nuovissima Enciclopedia di banca, borsa e finanza

Lettera selezionata: P

  • PAC

    1. Acr. di: Piano di accumulazione del capitale (trad. dall’inglese capital accumulation plan). I PAC rappresentano un utile strumento e servizio per coloro che vogliono entrare sul mercato senza avere l’immediata disponibilità di grandi somme da investire, consentendo l’acquisto di quote di fondi comuni mediante versamenti periodici successivi. Mediante questo sistema, si possono versare nel fondo importi fissi o variabili, a cadenza mensile, trimestrale, quadrimestrale ecc. in un arco temporale di cinque, dieci o quindici anni. Ai PAC sono applicate commissioni di ingresso in misura superiore ai cosiddetti versamenti in un’unica soluzione che, denominati correntementePIC, sono sempre più spesso esenti da commissioni. (as-lp) 2. Acr. di: Politica agricola comune (fr.: Politique Agricole Commune-PAC; Common Agricultural Policy-CAP): v. Agenda 2000. 3. Acr. di: Planned amortizazion classes: v. stripped mortgage-backed securities.

  • PACCHETTO AZIONARIO

    Insieme di titoli azionari di una società detenuti da un soggetto. Il pacchetto acquista rilevanza quando, per la sua entità, supera determinate soglie di partecipazione che determinano la qualificazione della stessa come partecipazione rilevante conferendo, a volte, al titolare il controllo, relativoo assoluto, della società. Il pacchetto può essere ceduto ed acquistato in blocco, determinando immediatamente, se giuridicamente rilevante, l’applicazione di alcune norme relative alla pubblicità e trasparenza dell’operazione oltre che in materia di concorrenza e tutela degli azionisti, oppure può essere formato mediante acquisti successivi che fanno scattare l’operatività della specifica normativa al raggiungimento di alcune soglie di partecipazione. L’ipotesi estrema della concentrazione di tutte le azioni in mano ad un solo soggetto concreta l’ipotesi dell’unico azionista o dell’unico quotista, a seconda che si tratti di spa o srl, con assoggettamento alla relativa disciplina contenuta rispettivamente agli artt. 2362 e 2475 sgg. c.c.

  • PAESE IN VIA DI SVILUPPO

    Paese con un livello di sviluppo economico inferiore a quello dei paesi ricchi, ma che presenta elevate potenzialità e che ha avviato un programma di sviluppo. Fanno parte di questa categoria alcuni paesi dell'Africa (e.g. Sud Africa e Nigeria), dell'America Latina (Brasile) e dell'Asia (Russia, Singapore, Malesia e Corea del Sud). Secondo la definizione del FMI sono i Paesi non compresi tra quelli di advanced economies, NIE (four dragons), PECO e NIS. Sin.: developing countries (q.v.).

  • PAESI DEL MAGHREB

    Nei documenti diplomatici della CE sono raccolti sotto questa dizione Algeria, Marocco e Tunisia (fr. Pays du Maghreb; ingl. Countries of the Maghreb)

  • PAESI DEL MASHRAK

    Nei documenti diplomatici della CE sono raccolti sotto questa dizione Egitto, Giordania, Libano, Siria, Territori OLP (fr. Pays du Machrek; ingl. Countries of the Mashreq).

  • PAESI DELL'AREA DELL'EURO

    Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna (euro-12) e Slovenia (euro-13), Cipro, Malta, Slovacchia e Estonia (euro-17) e Lettonia (euro-18), Lituania (euro-19).
    Non hanno invece adottato la moneta unica i seguenti Paesi dell’Unione europea: Bulgaria, Croazia, Danimarca, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Svezia e Ungheria.
    Fonte: Banca d'Italia

  • PAGAMENTI INTERNAZIONALI

    Insieme dei flussi monetari conseguenti agli scambi di merci, di servizi e di capitali che si verificano tra i paesi. Visti come entrate e uscite di un paese nei confronti del resto del mondo sono contabilizzati nella bilancia dei pagamenti. L’effettuazione dei relativi pagamenti necessita di mezzidi regolamento che siano accettati e riconosciuti validi dai paesi scambisti; le caratteristiche e le proprietà di questi mezzi sono definite dalsistema monetario internazionale vigente. Il mezzo di pagamento internazionale più antico è l’oro: il sistema monetario internazionale in cui l’oro è il mezzo di pagamento finale è detto gold standard, Successivamente i pagamenti internazionali non furono più effettuati (solo) con oro, ma con una o più monete nazionali (prima la sterlina e poi il dollaro) che riscuotevano la generale fiducia ed erano convertibili in ogni momento in oro: il sistema monetario basato su questi mezzi di pagamento internazionale è il gold exchange standard. Questo sistema monetario, codificato anche dagli Accordi di Bretton Woods, ha subito nel tempo rilevanti modifiche. Tra l’altro il FMI può emettere, a partire dal 1969, i c.d. DSP (diritti speciali di prelievo) che costituiscono un ulteriore mezzo di pagamento internazionale. Sembra così che, a distanza di molti anni, sia stata in parte accolta l’idea di Keynes, rifiutata nel 1944 a Bretton Woods, sull’opportunità di creare un mezzo di pagamento internazionale, il bancor, emesso in relazione alle esigenze dei traffici internazionali. Infine nel 1971 il governo statunitense, sospendendo la convertibilità in oro del dollaro, ha sostanzialmente decretato la fine del gold exchange standard: da allora è iniziato un periodo di grave instabilità monetaria con formazione di aree, al cui interno si realizzano rapporti di cambio più stabili (v. Sistema monetario europeo).

  • PAGAMENTO ALL'ESTERO

    Esborso a favore di un operatore residente in un altro Stato. Può essere eseguito, a seconda dell’impegno assunto nei confronti del debitore, nella valuta di quest’ultimo o del creditore o in quella di altro paese. Il pagamento in moneta estera comporta il rischio di cambio e cioè per il debitore di un esborso di un quantitativo di moneta nazionale superiore al previsto, per il creditore di un introito inferiore al previsto, mentre il rischio coinvolge creditore e debitore quandosi ricorre a una terza valuta. I pagamenti avvengono tramite le banche abilitate, che hanno corrispondenti in molti paesi e acquistano divise da chi ne è in possesso per rivenderle a chi ne abbisogna. Le banche spesso ne anticipano il prezzo sia sotto forma di finanziamenti in lire e/o in valuta all’importazione, sia sotto forma di anticipi all’esportazione. La scelta della valuta per gli importatori è determinante ai fini del costo della merce importata; pertanto, non di rado viene effettuata la copertura a termine, che coinciderà con la scadenza del finanziamento concesso dalla banca.

  • PAGAMENTO RATEALE

    Regolamento del prezzo di un bene secondo scadenze periodiche prefissate. Nella vendita rateale il prezzo subisce delle maggiorazioni rispetto a quella per contante, per l’aggiunta sia del costo del servizio, sia degli interessi relativi alla somma dilazionata, sia per la copertura del rischio d’insolvenza.

  • PAGAMENTO UTENZE DOMICILIATE

    Pagamento continuativo delle utenze agli enti erogatori convenzionati, effettuata dalla banca sulla base del rilascio di un’autorizzazione permanente all’addebito in conto corrente (v. disposizioni permanenti di pagamento). Tale servizio si rivela per il cliente, privato o azienda, particolarmente conveniente dal punto di vita economico, poiché comporta di regola commissioni più basse dell’addebito una tantum,evita le penalità derivanti da mancato o ritardato pagamento e prevede l’addebito delle bollette con valuta ultimo giorno di pagamento. La domiciliazione delle utenze solleva il cliente inoltre dagli impegni di scadenza e dalle code agli sportelli bancari o postali. La banca, dal canto suo, viene a disporre di uno strumento che facilita il consolidamento del rapporto con il cliente e che consente di alleggerire il lavoro in cassa, specie nei giorni di scadenza dei servizi in questione.

  • PAGHERÒ CAMBIARIO

    Denominazione giuridica della specie di cambiale consistente nella promessa incondizionata dell’emittente e sottoscrittore di pagare a una certa data (“pagherò”,donde il nome) una certa somma in un certo luogo specificato. È ammesso chiamarlo vaglia cambiario, o anche semplicemente cambiale (art. 100 u.c. l.camb.). Con quest’ultimo termine viene chiamato nell’uso comune il pagherò.

  • PAGOBANCOMAT

    Marchio di proprietà dell’ABI che ha concesso nel 1996 alla Cogeban in licenza d’uso esclusivo. La Cogeban è un’associazione di banche promossa dall’ABI nel 1995 per massimizzare lo sviluppo del servizio PagoBancomat dal 1996 e Bancomat dal 2001. Il sistema è stato concepito per aumentare la diffusione della moneta elettronica. Esso rappresenta un’estensione del sistema Bancomat col quale ha in comune la caratteristica della circolarità: il portatore della carta di debito può effettuare operazioni presso tutti i terminali che aderiscono al sistema, quale che è la localizzazione contabile del proprio conto corrente. Con gli stessi dati inseriti nella banda magnetica della carta è possibile accedere ad altri circuiti, oltre a quello del sistema Bancomat ed effettuare pagamenti di utenze, ricari- che di telefoni cellulari; pagamenti degli acquisti di beni o servizi presso esercizi commerciali convenzionati dotati di un POS (point of sale, punti di vendita), cioè di uno specifico dispositivo di lettura della carta; pagamenti di pedaggi presso i caselli autostradali che espongono il marchio del circuito FastPay; pagamenti di tasse, multe e servizi comunali, ottenere il rilascio di certificati anagrafici e ottenere informazioni su altri servizi presso gli sportelli ATM che alcuni enti locali hanno abilitato al servizio DIMMI! (finora però attivato solo dal Comune di Bologna e da alcuni Comuni vicini). L’attrattiva della carta PagoBancomat è rafforzata dalla possibilità di utilizzare la medesima carta PagoBancomat anche come carta di credito, a scelta del portatore. La carta PagoBancomat può essere anche abilitata ai circuiti internazionali Visa Electron, Cirrus, per prelievi sugli ATM esteri che espongono il marchio ec/Cirrus e sui circuiti internazionali Maestro, per pagamenti su terminali POS negli esercizi commerciali esteri che espongono il marchio edc/Maestro. Il regolamento delle transazioni in denaro attraverso i POS consegue a un ordine irrevocabile da parte del titolare della carta e avviene con una procedura simile a quella presso gli ATM e cioè digitando gli estremi identi- ficativi dell’operazione e del venditore (da parte di questi) e del PIN da parte del titolare della carta. Le informazioni sono comunicate al centro autorizzativo della banca emittente la carta che, compiuti il confronto del PINcol PAN inserito sulla carta e le altre verifiche sulla regolarità e la validità della carta, autorizza l’operazione addebitando il conto corrente del cliente e disponendo l’accredito a favore dell’esercente presso la banca dove questi intrattiene il conto. La banca emittente del PagoBancomat è esonerata da ogni responsabilità per fatti imputabili a terzi (interruzioni del servizio causate da chiusure degli esercizi o da irregolare funzionamento delle apparecchiature), come pure è estranea a qualsiasi controversia o contestazione relativa alla fornitura delle merci e dei servizi. Come per i servizi Bancomat, all’utente, dopo la sottoscrizione del contratto Pago- Bancomat, la banca consegna una carta magnetica contrassegnata da un numero identificativo segreto, il PAN e un plico sigillato contenente un numero di codice personale segreto, PIN. Per avvalersi del servizio (che è attivo, normalmente, tutti i giorni 24 ore su 24) bisogna inserire la carta nell’apparecchiatura dell’ATM o del POS, digitare su una tastiera il codice segreto e gli elementi identificativi dell’operazioneche si intende effettuare (nel caso del POS il secondo gruppo di informazioni sono generalmente inserite dal venditore). Tutte le informazioni sono trasmesse alla banca emittente della carta Bancomat/PagoBancomat che autorizza l’operazione dopo aver confrontato PIN e PAN e verificato la regolarità e la validità della carta. Il servizio presuppone da parte dell’utente la titolarità di un conto corrente al quale esso è accessorio. L’addebito in conto delle operazioni di prelievo effettuate viene eseguito dalla banca in base alle registrazioni effettuate dallo sportello sul c.d. giornale di fondo dell’erogatore; nei confronti del correntista, peraltro, fa prova lo scontrino, rilasciato dall’ATM contestualmente all’erogazione della somma, nel quale sono annotati gli estremi dell’operazione. Quanto agli effetti sul conto corrente, l’addebito delle somme prelevate viene registrato con valuta dello stesso giorno del prelevamento, se questo è lavorativo, e dell’ultimo giorno anteriore a quello dell’operazione, se questa è fatta nei giorni di chiusura degli sportelli bancari. Il contratto prevede, inoltre, la facoltà della banca emittente la carta di modificare l’ubicazione degli sportelli bancomat, sospendere o abolire il servizio in qualunque momento, in relazione a eventi connessi all’efficienza e alla sicurezza del servizio stesso, senza che la medesima banca assuma responsabilità per eventuali temporanee interruzioni, anche se non comunicate al correntista. Il servizio, pur prevedendo la possibilità di un intervento di tre soggetti distinti (banca-emittente, cliente, banca-pagatrice), non comporta l’insorgere di alcun rapporto giuridico contrattuale tra il cliente e la banca pagatrice: quest’ultima assume obblighi esclusivamente nei confronti della banca emittente (obblighi reciproci, trattandosi di servizio attivato in circolarità). In caso di smarrimento o furto della carta PagoBancomat il correntista è tenuto a bloccare l’operatività della carta tramite telefonata al Numero Verde e/o comunicazione tempestiva alla dipendenza della banca emittente e di denunciare l’accaduto all’Autorità giudiziaria o di Polizia.

  • PAIRING

    Tecnica aziendale di neutralizzazione del rischio di cambio che consente di attuare una protezione dal rischio stesso all’interno dell’azienda attraverso una compensazione delle esposizioni nette nelle diverse valute. Essa consiste in un equilibrio della tesoreria in valuta delle imprese che sono al tempo stesso importatrici ed esportatrici, non necessariamente nelle stesse valute o in concomitanza temporale o di pari importo. In pratica vengono omogeneizzati i flussi finanziari rispetto ai flussi operativi di cassa derivanti dall’attività commerciale, attraverso vari tipi di interventi, quali l’arbitraggio tra le divise giacenti sui conti in valuta, quello tra le valute di finanziamento, la scelta dei tempi di negoziazione e di finanziamento e così via.

  • PALMARE

    Personal computer portabili di peso inferiore a 1 kg (la denominazione originale americana è palmtop) abbastanza piccoli per stare nel palmo della mano. Incorporano generalmente un modem per spedire fax ed e-mail, registrano messaggi vocali, riconoscono la scrittura manuale e la voce e si possono collegare a un personal computer. Sono privi di unità a dischi e sono un’evoluzione delle agende elettroniche.

  • PAN PRIMARY ACCOUNT NUMBER

    È il numero identificativo di una carta di debito (es. il Bancomat) e di una carta di credito associato a queste fin dall’emissione. Un algoritmo associato al PAN genera il PIN, che invece è l’identificativo dell’utente. Mentre il PIN viene digitato dall’utente al momento della transazione, il PAN è “scritto” sulla carta. Al momento della transazione, il PAN viene letto dall’ATM o dal POS e viaggia su rete, fino a pervenire al centro autorizzativo, che controlla l’avvenuta emissione della carta con quel PAN e la sua validità. Correlativamente, il blocco della carta attuato a seguito di smarrimento o furto viene realizzato attraverso il blocco del PAN. Finora era in vigore un accordo tra le banche in base al quale il PAN doveva rimanere assolutamente segreto, anche nei confronti dell’utente. Di recente, peraltro, il PAN ha iniziato a comparire sulle ricevute delle transazioni.

  • PANDEMIC BOND

    Abstract
    I Pandemic Bond sono titoli obbligazionari emessi per fronteggiare le spese relative allo scoppio e diffusione di pandemie mondiali. Emessi in due classi per la prima volta nel giugno 2017 dalla Banca Mondiale, essi sono legati rispettivamente a epidemie mondiali da influenza e coronavirus e a pandemie di altre casistiche, come appunto Ebola o la febbre di Lassa. Il valore nominale di queste due prime emissioni della Banca Mondiale si attesta a 320 milioni di dollari.

    Che cosa sono e come nascono i Pandemic Bond?
    Dopo l'epidemia legata alla diffusione del virus Ebola del 2014, la Banca Mondiale si è attivata al fine di fornire un meccanismo finanziario di supporto alle popolazioni colpite dalla propagazione di pandemie globali. In linea con il suo mandato di creare nuovi mercati, la Banca Mondiale ha creato una soluzione finanziaria chiamata Pandemic Emergency Financing Facility (PEF), che ha un funzionamento simile ad un meccanismo assicurativo (Stein and Sridhar, 2017). Il Pandemic Emergency Financing Facility (PEF), secondo quanto dichiarato dalla stessa Banca Mondiale, copre i sei virus che hanno probabilità più elevate di causare una pandemia, includendo i Coronaviridae, quali Sars, Mers e Sars-CoV-2, i nuovi Orthomyxovirus – un nuovo ceppo di virus pandemico-influenzale di tipo A – i Filoviridae – in cui rientrano Ebola e Marburg – e altre malattie zoonotiche, in cui si annoverano le febbri di Lassa, Crimea-Congo e Rift Valley.
    Con l’attivazione di questo meccanismo, l’intento della Banca Mondiale era quello di slegarsi dall’idea di semplici donazioni o aiuti in denaro rivolti alle popolazioni colpite da un’eventuale diffusione pandemica di alcuni virus, creando un mercato per gli investimenti del settore privato legato alla scommessa circa il rischio dello scoppio delle pandemie. Così facendo, la Banca Mondiale considera la preparazione ad un’eventuale pandemia come un bene pubblico globale, a supporto della sicurezza sanitaria globale e dei suoi impatti economici.
    Il 28 Giugno del 2017, la Banca Mondiale emette i primi due Pandemic bond, con durata triennale (con scadenza 15 luglio 2020), che vantano tassi molto elevati, ma anche vincoli molto stringenti circa la definizione di pandemia (Erikson, 2019; Labbe, 2017).
    I due Pandemic bond emessi sono rispettivamente legati alle pandemie dovute a Coronavirus e a virulente influenze, e alle diffusioni pandemiche di Filoviridae e di altre malattie zoonotiche.
    Le tipologie delle emissioni dei due titoli obbligazionari sono una di classe A dal valore di 225 milioni di dollari con rendimento del 6,9% e una di classe B da 95 milioni, rendimento dell’11% (l’obbligazione di classe A è meno rischiosa e paga un rendimento più basso, mentre l’obbligazione di classe B è più rischiosa).
    Ufficialmente quotati sulla Borsa del Lussemburgo, i due Pandemic Bond ad oggi emessi non sono di fatto negoziati, se non tra operatori specializzati.

    Come funzionano i Pandemic Bond?
    I due titoli obbligazionari pandemici funzionano similmente ad un’assicurazione stipulata dalla Banca Mondiale per far fronte ad eventuali spese legate ad emergenze sanitarie. In caso di pandemie, gli investitori non verranno rimborsati, poiché in quel caso le disponibilità monetarie verrebbero versate interamente nel fondo per gestire le pandemie.
    Con questo meccanismo, la Banca Mondiale evita di dover ricorrere a negoziati per ottenere i fondi a sostegno delle spese legate alla diffusione pandemica. Scommettendo sulla probabilità che la pandemia non si verifichi, gli obbligazionisti, in caso di pandemia, non sarebbero rimborsati.

    Quando gli investitori non vengono rimborsati?
    Affinché scatti il meccanismo assicurativo sotteso ai Pandemic Bond e gli investitori non ricevano il rimborso dei capitali, occorre che scattino alcune clausole. La prima fra tutte è l’ufficiale dichiarazione di pandemia da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La seconda condizione è legata al numero di decessi connessi alla pandemia: nello specifico, la clausola scatta se nel paese di origine del contagio si contano almeno 250 decessi e in un secondo stato, almeno 20 vittime. Terzo, affinché si attivi la clausola del taglio al rimborso del bond, è necessario che dall’inizio del contagio sia trascorso un periodo di 12 settimane (84 giorni). L’ultima e più complicata condizione riguarda una valutazione da parte dell’agenzia indipendente Air Worldwide Corporation, specializzata in modelli econometrici e quantitativi di gestione del rischio, che dimostri alla fine del periodo di 84 giorni, un determinato tasso di crescita dei contagi e un dato rapporto tra casi confermati e casi totali nei paesi membri dell’Agenzia Internazionale per lo Sviluppo (International Development Association) e della Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS) (International Bank for Reconstruction and Development, IBRD), due pilastri della Banca Mondiale.

    Pandemic Bond e implicazioni
    Con l’emissione dei Pandemic Bond e la creazione del Pandemic Emergency Financing Facility (PEF), la Banca Mondiale assume un ruolo centrale nei meccanismi di garanzia della sicurezza sanitaria globale e anche degli impatti economici che una crisi sanitaria può generare. Il rischio insito nei titoli obbligazionari legati alle pandemie e nel meccanismo assicurativo sotteso ad essi riguarda il trasferimento al mercato delle problematiche sanitarie pubbliche. Tale trasferimento potrebbe implicare un disallineamento fra l'obiettivo di fornire assistenza sanitaria, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, e l’obiettivo di ricerca del profitto, da parte degli investitori.

    Pandemic Bond e Covid-19
    I Pandemic Bond sono stati pensati e lanciati dopo l'epidemia di Ebola del 2013-2016 che ha devastato la Sierra Leone, la Guinea e la Liberia, mietendo circa 11.300 individui. Tuttavia la successiva epidemia di Ebola, che nel 2018 ha imperversato nella Repubblica Democratica del Congo per circa un anno, uccidendo oltre 2.000 persone, ha reso questo strumento finanziario controverso, in quanto in questa occasione il meccanismo del PEF non funzionò perché non scattarono tutte le clausole del contratto obbligazionario. In particolare, non scattarono i criteri relativi al rapporto di dimensione/diffusione dei contagi e la crescita degli stessi.
    Tuttavia, con una nota di fine Aprile 2020 pubblicata sul proprio sito web, la Banca Mondiale ha comunicato che, per la pandemia da Covid-19, il meccanismo del PEF funzionerà in quanto tutti i criteri di attivazione sono scattati, inclusi i criteri relativi alle dimensioni, alla diffusione e alla crescita dei contagi (Hofmann, Shim, and Shin, 2020).
    Un organo direttivo sarà chiamato a riunirsi per determinare come assegnare i fondi ai paesi membri dell’Agenzia Internazionale dello Sviluppo, detti anche IDA-countries, un gruppo di 76 Nazioni fra le più povere del mondo. Quest’organo è composto da Australia, Germania, Giappone, Organizzazione Mondiale della Sanità, UNICEF, Banca Mondiale e due paesi IDA (attualmente Haiti e Liberia).
    La critica più aspra che viene mossa al meccanismo riguarda quindi la complessità dello strumento e la stringenza delle clausole per evitare il rimborso dei bond. In base ad esse, infatti, il meccanismo è scattato solo dopo che i casi di coronavirus segnalati hanno superato la soglia 2,26 milioni a livello globale, contando oltre 154.613 vittime. La critica considera lo strumento sbilanciato, favorendo la posizione dell’investitore e non le esigenze dei Paesi in via di sviluppo, evidenziando problemi di pricing dello strumento. Con una struttura meno complessa, in cui il meccanismo di rimborso scatti più facilmente, i fondi potrebbero essere utilizzati per prevenire la diffusione delle pandemie nei Paesi con maggiori difficoltà, in quanto un intervento tardivo è più costoso sia in termini di vittime, sia in termini di disponibilità finanziarie necessarie per porre rimedio alla situazione. Un’alternativa alla semplificazione delle clausole potrebbe riguardare l’aggiustamento del meccanismo pricing di questi strumenti, in modo da limitare lo sbilanciamento nei confronti degli investitori.

    Bibliografia
    LABBE A. (2017), “DEAL: world's first pandemic bond”, International Financial Law Review, London.
    STEIN F. e SRIDHAR  D. (2017), “Health as a “global public good”: creating a market for pandemic risk”, BMJ, DOI: https://doi.org/10.1136/bmj.j3397.
    LEITE  P. e  CORTEZ  M. C. (2016), “The conditional performance of Euro bond funds: evidence from Portugal during the debt crisis”, Spanish Journal of Finance and Accounting, 46(2), 212-226, DOI: https://doi.org/10.1080/02102412.2016.1265708.
    ERIKSON S. (2019), “Global health futures? Reckoning with a pandemic bond”, Medicine Anthropology Theory 6(3): 77–108; DOI: https://doi.org/10.17157/mat.6.3.664.
    HELBERG  S. e LINDSET  S. (2020), “Collateral affects return risk: evidence from the euro bond market”, Financial Market Portfolio Management, 34, 99–128, DOI: https://doi.org/10.1007/s11408-019-00343-2.
    HOFMANN  B., SHIM I.  & SHIN H. S. (2020), “Emerging market economy exchange rates and local currency bond markets amid the Covid-19 pandemic”, BIS Bulletins 5, Bank for International Settlements.
    https://www.worldbank.org
    https://ida.worldbank.org/about/borrowing-countries
    https://www.worldbank.org/en/who-we-are/ibrd

    Redattore: E. Anna GRAZIANO




  • PANEL D'ISPEZIONE DELLA BANCA MONDIALE (ENCICLOPEDIA)

    Abstract

    Il Panel di Ispezione della Banca Mondiale è un organismo indipendente, privo di poteri giurisdizionali, con il compito di attivare indagini riguardanti presunte violazioni di politiche e procedure interne della Banca Mondiale nell’esecuzione dei suoi progetti. In particolare, i ricorsi al Panel riguardano principalmente questioni legate ai progetti finanziati attraverso la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS) e la Agenzia Internazionale per lo Sviluppo (IDA), mentre i reclami relativi ai progetti sostenuti da altre agenzie del Gruppo Banca Mondiale, la International Finance Corporation (IFC) e la Agenzia multilaterale di garanzia degli investimenti (MIGA) sono trattate dall'Ufficio del Compliance Advisor Ombudsman (CAO). Il Panel di Ispezione della Banca Mondiale è il primo organismo che promuove la responsabilità di un Istituto finanziario internazionale. Promuove, infatti, la responsabilità della Banca Mondiale nel dare alle parti lese voce in capitolo sulla tutela dei propri interessi e diritti in relazione alle attività svolte dalla stessa.

