva di almeno 20 anni ed è inoltre richiesto che la prima rata della pensione non sia inferiore a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale, annualmente rivalutato secondo la valutazione quinquennale del Prodotto Interno Lordo (PIL) determinato dall’ISTAT.

Da notare è che, nella nuova pensione anticipata, si introducono differenze di genere, fra uomini e donne, relativamente ai requisiti di accesso; tale distinzione trova le sue origini nella considerazione della mole di lavoro che le donne devono affrontare al di fuori dell’ambito lavorativo, in campo familiare, ma tale distinguo potrebbe provocare richiami da parte dell’Unione Europea nel caso si venissero a creare situazioni di discriminazione.

Le pensioni di anzianità si esauriranno definitivamente entro il 2018, termine del sistema retributivo; da tale termine in poi si utilizzerà esclusivamente il metodo di calcolo contributivo e si potrà andare in pensione solo avendo raggiunto l’età minima di 66 anni.

4. Deroghe alla riforma Fornero

Il comma 14 dell’articolo 24 del D.L. 201/2011 introduce deroghe all’applicazione del nuovo regime pensionistico precedentemente definito.

In primis introduce due categorie di lavoratori per cui si applicano, senza limitazioni, le disposizioni precedenti. I primi sono coloro che, al 31 dicembre 2011, potevano già vantare i requisiti richiesti per accedere al trattamento pensionistico, sia di vecchiaia che di anzianità; a questi soggetti basta completare i termini previsti dalla finestra per ottenere la pensione.

La seconda categoria derogata è quella delle lavoratrici che, al 31 dicembre 2012, abbiano almeno 60 anni d’età e 20 anni di contribuzione; a queste ultime è data l’opportunità di andare in pensione a 64 anni.

Soggetti derogati sono anche le lavoratrici che hanno optato per il regime sperimentale indicato dall’articolo 1, comma 9, della legge 243/2004; cioè coloro che, avendo scelto come metodo di calcolo della pensione quello contributivo, entro il 31 dicembre 2015, possono vantare 35 anni di contribuzione e hanno compiuto 57 anni d’età possono ottenere la liquidazione dell’assegno pensionistico.

Erroneamente si era pensato che destinatarie di quest’ultima deroga fossero le lavoratrici che potevano vantare, al 31 dicembre 1995, meno di 18 anni di contribuzione; in realtà soggetti derogati sono tutte le lavoratrici che hanno optato per il contributivo prescindendo dalla quota di contributi versata in suddetta data.

Bisogna, invece, fare attenzione all’indicizzazione alle speranze di vita dei requisiti anagrafici che sarà necessario raggiungere nei prossimi tre anni, che aumenteranno a 57 anni e 3 mesi, con 35 anni di contribuzione.

La scadenza ultima di tale deroga è stata il 30 dicembre 2014, termine entro cui bisognava perfezionare il diritto alla pensione.

Altra categoria oggetto di deroga è quella dei lavoratori del settore privato che possono andare in pensione compiuti i 64 anni d’età, maturando, al 31 dicembre 2012, il diritto alla pensione col raggiungimento della quota 96 con un minimo di 35 anni di contributi.

Sono poi previste dalla riforma Fornero altre deroghe applicabili ad alcune categorie di lavoratori esclusivamente sotto il vincolo rappresentato dalla disponibilità di predefinite risorse finanziarie, originariamente limitate a cinquanta mila unità. Rientrano in tale casistica:

- lavoratori collocati in mobilità in base ad accordi sindacali anteriori al 4 dicembre 2011, che maturano il diritto al pensionamento entro il periodo di fruizione dell’indennità di mobilità;

- lavoratori collocati in mobilità lunga secondo accordi collettivi stipulati entro il 4 dicembre 2011;

- lavoratori titolari, al 4 dicembre 2011, di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà del settore e lavoratori, per cui, sia stato previsto, entro la suddetta data, il diritto di accesso agli stessi sulla base di accordi collettivi; questi ultimi sono a carico degli stessi fondi sino al compimento dei 59 anni d’età, anche se abbiano maturato, prima di tale data, i requisiti previsti dalla riforma per accedere al trattamento pensionistico;

- lavoratori che, prima del 4 dicembre 2011, siano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria;

- lavoratori che, al 4 dicembre 2011, abbiano in corso l’esonero dal servizio.