    Struttura

    Il Panel d’Ispezione della Banca Mondiale funziona in modo permanente e ha una struttura molto semplice caratterizzata dall’operato di tre membri (ispettori), provenienti ognuno da un diverso Stato membro della Banca. La decisione di tale numero è conforme a un sistema ormai classico per gli organi di controllo internazionali, poiché essendo dispari agevola la formazione delle maggioranze indispensabili per le deliberazioni.

    Gli ispettori rimangono in carica per cinque anni e sono nominati dai Direttori Esecutivi su proposta del Presidente della Banca Mondiale. Risulta loro preclusa la possibilità di esercitare altre attività professionali salvo un’autorizzazione da parte del Consiglio dei Governatori della Banca Mondiale.

    Il Panel è presieduto dall’ispettore nominato per primo tra i tre, a cui risulta affidata la direzione dei servizi e la direzione delle udienze e le relative deliberazioni.

    In aggiunta ai tre ispettori è previsto il Segretario Esecutivo, nominato dal Presidente della Banca previa consultazione del Consiglio dei Governatori. Il Segretario Esecutivo partecipa a tutte le riunioni del Panel, ma è privo del diritto di voto e svolge un importante compito di mediazione tra l’organismo e i ricorrenti.

    Nello svolgimento delle loro funzioni, i membri del Panel sono funzionari della Banca e godono dei privilegi e delle immunità riconosciute a tutti i funzionari dell’Istituto.

    Mandato

    Il mandato del Panel riguarda la verifica della conformità delle attività della Banca Mondiale, durante la realizzazione di un progetto, con le sue “policies”, “procedures” e “operational directives”.Queste politiche e procedure operative interne contemplano numerosi aspetti legati, tra l’altro alla protezione ambientale e alla tutela delle popolazioni locali suscettibili di subire un danno dovuto alla realizzazione del progetto finanziato dalla Banca.

    Il Panel analizza unicamente i progetti finanziati dalla Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS) e dall'Agenzia Internazionale per lo Sviluppo (IDA), mentre la International Finance Corporation (IFC) e la Agenzia multilaterale di garanzia degli investimenti (MIGA) non sono soggetti alle sue indagini. Se dunque, la responsabilità del pregiudizio arrecato non è da ascrivere direttamente alla Banca (BIRS e IDA) o ricade, ad esempio, sul beneficiario del prestito, la richiesta di indagine del Panel non può essere accolta.

    Il Panel è chiamato innanzitutto a valutare la ricevibilità dei ricorsi, i quali devono rispettare alcuni criteri di ammissibilità:

    1. Il previo esaurimento dei ricorsi interni, ovvero nei casi in cui gli strumenti di garanzia messi a disposizione dal diritto interno della Banca Mondiale, non abbiano rimediato alle situazioni di pregiudizio.
    2. Il nesso di causalità tra atti e omissioni della Banca Mondiale, ovvero la sussistenza di un nesso diretto di causalità tra gli atti imputabili alla Banca ed il pregiudizio materiale subito dai ricorrenti.
    3. Il criterio temporale, ovvero il Panel non è legittimato ad agire se la richiesta avanzata e avvenuta dopo la scadenza del prestito o dopo che il prestito sia stato elargito per oltre il 95% del totale.

    Soggetti legittimati a richiedere l’ispezione

    La parte lesa che può richiedere l’intervento del Panel deve avere due caratteristiche fondamentali:

    1. Essere costituita da un gruppo di individui (almeno due) e non da una singola persona.
    2. Essere residente nell’area interessata dalla realizzazione di un progetto finanziato dalla Banca.

    Sono dunque ammessi a richiedere l’ispezione gli individui (almeno due), le associazioni, i rappresentanti locali, le ONG e in aggiunta un singolo Direttore esecutivo o anche il Consiglio dei Direttori esecutivi.

    Procedura d’inchiesta

    La procedura d’inchiesta del Panel può essere sintetizzata in quattro fasi: la richiesta d’ispezione, l’esame preliminare, l’inchiesta vera e propria e il rapporto finale.

    1. Richiesta d’ispezione

    La richiesta di eseguire un’indagine deve essere presentata in forma scritta e deve contenere una serie di informazioni, riguardo a come le politiche e le procedure operative sarebbero state violate e al descrizione di come la parte richiedente sia stata lesa. Se il Presidente del Panel ritiene che la questione esuli dal mandato del Panel, egli lo notificherà al richiedente. Il Presidente del Panel ha il compito di notificare la richiesta di indagine ai Direttori Esecutivi e al Presidente della Banca.

    Entro 21 giorni dalla notifica, il management della Banca dovrà fornire al Panel le prove che esso si è conformato alle politiche e alle procedure operative della Banca nella realizzazione del progetto, oppure che intende conformarsi a tali politiche e procedure a partire da quel momento.

    2. Esame preliminare

    Non oltre 21 giorni dalla risposta del management, il Panel dovrà effettuare un esame preliminare per verificare che esistano i presupposti per attivare una procedura di inchiesta.

    Il Panel deve accertare i seguenti elementi:

    - Legittimazione del richiedente (competenza ratione personae).
    - Pertinenza dell’oggetto del ricorso (competenza ratione materiae).
    - Criterio temporale (competenza ratione temporis).

    Dopo aver svolto tale investigazione, il Panel dovrà raccomandare ai Direttori Esecutivi di avviare o meno un’inchiesta. Saranno dunque i Direttori Esecutivi, riuniti in Consiglio, a prendere la decisione che autorizza il Panel ad avviare una procedura d’inchiesta.

    3. Inchiesta

    Il Panel ha il potere di condurre le indagini, consultando i membri dello staff e se necessario il Direttore Generale e l’Operations Evaluation Department della Banca mondiale. Inoltre, l’organo potrà avere accesso a tutti i documenti della Banca. Sarà possibile consultare anche il Direttore Esecutivo che rappresenta il beneficiario del prestito ed effettuare un’eventuale indagine sul territorio del Paese all’interno del quale si sta realizzando il progetto previo consenso dello Stato interessato.

    4. Rapporto finale

    Alla fine dell’inchiesta il Panel elabora un rapporto scritto che sulla base dei risultati delle indagini, determina se la Banca si sia conformata o meno alle proprie politiche e procedure. Tale rapporto è presentato ai Direttori Esecutivi e al Presidente della Banca. Il potere di prendere qualunque decisione in relazione al risultato dell’inchiesta spetta ai Direttori Esecutivi che, entro due settimane da quando ricevono il rapporto, dovranno informare il richiedente dei risultati dell’inchiesta e della eventuale azione che si intende assumere relativamente al progetto in merito al quale era stata avviata l’inchiesta.

    Natura giuridica degli atti e limiti del Panel

    Il Panel è stato creato con un atto interno della Banca ed è quindi subordinato formalmente agli organi amministrativi della stessa. L’eventuale istituzione del Panel attraverso un emendamento all’accordo istitutivo della Banca mondiale, oppure attraverso un Protocollo aggiuntivo, avrebbe senza dubbio accordato al Panel e alle sue funzioni una forza maggiore. Infatti il Panel è caratterizzato da una quasi totale assenza di potere decisionale in quanto sono i Direttori Esecutivi che restano gli unici ad avere il potere di decidere se autorizzare una procedura di inchiesta e, successivamente, se dare o meno seguito alle raccomandazioni del Panel.

    La volontà di rendere il Panel un organo indipendente nello svolgimento delle proprie funzioni si scontra con il fatto che i suoi membri sono considerati, dal testo della risoluzione istitutiva, funzionari della Banca. Essi sono, perciò dipendenti di quello stesso Istituto nei confronti del quale eseguono una indagine, riducendone automaticamente l’indipendenza e l’imparzialità richiesta.

    Gli atti del Panel non sono vincolanti e non hanno poteri sanzionatori. Il rapporto finale, infatti, è da considerare un mero “invito” per l’attuazione di una condotta da parte della Banca ed è dunque giuridicamente ininfluente, ma non privo di effetti. Il rapporto finale deve intendersi come serie di obblighi di ottemperanza in capo ai suoi diretti destinatari. Anche se non ha poteri sanzionatori, il rapporto può diventare un notevole meccanismo di pressione sul management e sul Consiglio di amministrazione, poiché prodotto da un organo indipendente. L’accertamento, ad esempio, di negligenze da parte dei funzionari della Banca Mondiale può comportare come eventuale conseguenza l’avvio di azioni disciplinari.

    Controversie alla base della nascita del Panel

    A partire dagli anni ottanta, la discrepanza tra i dettami delle politiche interne della Banca Mondiale e il suo concreto operato hanno suscitato importanti critiche sullo scenario internazionale. I principali motivi della nascita di questo Istituto sono da ricercare negli scarsi risultati conseguiti mediante le attività di finanziamento, garanzia e prestito previste nell’accordo istitutivo e le necessità di maggiore trasparenza in relazione ad eventuali danni o pregiudizi arrecati dalle attività svolte dalla Banca Mondiale.

    La necessità di creare un vero e proprio sistema di vigilanza sui finanziamenti dell’Istituto si è scontrata, fin da subito, con la volontà dei Paesi in via di sviluppo di non attivare un organo che potesse risultare un meccanismo di intrusione nello svolgimento dei propri progetti di sviluppo.

    Per tali motivi l’organizzazione dei lavori riguardanti la nascita e le funzioni del Panel sono stati costituiti, almeno inizialmente, da una netta divisione tra paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo. Da una parte, infatti, i Paesi occidentali, la società civile e le ONG hanno sostenuto la necessità di tale organismo, dall’altra al contrario, i principali oppositori sono stati quei Paesi in via di sviluppo che consideravano il Panel una possibile fonte di rallentamenti nell’esecuzione dei piani di sviluppo. Questi motivi hanno indebolito il mandato originario di tale organismo che è infatti sprovvisto di un vero e proprio potere decisionale.

    THE WORLD BANK INSPECTION PANEL https://www.inspectionpanel.org/

    Bibliografia

    DRAETTA U. e FUMAGALLI MERAVIGLIA M. (2011) Il diritto delle organizzazioni internazionali, Milano, Giuffrè Editore (http://www.giuffre.it/it-it/products/173429.html)

    SCISO E. (2012) Appunti di diritto internazionale dell’economia, Torino, Giappichelli Editore (http://www.giappichelli.it/home/978-88-348-2690-4,3482690.asp1)

    SEATZU F. (2008) Il Panel d’ispezione della Banca Mondiale, Torino, Giappichelli Editore (http://www.giappichelli.it/home/978-88-348-7693-0,3487693.asp1)

    SHIHATA I. F. (2000) The World Bank Inspection Panel: in practice, World Bank Publications, No.1 (http://documents.worldbank.org/curated/en/2000/01/693314/world-bank-inspection-panel-practice)

    VEZZANI S. (2011) Gli accordi delle Organizzazioni del Gruppo della Banca Mondiale, Torino, Giappichelli Editore (http://www.giappichelli.it/home/978-88-348-1581-6,3481581.asp1)

     

     

    Redattore: Giovanni AVERSA

  • PARABANCARIO

    Locuzione usata per individuare un insieme di attività genericamente di natura collaterale o strumentale a quelle bancarie, le quali non presentano tuttavia tratti sostanziali comuni tali da consentire di darne una nozione unitaria e precisa. Vi rientrano, fra gli altri, il leasing, il factoring, il venture capital, il merchant banking (v. merchant bank), il credito al consumo, l’amministrazione e gestione di patrimoni mobiliari e di patrimoni in generale, la gestione di fondi comuni d’investimento (v. fondo comune d’investimento; SGR), le carte di credito (v. carta di credito) e i servizi di consulenza privata alla clientela. Tali attività possono essere svolte dalle aziende bancarie sia direttamente (come nel caso della consulenza finanziaria e della gestione individuale di patrimoni), sia mediante una rete di società controllate. La nascita elo sviluppo, in gran parte spontaneo, delle attività parabancarie, specie nei casi di diffusione al di fuori del comparto bancario, hanno vaste implicazioni in tema di vigilanza; si pone, infatti, il problema di sottoporle ad adeguati controlli in analogia con quelli posti sulle attività tipicamente bancarie, quantunque diversificati in ragione della loro natura, assecondando una tendenza sempre più consolidata nella maggioranza delle economie industrializzate. Nei primi anni Ottanta, quando è sorto il problema ella necessità di controllo degli intermediari non bancari, le sole attività regolamentate erano quelle degli intermediari bancari e, in modo parziale, quelle delle società fiduciarie. La situazione attuale si presenta modificata, sia per l’affinamento dei principi e dei criteri che presiedono la regolamentazione, sia per gli strumenti utilizzati, sia, in termini più pragmatici, per la graduale estensione di taluni controlli ad aree sempre più ampie dell’attività di intermediazione finanziaria non bancaria. Secondo lo schema di classificazione della Banca d’Italia ci sono tre categorie di intermediari operanti in tali aree: a) intermediari che erogano prestiti, solitamente di tipo specializzato, impiegando a tal fine una raccolta di tipo azionario ovvero fondi ottenuti a prestito dalle banche (credito al consumo, leasing, factoring); b) intermediari che gestiscono risparmi loro affidati dai clienti scegliendo le forme di investimento in forza di un mandato fiduciario o di un rapporto di semplice consulenza (gestioni fiduciarie, fondi comuni d’investimento); c) intermediari operanti sui mercati mobiliari con un proprio portafoglio di titoli e che, assicurando il collocamento di emissioni (underwriters) ovvero offrendosi di acquistare o vendere titoli sul mercato secondario a un prezzo annunciato (dealers, market makers), rendono non necessaria la coincidenza temporale fra domanda e offerta da parte degli operatori “finali”, oppure, mantenendo partecipazioni in portafoglio per periodi più lunghi, agevolano, diluendolo nel tempo, l’accesso di imprese al mercato dei capitali (venture capital, merchant banking). La seconda categoria di intermediari ha trovato regolamentazione con la l. 23.3.1983 n. 77, la quale, introducendo nel nostro ordinamento i fondi comuni d’investimento mobiliare, ha contemporaneamente dettato norme per la regolamentazione dei valori mobiliari atipici oltre che per il controllo delle società ed enti di gestione fiduciaria. La terza categoria di intermediari è stata regolamentata, per talune modalità ed ambiti operativi, dalla recente l. 2.1.1991 n. 1 sulla “Disciplina dell’attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull’organizzazione dei mercati mobiliari” (v. SIM); rimane tuttavia esente da disciplina la gestione di attività di merchant banking e venture capital di matrice non bancaria, mentre quelle bancarie sono disciplinate, secondo uno schema “indiretto”, dalla delibera CICR del 6.2.1987 e dalla lettera della Banca d’Italia del 9.3.1987, entrambe aventi ad oggetto la partecipazione di enti creditizi al capitale di società di intermediazione finanziaria. Anche la prima categoria non è soggetta ad alcuna normativa specifica. Tuttavia, le attività svolte da soggetti di estrazione bancaria sono sottoposte a limitazioni attraverso una disciplina mediata: ciò si verifica, attualmente, sia per il leasing, attraverso i vincoli posti alle operazioni “d’impianti ed investimenti fissi” ed immobiliari delle banche, parametrate alla consistenza dei mezzi patrimoniali, sia per il credito al consumo, sottoposto a vincoli di durata massima e a un principio di frazionamento del rischio. La normativa sui gruppi bancari, di recente emanazione (l. 30.7.1990 n. 18 e istruzioni applicative), affronta il problema della vigilanza prudenziale sulla fattispecie del gruppo bancario, ed è finalizzata a evitare che le vicende delle unità non bancarie del gruppo si possano ripercuotere negativamente sulla stabilità complessiva della banca; si tratta comunque di una vigilanza sul gruppo nel suo insieme e non sulle singole unità che lo compongono. La vigilanza su base consolidata e la vigilanza regolamentare, infatti, individuano come destinataria diretta degli obblighi e dei divieti la capogruppo, ragion per cui questa rappresenta il punto di riferimento delle autorità creditizie e, solo in via eccezionale, sono previsti rapporti diretti tra le singole unità del gruppo e le autorità di vigilanza. Le regole gestionali riguardano l’adeguatezza patrimoniale, le partecipazioni detenibili e, in genere, il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni. In materia, devono segnalarsi le fondamentali novità introdotte con il TUF (d.lg 24.2.1998 n. 58) per le quali si rinvia alla voce specifica.

  • PARADISI FISCALI

    Trad. it. dell’inglese tax heavens. Termine di uso comune che individua quei paesi nei quali l’incidenza fiscale sul reddito è relativamente bassa o addirittura inesistente. In essi è spesso possibile effettuare con facilità determinate operazioni societarie (costituzione di imprese) che, non consentendo l’identificazione dei soci, sono suscettibili di tradursi in sensibili vantaggi fiscali nei paesi d’origine dei soci medesimi.

  • PARAFISCALITÀ

    Insieme dei tributi imposti dagli enti pubblici per le gestioni di interesse pubblico assegnati loro dalla legge. La principale e più nota categoria è costituita dai contributi sociali imposti e percepiti dagli enti di previdenza (INPS, INAIL, INPDAP ecc.). Rientrano, inoltre, nella parafiscalità le esazioni di altri enti come Camere di commercio, ordini professionali, consorzi obbligatori di bonifica ecc.

  • PARAMETRO OGGETTIVO DI RIFERIMENTO

    Trad. it. dell’amer. Benchmark, come è stato fatto nel Regolamento Consob di attuazione del TUF adottato con delibera n. 11522 del 1.7.1998 e succ. modif. (artt. 38, 42 e 50). Ma la Consob nelle sue comunicazioni impiega correntemente benchmark.

  • PARCO BUOI

    Espressione propria del gergo degli operatori di borsa che si usava per indicare la zona riservata al pubblico che assisteva allo svolgimento delle contrattazioni alle grida. Per estensione si riferisce al popolo dei risparmiatori meno avveduti, i buoi appunto, destinati prima o poi a divenire vittime della speculazione professionale.

  • PAREGGIO DI BILANCIO

    Condizione formale di uguaglianza di costi/ricavi e attività/ passività del conto economico e dello stato patrimoniale delle imprese. Per come sono registrate le operazioni nei vari conti (v. conti elementari e derivati) il “pareggio” tra attività e passività e tra costi e ricavi d’esercizio (includendo in questi ultimi anche l’utile/perditad’esercizio come saldo di chiusura) è conseguenza logica automatica ed inevitabile. Su di un piano economico e non meramente contabile il “pareggio” può essere inteso come uguaglianza tra costi e ricavi d’esercizio; solo in questo caso è corretto parlare di “equilibrio”. Per quanto concerne il bilancio di previsione dello Stato, l’equilibrio si manifesta quan- do esiste coincidenza tra le entrate e le uscite che si prevede, rispettivamente, di accertare e di impegnare nel corso del periodo amministrativo al quale il documento si riferisce (v. bilancio di previsione dello Stato).

  • PARENTELA

    Vincolo che unisce coloro che discendono da una stessa persona (art. 74 c.c.). Si parla di parentela in linea retta quando un soggetto discende dall’altro; di parentela in linea collaterale quando due soggetti non discendono l’uno dall’altro (pur discendendo entrambi da una terza persona). La parentela si computa in gradi, che si ottengono contando le generazioni ed escludendo dal numero il capostipite: così, la parentela tra nonno e nipote è di secondo grado (in linea retta), mentre quella tra zio e nipote è di terzo grado (in linea collaterale). In genere, la legge non riconosce effetti alla parentela oltre il sesto grado (art. 77 c.c.). La determinazione della linea e del grado di parentela assume notevole rilievo: p.e., nelle successioni mortis causa, dove essa serve a stabilire a chi andrà devoluta l’eredità (nel caso n cui manchi un testamento), oppure in che percentuale ciascun successibile sarà chiamato a pagare la relativa imposta. Dalla parentela va distinta l’affinità, che è il vincolo che unisce ciascun coniuge ai parenti dell’altro.

  • PARIS CLUB

    Gruppo informale di creditori ufficiali, per lo più Paesi industrializzati, che cercano soluzioni di compromesso, specie in termini di allungamento del periodo di rimborso, con Paesi debitori in difficoltà di pagamento. Sebbene il Paris Club non sia formalmente costituito, i suoi membri accettano di rispettare alcune regole e alcuni principi per raggiungere presto e in modo efficiente un accordo con i debitori. La prima riunione del Paris Club è avvenuta nel 1956 per l’Argentina. Da allora sono stati stipulati oltre 300 accordi riguardanti 76 Paesi debitori.

  • PARIS INTERBANK ORDINARY RATE

    Acr.: PIBOR. Tasso d’interesse interbancario a breve quotato sulla piazza di Parigi. È detto anche Taux Interbancaire offert à Paris (TIOP).

  • PARITÀ COPERTA DEI TASSI DI INTERESSE

    La parità coperta dei tassi di interesse definisce una condizione di non arbitraggio secondo cui il differenziale tra i tassi di interesse nominali di due paesi deve essere pari al premio a termine .1 La  parità coperta dei tassi di interesse assume perfetta mobilità di capitali e perfetta sostituibiltà delle attività finanziarie. Se , allora il prezzo a termine della valuta estera sarebbe maggiore (minore) del suo prezzo a pronti.
    In formule: 
                                                                                                                     (1)
    Nell'equazione (1) il membro a sinistra del segno di uguaglianza (LHS) definisce il rendimento di un titolo denominato in valuta domestica; il membro a destra (RHS) individua invece il rendimento – conosciuto con certezza al tempo t – di un investimento di eguale ammontare nel mercato a termine. L'equazione (1) può essere altresì riscritta come:
                                                                       (2)
    Ovviamente se l'uguaglianza venisse meno l'investitore potrebbe beneficiare dell'esistenza di una possibilità di arbitraggio. Si supponga ad esempio che  e che dunque LHSrischio semplicemente:
    1. indebitandosi in valuta nazionale al tasso it per, ad esempio, n periodi;
    2. scambiando sul mercato a pronti questo ammontare per l'equivalente denominato in valuta estera (ottenendo 1/St unità di valuta estera per ogni unità di valuta domestica) ;
    3. dando a prestito l'ammontare così ottenuto al tasso ;
    4. vendendo infine  unità di valuta estera nel mercato a termine (dell'n-esimo periodo) in cambio di valuta domestica.
    Alla fine dell'n-esimo periodo, l'arbitraggista ripagherà  per ogni unità di valuta domestica presa in prestito ma otterrà al contempo un ammontare di  di valuta domestica per ogni unità di valuta estera prestata. La differenza tra questi due ammontari rappresenta il profitto risk free ottenuto dall'arbitraggista.
    -------------------------------------
    1Qui con F si indica il tasso di cambio a terminee con S il tasso di cambio a pronti.
    Redattore: Lorenzo CARBONARI
    © 2009 ASSONEBB

  • PARITÀ DEI POTERI DI ACQUISTO

    1. Acr.: PPA (dall’ingl.: purchasing power parities- PPP). Tassi di cambio ai quali si eguagliano i poteri di acquisto di due monete. Sono usati, p.e., al posto dei tassi di cambio del mercato (più instabili) nei confronti internazionali del PIL pro capite e nel calcolo dello standard di potere d’acquisto-SPA. 2. In economia monetaria è la teoria (detta del purchasing power parity-PPP) secondo cui il tasso di cambio tra le monete di due Paesi è eguale al rapporto tra i livelli generali dei prezzi dei due Paesi. Detto altrimenti, la PPP teorizza che nel lungo periodo gli stessi prodotti e gli stessi servizi tendono ad avere lo stesso prezzo in tutti i Paesi. La teoria si basa sulla convinzione che i tassi di cambio andranno ad aggiustarsi in modo da eliminare l’arbitraggio tra le possibilità di acquistare un prodotto o un servizio in un Paese e rivenderlo in un altro. Ciò presuppone alcune assunzioni che hanno poca rispondenza nella realtà, quali l’inesistenza di costi di trasporto, costi di transazione e dazi doganali.

  • PARITÀ DEL POTERE D'ACQUISTO (PPP) (ENCICLOPEDIA)

    La parità del potere d’acquisto (PPP) definisce una condizione di assenza di arbitraggio affermando che due panieri di beni identici, venduti in paesi diversi, debbono avere lo stesso prezzo una volta espresso in valuta comune. L’esistenza di una relazione di questo tipo tra i prezzi di beni identici prodotti in paesi diversi, pur già nota nel XVI secolo alla scuola di Salamanca in Spagna, divenne celebre solo a partire dagli anni ‘20 grazie al contributo dell’economista svedese Gustav Cassel (1922, 1928), membro fondatore della Swedish School of Economics assieme a Knut Wicksell e David Davidson, che analizzò le parità nei confronti dell'oro delle valute dei paesi partecipanti alla prima guerra mondiale. Durante il conflitto questi paesi avevano infatti smesso di rispettare le parità imposte dal Gold Standard ed all’inizio degli anni ’20 si proponeva il problema di ricalcolarne le parità. Cassel suggerì di utilizzare i differenziali di inflazione per individuare i valori di equilibrio del tasso di cambio, dando così il via all’utilizzo intensivo della PPP (Colombo e Lossani, 2003).

    1. Parità del potere d’acquisto (PPP) e legge del prezzo unico (LOOP)
    La logica sottostante alla PPP è sintetizzata dalla legge del prezzo unico (LOOP), della quale la PPP costituisce una generalizzazione. La LOOP afferma che uno stesso bene venduto in paesi diversi deve avere lo stesso prezzo una volta espresso in valuta comune. In sostanza: se con una unità della valuta domestica fosse possibile acquistare una quantità maggiore del bene x di quella che sarebbe acquistabile all’interno dell’economia nazionale, allora sarebbe profittevole acquistare x all’estero e rivenderlo all’interno, lucrando sulla differenza tra i prezzi spuntati. Questa operazione di arbitraggio (reiterata nel tempo da parte di più soggetti) ha come ovvia conseguenza la convergenza dei prezzi internazionali del bene in oggetto, i quali, una volta espressi in un’unica valuta, finiranno con l’eguagliarsi. Da quanto detto discende che la PPP non è sempre verificata: non sempre dunque il tasso di cambio effettivo eguaglia il valore teorico. Si supponga ad esempio che, sulla base del confronto tra i prezzi di Eurozone e USA, emerga un valore del tasso di cambio compatibile con la PPP di 0,85 (euro per ottenere un dollaro), ma che in realtà il tasso di cambio determinato sul forex market sia di 0,75. In questo caso è possibile concludere che l’euro è sopravvalutato rispetto al dollaro. Nei prossimi paragrafi si avrà modo di chiarire cosa può determinare questa divergenza e quanto impieghi il cambio per riassestarsi sui valori della PPP.
    Da un punto di vista formale dunque, la PPP implica che:
    (1)
    dove:- è l’indice dei prezzi del paniere venduto nell’economia domestica in cui è il peso attribuito al bene j-esimo nel paniere rappresentativo dei consumi interni;
    - è l’indice dei prezzi del paniere venduto nell’economia estera in cui è il peso attribuito al bene i-esimo nel paniere rappresentativo dei consumi esteri;
    - St è il tasso di cambio nominale (NER) espresso secondo la valutazione incerto per certo e che dunque indica il numero di unità di valuta domestica necessario per l’acquisto di un’unità della valuta estera.
    La relazione stabilita dall’equazione (1) è anche nota come parità assoluta del potere di acquisto. Accanto ad essa si è soliti considerare una relazione meno stringente che stabilisca una proporzionalità costante tra il tasso di cambio nominale (NER) ed il rapporto tra gli indici dei prezzi. Essa è nota come parità relativa del potere di acquisto e può essere espressa come segue:
    (2)
    dove c è una costante positiva.
    Sia che venga considerata nella sua versione assoluta (1) che nella sua versione relativa (2), la PPP consente di evidenziare un’interessante relazione dinamica tra tasso di cambio e livello dei prezzi. Applicando i logaritmi e differenziando rispetto al tempo si ottiene infatti:
    (3)
    dove:
    -
    indica il tasso di deprezzamento del NER;
    -
    indica il tasso di inflazione domestico;
    - indica il tasso di inflazione estero.
    Dall’equazione (3) emerge che, se vale la PPP, maggiore è lo spread tra il tasso di inflazione interno ed il tasso di inflazione estero maggiore sarà il deprezzamento della valuta domestica.

    2. Parità del potere d’acquisto (PPP) e tasso di cambio reale (RER)
    Partendo dalla PPP è possibile definire il RER come una misura del numero dei panieri di beni domestici necessari per l’acquisto di un paniere di beni esteri, semplicemente considerando il NER aggiustato per il livello generale dei prezzi, interni ed esteri:
    (4)
    Dall’equazione (4) emerge chiaramente che se la PPP è rispettata e dunque il NER si muove nella stessa direzione del differenziale inflazionistico, allora il cambio reale (RER) rimane costante. Se il prezzo della valuta (rappresentato dal NER) ne rispecchia il potere d’acquisto, allora la PPP indica il valore che il NER deve assumere per mantenere invariato nel tempo il RER. In formule, applicando i logaritmi e derivando rispetto al tempo otteniamo:
    (5)
    da cui si ottiene che se la PPP è rispettata il RER non subisce alcuna variazione.
    (6)

    3. Il Big Mac Index
    Un indice molto utilizzato per stabilire se una moneta sia apprezzata o meno rispetto ad un’altra è quello il Big Mac Index, basato sui prezzi del celebre panino. Pubblicato dall’Economist a partire dal 1984, questo indice, basato sulla LOOP, consente di calcolare la PPP per un gran numero di tassi di cambio usando il Big Mac come merce di riferimento. Si consideri ad esempio la tabella in figura2.doc riportata dall’Economist l’8 maggio del 2009. Confrontando il prezzo del Big Mac in America e nell’area Euro emerge come la divisa europea, scambiata a 0,96 nei confronti del dollaro, sia sopravvalutata. Una volta espressi i prezzi in un’unica valuta infatti, si osserva come il prezzo (medio) del panino in Europa (4,38 US$,) sia superiore del 24 percento rispetto al prezzo pagato negli Stati Uniti (3,54 US$).
    Come si può osservare, l’indice calcolato dall’Economist mostra un notevole disallineamento dei tassi di cambi nominali.

    A giudicare dai dati del Big Mac Index la LOOP sembrerebbe non essere verificata. In realtà si tratta di un fallimento apparente giacché sia la LOOP che la PPP, essendo condizioni di arbitraggio, presumono l’esistenza di mercati concorrenziali e l’assenza di costi di transazione. Per valutare correttamente l’apprezzamento od il deprezzamento di una valuta infatti sarebbe necessario che le merci scambiate fossero prodotte usando esclusivamente input che possono essere facilmente scambiati sui mercati internazionali e che non ci fossero barriere commerciali, costi di trasporto e differenze nei regimi fiscali. Il mondo reale è invece, purtroppo, ben diverso. Nonostante il peso degli input intermedi si sia notevolmente ridotto con la globalizzazione infatti, differenze assai marcate permangono nel costo di quegli input che non sono (facilmente) scambiati internazionalmente - es. il lavoro ed il capitale fisico - e che pure nella produzione di bene standardizzato come il Big Mac giocano un ruolo rilevante. Mentre i prezzi degli input commerciati sui mercati internazionali (come la cipolla ad esempio) convergono rapidamente verso i valori teorici della PPP, lo stesso non avviene per il costo del lavoro e le altre componenti non-traded, che contribuiscono sensibilmente alla formazione del prezzo di un Big Mac.
    Più in generale è possibile individuare quattro fenomeni che possono determinare deviazioni dalla PPP.
    1) Costi di transazione: la presenza di costi di trasporto e di assicurazione, le barriere tariffarie e non tariffarie, ecc. rendono di fatto inapplicabile la LOOP e riducono sensibilmente le possibilità di profitto derivanti dal commercio internazionale.
    2) Differenziazione dei beni: la LOOP, sulla quale la PPP è basata, assume che il bene scambiato sui differenti mercati nazionali sia omogeneo. Il mondo reale invece ci offre una moltitudine di esempi di beni che presentano una differenziazione più o meno marcata. Il fatto che queste differenze vengano incorporate nei prezzi indice con i quali la PPP è costruita contribuisce a spiegarne il fallimento e suggerisce che l’azione degli arbitraggisti crescerà di intensità al crescere della distanza tra il valore effettivo tasso di cambio e quello indicato dalla PPP.
    3) Investimenti fissi: la presenza di elevati costi fissi (distribuzione, contratti) riduce sensibilmente il campo di azione degli arbitraggisti (Sarno e Taylor, 2002).
    4) Beni non commerciabili: la LOOP assume implicitamente che tutti i beni siano commerciabili, di fatto però una parte assai rilevante del reddito è speso per l’acquisto di beni non commerciabili sui mercati internazionali o per i quali non sia comunque possibile effettuare operazioni di arbitraggio. Si pensi ad esempio ai canoni relativi alle abitazioni, ai servizi medici, all’istruzione, ecc..

    4. Evidenza empirica
    Esiste una vasta letteratura empirica volta a testare la bontà delle predizioni legate alla LOOP ed alla PPP. I risultati che essa ha prodotto testimoniano in modo robusto che entrambe sono sistematicamente violate.
    La PPP implica che la variazione nel tasso di cambio in un certo periodo di tempo controbilanci la differenza tra le variazioni degli indici dei prezzi domestici ed esteri. Ciò implica che il RER sia mean reverting, ovvero che un eventuale disturbo - ad esempio una variazione improvvisa del NER - venga riassorbito nel tempo. In termini formali dunque, molti studi hanno cercato di verificare se gli indici relativi dei prezzi seguono l’andamento descritto dalla equazione
    (7)
    o quello di passeggiata aleatoria.
    Volendoli presentare in modo sistemico, gli studi empirici sulla PPP possono essere suddivisi in base alle metodologie econometriche impiegate.1
    1. I lavori che si basano sull’analisi di cointegrazione hanno portato a risultati discordanti (Enders, 1988; Mark, 1990 tra gli altri). Sulla base di un approccio basato sul "two-step Engle-Granger method" viene realizzata un’analisi di cointegrazione su un’equazione del tipo:
    (8)
    Se st, p t e sono integrate di ordine uno, allora la PPP relativa esiste se stimato risulta stazionario. La validità della PPP assoluta sarà veri?cata se saranno soddisfatti anche i test sulla restrizione sui parametri = 1 e = -1. In generale, i primi studi sulla cointegrazione hanno mostrato l'assenza di una mean-reversion del tasso di cambio nei confronti della PPP se non nel periodo interbellico e per paesi ad alta inflazione (Sarno e Taylor, 2002).
    2. Un altro metodo utilizzato per testare l’ipotesi di mean reversion del RER contro l’ipotesi di random walk è l’Augmented Dickey-Fuller statistic (ADF), il test di azzeramento del parametro nella regressione (9):
    (9)
    dove è un polinomio di ordine p nel lag operator L ed è un whithe noise. Un approccio alternativo proposto da Meese e Rogoff (1988) testa l’ipotesi alternativa che . Anche in questo caso, i risultati supportano l’ipotesi di random walk del cambio reale e dunque rigettano la PPP.2
    3. Un approccio alternativo all’ADF per testare la non stazionarietà del cambio reale è basato sull’impiego del variance ratio test (VR) di Cochrane (1988). Questa tecnica permette di misurare la persistenza del RER per mezzo di un semplice test non parametrico :
    (10)
    dove k è un intero positivo e var rappresenta la varianza. Se il RER segue un random walk allora il rapporto definito dalla (10) deve essere pari ad 1; se invece il RER è mean reverting allora 1. Utilizzando il VR, Huizinga (1987) trova che la componente permanente del
    RER ammonta a circa il 60%.
    4. Un modo per superare i problemi dei test univariati per la ricerca di radici unitarie nelle serie è stato quello di utilizzare dati panel. Il primo tentativo in questa direzione, si deve a Hakkio (1984) che ha condotto una stima Generalized Least Square (GLS) su dati riguardanti Regno Unito, Francia, Germania e Giappone. Il risultato ottenuto è stato anche in questo caso di impossibilità di rigettare l’ipotesi nulla che tutti i tassi di cambio sotto osservazione seguissero dei random walk.
    In conclusione, tre osservazioni possono essere desunte da questa breve rassegna. In primis, appare evidente come la violazione o meno delle PPP dipenda in modo sostanziale dalla tecnica econometrica utilizzata. In secondo luogo, la letteratura offre un supporto empirico esteso alla PPP solo per ciò che concerne il lungo periodo, confermando l’esistenza di una lenta mean reversion del RER. Nel breve periodo invece si osserva come la dinamica del cambio reale sia legata alle fluttuazioni del NER e dunque altamente volatile. Infine, anche se molti studi hanno evidenziato questa tendenza del cambio reale a convergere nel lungo periodo verso i valori di PPP, la bassa velocità con la quale vengono riassorbiti gli shock solleva alcune perplessità di natura teorica. In altri termini, anche se nel lungo periodo ogni valuta finisce per riflettere il suo potere d’acquisto, l’evidenza empirica indica come possano essere necessari da 3 a 5 anni prima che il tasso di cambio converga verso il livello d’equilibrio sancito dalla PPP. Rogoff (1996) parla a questo riguardo dell’esistenza di un purchasing parity power puzzle dovuto al contrasto tra la volatilità di breve periodo palesata dai cambi reali e l’estrema lentezza con la quale gli shock sembrano esaurirsi.
    _____________________________________
    1Per una rassegna dettagliata si rimanda a Giovannetti (1992), a Sarno e Taylor (2002) e ad Arese-Visconti (2002).
    2È opportuno notare che i test univariati per la ricerca di radici unitarie hanno bassa potenza e quindi difficilmente permettono il ri?uto dell’ipotesi di random walk quando essa è falsa (Arese-Visconti, 2002).

    Bibliografia
    ARESE-VISCONTI G.  (2002)  "Tassi di Cambio Reale: Teoria ed Evidenza Empirica," Econometrics Working Papers Archive, wp n. 2002/11, Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Statistica "G. Parenti".
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    SARNO  L. e TAYLOR  M.P.  (2002)  The Economics of exchange rate, Cambridge University Press, Cambridge, UK.

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  • PARITÀ DI TRATTAMENTO

    Termine con cui si indica un obbligo giuridico che trova riscontro in ambiti diversi, come p.e. nell’ambito dei rapporti di lavoro dipendente e tra uomo e donna, in sede di obbligo di contrattazione a carico del monopolista (art. 2597 c.c.); nelle procedure concorsuali con particolare riferimento al fallimento ed al trattamento dei creditori (par condicio creditorum); nell’esecuzione di operazioni societarie quali trasformazioni e fusioni eterogenee con riferimento ai creditori sociali; nell’acquisto di azioni proprie con riferimento ai soci; infine, nell’ambito dei mercati finanziari.

    1. Parità di trattamento dei portatori di strumenti finanziari quotati. Riguardo a quest’ultimo punto l’art. 92 TUF impone agli emittenti quotati l’obbligo di assicurare uguale trattamento a tutti i portatori di strumenti finanziari che si trovano in identiche condizioni, riprendendo quanto già previsto dall’art. 4-ter della legge l. 7.6.1974 n. 216 (istitutiva della Consob), introdotto con il d.lg. 1992/89 in attuazione di alcune direttive comunitarie. La norma deve interpretarsi con riferimento, in primis, ai soggetti appartenenti ai diversi Stati della U.E Per quanto concerne l’ambito di efficacia del principio, deve distinguersi fra parità forte e parità debole. La prima, data l’ampia tipologia di strumenti che un soggetto può emettere, viene assicurata, per ogni tipo di strumento emessoe quotato, ad ogni portatore in quanto tale, indipendentemente dalla quantità di strumenti posseduti. La seconda, invece, viene assicurata, nell’ambito di ogni categoria rappresentata da tutti i portatori delle diverse tipologie di strumenti finanziari, a quei portatori che si trovano fra loro in identiche condizioni, avendo rilevanza, in tal caso, altre qualità del portatore. Si deve sostanzialmente distinguere fra i diversi diritti connessi al possesso di uno strumento finanziario. Infatti, se per alcuni di essi, l’emittente deve sempre assicurare la parità di trattamento a tutti i portatori (si pensi ai diritti patrimoniali ed amministrativi), vi sono altri diritti, quale quello all’informativa, che vengono calibrati in base alle qualità del portatore, in relazione alla tipologia dello stesso (investitoreistituzionale o piccolo risparmiatore) ed all’entità dell’investimento.

    2. Parità di trattamento nelle operazioni bancarie. Un particolare obbligo di parità di trattamento nell’attività bancaria, di cui parte della dottrina sosteneva l’esistenza richiamando le generiche disposizioni dell’art. 3 della Costituzione, era stato sancito dall’art. 8 della l. 1 3 1986 n. 64 (sulla disciplina organica dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno). Questo stabiliva che, in tutte le sedi e filiali e per ciascun tipo di operazione bancaria, principale o accessoria, le aziende e gli istituti di credito dovevano praticare tassi e condizioni uniformi, assicurando integrale parità di trattamento ai propri clienti a parità di condizioni soggettive e, in ogni caso, indipendentemente dalla loro località di insediamento. L’art. 8 è stato espressamente abrogato dall’art. 4 della l. 19.12.1992 n. 488 sull’intervento pubblico nel Mezzogiorno. Anche nel TUBC manca ogni riferimento alla parità di trattamento. L’art. 116, comma 4, afferma anzi che le informazioni pubblicizzate non costituiscono offerta al pubblico ai sensi dell’art. 1336 c.c.: secondo la dottrina, ciò vale ad eliminare anche qualsiasi riferimento alla parità di informazione e a confermare che il principio della parità di trattamento nelle operazioni bancarie più non esiste nell’ordinamento italiano.

  • PARITÀ MOBILE

    Nell’intento di contenere le tensioni valutarie internazionali, l’assemblea annuale del FMI, tenutasi a Washington alla fine di settembre del 1969 accolse la proposta di studiare l’introduzione del sistema di parità mobili dei cambi valutari, consistente in aggiustamenti di piccola entità, ma ripetuti, se del caso, anche più volte in un anno da parte di un paese o di più paesi del tasso di cambio della rispettiva valuta. Nella stessa assemblea fu proposto anche di allargare fino al 2% il margine di oscillazione dei cambi e di consentire a una singola valuta, se sottoposta a forti tensioni, di oscillare in via transitoria oltre i margini consentiti, onde dare modo al mercato indicare il nuovo tasso di cambio. L’accentuarsi della crisi valutaria internazionale e le posizioni divergenti di alcuni paesi, specie la Francia, riguardo alla stabilità del dollaro resero inattuabili le suddette proposte. In particolare, il concetto di parità mobile fu superato dall’abbandono del sistema dei cambi fissi introdotto con gli Accordi di Bretton Woods.

  • PARITÀ MONETARIA

    Valore di una moneta in termini di un’altra moneta o di un contenuto di oro fino. Il generale sganciamento delle monete dall’oro ha limitato il concetto di parità al corso o cambio delle valute cartacee. In regime di circolazione metallica la parità era riferita al valore intrinseco delle monete d’oro o d’argento, ossia il rapporto tra le rispettive quantità di metallo fino e si contrapponeva alla parità o rapporto tra i valori legali. La parità commerciale era quella pratica, ovvero il corso del cambio. Con gli Accordi di Bretton Woods la parità delle varie monete fu definita in oro computato al prezzo ufficiale di 35 dollari per oncia di fino. La parità aurea della lira fu stabilita in 0,0014218736 grammi di fino e fu comunicata al FMI nel marzo 1960. Essendo quella del dollaro di 0,888671 grammi, il cambio ufficiale fu di 625 lire per dollaro, cambio in essere però da alcuni anni.

  • PARITÀ TEORICA

    1. Valore di un’azione che tiene conto del diritto di opzione (v. diritto di opzione) che essa incorpora. Tale valore si determina sulla base del corso di mercato dell’azione stessa, tenendo conto del prezzo di emissione dei nuovi titoli e del rapporto di opzione fra le vecchie e le nuove azioni. Si verifica così, quando si sottoscrive un aumento di capitale, una situazione di eguale convenienza fra l’utilizzazione dei titoli pieni e l’acquisto dei diritti di opzione: p.e., per il possessore di titoli pieni è indifferente sotto il profilo finanziario, sottoscrivere l’aumento di capitaleo cedere il diritto di opzione. Il termine parità teorica si può riferire anche alle obbligazioni convertibili (v. obbligazioni convertibili o doppie) ed indica in questo caso il prezzo teorico del titolo rispetto all’azione oggetto di conversione. 2. In altro senso si dicono parità teoriche anche le parità monetarie intrinseche e quelle legali o estrinseche (v. anche parità monetaria).

  • PARITA' SCOPERTA DEI TASSI DI INTERESSE

    La parità scoperta dei tassi di interesse definisce una condizione di non arbitraggio secondo cui il differenziale tra i tassi di interesse nominali di due paesi (ΔS/S) deve essere pari al deprezzamento atteso del cambio nominale (it - it*)1 . La parità scoperta dei tassi di interesse assume perfetta mobilità dei capitali ed afferma che due attività finanziarie identiche per grado di rischio, liquidità e trattamento fiscale ma denominate in valute diverse, devono garantire lo stesso rendimento, una volta espresso in valuta comune. Se tali rendimenti fossero diversi, la condizione di non arbitraggio sarebbe violata e si realizzerebbe la possibilità di conseguire un profitto privo di rischio.
    In formule:
    (1)
    dove il membro a sinistra del segno di uguaglianza è il rendimento dell’investimento nell’attività finanziaria denominata in valuta domestica ed il membro a destra è il rendimento dell’investimento in un’attività analoga ma denominata in valuta estera. Ovviamente se l’uguaglianza venisse meno, l’investitore avrebbe la possibilità di effettuare operazioni di arbitraggio. L’equazione (1) può essere riscritta come segue:
    (1’)
    dove . A sua volta l’equazione (1’) implica che:
    (2)
    ________________________________
    1In questo contesto il tasso di cambio nominale S, espresso secondo la quotazione incerto per certo, indica il numero di unità di valuta domestica necessarie per l’acquisto di un’unità della valuta estera.

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  • PARLAMENTO EUROPEO

    Denominato in precedenza ufficialmente “Assemblea” (sebbene questa di propria iniziativa avesse optato già dal 1958 per il nome di “Parlamento europeo”) ha assunto l’appellativo attuale (fr. Parlement européen; ingl. European Parliament) con le modifiche introdotte dal TUE nel 1992. Regolato dagli artt. 223 – 234 (ex 190-201 TCE) del TFUE, il Parlamento europeo ha sede a Strasburgo e conta attualmente 736 “ rappresentanti dei cittadini dell'Unione” (art.14 TUE) eletti per 5 anni. Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il numero massimo di seggi non può essere superiore a 751 e l’attribuzione dei seggi segue il criterio della proporzionalità inversa (più è vasta la popolazione di uno Stato membro, maggiore è il numero dei cittadini rappresentati da un singolo parlamentare). Solo dal 1979 l’elezione avviene a suffragio universale diretto da parte dei cittadini degli Stati membri (in precedenza i deputati del Parlamento europeo erano membri dei parlamenti nazionali nominati dai loro pari). Non esiste ancora un sistema elettorale comunitario come richiesto dal trattato. L’elezione avviene tramite leggi elettorali nazionali. Il presidente, i vicepresidenti e i questori costituiscono l‘Ufficio di presidenza, eletto con un mandato di due anni e mezzo. I deputati si organizzano per gruppi politici.

    Il Parlamento si riunisce mensilmente (escluso agosto) in sessione plenaria per una settimana a Strasburgo. Sono possibili sessioni supplementari, specie sulle questioni di bilancio e sessioni d’urgenza. Attualmente esistono 20 commissioni parlamentari permanenti cui la Commissione europea presenta, secondo competenza, le sue decisioni, i documenti sottoposti al Consiglio dell’UE e il parere sostenuto in Consiglio. In tal modo le Commissioni parlamentari sono in grado di conoscere completamente le attività della Commissione e di controllarle. Importante funzione del Parlamento è quella legislativa consistente nell’adozione delle leggi europee (direttive, regolamenti, ecc.) esercitata equamente insieme al Consiglio dell’UE. La partecipazione del Parlamento contribuisce a garantire la legittimità democratica dei testi adottati. Il Parlamento, inoltre, condivide con il Consiglio il potere di bilancio e secondo la nuova normativa approva in via definitiva tutte le spese (obbligatorie e non) dell’Unione, adotta definitivamente il bilancio nella sua completezza ed esercita un controllo sulla gestione della Commissione riguardo al consuntivo. Inoltre, svolge un controllo democratico su tutte le istituzioni.

    Link: https://www.europarl.europa.eu/portal/it


    Redattori: Paolo FOIS, Giuseppe ONORATO, Cristiana MENE'
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  • PARONETTO SERGIO (ENCICLOPEDIA)

    Sergio Paronetto (1911-1945), economista, manager industriale, scienziato sociale.
    1. P. nasce a Morbegno (Sondrio) nel 1911. Frequenta l’intero ciclo scolastico a Ivrea. Viene premiato con un viaggio in Ungheria, destinato agli 80 migliori studenti d’Italia: vi contrae una malattia reumatica che, ledendo il cuore, compromette nel tempo la sua salute. Si iscrive alla Facoltà di Scienze Politiche di Roma, istituita nel 1925. Raccoglie le Lezioni di Storia delle colonie e politica coloniale di Camillo Manfroni (1863-1935), pubblicate a Roma nel 1930. Si forma negli ambienti della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI), fondata nel 1896 e diretta, a partire dal 1925, da Giovanni Battista Montini (1897-1978), futuro Paolo VI, e dall’avvocato Igino Righetti (1904-1939), rispettivamente assistente ecclesiastico e presidente dell’organizzazione. La rivista «Studium» – espressione dell’omonima casa editrice fondata nel 1927 da Montini e Righetti con l’obiettivo di contribuire alla formazione di una coscienza etica nei giovani in vista dell’impegno nelle professioni – accoglie i primi scritti di P.: Ambiente e metodo nelle scienze sociali (1930), Il pensiero sociale cattolico in rapporto alla Rerum Novarum (1931) e Le celebrazioni del quarantesimo della Rerum Novarum (1931). Nel 1931 subisce all’Università un’aggressione da parte di elementi fascisti, che intendono strappargli dal petto il distintivo della FUCI. Le lesioni riportate saranno permanenti. Nel 1932 si laurea con una tesi in Storia economica (argomento: dogane e dazi negli Stati pre-unitari). Relatori sono Alberto De’ Stefani (1879-1969) e Gioacchino Volpe (1876-1971). Medita sulle forme assunte dall’intervento dello Stato in economia in Europa e negli Stati Uniti: scrive, su «Azione Fucina», Roosevelt il demiurgo (1933). Nella FUCI P. aiuta Giulio Pastore (1902-1969), sindacalista cattolico, dopo l’annichilimento dei sindacati operato dal regime fascista, negli anni precedenti al passaggio di Pastore in clandestinità.

    2. Il 1934 è per P. l’anno dell’immersione dal "sistema-scienza" al "sistema-azienda". Su segnalazione di Pasquale Saraceno (1903-1991), anch’egli di Morbegno, entra all’IRI, sorto nel 1933. Capo della segreteria tecnica dell’Istituto alle dirette dipendenze del direttore generale Donato Menichella (1896-1984), P. dà un contributo assai apprezzato alla ristrutturazione delle banche di interesse nazionale (1934-1936), alla redazione della legge bancaria (1936), alla costituzione delle holding di settore Finmare (1936) e Finsider (1937), alla trasformazione dell’IRI in ente permanente (1937). Scrive le Note sull’attività dell’IRI nel momento attuale in rapporto alla sua struttura e alla sua organizzazione (1937). Si dedica alla conoscenza-valutazione-diagnosi dei problemi del sistema economico italiano nell’ottica di una strategia-Paese. Il problema cruciale è per P. l’accumulazione di capitale: come avviare, mantenere e rilanciare nel tempo tale processo in Italia. La possibilità di dare continuità e perfettibilità al processo di accumulazione è affidata agli istituti, intesi come "pensiero istituzionalizzato": ordinamenti, leggi, istituzioni, programmi, piani economici. L’obiettivo, lungo la linea Nitti-Beneduce-Menichella-Carli, è l’allentamento del vincolo esterno; ma l’opzione fondamentale è la forma complessiva del sistema, la sua coesione, la sua efficienza. Lavora con il top della dirigenza IRI: il presidente Alberto Beneduce (1877-1944), il vice presidente Francesco Giordani (1896-1961), consulenti esterni quali Alfredo De Gregorio (1881-1979), giurista esperto di industria, ed Ezio Vanoni (1903-1956), economista, futuro ministro, anch’egli di Morbegno. É soprattutto con Menichella e Saraceno che opera: P. "studia", Saraceno "vede", Menichella "fa" – scrive P. in quegli anni. Favorisce, su insistenza di Montini, l’ingresso nell’IRI del giovane Guido Carli (1914-1993). Svolge una preziosa funzione di ponte tra ambienti e tradizioni differenti: quella radical-massonico-nittiana, da una parte, e quella cattolica, dall’altra. I due magisteri in cui si riconosce – e di cui egli coglie la vena inesauribile – sono quello di Menichella (economia) e quello di Montini (filosofia).