Con il decreto legge 29 dicembre 2011 n. 216 convertito dalla legge 24 febbraio 2012 n. 14 è stata aggiunta un’ulteriore categoria titolare di deroga, cioè quella dei lavoratori che, al 31 ottobre 2011, erano in congedo per assistenza dei figli con disabilità gravi e che abbiano maturato, entro 24 mesi dall’inizio del congedo stesso, 40 anni di contributi versati indipendentemente da requisiti anagrafici.

Come precedentemente accennato, tali deroghe sono applicabili nei limiti delle risorse ad esse destinate, con le modalità definite da decreto, e spetterà agli enti previdenziali determinare il numero massimo dei beneficiari considerando il tetto massimo di risorse disponibili che ammontano a 2540 milioni per il 2013, 630 milioni per l’anno 2014, 1.040 milioni per il 2015, 1.220 milioni per il 2016, 1.030 e 610 milioni rispettivamente per gli anni 2017 e 2018 e 300 milioni per il 2019.

Agli enti previdenziali spetta il compito di valutare l’effettivo possesso dei requisiti necessari da parte dei beneficiari, con l’obbligo di non poter più accettare domande una volta raggiunti i limiti fissati dal tetto massimo di spesa.

5. Contributo di solidarietà

Il decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito, con modificazioni, dalla Legge 214 del 2011, introduce innovazioni anche per quanto concerne il contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro, cioè quella forma di contribuzione di perequazione su trattamenti pensionistici che superano un certo ammontare.

Infatti, gli assegni pensionistici che superano i novanta mila euro lordi anni sono soggetti al versamento di un contributo di solidarietà pari al 5% per l’ammontare compreso tra novanta e centocinquanta mila euro; al 10% di contribuzione per le somme comprese tra centocinquanta e duecento mila euro e al 15% per gli importi eccedenti i duecento mila euro.

Tale forma contributiva si applica sino al 2014 ed prende come riferimento, per il calcolo del contributo di perequazione, la pensione complessiva lorda per l’anno di riferimento.

Questo contributo è stato annullato con sentenza della Corte Costituzionale (n.116/2013) poichè viola i principi di uguaglianza e di capacità contributiva.

6. Rivalutazione delle pensioni ed aliquote contributive

Il meccanismo di perequazione automatica è quel sistema che permette l’adeguamento delle pensioni al tasso d’inflazione relativo all’anno precedente.

Con il D.L. 201/2011 si era congelato, nel biennio 2012/2013, il meccanismo di perequazione automatica per gli assegni pensionistici superiori a due volte il minimo previsto dall’Inps.

Dopo le proteste delle parti sociali con la conversione del suddetto Decreto Legge nella Legge 214/2011, la perequazione è stata estesa a tutti quei trattamenti pensionistici pari al triplo dell’assegno minimo Inps.

Al termine di ogni anno, il Ministero dell’Economia e delle Finanze decide quella che sarà la variazione provvisoria delle pensioni sulla base degli indici Istat che indicano le variazioni del costo della vita; indica anche la variazione definitiva da applicare alle pensioni dell’anno precedente sostituendola a quella provvisoria5.

Dalla differenza tra variazione previsionale e definitiva si genera un conguaglio che si applica ai trattamenti pensionistici e può essere sia positivo che negativo; se la variazione definitiva è stata maggiore di quella previsionale si crea un conguaglio positivo che verrà aggiunto alla pensione; se, invece avviene il contrario, il conguaglio negativo originatosi andrà sottratto all’assegno pensionistico.

La variazione preventiva per il 2012 è stata decisa al 2,6%. Dal 2014 si ritorna alla disciplina ordinaria.

Per quanto concerne, invece, le aliquote contributive pensionistiche di finanziamento e di calcolo delle gestioni pensionistiche dei lavoratori autonomi, in particolar modo di artigiani, commercianti e coltivatori diretti iscritti alla gestione autonoma Inps, a partire dal 1 gennaio 2012, sono aumentate dell’1,3%.

L’incremento, negli anni successivi, sarà pari allo 0,45% annuo sino a raggiungere, nel 2018, il valore del 24%.

Ai fini della determinazione de contributi pensionistici per artigiani e commercianti, la base imponibile è data dal reddito denunciato ai fini della determinazione dell’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (IRPEF) nell’anno in considerazione aggiungendo determinate variabili rappresentative dell’anzianità contributiva, dei massimali e minimali di reddito e delle fasce reddituali.