    3. A partire dal 1940 P. avvia un profondo ripensamento dei presupposti normativi dell’azione umana all’interno del sistema-azienda, misurati con il metro dell’esperienza maturata. L’ingresso dell’Italia in guerra nel giugno del 1940 lo indigna e gli fa sentire il peso della libertà come responsabilità. Tanto più forte in chi come lui si sente, forse per difetto, "uomo d’azione" (Ascetica dell’uomo d’azione è il titolo delle sue memorie, pubblicate postume da Studium, nel 1948, con prefazione di Montini). Il mutamento è evidente nella sterzata che imprime agli scritti pubblicati su «Studium» a partire dal 1940. Si tratta di un corpus unitario di scritti, ispirati a una visione originale di impegno nel mondo moderno per chi sia portatore di un’etica cristiana: Burocrazia e personalità (1940); Profilo del banchiere e dell’uomo di finanza (1940); Profilo del capo di azienda (1941); Morale professionale del cittadino (1943); Professione e rivoluzione (1943); Lettere al direttore sulla coscienza e la tecnica (1944). Medita sulle conseguenze della separazione della tecnica dalla morale, dalla politica e dall’economia e sulla sua costituzione in sotto-sistema auto-propulsivo; coglie l’avvento della società manageriale e mostra interesse per la nascente scienza del management; anticipa i temi della necessaria competenza e responsabilità di chi è chiamato a "fare" (management etico), nelle imprese e nelle istituzioni. È legato da profonda amicizia a Guido Gonella (1905-1992), che è il riferimento della stampa vaticana per gli affari italiani. Gonella chiede aiuto a P. per mettere a punto i contenuti economici presenti negli interventi di Pio XI e i concetti di "giustizia" e "pace giusta" espressi nei radiomessaggi di Pio XII (1941, 1942).

    4. Il 1943 segna la "riemersione" di P. dal "sistema-azienda" al "sistema-Paese". Si rivolge a problemi che coinvolgono il riassetto, non solo industriale, del Paese. È l’ideatore ed estensore, primus inter pares, del Codice di Camaldoli del 1943, una nuova costituzione etica, politica ed economica per il Paese. Nel monastero di Camaldoli (Arezzo), dove si tenevano regolarmente i seminari della FUCI, convergono personalità come Amintore Fanfani (1908-1999), Giorgio La Pira (1904-1977), Aldo Moro (1916-1978), Giuseppe Spataro (1897-1979), Giuseppe Capograssi (1889-1956), Paolo Emilio Taviani (1912-2001), Giulio Andreotti (1919), Vanoni, Saraceno. Il Codice sarà il riferimento della Democrazia cristiana ai lavori dell’Assemblea Costituente (1946-1947). Il convegno si conclude il 25 luglio 1943: parte da Camaldoli e il 26 sposa a Merano Maria Luisa Valier. La mattina dell’8 settembre 1943 Menichella si reca segretamente a casa di P. con la nomina dello stesso a direttore generale dell’IRI, nomina che questi rifiuta, accontentandosi della vicedirezione generale, purché condivisa con altro dirigente e connessa alla diminuzione dello stipendio. Su espresso mandato di Menichella, mantiene il timone dell’IRI e, specie nell’amara parentesi tra l’8 settembre 1943 e il giugno 1944, contribuisce al salvataggio di tanta parte del patrimonio industriale italiano. Il Commissario dell’IRI nominato dal governo della Repubblica Sociale, Alberto Asquini (1889-1972), insigne giurista, accetta la collaborazione di P., che diviene co-responsabile dell’Ufficio Stralcio di Roma. Dalla sede IRI di Milano, Asquini lavora in sintonia con P. al salvataggio dei cespiti industriali e tecnologici minacciati tanto dai bombardamenti alleati e dalle azioni dei partigiani, quanto dalla volontà dei tedeschi di fare terra bruciata delle capacità produttive non impiegabili subito e direttamente a vantaggio della causa del Reich (le altre vengono anche smontate e trasferite in Germania). Sono entrambi persuasi dell’importanza di pensare al "dopo", anche in un clima non privo di sospetti. P. nasconde nella sua casa romana di Via Reno diversi ricercati da tedeschi e repubblichini, correndo gravi rischi; è in contatto con il capo della Resistenza a Roma, il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo (1901-1944), che sarà fucilato dai tedeschi. 

    5. Inizia una preziosa opera di pedagogia, che consente di pensare una forma per l’economia italiana. Presso la sua abitazione romana, svolge negli anni Quaranta preziose e private "lezioni di economia" per i componenti della futura classe dirigente del Paese, in particolare per Alcide De Gasperi (1881-1954). Gli anni dal 1943 al 1945 sono impiegati a persuadere l’intero futuro vertice del Paese circa l’utilità di mantenere in vita l’IRI e le imprese con capitale partecipato dallo Stato in vista della ricostruzione contro il parere di Luigi Sturzo (1871-1959), della Confindustria e, almeno in un primo momento, degli Stati Uniti; come dell’opportunità di un intervento specifico dello Stato nel Mezzogiorno di sapore rooseveltiano nonché la prospettiva di fare affidamento su un programma di aiuti organizzato dalle potenze vittoriose al fine anche di consolidare la libertà economica e la democrazia in Italia. L’amico Franco Rodano (1920-1983), che P. riuscirà a convincere in merito all’opportunità di cambiare nome al movimento da lui guidato, da Comunisti Cattolici a Sinistra Cristiana, si fa interprete della stessa esigenza presso Palmiro Togliatti (1893-1964). Negli ultimi tempi P. lavora alla bozza di riforma dell’IRI (il nuovo statuto sarà varato nel 1948). Muore nel 1945, a 34 anni, già considerato un "maestro", non ancora prosciolto dalla falsa accusa di collaborazionismo, cosa che avverrà l’anno successivo. Consistente il debito del Paese nei confronti di P.: modernità e internazionalizzazione dell’approccio all’economia, all’industria e alla finanza della futura classe dirigente (Andreotti, De Gasperi, Fanfani, Gronchi, Gonella, La Pira, Moro, Vanoni, Saraceno, Spataro, Taviani); presenza nella Costituzione repubblicana di principi ispiratori che difficilmente vi sarebbero entrati; postulato di progettualità, e non di amministrazione pubblica, per l’azione diretta dello Stato in economia, necessario per inventare, dopo l’IRI, il futuro intervento straordinario nel Mezzogiorno (1950) e l’ENI di Marcello Boldrini (1890-1969), anch’egli esplicitamente ispirato dai principi di Camaldoli; realtà che, come l’IRI, possono promuovere i mercati, la concorrenza, la libertà economica e, quindi, la democrazia; necessità di dare pratico corso alla inclusività.

    [Su Paronetto, M. L. Paronetto Valier, Sergio Paronetto. Libertà di iniziativa e giustizia sociale, Edizioni Studium, Roma, 1991; S. Baietti, G. Farese, Sergio Paronetto. La forma dell’economia italiana, in corso di pubblicazione, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2011].

    Redattore: Giovanni FARESE e Stefano BAIETTI
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  • PARQUET

    Parte della sala delle riunioni di borsa, quando le negoziazioni avvenivano alle grida (v. negoziazioni alle grida), riservata agli intermediari ed il cui accesso è vietato al pubblico.

  • PARTE

    Soggetto di un rapporto giuridico, così indicato per porre in evidenza la sua titolarità di interessi contrastanti o almeno non coincidenti con quelli di un altro soggetto. Il concetto trova tipica applicazione nel contratto, che costituisce lo strumento per la composizione di interessi opposti o quanto meno non coincidentie, quindi, presuppone almeno due centri di interessi distinti, facenti capo ad almeno due parti, ognuna delle quali può essere composta anche da più soggetti e rappresenta la controparte rispetto all’altra. Anche nel processo vi sono almeno due parti. Il rapporto processuale si costituisce quando uno o più soggetti titolari di uno stesso interesse agiscono in giudizio per far valere una loro pretesa nei confronti di altri soggetti titolari di interessi contrapposti o almeno non coincidenti con la pretesa degli attori, rispetto ai quali formano una controparte.

  • PARTECIPAZIONE AGLI UTILI

    Gli utili prodotti dalla società sono costituiti dall’eccedenza del patrimonio netto rispetto al capitale sociale nominale ed alle eventuali riserve, oltre che alle perdite dell’esercizio. Quando vengono distribuiti ai soci, generalmente in proporzione alla partecipazione sociale detenuta,danno luogo al c.d. dividendo e rappresentano, di fatto, la remunerazione del conferimento del socio in relazione ai risultati dell’attività sociale. Bisogna distinguere in proposito fra società di persone e società di capitali. Nelle prime, fermo il divieto di distribuire utili fittizi nonrealmente conseguiti (art. 2303 c.c.), i soci godono di ampia discrezionalità nella distribuzione degli stessi. In tali tipi societari, non è necessario, infatti, che la distribuzione degli utili sia proporzionale al conferimento, data la presenza, in materia, del solo limite rappresentato dal divieto di patto leonino (ex art. 2265 c.c.), in virtù del quale, come noto, è nullo ogni patto con cui uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite. Pertanto, al di fuori di questo precetto normativo, i soci possono regolare statutariamente la distribuzione degli utili come ritengono opportuno ma, in assenza di specifiche pattuizioni, si presume che il diritto agli stessi sia proporzionale ai conferimenti. Nella società semplice e nella s.n.c., il diritto del socio a percepire gli utili nasce con la rispettiva approvazione del rendiconto e del bilancio (ex art.. 2262 c.c.), predisposto normalmente con cadenza annuale, salvo diversa previsione. L’approvazione di tali documenti contabili rappresenta, infatti, l’unica condizione giuridica necessaria e sufficiente affinché possa nascere, in capo a ciascun socio, il diritto di percepire una determinata percentuale degli utili conseguiti dalla società, secondo una determinata percentuale; solo con il consenso di tutti i soci, salvo diversa disposizione statutaria, è possibile deliberare la non distribuzione ed il conseguente investimento degli stessi. Nell’ambito delle società di capitali, invece, il diritto a percepire gli utili conseguiti, proporzionalmente al numero delle azioni possedute, nasce in capo al socio solo dopo una specifica delibera assembleare che, con successivamente all’approvazione del bilancio, decida la distribuzione degli utili conseguiti o di parte degli stessi. Tuttavia, non tutti gli utili possono essere distribuiti data la presenza di alcuni vincoli di destinazione sugli stessi; vincoli di natura sia legale sia statutaria. Infatti, se negli esercizi precedenti si è verificata una perdita che ha intaccato le riserve obbligatorie e/o il capitale, gli utili devono essere utilizzati, in primis, per reintegrare tali elementi. Inoltre, almeno il 5% degli utili annuali deve essere accantonatoobbligatoriamente nella riserva legale, fino a quando la stessa non abbia raggiunto una misura pari ad almeno un quinto del capitale sociale (art. 2430 c.c.); accanto a questa, vi possono essere anche altre riserve di natura statutaria in cui è possibile far confluire una parte degli utili annuali. Infine, sia i promotori (indipendentemente dalla loro qualità di soci) che i soci fondatori possono riservarsi, nell’atto costitutivo, una partecipazione non superiore complessivamente al decimo degli utili netti risultanti dal bilancio e per un periodo massimo di cinque anni dalla costituzione della società. In caso di emissione di azioni di risparmio ai titolari delle stesse era riconosciuto fino al 1998 il diritto a percepire un dividendo minimo predeterminato (pari al 5% del valore nominale di ogni azione posseduta). Con la riforma della disciplina delle società quotate il legislatore abbandona il criterio della predeterminazione della misura del privilegio e ne rimette la quantificazione all’autonomia statutaria. In sede di s.r.l., si ritiene che le quote, rappresentanti la partecipazione sociale, possano attribuire ai loro titolari, contrariamente ai titoli azionari delle spa, diritti patrimoniali in misura proporzionale diversa anche in sede di distribuzione degli utili. Infine, per quanto concerne le società cooperative, dati i limiti legali alla distribuzione degli utili, limiti derivanti dalla natura dello scopo mutualistico perseguito,è previsto che l’atto costitutivo indichi la percentuale massima degli utili distribuibili e la destinazione di quelli residui (art. 2518 c.c.). Disposizione questa che deve essere coordinata con la disciplina speciale la quale, ai fini dell’ammissione ai benefici fiscali, impose, dapprima, il divieto di distribuzione di dividendi superiori all’interesse legale sul capitale effettivamente versato mentre oggi, in seguito alle successive modifiche, dispone che la remunerazione del capitale versato non può essere superiore alla remunerazione dei prestiti sociali, non potendo quindi superare il tasso dei buoni fruttiferi postali aumentato di due punti e mezzo. Tasso, quest’ultimo, che può essere maggiorato del 2% per i soci sovventori mentre è aumentato ex lege nella stessa misura per le azioni di partecipazione cooperativa, fermo restando il diritto dell’assemblea di deliberare la non distribuzione. Va ricordato, in merito, che è possibile destinare una parte degli utili ad aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato entro i limiti dell’indice annuale dell’infl azione accertato dall’ISTAT, al fine di effettuare in tal modo la rivalutazione della quota di partecipazione sociale dei soci.

  • PARTECIPAZIONE AL CAPITALE DI BANCHE

    Gli artt. 139 secondo comma e 140 secondo comma TUBC incriminano con l’arresto fino a tre anni la condotta di chiunque, nelle comunicazioni e domande di autorizzazione previste per regolamentare la disciplina delle partecipazioni al capitale di banche, fornisca indicazioni false alle autorità preposte alla vigilanza. Gli atti richiamati sono diversi e attengono ad autorizzazioni concernenti l’acquisizione di una partecipazione di controllo (artt. 19 e 63 primo comma TUBC), a comunicazioni sulle partecipazioni rilevanti al capitale sociale e sui patti parasociali, a varie informazioni che possono essere discrezionalmente richieste dalla Banca d’Italia (artt. 21, 20 quarto comma TUBC) e dall’UIC (art. 110 terzo comma TUBC). L’interesse tutelato, sotteso alle fattispecie indicate, è la trasparenza dell’assetto proprietario della compagine societaria nei confronti dell’autorità: sebbene si tratti di un valore “strumentale” rispetto alla tutela dei singoli beni finali per i quali gli obblighi di comunicazione sono previsti, rimane il fatto che contribuisce a rafforzare e garantire la stabilità, la solvibilità e l’efficienza del sistema bancario. Va, infine segnalato che, parallelamente alla disciplina penale, il legislatore ha previsto, in tema di partecipazione al capitale di enti creditizi, una serie di sanzioni amministrative (artt. 139 primo comma e 140 primo comma TUF) per le ipotesi di omesse o ritardate comunicazioni e autorizzazioni alle autorità di vigilanza.

  • PARTECIPAZIONE BANCARIA

    Possesso da parte di banche o gruppi bancari di azioni o quote del capitale di altri soggetti a scopo di stabile e duraturo investimento finanziario. L’acquisizione di partecipazioni è generalmente finalizzata a formare strutture di gruppo o ad arricchire la gamma degli strumenti di fi- nanziamento alle imprese clienti. L’acquisizione di partecipazioni è sottoposta a vigilanza prudenziale da parte della Banca d’Italia al fine di evitare un eccessivo grado di immobilizzo dell’attivo bancario. La somma degli investimenti in capitale di rischio e in immobili non può eccedere l’ammontare del patrimonio di vigilanza della banca partecipante. Le partecipazioni sono distinte in partecipazioni in imprese bancarie, finanziarie e assicurative e in imprese non finanziarie. L’assunzione di partecipazioni in imprese industriali e commerciali è soggetta a stringenti vincoli quantitativi per quanto attiene sia alla quota massima di capitale della partecipata acquisibile che al valore complessivo delle partecipazioni detenute in rapporto al patrimonio di vigilanza della banca partecipante.

  • PARTECIPAZIONE RECIPROCA

    Situazione che si verifica in virtù della detenzione di una partecipazione incrociata fra due società in modo che ognuna risulta socia dell’altra. Il pericolo correlato alla fattispecie in esame consiste nella possibilità che, attraverso l’uso di tali partecipazioni sociali, venga alterata la consistenza patrimoniale delle società coinvolte ed il corretto funzionamento delle rispettive assemblee, soprattutto quando fra le due società intercorre un rapporto di controllo. Ciò risulta particolarmente evidente nel caso in cui, fra due società, si verifichi una reciproca sottoscrizione di un aumento di capitale, la quale, pertanto, darà luogo ad un incremento del capitale nominale delle due società senza un corrispettivo aumento reale dello stesso. Il fenomeno delle partecipazioni reciproche acquista particolare rilevanza in materia di società quotate, per le quali è necessario fare riferimento alla disciplina contenuta nell’art. 121 TUF che, nel confermare sostanzialmente l’impostazione normativa precedente, introduce alcune significative novità. Da un lato, infatti, rimane sostanzialmente inalterata sia la misura delle soglie e dei limiti percentuali delle partecipazioni consentite, pari al 2% in società quotate e pari al 10% per la partecipazione di società quotate in non quotate, sia le relative sanzioni, rappresentate dalla sospensione del diritto di voto e dall’obbligo di alienazione della partecipazione reciproca eccedente. Le principali novità riguardano, invece, la separazione della disciplina delle partecipazioni reciproche rispetto a quelle rilevanti, l’estensione della disciplina delle partecipazioni reciproche a livello di gruppo, l’introduzione della possibilità, per le società quotate, di aumentare il limite della partecipazione al 5% previo accordo autorizzato preventivamente dalle assemblee delle due società coinvolte e, infine, l’esplicito esonero dall’applicazione della disciplina elle partecipazioni reciproche nel caso in cui venga lanciata una preventiva offerta pubblica di acquisto. Per quanto oncerne, invece, la disciplina della fattispecie in sede di società non quotate, si deve far riferimento agli artt. 2359 bis e seguenti c.c. Da questa si deduce che l’acquisto reciproco di azioni è possibile, senza limite, quando tra le due società non intercorre un rapporto di controllo e, ovviamente, nessuna delle due è quotata. Se, invece, la situazione si verifica fra società controllante e le sue controllate, si applicano i limiti qualitativi e quantitativi previsti dalle norme suindicate e coincidenti con quelli inerenti l’acquisto di azioni proprie.

  • PARTECIPAZIONE RILEVANTE

    Detenzione in capo ad un unico soggetto di un insieme di azioni o quote rappresentative di una partecipazione societaria che supera determinate soglie legislativamente predeterminate, acquistando appunto rilevanza. In tal caso, a tutela della trasparenza e dell’informazione del mercato,per il titolare della partecipazione scatta l’obbligo di rendere nota la propria posizione assunta all’interno della società. Per quanto concerne le società quotate, l’art. 120 del TUF, nel recepire la disciplina precedente, impone l’obbligo di comunicazione a carico di coloro che detengono partecipazioni sociali con diritto di voto che superano la soglia del 2%. La comunicazione deve essere effettuata sia alla società partecipata sia alla Consob. Analogo obbligo viene stabilito in capo alle società quotate che partecipano in misura superiore al dieci per cento del capitale in una società con azioni non quotate o in una srl, anche se si tratta di società estere. L’obbligo di comunicazione al superamento della soglia del 2% non si applica, ai sensi del comma 6 della norma in esame, alle partecipazioni detenute, tramite società controllate, dal Tesoro; i relativi obblighi, infatti, sono adempiuti direttamente dalle società controllate. La Consob determina con proprio regolamento i termini e le modalità delle comunicazioni inerenti le partecipazioni rilevanti nelle singole fattispecie. L’inosservanza e la violazione degli obblighi di comunicazione determinano la sospensione del diritto di voto relativo alle azioni quotate per le quali vi è stata l’omissione e conseguentemente, l’eventuale delibera adottata con tali voti sarà impugnabile ad opera della stessa Consob. Per quanto concerne le società non quotate, l’art. 2435, comma 3, c.c., introdotto con la legge n. 310/1993, ha stabilito l’obbligo di rendere pubblico annualmente, entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio e mediante l’iscrizione nel registro delle imprese, l’elenco di tutti i soci alla data di approvazione del bilancio, con l’indicazione della partecipazione detenuta da ciascuno di essi e con l’indicazione dei soggetti diversi dai soci che siano titolari di diritti sui titoli.

  • PARTECIPAZIONE SOCIETARIA

    Costituisce la partecipazione del socio nella società. Può essere rappresentata da azioni o quote a seconda che si tratti di società per azioni e in accomandita per azioni o di società a responsabilità limitata e di società di persone (s.s., s.n.c., s.a.s.). La partecipazione conferisce al titolare un insieme di diritti ed obblighi, sia di carattere patrimoniale sia di carattere amministrativo, correlati allo status di socio. Quandola partecipazione è detenuta da una società (in altra società) scattano limiti specifici e determinati inerenti l’ammontare e la natura della stessa.

  • PARTECIPAZIONI STATALI

    Locuzione sintetica per indicare l’insieme delle imprese costituite nella forma di società per azioni di cui lo Stato è azionista. Le origini delle partecipazioni statali sono legate a situazioni contingenti di crisi economica (a scopo di salvataggio) e più ancora alla volontà dei Governi di supplire all’iniziativa privata, o di spiazzarla. Forma più duttile e meno trasparente dell’ente pubblico economico e dell’amministrazione autonoma, le partecipazioni statali (al pari delle altre partecipazioni societarie pubbliche) sono state, infatti, lo strumento ideale della politica dirigista imperante in Italia nel secolo scorso, a partire dagli anni Trenta. Le spa con partecipazione pubblica sono generalmente soggette alle comuni regole relative alle società. Tuttavia, l’art. 2458 c.c. stabilisce che l’atto costitutivo può riservare all’azionista pubblico la nomina di uno o più amministratori o sindaci ed eventualmente anche tutti. Le imprese con partecipazione statale erano inquadrate in appositi enti autonomi di gestione (v. ente autonomo di gestione) che dipendevano formalmente dal Ministero delle Partecipazioni Statali e, dopo la soppressione di questo nel 1993, dal Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, mentre l’esercizio dei diritti spettanti allo Stato in veste di azionista veniva attribuito al Tesoro (oggi Ministero dell’Economia e delle Finanze), tenuto al rispetto delle direttive formulate dal Presidente del Consiglio dei Ministri d’intesa con il Ministero dell’Industria (oggi Ministero delle attività produttive). Successivamente il Governo ha avviato un importante programma di smobilizzo delle partecipazioni statali dell’IRI e degli altri enti di gestione.

  • PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO (PPP) (ENCICLOPEDIA)

    Quello che sappiamo e ciò che non sappiamo: PPP come strumento chiave per cercare di uscire dalla crisi. Realizzazione degli investimenti a lungo termine e optimal risk sharing

    1. PPP: strumento di cooperazione tra il settore pubblico e privato utile to optimize the value for money di progetti pubblici e servizi

    Il partenariato pubblico privato (PPP) è un contratto a lungo termine e/o persona giuridica costituita da una pubblica autorità e il settore privato per realizzare un bene o servizio a lungo termine (o meno frequentemente a breve termine).
    Le caratteristiche principali di un PPP sono:
    - fornitura di un servizio che prevede la creazione di un bene che richiede da parte del settore privato la progettazione, costruzione, finanziamento, manutenzione e fornitura di servizi accessori per un periodo determinato;
    - un contributo del settore pubblico attraverso la fornitura del terreno dove costruire, capital works, risk sharing, revenue diversion, acquisto dei servizi concordato o altri meccanismi di sostegno.
    Prima di analizzare in modo approfondito le questioni finanziarie relative all'attuazione dei PPP, si deve sottolineare come non ci siano wide-ranging models di PPP nel mondo. Sebbene non ci sia un preferibile o un modello standard - in quanto è determinato da una serie di fattori quali la definizione del nucleo servizi, value for money e l'interesse pubblico - è possibile individuare due principali frameworks:
    - DBFM (Design-Build-Finance-Maintain): Il settore privato è responsabile della progettazione, costruzione, finanza e manutenzione del bene. Questo incentiva il settore privato a progettare l'attività tenendo in considerazione la long-term maintenance richiesta;
    - DBFO (Design-Build-Finance-Operate): Il settore privato è responsabile della progettazione, costruzione, finanza di una nuova struttura nell'ambito di un contratto a lungo termine e gestisce le relative attività nel corso della durata del contratto. Il settore pubblico acquista i servizi che derivano dalla attività nel corso della durata del contratto e la proprietà è di solito ritrasferita al settore pubblico alla fine del contratto.
    PPP sono ora particolarmente diffusi nei settori economici in cui hanno dimostrato il loro valore aumentando the value for money e migliorando il servizio offerto: trasporti, servizi pubblici e servizi in generale.
    Ci sono opportunità per i governi che cercano di sviluppare programmi PPP oltre a progetti per infrastrutture considerando l’utilizzo di PPP in aree come: l'assistenza sanitaria, l'istruzione, settori altamente innovativi, ecc sia a livello nazionale che locale.

    2. Perché è oggi importante sviluppare PPP
    Nei paesi avanzati il PPP può contribuire a risolvere le difficoltà di costruzione di infrastrutture o sostituzione di quelle obsolete in un contesto di pressione di bilancio.
    Nei paesi emergenti il PPP può contribuire ad accelerare la risposta alla domanda dei cittadini per miglioramenti nelle infrastrutture e servizi pubblici. La carenza di infrastrutture in paesi in via di sviluppo è un ostacolo rilevante al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni e allo sviluppo delle imprese.
    Riconosciuti vantaggi chiave dei PPP sono lo sviluppo della concorrenza, la capacità si apportare miglioramenti ai servizi pubblici con tempi di consegna più brevi, un miglior rapporto qualità/prezzo e una maggiore innovazione.
    Le principali questioni in materia di PPP che dovrebbero essere prese in considerazione sono:
    - devono essere precisati rischi legati alla fornitura di beni e servizi, la definizione e la combinazione di competenze complementari e competenze da parte dei partner diversi, la disposizione di una appropriata value chain e l’ottimizzazione del value for money;
    - le diverse tipologie di rischio devono essere adeguatamente ripartite tra i diversi attori coinvolti (risparmiatori, intermediari finanziari, imprese, enti pubblici);
    - PPP in materia di "innovazione" che coinvolge le infrastrutture, fonti alternative di energia, nuove aree di outsourcing di servizi pubblici - sanità, istruzione - si deve essere particolarmente cauti sulla identificazione dell’allocazione dei rischi, al fine di facilitare l'accesso ai finanziamenti.
    Molti governi ottengono finanziamenti per progetti PPP da organizzazioni come la Banca Mondiale, l'Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OCSE), la Banca Europea degli Investimenti (BEI) e Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS). Tuttavia, in futuro, se le condizioni mostrate in seguito - trasparenza, optimal risk-sharing e lo sviluppo di adeguati strumenti finanziari - saranno condivise potranno esser coinvolti nei PPP i risparmiatori privati, fondi di investimento e altri soggetti.

    3. L'allocazione del rischio tra soggetti privati e settore pubblico

    a. What is at stake
    Un principio fondamentale per un ottimale risk transfer è una valutazione accurata del rischio, di come il rischio dovrebbero essere assegnato alla parte che è maggiormente in grado di gestirlo. Trasferire la maggior parte del rischio al provider privato che ha poco controllo su di esso può portare a ritardi, superamento dei costi e, infine, scoraggiare la sua partecipazione al PPP. E’ tuttavia vero anche il contrario.
    L'allocazione del rischio si propone di assegnare i rischi del progetto alla parte nella condizione migliore per gestirli riducendo al minimo i costi del progetto. La parte con una maggiore abilità nel controllo di un particolare rischio ha la migliore opportunità per ridurre la probabilità che tale rischio si verifichi e di controllarne le conseguenze nel caso si appuri. Ciò implica che il rischio che può essere gestito dal partner privato (ad esempio efficienza operativa, ecc) dovrebbe essere a carico del settore privato, mentre il rischio di un interesse di natura pubblica (ad esempio, specifiche richieste del pubblico inclusi obiettivi non commerciali, ecc) deve essere a carico del settore pubblico.
    Questo suggerisce che una ripartizione del rischio adeguata richiede preventivamente un chiarimento effettivo dell’interesse pubblico e che la valutazione del rischio è un esercizio da svolgere caso per caso.

    b. Metodologie di valutazione del rischio
    Per valutare l'opportunità di avviare un progetto che coinvolga il settore privato è importante eseguire un cosiddetto Public Sector Comparator (PSC). Esso fornisce un punto di riferimento finanziario per la determinazione quantitativa of the value for money ottenuto tramite diverse risposte alla richiesta di interesse (RFP - request for proposal).
    - Il PSC rappresenta il valore attuale netto del totale whole-of-life cost necessario alla parte pubblica per ottenere l'output specificato nel caso di un self-procurement;
    - risposte alla RFP sono quindi classificate in base al loro costo ponderate per il rischio Net Present Cost ("NPC") e comparato al risk-adjusted PSC;
    - l'impatto finanziario del rischio trattenuto dalla parte pubblica viene aggiunto a ogni risposta RFP per mostrare il costo totale di consegna dei progetti. Possono essere apportate modifiche al NPC delle singole risposte RFP secondo un preferito scenario di ripartizione del rischio.
    Tuttavia identificare la migliore opzione richiede un processo di valutazione flessibile e un completo assesment del value for money richiede una valutazione dei fattori qualitativi di ogni risposta RFP.

    c. Sfide del settore pubblico
    Un impegno a lungo termine da parte del settore pubblico ai PPP è importante per la fiducia delle imprese. La stabilità politica è la chiave del successo PPP. I finanziatori sono riluttanti a entrare e investire in PPP in mercati dove non c'è un chiaro ed affidabile sostegno politico. Gli investitori sono infatti disposti ad investire capitale di rischio solo in contesti dove diritti e responsabilità - nei confronti del settore pubblico e di altre imprese - siano ampiamente riconosciuti e applicati da enti indipendenti.
    In un ambiente dove le leggi e gli accordi non possono essere applicate efficacemente gli altri criteri di successo dei PPP divengono di secondaria importanza. Un quadro giuridico e istituzionale solido e stabile è un presupposto indispensabile per il successo di qualsiasi PPP. Ciò non esclude la possibilità per governi di esercitare il loro diritto di disciplinare nel pubblico interesse, anche attraverso modifiche della legislazione che incidano sulla redditività dei progetti infrastrutturali. Tuttavia essi dovrebbero esser fatti in maniera trasparente e, per quanto possibile, prevedibile, incluse le consultazioni preliminari con i partecipanti del settore privato.
    Inoltre la trasparenza sui processi di procurement e sulle performances degli attuali PPP conducono a un accesso più agevole per gli investitori privati ai PPP.
    Un esempio di come implementare stabilità politica e trasparenza è fornito dall’esperienza del Regno Unito:
    - la creazione of The Office of Government Commerce (OGC) ha fornito un armonico e ordinato quadro di riferimento alla base della implementazione delle gare di appalto;
    - la creazione del National Audit Office (NAO), incaricato del controllo della spesa pubblica e di condurre indagini periodiche sul rendimento dei PPP, ha incrementato la trasparenza dei PPP.
    Tra le sfide del settore pubblico non può essere omessa la necessità di efficienza e di esperienza nella gestione del rischio e l'innovazione che sono state sperimentate nelle tradizionali forniture di servizi pubblici. Ciò può incentivare i governi a collaborare con il privato settore, al fine di utilizzare la loro esperienza e risorse. Il settore privato può offrire competenze e l'expertice al fine di agevolare una maggiore innovazione e efficienza dei servizi. Al fine di eliminare gli ostacoli allo sviluppo dei PPP è considerato essenziale utilizzare qualificati manager pubblici con competenze nel procurement management, gestione dei contratti, market management and model design. Procurement e competenze commerciali sono considerati elementi essenziali. Per sviluppare appieno queste competenze il settore pubblico dovrebbe costruire legami con il settore privato, attraverso la condivisione delle pratiche migliori, creando se necessario uno specifico settore dedicato al procurement. Nel Regno Unito il Ministero del Tesoro ha sviluppato una guida che analizza le tecniche di gestione del rischio, un ambito in cui il settore pubblico tende ad avere un'esperienza limitata. Inoltre, i governi dovrebbero sviluppare modelli di partnership tra le autorità pubbliche per dimostrare quali tipologie di PPP hanno successo e le competenze necessarie per trasformarle in progetti effettivi. Un esempio viene dalle esperienze del Governo della Repubblica Ceca, che è entrato in partnership con il Regno Unito e i Paesi Bassi attraverso un progetto di gemellaggio UE. Questi paesi forniscono consulenze al Ministero delle Finanze ceco in modo da contribuire ad aumentarne l'efficienza e sviluppare la metodologia e gli standard per PPP di successo.

    4. PPP: accesso ai finanziamenti

    a. Costo del finanziamento di un PPP
    Rispetto al tasso risk free del debito-governativo che si applica alle procedure degli appalti pubblici, i PPP in considerazione del fatto che esplicitamente assegnano parte dei rischi al settore privato sopportano un aggiuntivo premio per il rischio.
    Questi premi per il rischio rappresentano come tali un value for money. Infatti essi forniscono una quantificazione dei rischi legati al progetto. Rischi e value for money sono in questo caso prezzati individualmente per ogni progetto e possono essere opportunamente confrontati.

    b. Ruolo del settore pubblico nel finanziamento dei PPP
    Il ruolo chiave del settore pubblico è impostare in modo appropriato i termini del concorso in una richiesta di offerta per un progetto PPP, al fine di dare al settore privato gli incentivi giusti e ottenere il miglior value for money. I termini per il finanziamento del PPP sono parte di questi termini.
    L'ente pubblico deve, in particolare, definire il tipo di controparte finanziaria che desidera: il PPP contractor, fornitori di credito, compagnie di assicurazione specializzate.
    Il settore pubblico può anche definire in anticipo alcune restrizioni sulle opzioni di finanziamento che saranno accessibili al PPP contractor e.g reddito fisso, mix di reddito fisso e indicizzato all’emissione di obbligazioni, coinvolgimento di finanziamenti bancari, ecc.
    Il settore pubblico dovrebbe inoltre precisare l'uso o meno di strumenti di copertura per mitigare il rischio associato al tasso di interesse.
    Da ultimo l'ente pubblico può preferire di essere direttamente coinvolto nella architettura del finanziamento al fine di fornire al PPP contractor uno standing più favorevole e ridurre i costi di finanziamento.

    c. Condizioni per l'accesso ai mercati finanziari

    c.1 Ostacoli
    Una raccomandazione specifica OCSE è rivolta alla eliminazione di qualsiasi restrizione all'accesso a mercati finanziari locali e privati e alla eliminazione degli ostacoli ai movimenti internazionali dei capitali. L’accesso al mercato dei capitali è essenziale per i partecipanti del settore privato per finanziare le operazioni.
    In tutti i casi, dando un pieno accesso ai mercati dei capitali si rafforza l'efficacia dei PPPs. Dove le valute sono pienamente convertibili e i capitali possono facilmente muoversi, i gestori delle infrastrutture finanziano le loro operazioni a tassi competitivi e di conseguenza non hanno la necessità di riconoscere alcun "premio di finanziamento" agli utenti delle infrastrutture nazionali. Quando i progetti per infrastrutture sono definiti nei paesi privi di valute convertibili o con restrizioni nel trasferimento dei capitali, vi è difficoltà a mitigare il rischio di cambio con un forte incentivo a trovare fondi nel mercato domestico. I paesi con un buon funzionamento del mercato dei capitali domestici trovano sia più facile che economico coinvolgere operatori privati nelle loro opere infrastrutturali. Al contrario le esperienze fatte fino ad ora da parte delle autorità pubbliche di accettare tariffe per infrastrutture connesse alla valuta estera per compensare i rischi di cambio degli investitori sono state tutt'altro che incoraggianti.

    c.2 Aree di progresso
    Al fine di eliminare gradualmente le restrizioni all'accesso ai mercati finanziari locali e privati e gli ostacoli ai movimenti internazionali di capitali due approcci devono essere adottati:
    - facilitare l'accesso di progetti locali small-scale a fonti di finanziamento: facilitare l'assistenza alla preparazione di progetti finanziabili, supportando collegamenti con grandi operatori. L'obiettivo sarà quello di fornire una più veloce ed economica soluzione di finanziamento, che mantiene i vantaggi dei privati finanziamenti bancari, ma riduce le sue inefficienze se applicato a sistemi più piccoli. A questo proposito alcuni modelli di partnership strategica sono stati sviluppati, questi prevedono umbrella organizzations to procure piccoli progetti PPP. Un esempio di questo modello sono i Local Improvement Finance Trusts (LIFTs) nel settore sanitario sviluppati in Gran Bretagna dal 2004. LIFTs sono approcci innovativi per rispondere alla sfida di investire in piccoli progetti nell’ambito sanitario. I singoli progetti intrapresi da LIFTs sono strutturati in modo simile ai progetti PPP, i singoli contratti sono raggruppati insieme e vengono standardizzati i termini utilizzati. Il contratto estrae il suo valore aggiunto dall'uso di un strategia coerente, sfruttamento di economie di scala e ripetizione dei contratti. Inoltre attrae diverse imprese di costruzione e partner del settore privato che forniscono competenze in termini di realizzazione del progetto e sviluppo immobiliare. Il vantaggio chiave di tale modello è che esso può offrire un incremento della flessibilità: i finanziatori sono in grado di ripartire i rischi tra una serie di progetti su piccola scala, consentendo maggiori possibilità di sviluppo in particolare nel campo dell’innovazione e riutilizzare il capitale in modo più facile nel finanziamento di nuovi progetti. Ulteriori vantaggi includono un processo di procurement più snello e la capacità di estrarre valore dal lavoro con una consistente supply chain per progetti sequenziali, quindi costruendo esperienza e una migliore comprensione tra i partner del progetto nel tempo. Per rafforzare la disponibilità e l'optimality di questo modello il report della NAO sul programma LIFT ha evidenziato che è efficace ed offre value for money, un percorso adatto per piccoli progetti che sarebbe inadatto per standardizzati progetti PPP infrastrutturali.
    - Prestiti per progetti di infrastrutture possono essere cartolarizzati: la partecipazione dei privati in infrastrutture può anche contribuire a sviluppare i mercati finanziari. Finanziamenti a progetti di infrastrutture possono essere cartolarizzati con il doppio vantaggio di ridurre il costo di finanziamento e aggiungere liquidità al mercato dei capitali domestico, rimuovendo inoltre gli ostacoli ai movimenti internazionali dei capitali. Nonostante alcuni problemi sul ruolo svolto dalle compagnie di assicurazione monoline coinvolte in progetti di PPP, ci sono intermediari finanziari quali banche, imprese del settore privato e clienti del settore pubblico che stanno acquisendo una maggiore conoscenza del mercato dei PPP e sono sempre più in grado di comprenderne i costi di lungo termine del progetto nel contratto iniziale. Schemi di PPP vengono ora finanziati in gran parte da obbligazioni a lungo termine, a questo riguardo le risorse finanziarie per l'acquisto di tali strumenti potrebbero essere disponibili nei settori assicurativi e dei fondi pensione. Tenuto conto dei rischi, associati con il set-up - come i rischi della costruzione - queste attività offrono rendimenti elevati incontrando sempre più la domanda di investitori che vogliono investire su lunghe durate ed ottenere rendimenti maggiori di quelli offerti dai titoli governativi, come richiesto da assicurazioni e fondi pensione. Così contratti PPP potrebbero anche essere considerati come uno strumento per creare nuove e interessanti fonti di investimento a lungo termine. Nonostante qualche preoccupazione relativa al mercato secondario dei PPP assets, c'è un limite a quanto financial gain può essere generato per gli investitori privati attraverso l'ingegneria finanziaria. Il focus di un secondary fund manager è la performance a lungo termine degli investimenti. E’ nel loro interesse che il progetto di PPP in cui hanno investito venga ad essere gestito in maniera adeguata. Un vantaggio importante è che la vendita dell’asset permetta di riutilizzare il capitale per il finanziamento di altri progetti. Inoltre da un punto di vista macroeconomico c'è un opportunità per i governi nell’incoraggiare lo sviluppo di un circolo virtuoso tra necessità dei fondi pensione e finanziamento del servizio pubblico. Il vantaggio per l'economia nazionale di riconoscere e di incoraggiare questi mercati simmetrici potrebbe essere più generale, la stabilità finanziaria a lungo termine.


    Bibliografia

    THE PRIVATE FINANCE INITIATIVE - October 2003 - Research Paper 03/79 House of Commons UK
    BUILDING ON SUCCESS: THE WAY FORWARD FOR PFI - June 2007 - CBI
    PRIVATE SECTOR PARTICIPATION IN WATER INFRASTRUCTURES - 2009 - OECD
    OECD Principles for Private Sector Participation in Infrastructure - 2007 - OECD
    THE WORLD OF PUBLIC PRVATE PARTNERSHIPS - July 2007 - CBI
    NATIONAL PUBLIC PRIVATE PARTNERSHIP - December 2008 - Australian Government.
    NATIONAL PUBLIC PRIATE PARTNERSHIP GUIDELINES - December 2008 - Australian Government.


    Redattore: Alberto Maria SORRENTINO

    © 2011 ASSONEBB

     

     

     

     

     

     

     

  • PARTI CORRELATE

    Relazione tra due soggetti per cui uno di essi è in grado di controllare o di influenzare significativamente le decisioni economiche e finanziarie dell’altra. 1. L’art. 2391-bis c.c. prescrive, in proposito, alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio di adottare regole interne (codici di condotta) che assicurino la trasparenza e la correttezza, sostanziale e procedurale, delle operazioni con parti correlate, in considerazione del rischio che esse avvengano in danno di una delle due. Fa, inoltre, obbligo di renderle note nella relazione sulla gestione, e demanda all’organo di controllo di vigilare sull’osservanza delle regole adottate ai sensi del primo comma e ne riferisce nellarelazione all’assemblea. L’art. 2391 bis richiama i principi che la Consob ha fissato per le operazioni realizzate direttamente o per il tramite di società controllate e che disciplinano le operazioni stesse in termini di competenza decisionale, di motivazione e di documentazione.

    2. La Consob ha precisato (comunicazione n. DEM/2064231 del 30-9-2002) che le parti correlate rientrano: a) i soggetti che controllano, sono controllati da, o sono sottoposti a comune controllo con l’emittente; b) gli aderenti, anche in via indiretta, a patti parasociali, aventi per oggetto l’esercizio del diritto di voto, se a tali patti è conferita una partecipazione complessiva di controllo; c) i soggetti collegati all’emittente e quelli che esercitano un’influenza notevole sull’emittente medesimo; d) coloro ai quali sono attribuiti poteri e responsabilità in ordine all’esercizio delle funzioni di amministrazione, direzione e controllo nell’emittente; e) gli stretti familiari delle persone fisiche comprese nelle lettere a), b), c) e d); f) i soggetti controllati dalle persone fisiche comprese nelle lettere b), c), d) ed e), o sui quali le persone fisiche comprese nelle lettere a), b), c), d) ed e) esercitano un’influenza notevole; g) i soggetti che hanno in comune con l’emittente la maggioranza degli amministratori. L’elenco si distacca solo marginalmente dall’elenco di parti correlate contenuto nel principio contabile IAS 24.

    3. La nozione di parti correlate è presente anche nel diritto tributario, in particolare nella normativa dell’IRES, la nuova imposta sulle società, ai fini della politica di contrasto all’utilizzo fiscale della sottocapitalizzazione delle imprese e cioè il ricorso all’indebitamento da parte delle imprese per ottenere vantaggi di natura fiscale (v. thin capitalization).

  • PARTITA ANTERGATA

    Partite con valuta anteriore alla data di chiusura del conto precedente, pur essendosi manifestate in epoca successiva. Esse vengono registrate nel conto secondo le regole comuni (v. tenuta del conto corrente), ma al saldo della staffa del periodo precedente viene attribuita la valuta della partita antergata (o nel caso di più operazioni antergate, di quella che presenta valuta più remota), calcolando un numero di correzione sul saldo a nuovo da iscriversi con segno negativo nella sezione del saldo per stornare gli interessi conteggiati nella staffa precedente. Le partite antergate e le nuove operazioni vengono iscritte nella staffa normalmente, in ordine di valuta.

  • PARTITA DI CONTO

    Importo addebitato o accreditato che, definendo in quantità-valore un determinato fatto di gestione, indica il significato di mutazione positiva o negativa dell’oggetto a cui il conto stesso è intestato. Nelle scritture doppie l’addebitamento di un conto determina sempre, e per lo stesso importo, il correlativo accreditamento di uno o più conti; si dice allora che a ciascuna partita (dare o avere) corrisponde un’equivalente contropartita (avere o dare).

  • PARTITA DI GIRO

    Incasso o pagamento che trova contropartita in un correlativo obbligo di versamento o diritto di riscossione. Nelle aziende sono esempi di partite di giro: l’imposta sul valore aggiunto, le trattenute previdenziali e sociali a carico dei dipendenti, le ritenute fiscali effettuate dai sostituti di imposta, le spese rimborsabili anticipate per conto di terzi. In ogni caso tali partite non esplicano alcuna influenza sul risultato economico della gestione. Per altro esse possono tradursi in un vantaggio o in un gravame finanziario, in relazione alle disponibilità finanziarie temporaneamente generate o assorbite.

  • PARTITA DOPPIA

    Metodo per la tenuta delle scritture contabili nelle imprese, che consiste nel rilevare i fatti di gestione nell’aspetto finanziario (entrate e uscite di cassa, variazioni nei crediti e nei debiti) e in quello economico (ricavi, costi e variazioni di capitale netto). Le entrate di denaro, gli aumenti di crediti, le diminuzioni di debiti, i costi e i decrementi di capitale netto vengono registrati in “dare”, e cioè addebitati, nei relativi conti di pertinenza. Le uscite di denaro, le diminuzioni di crediti, gli aumenti di debiti, i ricavi e gli incrementi di capitale netto vengono registrati in “avere”, e cioè accreditati, nei relativi conti di pertinenza. In ogni momento la somma degli addebitamenti pareggia l’ammontare complessivo degli accreditamenti, dovendosi necessariamente verificare le uguaglianze che consentono la periodica formazione dei bilanci.

  • PARTITA IVA

    Numero composto di 11 posizioni numeriche attribuito dall’Amministrazione finanziaria a chiunque esercita un’attività imprenditoriale, artistica o professionale nel territorio dello Stato o vi istituisce una stabile organizzazione. La partita IVA deve essere indicata nelle dichiarazioni e in ogni altro documentodestinato all’Amministrazione finanziaria, nelle deleghe di versamento alle banche e deve essere riportato nelle attestazioni di versamento. Per i soggetti diversi dalle persone fisiche la partita IVA coincide col codice fiscale.

  • PARTITA POSTERGATA

    Partite dette anche “a scadere”, relative ad operazioni con valuta posteriore alla chiusura del c/c. Esse vengono registrate normalmente nel conto, ma non si riportano nella staffa, nella quale infatti risultano le sole operazioni con valuta anteriore o uguale alla data di chiusura, e vengono pertanto rinviate alla staffa del periodo successivo. In sede di chiusura le partite postergate possono essere annullate anche nell’estratto conto con una scrittura di storno, per essere poi riprese con il loro segno e la loro valuta nel conto del periodo successivo, ma solitamente vengono mantenute nel prospetto riepilogativo, poiché la loro esclusione rileva solo ai fini della liquidazione degli interessi e non della determinazione del saldo capitali. Avviene in questo caso che l’estratto conto presenta un saldo contabile diverso da quello liquido risultante dalla staffa, nella quale appunto mancano le partite postergate.

  • PARTITA SEMPLICE

    Metodo contabile con il quale i fatti di gestione vengono rilevati nel solo aspetto finanziario. Si registrano, quindi, in partita semplice, soltanto le entrate e le uscite di cassa, oltre che le variazioni nei crediti e nei debiti, trascurando l’immediata riclassificazione di tali valori sotto il profilo del loro significato reddituale. Ne consegue che il risultato economico della gestione non può essere rilevato contabilmente e in forma analitica, ma solo extracontabilmente e in forma sintetica: cioè attraverso il confronto tra valore finale e iniziale del capitale netto, quale risulta in seguito alle periodiche operazioni di inventario e di valutazione delle attività e delle passività dell’azienda. Secondo la nuova regolamentazione degli enti locali (v. contabilità degli enti locali), del d.lg. 267/2000 il prospetto di conciliazione deve permettere di giungere ad un rendiconto economico pur partendo dalla contabilità finanziaria a partita semplice (v. contabilità finanziaria).

  • PARTITA ZOPPA

    Procedimento contabile che può essere applicato nelle associazioni in partecipazione tra due o più imprenditori, allorché la ripartizione degli utili o delle perdite in sociale avvenga al termine della speculazione (c.d. “seconda convenzione”). Con tale metodo, di derivazione francese, colui che tiene le scritture rileva in partita doppia le operazioni in sociale da lui direttamente effettuate, mentre registra in partita semplice le operazioni eseguite dagli associati.

  • PARTITARIO

    Raccolta dei sottoconti che costituiscono l’analisi di una voce contabile (clienti, fornitori, spese generali ecc.). Il partitario, pur non essendo imposto dalla legge, è usato frequentemente in quanto permette, specie nelle grandi imprese, di determinarne in ogni momento la posizione nei confronti di debitori e creditori. È composto da uno schedario, ciascuna scheda del quale viene intestata ad un singolo nominativo, principalmente clienti e fornitori, in modo da evidenziarne costantemente crediti e debiti. L’uso del partitario può ovviamente estendersi ad altre voci come le banche oppure, specie nelle aziende mercantili, al magazzino. In quest’ultimo caso il partitario permette di determinare in ogni momento la consistenza qualitativa e quantitativa delle scorte. Anche in questo negli ultimi tempi è divenuto essenziale il ruolo dell’informatica.

  • PARTITE CORRENTI

    Componenti di un bilancio finanziario relative alle entrate ed alle uscite di carattere periodico e che quindi si effettuano stabilmente ogni anno. Nella bilancia dei pagamenti, che sintetizza la posizione debitoria o creditoria di un paese nei confronti del resto del mondo, le partite correnti sono costituite dalle transazioni che quel paese effettua per la vendita e per l’acquisto di beni e servizi. Esse si dividono in partite visibili, che riguardano importazione ed esportazione di merci, ed in partite invisibili. Queste a loro volta sono principalmente composte dai noli e dalle assicurazioni su trasporti internazionali (in entrata i noli e le assicurazioni per trasporti di merce estera su mezzi di trasporto nazionali, in uscita i noli ed assicurazioni per trasporti di merce nazionale su mezzi di trasporto esteri), dalle spese per il turismo (in entrata le spese di stranieri in territorio nazionale, in uscita quelle di turisti del paese all’estero), dai redditi da capitale (in entrata profitti, interessi e ammortamenti conseguenti ad investimenti reali e finanziari nazionali all’estero, in uscita profitti, interessi e ammortamenti conseguenti ad investimenti reali e finanziari esteri in territorio nazionale) e dai redditi di lavoro (in entrata i redditi di lavoratori nazionali ottenuti all’estero e trasferiti nel paese, in uscita i redditi di lavoratori esteri ottenuti in territorio nazionale e trasferiti all’estero). Nelle partite correnti vanno inseriti anche i trasferimenti. Le partite correnti insieme ai movimenti internazionali dei capitali determinano il saldo attivo o passivo della bilancia dei pagamenti e influenzano, anche se non sempre direttamente, i cambi.