Per il 2012, in accordo con la manovra Finanziaria di Monti, l’aliquota è stata pari al 21,3%; sono, inoltre, state revisionate le aliquote per i mezzadri, coltivatori diretti e coloni iscritti all’Inps che saranno assestate ai valori del 24% e del 22% per le zone svantaggiate.

Anche i contributi previdenziali versati da lavoratori subordinati iscritti alla gestione pensionistica separata sono aumentati a partire dal 1 gennaio 2012; per i co.co.co., i professionisti senza cassa e i co.co.pro.6, la contribuzione è passata dal 26,72% al 27,72%.

Per chi è già titolare di pensione o è iscritto ad altre forme di previdenza obbligatoria l’aliquota aumenta dal 17% al 18%. Per questi ultimi il 12% dell’aliquota è a carico del datore ed il 6% è a carico del lavoratore.

Della percentuale di contribuzione in capo ai professionisti il 9,24% è a carico del lavoratore e il 18,48% del datore di lavoro. Lo 0,72% confluisce, invece, nel fondo maternità e per gli assegni familiari.

Con il comma 24 della riforma, partendo dalla considerazione dell’esistenza di strutture autonome di previdenza per determinate categorie professionali, si è deciso di apportare delle correzioni alle Casse di previdenza private per raggiungere l’equilibrio tra entrate ed uscite nel medio-lungo periodo. Ciò si doveva raggiungere mediante la predisposizione di bilanci tecnici con un orizzonte temporale di cinquant’anni, che sarebbero stati controllati dalle amministrazioni di vigilanza. Se tali bilanci non fossero stati predisposti o avessero ricevuto un giudizio negativo allora, dal gennaio 2012, automaticamente si sarebbe applicato il sistema contributivo pro-rata e un contributo di solidarietà dell’1%.

7. Creazione del Super-Inps ed altre innovazioni

Una delle grandi innovazioni introdotta della Riforma è stata l’abolizione dell’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (Inpdap) e dell’Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo e dello Sport professionistico (Enpals) che sono confluite entrambe all’interno dell’Inps.

Ciò che ha spinto a una decisione di tale portata è stata la volontà di migliorare l’efficienza e l’efficacia dell’apparato burocratico in campo previdenziale e pensionistico, soprattutto a fronte dell’estensione del sistema contributivo. Con tale manovra potrebbero esserci anche cospicui risparmi in termini di spesa le cui stime, indicate nell’Audizione del Presidente dell’Inps, si aggirano attorno ai 20 milioni di euro per il 2012, cinquanta e cento milioni di euro rispettivamente per il 2013 e 2014.

Il personale e le risorse finanziarie dell' Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica - INPDAP e Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo - ENPALS sono stati assorbiti dall’Inps che è subentrato in tutti i rapporti attivi e passivi degli enti soppressi.

La riorganizzazione dell’ente di previdenza è stata predisposta nei 60 giorni successivi le delibere di approvazione dei bilanci di chiusura degli enti soppressi. Tale attività di raccordo è stata guidata dai direttori generali degli enti in questione tenendo conto che nulla è cambiato in merito alle gestioni previdenziali e alla tutela degli utenti, per i quali è stata garantita continuità del trattamento.

Altri provvedimenti innovativi introdotti dalla riforma Fornero sono quelli a favore di donne e giovani. I comma 27 e 27-bis dell’Art. 24 introducono l’istituzione di un Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell’incremento qualitativo e quantitativo dell’occupazione giovanile e delle donne.

Il Fondo ha ricevuto nel 2012 un finanziamento pari a duecento milioni di euro, nel 2013 e nel 2014 le risorse destinate saranno pari a trecento milioni di euro e nel 2015 il finanziamento ammonterà a 240 milioni di euro.


1Cfr. BOTTA, (2012)

2Cfr. ZANONI, (2012)

3Cfr. BOTTA, (2012)

4Cfr. ZANONI, (2012)

5Cfr. BOTTA, (2012)

6Contratto di collaborazione a progetto

 

Bibliografia

BISETTI  E. e FAVERO C. A. (2012), “Measuring the impact of longevity risk on pension systems: the case of Italy”, Working papers, No. 439, IGIER (Innocenzo Gasparini Institute for Economic Research), Bocconi University. (http://ideas.repec.org/p/igi/igierp/439.html)

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Redattore: Doralisa CAPUTO

 

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