  • PASS-THROUGH (PT)

    Con il termine pass-through period ci si riferisce generalmente all’intervallo di tempo nel quale una variazione del tasso di cambio si trasferisce ai prezzi dei beni importati denominati in valuta domestica. Questo fenomeno fornisce una spiegazione all’esistenza della cosiddetta J-curve. Accade spesso che pur in presenza di una variazione sensibile del tasso di cambio i prezzi delle importazioni, espressi nella valuta del consumatore, non subiscano alcuna alterazione. Il fatto che i produttori esteri possano trovare conveniente non aggiustare il prezzo, mantenendo costanti le quantità vendute, suggerisce l’esistenza di margini di profitto positivi e dunque la presenza di forme di mercato non perfettamente concorrenziali.
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  • PASS-THROUGH SENIOR/SUBORDINATED CERTIFICATES

    Categoria innovativa di mortgage-backed securities. Derivano da un’emissione che prevede la creazione di due classi di titoli, una classe privilegiata (senior) ed una classe postergata (subordinated), oltre all’allestimento di un fondo riserva preordinato alla copertura delle perdite sulla classe senior. Tale fondo viene alimentato dai flussi in linea capitale che non sono corrisposti ai detentori dei titoli subordinated finché il fondo non ha raggiunto una predeterminata consistenza sotto il profilo della liquidità e relativamente al debito residuo. La classe senior, quindi, è oggetto di rating ed è collocata sul mercato, laddove la subordinated, priva di rating, può essere trattenuta dall’emittente ovvero venduta con procedure proprie del collocamento privato. È quest’ultima classe, pertanto, ad essere esposta al rischio di insolvenza e ad accollarsi perciò il fenomeno dei rimborsi anticipati. Il vantaggio per l’emittente di tale peculiare modalità di strutturazione consiste nella possibilità di migliorare il rating della classe senior senza ricorrere a garanzie accessorie da parte di terzi soggetti.

  • PASSEGGIATA ALEATORIA - RANDOM WALK

    Deriva dallo sviluppo del concetto di martingala, la cui formulazione più semplice configura incrementi, della variabile in esame, IID (indipendenti e identicamente distribuiti). Nella teoria della probabilità, una sequenza di variabili casuali (random) risulta indipendente ed identicamente distribuita qualora ciascuna di tali random variables presenti una distribuzione di probabilità identica alle altre ed esse siano, per giunta, mutuamente indipendenti. Esempio di passeggiata aleatoria (random walk) associata alla dinamica della variabile prezzi può essere:

    Pt = μ + Pt-1 +εt

    dove εt ≈IID (o,σ2)
    Nella precedente espressione μ è la variazione di prezzo attesa. Talvolta il termine è definito "drift" (deriva): concretamente, la presenza di questo elemento implica che la media degli incrementi sia diversa da zero. Difatti, la nozione di drift positivo o negativo si associa al tema della non-stazionarietà, mentre la formulazione IID (o,σ2) implica che gli incrementi siano indipendentemente ed identicamente distribuiti con media 0 e varianza σ2. Se ipotizziamo una distribuzione normale per i termini εt, l’equazione descritta configura un moto aritmetico browniano osservato su intervalli unitari di distanza regolare. L’indipendenza di questi termini non solamente significa che gli incrementi sono incorrelati in prospettiva temporale, ma che anche eventuali combinazioni non lineari dei medesimi incrementi sono tra loro non correlate. La definizione proposta riguarda la formulazione più stringente di Random Walk (Campbell la denota con la sigla RW1), successivamente sottoposta ad alcune modifiche (Random Walk 2 e 3) nel tentativo di renderla coerente con la realtà dei mercati finanziari. Ad esempio, l’assunzione di incrementi identicamente distribuiti non è ritenuta plausibile con riferimento ad estesi intervalli temporali, inducendo, dunque, gli studiosi a rinunciare alla semplificatrice ipotesi di incrementi identicamente distribuiti (RW2); allo stesso modo, una versione ancor più generica di Random Walk è ottenuta mantenendo valida esclusivamente la nozione di incrementi incorrelati (RW3). Tuttavia, con questa impostazione non escludiamo una eventuale correlazione tra i quadrati degli incrementi.
    E’ opportuno precisare nuovamente la principale differenza tra RW e Martingala: il processo di Random Walk è più restrittivo della martingale in quanto richiede che i momenti dalla media successivi al primo (per esempio la varianza) siano statisticamente indipendenti. Sebbene la martingala sancisca l’imprevedibilità delle variazioni della variabile, essa ammette comunque la possibilità di prevedere la varianza condizionata sulla base dei valori passati.

    Bibliografia
    CAMPBELL J. Y., LO W. A., MACKINLAY A. C., 1997, The Econometrics of Financial Markets, Princeton University Press, Princeton New Jersey;
    LO W. A., MACKINLAY A. C., 1988, Stock Market Prices do not Follow Random Walks: Evidence from a Simple Specification Test, in The Review of Financial Studies, Vol. 1, No. 1 (Spring), pp. 41-66.


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  • PASSIVITÀ

    Voci che compongono una delle due sezioni dello stato patrimoniale e del bilancio di esercizio secondo l’art. 2424 del c.c. Le passività riguardano sia le fonti di finanziamento proprie, siano esse esterne (derivanti da conferimenti di capitale) o interne (derivanti da autofinanziamento), sia le fonti di finanziamento di terzi. La conoscenza di quanta parte del fabbisogno finanziario di un’azienda sia coperta dal patrimonio netto e quanta parte dai debiti, effettivi o potenziali, come pure della suddivisione temporale delle passività a breve e a medio-lungo termine, costituisce uno degli elementi più utili per comprendere la solidità finanziaria di un’azienda e le sue reali possibilità di sviluppo. L’art. 2424 del c.c. suddivide le passività dello stato patrimoniale in cinque categorie: Patrimonio netto, Fondi per rischi ed oneri, Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato, Debiti, Ratei e Risconti passivi.

  • PASSIVITÀ A BREVE

    Fonti di finanziamento di terzi con esigibilità nel breve termine (entro il successivo esercizio). La possibilità di un rinnovo tacito di alcune di queste fonti (si pensi ai fidi bancari) fa sì che l’analisi di uno stato patrimoniale riclassificato finanziariamente richieda una particolare conoscenza dell’azienda e del suo rapporto con le fonti di finanziamento.

  • PASSIVITÀ CONSOLIDATE

    Parti del capitale di terzi non esigibili nel breve termine. È importante evidenziare che un’attenta analisi finanziaria degli stati patrimoniali richiede che dalle voci tipiche delle “passività consolidate” (p.e. mutui passivi) siano scorporate le quote in scadenza annuale.

  • PASSWORD

    Lett.: parola di accesso (parola d’ordine). Insieme segreto di caratteri alfanumerici conosciuto solo dal proprietario che deve essere digitato, di solito assieme all’userid (identificativo d’utente), per ottenere l’accesso a un calcolatore, una rete, un sito o per ottenerecerti servizi telematici. Una volta digitata la password, l’elaboratore la ricerca in un suo elenco di password autorizzate, in associazione, se del caso, all’userid e, se la trova, consente l’accesso.

  • PATRIMONIO

    Insieme dei rapporti giuridici aventi rilevanza economica che fanno capo ad un determinato soggetto, persona fisica o giuridica. Inteso in senso giuridico il termine non comprende soltanto le attività (beni immobili, mobili, diritti di credito ecc.), ma anche le passività, cioè gli obblighi, indicando complessivamente tutti i rapporti attivi e passivi suscettibili di valutazione economica. Ogni soggetto ha un unico patrimonio, col quale risponde verso i creditori delle obbligazioni assunte e non adempiute. In linea di principio non è possibile la separazione di beni o rapporti giuridici per riservarli esclusivamente a determinati creditori: in vista di speciali destinazioni, però, la legge ammette che alcuni beni possano essere staccati dagli altri per la costituzione di un patrimonio separato, soggetto ad un regime giuridico speciale come il fondo patrimoniale della famiglia. Patrimonio autonomo, invece, è quello di determinati soggetti che, pur essendo considerati per molti versi distinti dalle persone che li compongono, non hanno personalità giuridica: è il caso delle associazioni non riconosciute, dei comitati ecc.. Sotto il profilo tecnico-aziendale il termine patrimonio è usato con riferimento specifico alle aziende di erogazione, mentre per le aziende di produzione si usa il termine capitale (v. capitale dell’impresa).

  • PATRIMONIO DEGLI ENTI PUBBLICI

    Il patrimonio dello Stato e degli enti pubblici si divide in patrimonio indisponibile e patrimonio disponibile. Del primo fanno parte i beni mobili ed immobili elencati all’art. 826 c.c.: le foreste, le cave e le torbiere (la cui disponibilità sia sottratta al proprietario del fondo), le miniere, i beni di interesse storico, paleontologico, paletnologico, archeologico e artistico (ritrovati nel sottosuolo), i beni costituenti la dotazione del Presidente della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari, le navi da guerra, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici con i loro arredi, gli altri beni destinati ad un pubblico servizio. La l. 1970/689 ha aggiunto la fauna selvatica. Dei beni enumerati, foreste, cave e torbiere, acque minerali e termali, edifici e i loro arredi (se destinati ad uffici e servizi pubblici di spettanza regionale) sono stati trasferiti alle Regioni a statuto ordinario. Gli ordinamenti delle Regioni a statuto speciale prevedono elenchi, a seconda dei casi, più o meno ampi. Alcuni beni non possono che appartenere allo Stato o alla Regione: essi sono indisponibili per natura come le miniere, le cave e le torbiere, altri sono indisponibili in quanto appartenenti ad un particolare ente pubblico e altri ancora in virtù della destinazione. I beni del patrimonio indisponibile, il cui uso è strumentale rispetto al conseguimento dell’interesse pubblico (laddove i beni del demanio permettono di perseguire direttamente lo scopo), non possono essere sottratti alle loro destinazioni se non nei modi stabiliti dalle leggi cheli riguardano. Alla stessa disciplina vincolante sono soggetti i beni di enti pubblici non territoriali, destinati ad un pubblico servizio. I beni che costituiscono il patrimonio disponibile dello Stato e degli enti pubblici comprendono fondi rustici, immobili urbani, aziende industriali non destinate a pubblici servizi, quote di partecipazione in imprese private, denaro esistente in cassa o di cui l’Amministrazione sia creditrice. Essi sono soggetti alla disciplina di diritto comune. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha il compito di provvedere alla conservazione e gestione del patrimonio immobiliare statale con una serie di eccezioni; tuttavia i beni amministrati direttamente dalle singole amministrazioni sono sottratti a tale controllo in quanto le stesse non segnalano gli immobili non utilizzati impedendone l’utilizzo per altre destinazioni. L’obiettivo delle privatizzazioni immobiliari ha incontrato più ostacoli di quello delle privatizzazioni mobiliari soprattutto perché i beni gravati da vincoli di destinazione sono poco interessanti per i privati (v. dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti pubblici; gestione del patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti pubblici). La legge finanziaria 23.12.1996 n. 662 disciplina la dismissione del patrimonio statale agli enti locali. La collocazione dinamica degli immobili pubblici sul mercato è affidata alla legge 86/1994, modificata dall’art. 3 l. 1996/662 che si occupa della disciplina dei fondi d’investimento immobiliare. Contro l’inerzia delle amministrazioni che detengano a qualunque titolo immobili dello stato abbandonandoli al degrado, esiste una presunzione legale e un potere sostitutivo del Ministero delle Finanze, al fine dell’inserimento in un elenco dei beni immobili da valorizzare e gestire economicamente. Altresì esiste la fondamentale previsione di sdemanializzazione ex lege, da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze (al quale viene trasmesso l’elenco) dei beni che intende utilizzare per costituire uno o più fondi immobiliari di investimento. Le quote di questi devono essere collocate entro 18 mesi dall’ultimo apporto presso investitori terzi, in misura non inferiore al 60% del fondo. In caso di mancato raggiungimento di tale percentuale nei termini di legge il fondo si scioglie e gli immobili ritornano ai titolari. I beni immobiliari di valore non inferiore ai due miliardi, non conferiti nei fondi, possono essere alienati direttamente dall’amministrazione finanziaria con asta pubblica o qualora vada deserta a trattativa privata.

  • PATRIMONIO DI VIGILANZA

    1. Il grado di patrimonializzazione rappresenta il primo presidio contro i rischi di mercato, una specie di cuscinetto contro i rischi di immobilizzo e le perdite inattese dall’azienda di credito ed è quindi fattore di sviluppo degli investimenti e strumento di equilibrio economico, finanziario e patrimoniale. Esso è oggi considerato una variabile molto importante, se non il principale punto di riferimento nelle valutazioni della Vigilanza bancaria in ordine alla stabilità delle singole banche e del sistema. Su di esso sono costruiti gli altri strumenti di vigilanza prudenziale, quali il coefficiente di solvibilità, i requisiti a fronte dei rischi di mercato, le regole sulla concentrazione dei rischi e sulla trasformazione delle scadenze. Alle dimensioni patrimoniali è connessa inoltre l’operatività in diversi comparti. La materia è regolata dagli artt. 53 sgg. e 65 sgg. TUBC, dal d.lg 27.1.1992 n. 87 (disposizioni in materia di conti annuali e consolidati degli enti creditizi e finanziari); dalla deliberazione CICR del 12.1.1994; dalla direttiva 89/299/CEE del 17.4.1989, concernente i fondi propri delle banche, modificata dalla direttiva 92/16/CEE del 16.3.1992 e dalla direttiva 91/633/CEE del 3.12.1991 recante disposizioni applicative relative alla direttiva 89/299/CEE; dall’Accordo di Basilea del 1988 sulla valutazione del patrimonio e sui coefficienti patrimoniali minimi delle banche, aggiornato ad aprile 1998 e dall’”Emendamento all’Accordo sul Capitale per incorporarvi i rischi di mercato” del gennaio 1996, aggiornato ad aprile 1998. Per le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia v. il Tit. IV, cap.1.

    2. Il concetto di patrimonio utilizzato dalla Banca d’Italia, secondo regole uniformi internazionali, è più ampio di quello corrente in economia aziendale. Si distingue un patrimonio di vigilanza individuale e un patrimonio di vigilanza consolidato.

    2.a) Il patrimonio di vigilanza individuale è costituito dalla somma algebrica di una serie di elementi positivi e negativi che, in relazione alla qualità patrimoniale riconosciuta a ciascuno di essi, possono entrare nel calcolo con alcune limitazioni. Gli elementi positivi che costituiscono il patrimonio devono essere nella piena disponibilità della banca, in modo da poter essere utilizzati senza limitazioni per la copertura dei rischi e delle perdite aziendali. L’importo di tali elementi è depurato degli eventuali oneri di natura fiscale. Il patrimonio di vigilanza è costituito dal patrimonio di base più il patrimonio supplementare, al netto delle deduzioni. Le componenti positive del patrimonio di base. sono il capitale versato, le riserve, il fondo per rischi bancari generali e gli strumenti innovativi di capitale. Il totale di questi elementi, previa deduzione delle azioni proprie, dell’avviamento, delle immobilizzazioni immateriali, delle perdite registrate in esercizi precedenti e in quello in corso, costituisce il patrimonio di base. Il patrimonio supplementare è costituito dai seguenti elementi, entro certi limiti predeterminati: le riserve di rivalutazione; gli strumenti ibridi di patrimonializzazione; i prestiti subordinati, il fondo rischi su crediti al netto delle minusvalenze nette su titoli e di altri elementi negativi, le plusvalenze o le minusvalenze nette sulle partecipazioni. Dalla somma del patrimonio di base e del patrimonio supplementare sono dedotti le partecipazioni, gli strumenti ibridi di patrimonializzazione e i prestiti subordinati detenuti nei confronti di banche e società finanziarie (questi due ultimi previo nulla osta della Banca d’Italia). Il patrimonio di base viene integralmente ammesso nel calcolo del patrimonio di vigilanza. Gli strumenti innovativi di capitale possono però essere computati entro un limite pari al 15% dell’ammontare del patrimonio di base, comprensivo degli strumenti innovativi stessi, mentre l’eccedenza eventuale può essere computato nel patrimonio supplementare, come uno strumento ibrido di patrimonializzazione. Il patrimonio supplementare è ammesso nel calcolo del patrimonio di vigilanza entro un ammontare massimo pari al patrimonio di base. Le passività subordinate sono computate nel patrimonio supplementare entro un limite massimo pari al 50 per cento del patrimonio di base. Il fondo rischi su crediti, al netto delle minusvalenze nette su titoli e degli altri elementi negativi, è computato nel patrimonio supplementare entro un limite massimo pari all’1,25% delle attività di rischio ponderate, calcolate ai fini del coefficiente individuale di solvibilità. Le plusvalenze nette su partecipazioni non possono essere computate nel patrimonio supplementareper un importo eccedente il 30 per cento del patrimonio di base. Il patrimonio di vigilanza individuale non può essere inferiore al capitale iniziale richiesto per l’autorizzazione all’attività bancaria. Le banche devono segnalare quattro volte all’anno i dati relativi al patrimonio di vigilanza in un’apposita sezione della matrice dei conti.

    2.b) Il patrimonio di vigilanza consolidato è invece calcolato dagli enti creditizi o dalle società finanziarie posti a capo di gruppi creditizi. La struttura è analoga a quella del patrimonio di vigilanza individuale ed il computo avviene mediante differenziate procedure di consolidamento (globale, proporzionale o del patrimonio netto) a seconda dell’entità della partecipazione. Il patrimonio di vigilanza consolidato è costituito, oltre che dalle componenti del patrimonio di vigilanza individuale, dalle poste caratteristiche che risultano dalle operazioni di consolidamento (differenze negative o positive di consolidamento, differenze negative o positive che risultano dalla valutazionedelle partecipazioni al patrimonio netto, elementi patrimoniali negativi o positivi di pertinenza di terzi). Per il calcolo del patrimonio di vigilanza consolidato si applicano le medesime regole previste per il patrimonio di vigilanza individuale (se non è diversamente disposto). Le partecipazioni non elise nel processo di consolidamento sono detratte secondo i medesimi criteri previsti per il patrimonio di vigilanza individuale. Gli elementi di consolidamento dell’attivo e del passivo vanno calcolati in base ai metodi di consolidamento previsti dalla normativa sul bilancio applicando il metodo di consolidamento integrale alle controllate; il metodo di consolidamento proporzionale ai soggetti sottoposti a controllo congiunto. Il metodo del patrimonio netto si applica alle società bancarie e finanziarie partecipate in misura pari o superiore al 20% o comunque sottoposte a influenza notevole ai sensi dell’art. 36 del d.lg. 27.1.1992 n. 87 (ma la Banca d’Italia, se giudica che esistano situazioni di più ampia integrazione con il soggetto partecipante, può richiedere l’applicazione del metodo di consolidamento integrale o proporzionale) e alle imprese, diverse dalle società bancarie, finanziarie e strumentali, controllate dal gruppo bancario in modo esclusivo o congiunto ovvero sottoposte a influenza notevole sempre ai sensi del d.lg. 27.1.1992 n. 87. Possono essere escluse dal consolidamento le imprese partecipate di dimensioni modeste misurate secondo certi parametri e, inoltre le SICAV (ma la Banca d’Italia può, con provvedimento specifico, prevedere l’inclusione delle SICAV nel gruppo bancario per motivi di sana e prudente gestione). La Banca d’Italia può inoltre richiedere sia alla capogruppo sia a una singola banca indipendente non appartenente a un gruppo bancario il calcolo del patrimonio di vigilanza consolidato anche con riferimento alla situazione e alle attività dei seguenti soggetti: a) società bancarie, finanziarie e strumentali non comprese nel gruppo bancario ma controllate dalla persona fisica o giuridica che controlla il gruppo bancario ovvero la singola banca; b) società finanziarie, aventi sede legale in un altro Stato comunitario, che controllano la capogruppo del gruppo bancario o la singola banca italiana, sempre che tali società siano incluse nella vigilanza consolidata di competenza della Banca d’Italia; c) società bancarie, finanziarie e strumentali controllate dai soggetti di cui alla lettera precedente; d) società bancarie, finanziarie e strumentali partecipate almeno per il 20 per cento, anche congiuntamente, dai soggetti di cui alle due lettere precedenti; e) società finanziarie diverse dalla capogruppo e dalle società di cui alla lett. b) precedente che controllano almeno una banca. La computabilità nel patrimonio di base consolidato degli strumenti innovativi di capitale è consentito solo in presenza di condizioni che garantiscano pienamente la stabilità della base patrimoniale del gruppo bancario. Vanno, inoltre, computate le riduzioni di valore connesse al “rischio paese”, quando richiesto. La verifica del risultato annuale e semestrale consolidato, ai fini della determinazione delpatrimonio di vigilanza di gruppo, è demandata agli stessi organi o soggetti cui è attribuito il controllo del risultato di periodo dell’impresa capogruppo. La capogruppo è tenuta ad emanare, nei confronti delle società componenti il gruppo bancario, le disposizioni necessarie per il calcolo del patrimonio di vigilanza consolidato. Per assicurare l’attendibilità dei dati è necessario che il gruppo sia dotato di un’adeguata organizzazione amministrativa e contabile e di idonee procedure di controllo. Il calcolo del patrimonio di vigilanza su base consolidata si effettua due volte l’anno, con riferimento alle date del 31 dicembre e del 30 giugno e le relative segnalazioni vanno trasmesse rispettivamente entro il 25 aprile e il 25 ottobre.

  • PATRIMONIO DISPONIBILE E INDISPONIBILE

    Insieme dei beni non demaniali posseduti da un ente pubblico e utilizzati in connessione con i fini istituzionali dell’ente stesso. La distinzione fra beni del demanio e beni patrimoniali risiede nel fatto che i primi, elencati in via esemplificativa dall’art. 822 c.c., sono destinati a soddisfare una pubblica utilità in modo immediato e diretto, mentre i secondi (art. 826 c.c.) sono quelli sottoposti ad un uso pubblico mediato o semplicemente strumentale, in connessione con le stesse esigenze del pubblicoservizio a cui sono destinati. I beni patrimoniali di enti pubblici (Stato, Regioni, Province, Comuni o altri enti non territoriali) sono implicitamente distinti dall’art. 828 c.c. in disponibili e indisponibili. Il codice civile tratta solo dei beni patrimoniali indisponibili: essi sono quei beni mobili o immobili destinati ad un pubblico servizio e che pertanto non possono essere sottratti alla loro destinazione, salvo che nei modi prescritti dalle leggi amministrative per tale cambiamento. I beni patrimoniali indisponibili quindi sono anch’essi soggetti al vincolo dell’inalienabilità e dell’imprescrittibilità, ma solo rispetto a fatti giuridici incompatibili con la loro destinazione. Essi non possono costituire una garanzia di tipo ipotecario o altro perché in tal modo si creerebbe un diritto reale sopra i beni indisponibili, in contrasto con il principio della loro inalienabilità. I beni patrimoniali disponibili sono invece commerciabili a tutti gli effetti e sono sottoposti alla stessa normativa dei patrimoni di enti privati: in particolare essi possono essere alienati, usucapiti e usati come garanzia dei creditori.

  • PATRIMONIO NETTO

    Il patrimonio netto è dato dalla differenza fra attività e passività di terzi (debiti e fondi) e non deve essere confuso con il capitale di apporto del soggetto economico dell’impresa, in quanto questo costituisce soltanto la quota iniziale del netto. Successivamente il patrimonio può mutare con l’accantonamento di riserve legali e/o statutarie, ovvero per la presenza di utili o perdite derivanti da precedenti esercizi, ovvero con ulteriori apporti di capitale da parte dei soci. Nelle società di capitali riveste importanza fondamentale perché rappresenta l’unica garanzia dei creditori: in tali tipi di società, infatti, i soci rispondono solo nella misura del loro conferimento e non anche con il patrimonio personale, come invece accade nelle società di persone. Non esistono indici per determinare con esattezza la necessità di patrimonio netto per un’azienda, in quanto ciò varia caso per caso; le banche, p.e., sono le tipiche aziende che operano prevalentemente con mezzi altrui, cioè con capitali propri inferiori alla massa debitoria. L’articolo 2424 del c.c. inserisce gli elementi che compongono il patrimonio netto nella voce A) del passivo di stato patrimoniale, indicando distintamente: capitale; riserva da sovrapprezzo delle azioni; riserva di rivalutazione; riserva legale; riserva per azioni proprie in portafoglio; riserve statutarie; altre riserve, distintamente indicate; utili (perdite) portati a nuovo; utile (perdita) dell’esercizio.

  • PATTICHIARI

    Il Progetto PattiChiari è nato nel 2003 a seguito del lavoro, avviato alla fine del 2000 dal Comitato Esecutivo dell’ABI, sul tema del rapporto tra banche e società. La finalità del progetto è quella cambiare radicalmente l’operatività bancaria allo scopo di migliorare concretamente il rapporto tra le banche e la società (imprese, famiglie, dipendenti, ecc.) negli aspetti chiave della fiducia, della correttezza, della trasparenza e dell’efficienza. Tale progetto è stato dunque sviluppato attorno a tre iniziative principali ("cantieri") riguardanti Servizi, Credito e Risparmio e ha previsto la creazione di strumenti specifici offerti al pubblico con l’obiettivo di facilitare la comprensione dei prodotti bancari, guidare il cliente nella valutazione dell’offerta e del proprio merito creditizio e di rendere facilmente fruibili i principali servizi bancari di base (bancomat, accredito dello stipendio o della pensione, pagamento delle bollette, bonifici, informazioni su saldo e movimenti). PattiChiari nasce sotto forma di un consorzio fra tutte le banche italiane aderenti. Si tratta dunque di un soggetto autonomo rispetto ad ABI dotato di un marchio di qualità, appositamente creato (marchio "PattiChiari") che può essere adottato dalle banche nei confronti della clientela per le iniziative per le quali hanno ottenuto la certificazione che viene successivamente sottoposta a revisione periodica. L’adesione delle banche al Consorzio è volontaria ed è condizionata al rispetto di "Impegni per la Qualità" ovvero l’insieme di strumenti e regole promossi da PattiChiari per il raggiungimento dei suoi obiettivi. L’elenco delle banche aderenti è consultabile sul sito ufficiale del consorzio PattiChiari e il sito di ciascuna banca oltre a riportare il link al progetto ne diffonde i contenuti e le finalità.
    Link:http://www.pattichiari.it/

    Redattore: Bianca GIANNINI
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  • PATTO COMMISSORIO

    Accordo, vietato dalla legge con norma inderogabile (e quindi nullo) in base al quale il creditore, titolare di un diritto di pegno o di ipoteca, pattuisce con il debitore che, ove quest’ultimo non adempia la sua obbligazione, la proprietà dei beni costituiti in garanzia passi automaticamente nel patrimonio del creditore. Con il divieto del patto commissorio il legislatore vuole evitare possibili soprusi ed arbitrii del creditore nei confronti della controparte che si trova in posizione più debole e verso la quale è rivolto il favore della legge. Onde poter soddisfare gli interessi del creditore e non infrangere il divieto del patto commissorio, i beni costituiti in pegno od ipotecati debbono essere fatti vendere, dal creditore, nelle forme (pubblicistiche) e con le procedure stabilite dalla legge, affinché la vendita si attui al più alto prezzo possibile. Il patto commissorio è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno.

  • PATTO DI STABILITÀ E DI CRESCITA

    Fr. Pacte de stabilité et de croissance; ingl. Stability and growth pact. Concepito nel 1995, elaborato dal Consiglio europeo di Dublino del dicembre 1996 e adottato dal Consiglio europeo di Amsterdam del giugno 1997, il Patto è un accordo internazionale che definisce le regole della politica di bilancio indicate nel Trattato sull’Unione europea. Il Patto consiste di una risoluzione e di due regolamenti del Consiglio con i quali si dà attuazione alla procedura dei disavanzi eccessivi di cui all’art. 104 TCE (ex 104C) prevedendo un obiettivo a medio termine di equilibrio di bilancio, un sistema preventivo di allarme preventivo per individuare e correggere problemi di bilancio prima che questi portino il disavanzo a superare il valore di riferimento del 3% del PIL che può essere superato solo in caso di eccezionali recessioni o di gravi calamità naturali, le sanzioni dissuasive che possono essere imposte ai Paesi che presentano deficit eccessivi persistenti, le caratteristiche dei programmi di stabilità e di convergenza che devono essere predisposti dai Paesi membri. Le sanzioni si applicano solo ai Paesi dell’Eurosistema e possono variare dallo 0,2% allo 0,5% del PIL in ragione del grado di superamento del valore di riferimento (3%).

  • PATTO DI STABILITÀ INTERNO

    È stato introdotto nel nostro Paese con la manovra di bilancio per il 1999. Mira a coinvolgere le Amministrazionilocali nel perseguimento degli obiettivi concordati per i conti pubblici in sede europea. Il Patto definisce un obiettivo per il saldo di bilancio degli enti decentrati. Per il 1999 il saldo di riferimento era sostanzialmente definito come differenza fra le entrate (al netto dei trasferimenti dallo Stato) e le spese primarie correnti. Dal 2000 esso è calcolato escludendo, tra le altre, le poste di carattere straordinario e quelle connesse con il settore sanitario.

  • PATTO LEONINO

    Accordo in base al quale nelle società uno o più soci sono esclusi totalmente dalla partecipazione agli utili o alle perdite. Tale accordo, che può essere anche variamente mascherato, è nullo in quanto contrasta con il concetto e lo scopo della società, intesa ad attribuire ai soci la partecipazione agli aspetti sia positivi che negativi della vicenda sociale, contemporaneamente e inscindibilmente. Il patto leonino è contrario allo spirito societario, il quale, trattandosi di un contratto di collaborazione, implica che tutti í soci siano sullo stesso piano di parità, pur consentendosi una partecipazione agli utili differente per alcune categorie di azioni. Pertanto, il conseguimento degli utili e l’alea delle perdite non possono essere separati e debbono ripercuotersi, sempre e comunque, congiuntamente sulla posizione patrimoniale del socio, in proporzione al conferimento del medesimo.

  • PATTO PARASOCIALE

    Accordo contrattuale di natura obbligatoria stipulato fra alcuni soci di una società ma all’esterno di questa, con lo scopo di predeterminare fra loro i comportamenti da tenere successivamente nell’ambito delle vicende della società e nei confronti della stessa. Tale tipo di accordo, pertanto, non viene inserito nell’atto costitutivo o nello statuto della società, pur incidendo sul suo assetto organizzativo. Normalmente, in base al contenuto degli accordi, i patti parasociali vengono ricondotti in due grandi categorie caratterizzate dallo scopo che si prefiggono di raggiungere i contraenti: si tratta dei c.d. sindacati di blocco e dei c.d. sindacati di voto. Mediante i sindacati di blocco, i soci contraenti si impegnano ad effettuare la cessione della propria partecipazione solo ed esclusivamente agli altri membri del patto, al fine di non alterare l’omogeneità e la misura delle partecipazioni di questi ultimi, che rappresentano, come detto, il gruppo di controllo della società, in relazione all’assetto proprietario ed organizzativo della stessa. I sindacati di voto, invece, hanno lo scopo di predeterminare, sempre e solo fra i soci contraenti, le modalità ed i termini con i quali gli stessi voteranno nel corso delle assemblee e riunioni degli organi sociali. Tali accordi contrattuali possono essere a tempo determinato o indeterminato, possono riferirsi a tutte o solo ad alcune delibere, possono disporre che la decisione relativa al modo di votare nel corso dell’assemblea della società venga assunta all’unanimità o a maggioranza dei soci sindacati, possono stabilire che il voto in assemblea venga esercitato, secondo gli accordi preventivamente assunti, dai tutti i soci “sindacati” oppure solo da un loro comune rappresentante. Si è discusso molto intorno alla legittimità e validità dei patti parasociali in relazione anche alla validità degli atti su cui si ripercuotono. Da un lato, il sindacato di blocco appare sostanzialmente neutro nei confronti della società, con la conseguenza che la sua violazione non determina l’invalidità della vendita delle azioni da parte di un socio contraente a beneficio di un soggetto non facente parte del “patto” e, pertanto, non consente alla società la possibilità di rifiutare l’iscrizione dell’acquirente nel libro soci. Più delicato ed ai limiti della legittimità appare, invece, il sindacato di voto, il quale cristallizza il gruppo di controllo spesso fortemente “blindato” anche dalla contestuale stipula di un sindacato di blocco. In particolare, fa discutere la possibile violazione ed alterazione del procedimento assembleare, con conseguente illegittimità della relativa delibera, in presenza di un patto di sindacato. Violazione che deriverebbe dal fatto che, in realtà, la volontà sociale si formerebbe fuori dalla sede assembleare, con regole differenti da quelle ivi previste. In merito, non è difficile immaginare un patto di sindacato che abbia l’obiettivo di predeterminare, fuori dall’assemblea della società, il modo in cui i soci “pattisti” dovranno votare nel corso dell’assemblea stessa. Si pensi ad una situazione in cui: 1) il patto parasociale sia stipulato da tanti soci che rappresentano il 51% del capitale della società Alfa spa; 2) vi sia una riunione dei soci “sindacati” al fine di decidere come votare nel corso di una prossima assemblea della società Alfa spa; 3) la decisione del “patto” venga assunta con la maggioranza assoluta dei soci “sindacati” rappresentanti, quindi, il 26% del capitale della Alfa s.p.a; 4) la decisione così assunta vincola tutti i soci aderenti al “patto” (rappresentanti il 51% del capitale della Alfa spa) i quali, nel corso dell’assemblea della società Alfa, dovranno votare nel modo già appena concordato; 5) nel corso dell’assemblea ella Alfa spa, viene assunta una delibera con il voto favorevole del 51% del capitale sociale (lo stesso legato dal vincolo parasociale). È evidente, dunque, che di fatto la delibera assembleare è stata assunta per decisione, se così vogliamo dire, di tanti soci che rappresentano il 26% del capitale sociale; inoltre, è stata assunta da una maggioranza precostituita fuori dalla sede assembleare e dai meccanismi che presiedono alla formazione della volontà della società. In tal caso, quindi, vi è pieno rispetto formale delle regole assembleari anche se sostanzialmente la decisione viene assunta da una minoranza. Alla luce di questi problemi e dei possibili abusi e distorsioni derivanti dall’esistenza di tali tipi di patti parasociali, si tende a ritenere pienamente validi e legittimi i patti a tempo determinato che richiedono l’unanimità per l’assunzione delle relative decisioni, mentre permangono opinioni discordanti in merito a quelli a maggioranza,che, peraltro, sono i più diffusi. Ovviamente, fra i problemi di maggiore rilevanza posti dai sindacati di voto, vi è quello della concreta individuazione del centro di potere che governa realmente la società. Si tratta di un aspetto relativo alla trasparenza ed alla corretta informazione societaria che è stato recentemente al centro dell’attenzione del legislatore. Infatti, in materia di società quotate, con l’entrata in vigore degli artt. 122, 123 e 124 del TUF, è stato imposto l’obbligo di comunicazione alla Consob, entro cinque giorni dalla stipulazione, dei patti aventi ad oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società quotate ed in quelle che le controllano, l’obbligo della loro pubblicazione sulla stampa entro dieci giorni dalla stipula ed il deposito presso il registro delle imprese. La violazione di tali obblighi determina la nullità dei patti, la sospensione del voto per le azioni coinvolte nell’accordo e la possibilità di impugnare la delibera da parte della stessa Consob. Tale precetto si applica anche agli accordi inerenti il trasferimento delle azioni edegli strumenti finanziari, qualora questi attribuiscano diritti di acquisto sulle stesse, e sugli accordi aventi ad oggetto o l’effetto di permettere l’esercizio congiunto di un’influenza dominante sulla società. L’art. 123 impone una durata massima del patto a tempo determinato,il quale non può superare i tre anni, ferma la facoltà di rinnovo alla scadenza. Se l’accordo viene stipulato a tempo determinato, è riconosciuto a ciascun contraente il diritto di recesso con un preavviso di almeno sei mesi; preavviso che non è necessario se gli azionisti voglionoaderire ad una OPA o OPS promossa ai sensi degli artt. 106 o 107 del TUF. Per quanto concerne le società non quotate, si discute sull’applicazione analogica delle norme suindicate ma, secondo l’orientamento allo stato prevalente, sembra doversi escludere l’estensione della predetta disciplina. L’estraneità dei patti parasociali rispetto all’atto costitutivo ed allo statuto della società, ne determina sia l’inefficacia nei confronti degli altri soci non partecipi dell’accordo sia l’inopponibilità nei confronti della società. Deve riconoscersi, infatti, una mera efficacia obbligatoria degli accordi in esame limitatamente alle parti contraenti. Da ciò deriva, in primis, che l’invalidità di tali patti contrattuali non si riflette in alcun modo sulla validità della società e dei relativi atti. Inoltre, la violazione degli accordi predetti da parte di uno dei soci-contraenti che, per ipotesi, decida di cedere la propria quota di partecipazione ad un soggetto estraneo al patto o di votare in assemblea in modo difforme dalle decisioni assunte in sede di “patto”, espone l’inadempiente all’obbligo del risarcimento danni nei confronti degli altri soci-sindacati ma non si riverbera in nessun caso sulla società e sulle vicende della stessa.

  • PATTO SUCCESSORIO

    Convenzione in base alla quale un soggetto si impegna a disporre per il futuro in ordine ad una successione non ancora aperta. Può trattarsi di un patto con cui si dispone della propria successione, oppure di un patto con cui si dispone dei diritti che possono spettare in base ad una successione futura (o si rinuncia ai medesimi) (art. 458 c.c.). In entrambi i casi, i patti successori sono nulli: nel primo, per tutelare il principio della libera revocabilità delle disposizioni mortis causa; nel secondo, per evitare approfittamenti e speculazioni su cespiti patrimoniali di incerto ammontare.

  • PAY BACK

    Tempo di “ritorno” o di “recupero” del capitale impiegato in un determinato investimento. L’espressione inglese deriva da quella più completa: pay back period (periodo di recupero) ed è, solitamente, usata con riferimento agli investimenti a medio-lungo termine. Il concetto di tempo di recupero è limitato al solo capitale investito distinto, pertanto, dagli interessi e dagli utili dell’investimento (v. metodo del periodo di recupero).

  • PAY OUT RATIO

    Rapporto fra totale dei dividendi distribuiti da un’impresa e totale degli utili realizzati nell’esercizio dall’impresa medesima. Pari all’unità se vengono distribuiti tutti gli utili e superiore all’unità se si deve attingere alle riserve per distribuire in dividendi più di quanti siano gli utili dell’esercizio. Altrimenti il pay out ratio è inferiore all’unità. È un indicatore della politica della società in materiadi remunerazione dei soci: politica di sostegno dei dividendi (pay out ratio elevato) piuttosto che di autofinanziamento (pay out ratio basso). Di regola le società giovani in forte sviluppo e in settori nuovi hanno bassi valori di pay out ratio, mentre le società consolidate e operanti in settori maturi hanno pay out ratio elevato. Ma la regola non è assoluta.

  • PCMCIA

    Acr. di: Personal Computer Memory Card Interface Association, nome dell’Associazione internazionale costituita nel 1990 per stabilire le specifiche fisiche ed elettrichedi schede esterne per collegare computer portabili tra loro e con personal computer da tavolo. La denominazione corrente di tali schede è oggi personal computer-CARD.

  • PECO

    Acr. di: Paesi dell’Europa Centrale e Orientale (fr. Pays de l’Europe Centrale et Orientale-PECO; ingl. Central and Eastern European Countries-CCEE e anche Countries of Central and Eastern Europe-CEECs). Denominazione collettiva che solitamente comprende i 10 Paesi dell’Europa centro-orientale,già candidati all’adesione, con cui l’UE aveva stabilito relazioni regolate da particolari trattati, gli accordi europei e ai quali offriva assistenza pre-accessione (Pre-Accession Assistance) attraverso PHARE, ISPA, SAPARD.e TWINNING. I 10 Paesi sono: Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria. Il Cordis (Community Research & Development Information Service) aggiunge a questa lista Albania, Bosnia Herzegovina e Macedonia (fYRofM) che fanno parte dei Balcani occidentali (Western Balkans) ed esclude la Slovenia. Altre fonti escludono Bulgaria, Slovenia e includono Russia e Ucraina. Per l’ISTAT sono inclusi nei PECO 19 Paesi: Albania, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania e Slovacchia e 12 Paesi dell’ex URSS (Armenia. Azerbaigian, Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan, Georgia, Russia, Moldavia, Bielorussia, Ucraina). I PECO rientrano nei 28 Paesi della categoria countries in transition stabilita da BIRS, FMI e OCSE per uso statistico e per le scelte di politica di assistenza alla sviluppo.

  • PECULATO

    Delitto previsto dall’art. 314 c.p., così come modificato dall’art. 1, l. 26.4.90 n. 86, commesso dal pubblico ufficiale e incaricato di un pubblico servizio che, avendo per ragioni del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da tre a dieci anni. Qualora il colpevole abbia agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, sia stata immediatamente restituita la pena prevista è quella della reclusione da sei mesi a tre anni.

  • PEG

    Acr. di: Price/Earning to Growth. Multiplo di mercato usato per le società della nuova economia, di recente costituzione e, in particolare, delle società operanti in Internet, di regola a elevato tasso di crescita in termini di fatturato. È dato dal rapporto tra price/earnings ratio e il tasso di sviluppo annuale previsto negli utili di una società. Posto un utile per azione di 2,5 euro, un saggio di crescita previsto degli utili del 16% e una quotazione di 30 euro, il p/e sarà (30/2,5) =12 e il PEG (12/16) = 0,75. Un p/e superiore al tasso di crescita (cioè un PEG superiore a 1) è giudicato indice di sovracapitalizzazione e, comunque, di titolo costoso. Il caso contrario (come nell’esempio fatto) è invece visto come indice favorevole all’acquisto.

  • PEGNO

    Garanzia reale a favore del creditore su un bene mobile del debitore o di un terzo. La costituzione del pegno è un atto volontario che garantisce l’adempimento dell’obbligazione e si realizza con la consegna della cosa al creditore o ad un terzo, designato dalle parti, che la prende in custodia; trattasi quindi di un contratto reale. Oggetto del pegno possono essere cose mobili, crediti, altri diritti mobiliari e universalità di mobili. Il pegno serve a garantire soprattutto operazioni di piccolo prestito (v. prestito su pegno), anticipazioni (v. anticipazione bancaria), aperture di credito (v. apertura di credito). Il creditore pignoratizio ha il potere di sottoporre la cosa oggetto del pegno all’esecuzione forzata, anche se la stessa è uscita dal patrimonio del debitore, e in ciò consiste il c.d. diritto di sequela. Il creditore, inoltre, in caso di esecuzione forzata, ha il diritto di soddisfarsi sul ricavato dalla vendita del bene con preferenza sugli altri creditori, esercitando il suo diritto di prelazione; ma tale diritto è subordinato all’esistenza di una scrittura avente data certa e contenente l’indicazione del credito e del bene oggetto del pegno. È, invece, espressamente vietato il patto commissorio, ossia il patto con il quale si stabilisce che, in caso di inadempimento,il bene oggetto del pegno passi in proprietà del creditore; costui, però, può ottenere dal giudice l’assegnazione della cosa in pagamento. Gli effetti che derivano dalla costituzione del pegno sono molteplici. Innanzitutto il creditore ha diritto al possesso del bene, con il conseguente dovere di custodia e, se perde il possesso, può esercitare l’azione di spoglio; egli, però ha l’obbligo di non usare o disporre della cosa, e se viola quest’obbligo, il debitore può ottenere il sequestro della cosa. Se oggetto del pegno è un bene fruttifero, il creditore può tenere per sé soltanto i frutti, imputandoli prima alle spese ed agli interessi, poi al capitale. La cosa oggetto del pegno deve essere restituita quando il credito è stato interamente pagato. Può accadere che il bene dato in pegno perisca o si deteriori, anche per caso fortuito, in modo da essere insufficiente alla sicurezza del creditore; questi, allora, può chiedere l’integrazione del pegno, mediante prestazionedi altra idonea garanzia, o l’immediato pagamento del suo credito. Analoga facoltà spetta al costituente che può anche chiedere al giudice l’autorizzazione a vendere il bene. Il pegno è indivisibile: infatti, anche se il bene oggetto della garanzia è divisibile ed anche se il creditosi divide per quote in seguito all’apertura della successione ereditaria, il pegno garantisce l’intero credito, fino al momento della totale estinzione della obbligazione. L’indivisibilità può, però, essere esclusa dall’accordo delle parti ed è generalmente esclusa nelle anticipazioni bancarie. A parte l’ipotesi normale di costituzione volontaria del pegno, vi sono casi in cui tale garanzia reale sorge direttamente dalla legge; si parla, allora, di pegno legale per indicare alcune figure giuridiche riconducibili più propriamente ai privilegi speciali (v. privilegio) mobiliari aventi natura possessuale, la cui disciplina si discosta da quella dettata per il pegno volontario.

  • PEGNO BANCARIO

    Contratto di pegno stipulato da enti che, espressamente autorizzati, concedono professionalmente prestiti garantiti da cose mobili. Gode di una disciplina differenziata in quanto, mentre nella normalità dei casi se il credito garantito eccede le 5000 lire il pegno può essere opposto ai creditori solo se risulti da una scrittura avente data certa, ex art. 2787, ultimo comma, c.c., dall’osservanza di questo requisito sono espressamente esoneratigli enti sopraindicati. La data del contratto di pegno da essi stipulato può essere accertata con ogni mezzo di prova. L’unica condizione posta dal c.c. agli istituti di credito è che il pegno risulti da polizza o da scrittura proveniente dagli enti stessi e che essa abbia un contenuto tale da non fare sorgere dubbi circa l’entità del credito garantito, la sua fonte e l’oggetto del pegno. Si ritiene che l’esenzione non riguardi solo i Monti di pietà (o meglio le banche che hanno incorporato i monti di pietà) e le agenzie di prestito su pegno ma qualsiasi banca, qualunque sia la sua denominazione, purché genericamente autorizzata all’esercizio del credito dalla legge bancaria. Quest’autorizzazione infatti comprende sempre l’esercizio del credito su pegno. Una problematica simile si pone per l’art. 67, ultimo comma, l.fall., in tema di esenzione dalla revocatoria fallimentare, ma in proposito l’orientamento giurisprudenziale è più restrittivo e la suddetta disposizione viene riferita a quei soli soggetti che svolgono l’attività bancaria in modo non lucrativo. Il pegno bancario può essere caratterizzato dalla clausola omnibus con la quale si dispone che il pegno è costituito a garanzia di gni credito già in essere o che dovesse sorgere a favore della banca verso il cliente, anche se non liquido ed esigibile ed anche se assistito da altra garanzia, reale o personale. La validità di questa clausola è discussa e sovente si afferma un’esclusione per il pegno omnibus del diritto di prelazione.

  • PEGNO DI CREDITI

    Garanzia spettante al creditore, che si realizza con la consegna, da parte del debitore (o di un terzo), del documento dal quale risulti un suo diritto di credito nei confronti di un altro soggetto. Affinché il creditore possa esercitare il suo diritto di prelazione nei confronti degli altri creditori, occorrono, però, sia la costituzione mediante atto scritto, sia la notifica al debitore o la sua accettazione risultante da atto scritto di data certa. Nel pegno di crediti, pertanto, oltre al creditore pignoratizio e al datore di pegno, vi è un terzo soggetto costituito dal debitore del credito dato in pegno. La legge pone a carico del creditore pignoratizio diversi obblighi, che variano a seconda che il credito dato in pegno debba ancora scadere o che sia già scaduto. Nel primo caso, egli deve riscuotere gli interessi e le prestazioni periodiche, imputandone l’ammontare, in primo luogo, alle spese ed agli interessi, poi al capitale del suo credito. Il creditore pignoratizio è anche tenuto a compiere gli atti conservativi del credito ricevuto in pegno; inoltre, al momento della scadenza, deve riscuotere il credito, se esso ha per oggetto denaro o altre cose fungibili, provvedere a depositare le cose fungibili, e provvedere a depositare le cose riscosse nel luogo indicato dal debitore o dal giudice. Se il credito dato in pegno è già scaduto, il creditore deve trattenere, in pagamento del suo credito oltre che degli interessi e delle spese, il denaro o altre cose fungibili, restituendo l’eventuale residuo a colui che aveva costituito il pegno. Se si tratta di beni non fungibili, il creditore può chiedere al giudice l’autorizzazione alla vendita o l’assegnazione in pagamento. Le eccezioni opponibili al creditore pignoratizio, da parte del debitore del credito dato in pegno, sono le stesse che egli potrebbe opporre al proprio creditore. Egli non può, invece, opporre la compensazione verificatasi precedentemente, se ha accettato senza riserve la costituzione del pegno.

  • PEGNO DI TITOLI

    Garanzia reale concessa al creditore dal debitore o da un terzo, il cui oggetto è costituito da titoli di credito, di qualsiasi specie, appositamente individuati. Da questo punto di vista il pegno di titoli non differisce dal pegno di cose, dato che la garanzia inerisce direttamente sul titolo, senza che sia necessaria la notifica del debitore, come avviene per il pegno di crediti in genere. Infatti, l’art. 1997 c.c. stabilisce che il pegno sul diritto menzionato nel titolo non ha effetto se non si attua sul titolo. La costituzione del pegno è sottoposta a regole diverse, a seconda che trattasi di titoli di credito al portatore, all’ordine o nominativi. Per i titoli al portatore, basta la consegna del titolo al creditore pignoratizio; per i titoli all’ordine, oltre alla consegna, deve essere apposta sul documento una girata con la clausola in garanzia o altra simile per quelli nominativi, il vincolo può e sarà attuato o con l’annotazione da parte dell’emittente sul titolo e nel registro con la consegna del titolo girato in garanzia, come avviene per i titoli all’ordine. Se il pegno ha per oggetto azioni di società, il diritto di voto, salvo convenzione contraria, spetta al creditore pignoratizio. Il pegno di titoli in senso proprio, infine, è diverso da quello che ha per oggetto i c.d. titoli rappresentativi di merce nei quali, trattandosi di titoli impropri la garanzia inerisce direttamente sulla merce e non sul titolo. Conseguentemente, non è ipotizzabile, p.e., il pegno di un delivery order improprio.

  • PEGNO IRREGOLARE

    Contratto mediante il quale un soggetto consegna e attribuisce in proprietà a creditore denaro o beni aventi un prezzo corrente di mercato per garantire un’obbligazione propria o altrui. Per effetto di tale convenzione il creditore, nel caso d adempimento deve restituire al debitori beni della stessa qualità nella quantità originaria; nel caso di inadempimento può invece trattenere quanto consegnata a quest’ultimo fino alla concorrenza del valore del suo credito, restituendo al garante l’eventuale eccedenza. Il contratto si perfeziona con la consegna delle cose che ne costituiscono l’oggetto (si ritieni comunque valida la promessa di costituire beni fungibili in pegno irregolare, specialmente se essa è effettuata a fronte della contropromessa dell’erogazione di un prestito). Il pegno irregolare è un “sottotipo” del pegno in quanto ne condivide la causa di garanzia. Le differenze sostanziali consistono nel diverso contenuto della realità che nel pegno si estrinseca nell’opponibilità erga omnes di un diritto di prelazione sulla somma ricavata dalla vendita del bene oggetto del contratto, mentre nel pegno irregolare si concreta nell’attribuzione in proprietà delle cose consegnate al creditore. Inoltre, nella figura in esame l’obbligazione restitutoria del creditore non ha per oggetto la medesima res consegnata al debitore, ma la riattribuzione in proprietà di altre cose dello stesso genere. Tenendo presente le analogie con la figura generale del pegno e, nel contempo, le caratteristiche peculiari di questo contratto si ritiene applicabile direttamente la disciplina dettata per il pegno ordinario solo relativamente agli aspetti inerenti alla funzione di garanzia; con riguardo invece ad aspetti diversi (trasferimento della proprietà delle cose fungibili ed obbligo di restituire il tantundem) si ritiene applicabile per quanto non regolato dall’art. 1851 c.c. la disciplina del mutuo. Non è valida la clausola che consente al creditore di appropriarsi dei beni oggetto del pegno irregolare indipendentemente dal valore della prestazione garantita perché tale pattuizione concreterebbe un patto commissorio vietato. Se le merci o il denaro sono consegnate ad un terzo non si ha un pegno irregolare ma, a seconda dei casi, un pegno di crediti o un deposito presso il terzo in funzione di garanzia. In caso di fallimento del debitore il creditore può trattenere quanto avuto in pegno irregolare. Si considera non revocabile ai sensi dell’art. 67, n. 3, l. fall. il pegno irregolare variabile costituito a garanzia di un mutuo di denaro purché venga dimostrato che il variare in aumento del denaro o delle merci costituite in pegno non ha avuto la funzione di consolidare la garanzia del debito preesistente ma quella di alimentare un credito futuro. Il contratto di pegno irregolare per essere opponibile al fallimento deve essere provato con un atto scritto avente data certa. Nel caso contrario di fallimento del creditore, il debitore per evitare la restituzione di quanto consegnato a titolo di pegno in moneta fallimentare può limitarsi a non adempiere.

  • PEGNO ROTATIVO O FLUTTUANTE SU TITOLI DEMATERIALIZZATI

    Accordo con il quale il debitore ed il creditore convengono che i titoli dematerializzati (v. dematerializzazione) costituiti in pegno possano essere sostituiti durante il rapporto stesso con altri titoli nei limiti del valore originario. L’ammissibilità di tale garanzia è stata riconosciuta dal 2° comma dell’art. 34 del d.lg. 24.6.1998 n. 213 che stabilisce la responsabilità dell’intermediario per l’inosservanza delle istruzioni ricevute all’atto della costituzione del vincolo in ordine alla conservazione dell’integrità del valore del vincolo stesso e all’esercizio dei relativi diritti, enunciando così una speciale disciplina idonea a consentire la costituzione del c.d. pegno rotativo sugli strumenti finanziari. La sostituzione dei titoli oggetto di pegno non comporta novazione del rapporto originario ma la surrogazione reale conseguente al patto di rotatività stipulato tra le parti; lo stesso Regolamento approvato con deliberazione Consob 2312.1998 n. 11768 stabilisce che “per gli strumenti finanziari registrati in conto in sostituzione o integrazione di altri strumenti finanziari registrati nel medesimo conto, a parità di valore, la data di costituzione del vincolo è identica a quella degli strumenti finanziari sostituiti o integrati”.

  • PENDENZA

    Situazione giuridica di aspettativa in cui si trovano i soggetti di un negozio giuridico sottoposto a condizione, la cui efficacia dipende da un evento estraneo alla sua struttura. In attesa che l’evento si verifichi o venga accertato definitivamente che non potrà avverarsi, si ha la suddetta situazione di pendenza. Durante il periodo di aspettativa, l’acquirente del diritto sotto condizione sospensiva, che non è ancora titolare, può tuttavia compiere atti conservativi del diritto stesso; analogamente può compiere tali atti l’alienante di un diritto sotto condizione risolutiva, che l’ha ceduto ma può riacquistarlo se la condizione si verifica. Sono consentiti atti di disposizione del diritto subordinato a condizione, ma essi sono a loro volta sottoposti alla condizione. In correlazione alla possibilità che il diritto che forma oggetto del contratto condizionato sia trasferito all’acquirente o, rispettivamente, restituito all’alienante qualora la condizione si verifichi, il soggetto portatore dell’interesse contrario ha il dovere di comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte. La tutela giuridica dell’aspettativa arriva fino alla possibilità di considerare avverata la condizione che sia stata impedita dalla controparte.

  • PENNA LUMINOSA

    Apparecchio sensibile ai segnali luminosi che permette di dare comandi a un calcolatore scrivendo direttamente sullo schermo o sul display.

  • PENNYSTOCK

    Azioni trattate sul NASDAQ del valore di qualche penny (denominazione familiare in USA del centesimo di dollaro) o al massimo un paio di dollari. Sono caratterizzate da una elevata oscillazione dei prezzi che determinano rapidi guadagni o perdite. L’alto grado di volatilità dei prezzi delle azioni rappresenta un’opportunità di guadagno per l’investitore capace di individuare il titolo su cui puntare. Infatti, il titolo giusto può significare ottenere un guadagno rapido ed elevato, molto più di quanto possa accadere sui mercati più ampi. Numerosi pennystock sono relativi ad imprese che vendono le proprie azioni per finanziare programmi di sviluppo di prodotti o di servizi. Come nel caso degli internet stock sul NASDAQ, in molti casi si tratta anche di imprese che non stanno realizzando profitti, sono indebitate e hanno perdite elevate. Tuttavia sono le aspettative, fondate o non, delle loro potenzialità di sviluppo a determinare il successo delle azioni e la conseguente impennata del loro valore. Può essere che queste microimprese hanno il brevetto di tecnologie vincenti e possono diventare oggetto di acquisizioni di imprese più grandi che hanno la disponibilità di risorse necessarie per operazioni di commercializzazione su larga scala.

  • PENSIONE (ASSEGNO) SOCIALE

    L'assegno sociale è una prestazione economica, erogata a domanda da Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - INPS, dedicata ai cittadiniitaliani e stranieriin condizioni economiche disagiate e con redditi inferiori alle soglie previste annualmente dalla legge. Dal 1° gennaio 1996, l'assegno sociale ha sostituito la pensione sociale.
    A decorrere dal 1° gennaio 2018, per ottenere l'assegno, tutti i cittadini italiani e stranieri devono soddisfare i seguenti requisiti:
    •    66 anni e 7 mesi di età;
    •    stato di bisogno economico (i.e., reddito annuo inferiore a 5889 euro);
    •    cittadinanza italiana;
    •    residenza effettiva, stabile e continuativa per almeno 10 anni nel territorio nazionale.
    L'assegno ha carattere transitorio (i.e. i requisiti sono verificati ogni anno), ammonta a 453 euro per tredici mensilità, decade se il percipiente si reca all'estero per oltre 30 giorni e non è ereditabile né cedibile.

  • PENSIONE DI EFFETTI

    Operazione di prestito od anticipazione contro idonea garanzia cambiaria. Gli effetti cambiari oggetto della garanzia vengono ritirati, prima della scadenza,da chi li ha ceduti. Al momento del ritiro degli effetti se ne possono sostituire altri che vengono consegnati con girata in bianco,mentre le condizioni delle operazioni risultano da documenti scambiati tra finanziatore e finanziato. Il ritiro degli effetti è dovuto alla volontà del finanziatore di non mettere in circolazione cambiali con la propria girata, ovvero al desiderio delle parti di mantenere il riserbo sull’operazione.

  • PENSIONE DI GUERRA

    La pensione di guerra è una prestazione di carattere indennitario erogata a militari, appartenenti a corpi di servizi ausiliari e a categorie assimilate di civili (e alle loro famiglie) che hanno riportato in guerra o in missione militare ferite o lesioni o contratto infermità da cui è derivata perdita o menomazione della capacità di lavoro.

  • PENSIONE PRIVILEGIATA

    La Pensione privilegiata è prevista quando invalidità, inabilità o morte derivano da cause di servizio in presenza di requisiti assicurativi ridotti. Nel pubblico impiego è denominata trattamento di quiescenza.

  • PENSIONI, PRIMO SECONDO E TERZO PILASTRO

    Fino agli inizi degli anni Novanta il sistema previdenziale italiano in materia di pensioni IVS (invalidità, vecchiaia, superstiti) era fondamentalmente pubblico, a carattere obbligatorio, gestito ed erogato da enti pubblici a carattere generale (INPS), o settoriale (p.e. INPDAI; Istituti di previdenza del Tesoro, per i quali INPDAP), o anche direttamente dallo Stato per i dipendenti di questo. Questa parte del sistema previdenziale viene chiamata, oggi, primo pilastro, secondo il linguaggio comunitario.Esistevano inoltre forme di previdenza integrativa di tipo privatistico individuale (prevalentemente polizze vita e PAC realizzati confondi comuni) oppure collettivo (cd. “vecchi fondi” o “ vecchie casse di previdenza”). Riforma del sistema previdenziale italiano degli anni Novanta. Il principio su cui si è retto il sistema pensionistico pubblico italiano è quello della “ripartizione” in base al quale i lavoratori attivi pagano, con i loro contributi, la rendita ai pensionati. Il criterio della “ripartizione”, che ha rappresentato l’architrave del sistema previdenziale del nostro Paese, ha mostrato nel corso degli ultimi anni, per una molteplice serie di fattori (andamento demografico, estensione della copertura previdenziale pubblica etc.), tutta la sua criticità ed era quindi indispensabile una correzione di sistema. A partire dai primi anni Novanta (l. 23.10.1992 n. 421, d.lg. 21.4.1993 n. 124 e l. 8.8.1995 n. 335 e successive modif. e integrazioni) il sistema previdenziale viene riorganizzato introducendo un nuovo modello pensionistico in base al quale la previdenza poggia su tre elementi fondamentali: pensione pubblica (primo pilastro), fondi pensione a carattere collettivo (secondo pilastro)e forme individuali (terzo pilastro). La l. 23.10.1992 n. 421 ha indicato le linee di fondo riformatrici e il d.lg. 21.4.1993 n. 124 ha modificato l’intero assetto pensionistico disciplinando nuove forme di previdenza complementare che si prefiggano, come risultato, “l’erogazione di trattamenti pensionistici complementari el sistema obbligatorio pubblico, al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale” (art. 1 d.lg 1993/124). La l. 8.8.1995 n. 335, oltre ad aver ridotto sensibilmente le promesse pensionistiche, rapportando le pensioni ai contributi versati (metodo contributivo; v. capitalizzazione retributiva) anziché al reddito degli ultimi anni di lavoro (metodo retributivo; v. ripartizione contributiva). Con la l. 17.5.1999 n. 144 (legge finanziaria per il 1999) e il d.lg. 18.2.2000 n. 47, che hanno disciplinato le forme pensionistiche individuali,è stato completato il quadro normativo in materia di risparmio avente finalità previdenziali. Sulla pensione pubblica obbligatoria il legislatore è intervenuto con intenti restrittivi (elevamento dell’età pensionabile, aumento dei requisiti minimi contributivi, ricalcolo della retribuzione pensionabile utilizzando medie su periodi temporali sempre più lunghi, modi- fica ai criteri di calcolo della stessa pensione) alla ricerca di un certo riequilibrio tra contributi versati dai lavoratori (attivi) e le rendite erogabili ai percipienti (pensionati). La previdenzacomplementare (collettiva e individuale), a differenza dei regimi pensionistici obbligatori, si fonda sul principio della capitalizzazione individualesecondo il quale la prestazione è determinata dall’ammontare dei contributi versati e dal rendimento della gestione finanziaria senza correttivi di tipo mutualistico. Le forme individuali di previdenza possono essere attuate mediante l’adesione a fondi pensione aperti oppure attraverso contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziali. Tali forme possono essere sottoscritte anche da lavoratori dipendenti per i quali sia operante un fondo chiuso contrattuale. V. anche: fondo pensione; forme pensionistiche individuali.

  • PER CASSA

    Particolare tipo di operazionì di prestito con cui la banca si impegna a tenere a disposizione del cliente o al versamento di una somma di denaro con movimento di cassa, contrapposte alle operazioni di firma (v. fido per acettazione, avallo, fideiussione). Esse possono essere garantite o in bianco, a tempo determinato o indeterminato. Tra le principali operazioni per cassa a favore di imprese vi sono le aperture di credito, l’anticipazione attiva su titoli, su merci o su documenti rappresentativi di merci, i riporti attivi, lo sconto di effetti salvo buon fine con disponibilità immediata o differita. Tra le operazioni per cassa a favore di persone fisiche vi sono i prestiti contro cessione di stipendio e i prestiti personali. Recenti tipologie di tali operazioni sono lo stand-by e l’evergreen.

  • PERDITA ATTESA

    Misura adottata per quantificare il rischio di credito e costituita da tre componenti:
    1. esposizione al momento dell’insolvenza (EAD), ammontare dell’esposizione attesa della banca nei confronti del debitore al momento dell’insolvenza;
    2. probabilità di insolvenza (PD), probabilità che una controparte passi allo stato di insolvenza entro un orizzonte temporale di un anno;
    3. perdita in caso di insolvenza (LGD), valore atteso del rapporto, espresso in termini percentuali, tra la perdita in caso di insolvenza e l’importo al momento dell’insolvenza.

    Redattore: Museo del Risparmio 2016

  • PERDITA DI EMISSIONE

    Differenza tra valore nominale e prezzo di emissione di un titolo a reddito fisso. Tale differenza non è altro che un correttivo del tasso nominale del prestito poiché i titoli emessi sotto la pari fruttano un tasso effettivo maggiore di quello nominale. Sotto l’aspetto tecnico la perdita di emissione è la differenza tra il valore nominale del prestito calcolato al tasso nominale e il valore attuale calcolato al tasso effettivo. La pratica di emettere titoli sotto la pari è molto frequente nel mercato obbligazionario ed è, invece, vietata per le azioni (art. 2346 c.c.). Dal punto di vista economico-amministrativo la perdita di emissione è un costo pluriennale che la società o l’ente emittente potrà ammortizzare nell’arco di tempo in cui il prestito resta in vita.

  • PERDITA DI VALUTA

    Condizione che si verifica quando la decorrenza degli interessi inizia in giorno diverso da quello in cui viene effettuata una operazione comportante immediato movimento di denaro. Esempi tipici di perdita di valuta sono: versamenti in contanti su conti correnti bancari, dove l’accredito avviene con valuta dal primo giorno lavorativo successivo a quello del versamento; addebito dell’importo degli assegni di conto corrente con valuta corrispondente alla data di emissione, anche se la presentazione all’incasso avviene in epoca successiva.

  • PERDITA IN COPERTURA

    Diminuzione di valore di quelle attività finanziarie o reali usate come garanzia oppure in adempimento di un’obbligazione. Un caso tipico di perdita in copertura è dato dalla diminuzione del valore dei titoli versati come garanzia per ottenere un credito bancario: per evitare il rischio di perdite in copertura spesso tra le parti si conviene la condizione della c.d. “copertura a mantenere”, con la quale è fatto obbligo alla parte che ha prestato la garanzia di reintegrarla se i beni che la rappresentano hanno subito diminuzioni di valore al di là del limite concordato.

  • PERDITA SU TITOLI

    Deprezzamento del valore capitale, valore di scambio, o riduzione del rendimento di un titolo. La perdita in conto capitale, nel caso di titoli a reddito fisso (obbligazioni, titoli di Stato), è prodotta da un rialzo, previsto o effettivo del tasso di rendimento di mercato per titoli similari; i vecchi titoli, fruttanti un reddito nominale percentuale inferiore a quello corrente, tendono allora ad essere smobilizzati dai loro proprietari. Nel caso di titoli a reddito variabile (azioni), i prezzi possono ridursi a causa di manovre speculative o in conseguenza della variabilità dei dividendi assegnati ai soci.

  • PERENZIONE

    Modo d’estinzione del processo derivante dal decorso di un certo periodo di tempo d’inattività delle parti. Nel vigente codice di procedura civile (a differenza di quello del 1865) è anche usata l’espressione equivalente di “estinzione del processo”, che può conseguire all’inosservanza dalle parti di termini perentori, decorsi i quali certi atti non possono più essere validamente compiuti. Di perenzione si parla invece a proposito del processo giurisdizionale amministrativo davanti al Consiglio di Stato e del giudizio davanti ai Tribunali delle acque pubbliche. Nel giudizio davanti ai Tribunali regionali amministrativi (TAR) l’art. 25 della l. 6.12.1971 n. 1034 usa il termine “abbandono”. Il termine “perenzione” è pure usato nell’accezione bancaria come sinonimo di prescrizione con riferimento all’azione cambiaria di effetti che la banca si fa rilasciare a garanzia di fidi; in questa ipotesi la banca chiede la sostituzione dei titoli “perenti”. In contabilità pubblica, “perenzione” è il depennamento dei residui passivi non pagati entro due anni. I relativi importi sono addebitati a un conto patrimoniale fuori bilancio in attesa del reclamo del creditore o, in difetto, della scadenza del termine di prescrizione.

  • PERFORMANCE

    Lett.: esecuzione. Termine generico riferito al modo in cui è stata condotta la gestione di un’impresa (in tutte o in parte delle sue attività) in un periodo di tempo determinato. In genere la performance riguarda i costi preventivati e realizzati, l’efficienza produttiva,la responsabilità della gestione ecc. Indica anche l’esecuzione di un contratto nel rispetto dei termini e delle condizioni stabilite. Nel linguaggio finanziario americano, ormai generalizzato, performance è sinonimo di rendimento, p.e. di un fondo comune o di una gestione patrimoniale ed è riferita a un benchmark. Quando sono pubblicate, le performances sono al lordo delle commissioni di ingresso.

  • PERFORMANCE BOND

    Garanzia bancaria, in forma fideiussoria (v. fideiussione; fideiussione bancaria), accordata ad imprese nazionali che, in caso di assegnazione di una gara di appalto indetta all’estero per l’esecuzione di lavori per importi notevoli, si sostituisce al bidbond (v. garanzie bancarie negli scambi internazionali). Oggetto della garanzia è la buona esecuzione dei lavori; il suo importo è di norma superiore rispetto alla garanzia di mantenimento dell’offerta, per via del diverso impegno che lega i contraenti e la durata è pari al periodo necessario per l’adempimento degli impegni contrattuali (v. anche contratto autonomo di garanzia).

  • PERIFERICA

    Anche unità periferica (dall’ingl. peripherical device). Indica negli elaboratori elettronici ogni attrezzatura hardware, diversa dalla CPU, che permette al computer di comunicare con l’esterno o che glifornisce prestazioni accessorie (p.e.: stampante, modem, tastiera, schermo, mouse, scanner, terminali, unità a nastro o a dischi magnetici ecc.).

  • PERIODO DI RECUPERO (PR)

    Il PR è uguale al numero di unità temporali (per esempio, mesi o anni) necessario per recuperare il costo del capitale. In altre parole, se l’unità di tempo prescelta è l’anno, si calcolano quanti anni di ricavi sono necessari per il rientro del capitale investito.
    © 2010 ASSONEBB

  • PERIZIA

    Indagine tecnica che richiede particolari cognizioni di determinate scienze o arti, affidata dal giudice a un suo ausiliare, che nel processo civile prende il nome di consulente tecnico e nel processo penale quello di perito. L’ausiliare deve essere scelto, di norma, tra persone iscritte in appositi albi o tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina. Il parere, che suole essere chiamato “perizia”, può essere dato oralmente, ovvero con relazione scritta. Sono previste cause di astensione, di ricusazione e di responsabilità, civile e penale, del perito, il cui ufficio è obbligatorio. Le parti, che devono essere avvertite della nomina del perito d’ufficio, possono nominare a proprie spese un consulente che partecipa alle operazioni di perizia e che può redigere una relazione tecnica (detta di parte). L’indagine sulla situazione contabile di un determinato soggetto (persona fisica o giuridica), svolta da un esperto all’uopo designato, prende il nome di perizia contabile. Nel processo penale la perizia è un mezzo di prova: essa costituisce, quindi, una delle fonti di convincimento del giudice ed è disciplinata dagli artt. 220 e ss. del c.p.p. Essa è disposta dal giudice quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedano specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche. Una volta disposta perizia dal giudice, il pubblico ministero e le altri parti private hanno facoltà di nominare propri consulenti tecnici in numero non superiore, per ciascuna parte, a quello dei periti. Qualora sia indispensabile illustrare con note scritte il parere, il giudice può autorizzare il perito a presentare una relazione scritta. Nell’ambito delle valutazioni di bilancio, la perizia dell’esperto ha lo scopo di valutare voci che non sono di facile determinazione quantitativa, ma che risultano fondamentali ai fini della garanzia ai terzi. Si pensi ai conferimenti in natura nella costituzione di una società o in relazione ad un aumento di capitale a pagamento.

  • PERMUTA

    Contratto avente per oggetto il reciproco trasferimento, fra i due contraenti, della proprietà di cose o di altri diritti. È un contratto consensuale a titolo oneroso. Nella sua forma più elementare, si realizza con lo scambio in natura di due beni. È regolato, se compatibili, dalle norme della compravendita. Il contratto di permuta riflette, nelle sue origini storiche, uno stadio meno avanzato dell’economia, nel quale il baratto veniva praticato o in luogo della compravendita o, quanto meno, a preferenza di quest’ultima. Nell’odierna società, l’uso della permuta si verifica principalmente per i beni immobili (specialmente per sistemare o rettificare i confini dei fondi). Le spese necessarie per la stipulazione del contratto e le altre accessorie sono a carico di entrambi i contraenti in parti uguali. In caso di evizione, il contraente ha diritto al valore della cosa ascritta, oltre, se sussiste, al risarcimento del danno.

  • PERPETUAL FLOATING RATE NOTES

    Titoli di indebitamento a tasso variabile emessi per la prima volta dalla National Westminster Bank nel 1984. Sono denominati in dollari e prevedono la corresponsione periodica degli interessi ma non il rimborso del capitale, se non nel momento della cessazione dell’attività dell’emittente e con diritto di prelazione sulle azioni ordinarie e privilegiate. L’indeterminatezza del vincolo temporale rende tali titoli assai simili al capitale proprio. La simiglianza è amplificata, nel caso dell’emissione ad opera della National Westminster Bank, dal fatto che la corresponsione degli interessi ai sottoscrittori è subordinata all’erogazione dei dividendi sulle azioni ordinarie da parte della società emittente. Una clausola ulteriore prevede, inoltre, che qualora per tre esercizi consecutivi tali pagamenti non vengano effettuati, la banca rimborserà tutte le perpetual floating rate notes al loro valore nominale.

  • PERSONA GIURIDICA

    Soggetto dell’ordinamento giuridico che, pur differenziandosi sotto vari aspetti dalle persone fisiche, diviene, come queste ultime, titolare di diritti e di obblighi oltre che centro di imputazione di rapporti giuridici. La persona giuridica, pur essendo, come tale, una costruzione dell’ordinamento, si concreta in un organismo a base personale (v. associazione), o patrimoniale (v. fondazione), pubblico (Stato, Regioni, Province, Comuni edemi pubblici in genere) o privato (p.e. le società per azioni). Le componenti fondamentali non sono mai, tuttavia, esclusive l’una dell’altra, per cui il substrato di questa figura è sempre formato, al tempo stesso, dall’elemento sia personale che patrimoniale. La persona giuridica, però,non si identifica con le sue componenti fondamentali, poiché ha propri fini, capacità propria (eccettuata quella penale) di essere titolaredi rapporti giuridici e possibilità di esprimere le sue volizioni per mezzo di persone fisiche che della medesima sono organi, o individuali (come il sindaco nei Comuni, il presidente negli enti pubblici) o collegiali (come il Consiglio comunale o il Consiglio di amministrazione di una società di capitali o cooperativa). Il patrimonio della persona giuridica è autonomo, cioè separato da quello degli associati, soci, partecipanti o amministratori, e solo su di esso i creditori della medesima possono soddisfarsi. La soggettività della persona giuridica è riconosciuta dall’ordinamento o in base alla legge ed in via generale, come avviene per le società di capitali a seguito dell’iscrizione nelregistro delle imprese, oppure con specifico atto c.d. di “riconoscimento” da parte della pubblica autorità, come avviene per le associazioni e le fondazioni. Nel corso della loro esistenza le persone giuridiche possono trasformarsi ed estinguersi. Le persone giuridiche sono soggette a imposizione fiscale ai sensi del d.p.r. 29.9.1973 n. 598 (v. IRPEG).

  • PERSONAL COMPUTER

    Elaboratore elettronico digitale (acr. personal computer, oppure pc) di impiego universale a costo contenuto e configurazione autosufficiente, destinato a un singolo utilizzatore (o a pochi individui) in un ufficio o a casa e in ciò si differenzia dal mainframe e dal minicomputer destinati ai bisogni di organizzazioni medie e grandi. Oggi un modello standard è dotato di memoria RAM non inferiore a 128 Mbyte, schermo, disco rigido e lettore di CD-ROM cui possono aggiungersi un numero abbastanza ampio di periferiche(modem, stampante, DVD ecc.). Il primo personal computer è stato l’Altair 8800, prodotto e commercializzato in scatola di montaggio nel 1975 dalla Micro Instrumentation Telemetry Systems di New Mexico, seguito l’anno successivo dall’Apple I, evoluto l’anno dopo nell’Apple II che hanno dato origine alla linea di personal computers Macintosh caratterizzata da alcune peculiarità dell’hardware e soprattutto da un sistema operativo proprietario, il Mac OS (Macintosh Operating Sistem). Nel 1981 l’IBM produce la prima macchina denominata commercialmente “personal computer” che ha dato origine alla seconda linea di personal computer IBM compatibili, basata sul sistema operativo DOS (Disk Operative System). Le due linee sono incompatibili e l’espressione “personal computer” e la sigla personal computer, sebbene generalizzate, indicano propriamente la linea di prodotti IBM. Altre linee (p.e.: Olivetti basato sullo standard operativo PCOS) non hanno avuto successo. Originariamente il personal computer si differenziava dalla workstation per la minor potenza, ma l’adozione di CPU ad alte prestazioni ha praticamente eliminato la differenza.

  • PERSONAL COMPUTER-CARD

    Già denominata PCMCIA (acr. di: Personal Computer Memory Card Interface Association) indica una scheda di espansione esterna, da inserire anche a computer acceso in apposite fessure di espansione (expansion slot), per collegare computer portabili tra loro e con personal computer da tavolo. Può essere di tre formati (dimensioni di 54x85,6 mm e spessore di 3,3 mm, 5 mm e 10,5 mm).

  • PERTINENZA

    Cosa posta in modo durevole al servizio o ad ornamento di un’altra per accrescerne l’utilità o il pregio, purché non ne costituisca parte integrante o elemento indispensabile per la sua esistenza, ma abbia carattere accessorio rispetto a quella principale. Il vincolo deve essere posto da chi è proprietario della cosa principale, ovvero da chi ha su di essa un diritto reale. Gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale riguardano anche le pertinenze, a meno che non sia diversamente disposto. Le pertinenze, peraltro, possono formare oggetto di separati atti e rapporti giuridici. La destinazione di una cosa a pertinenza non pregiudica i diritti preesistenti su di essa a favore terzi. Se però la cosa principale è un bene immobile o un mobile registrato, terzi di buona fede non può opporsi diritto altrui sulle pertinenze se lo stesso non risulta da scrittura avente data certa anteriore. La cessazione della qualità pertinenza non è opponibile ai terzi quali abbiano anteriormente acquistato diritti sulla cosa principale.

  • PESETA SPAGNOLA

    Codice ISO: ESP. La peseta, diminutivo di peso e significante sempre un peso ponderale certo, venne alla luce nel 1772 come moneta in lega d’argento e di ramenel peso di 4,5 grammi nel controvalore di 4 reali, confermato da Giuseppe Bonaparte nei primi anni del XIX secolo e poi con la riforma di Isabella II nel 1847. Nel 1859 fu parificata al franco francese, sia nella versione di peseta d’oro di 0,290322 grammi di fino, sia in quella d’argento di 4,50 grammi sempre di fino. Dal 1864 al 1868 la peseta circolò solo come moneta d’argento di 5,192 grammi a 810 millesimi. A quest’ultima data la peseta fu di nuovo agganciata al franco francese e con la crisi dell’argento si deprezzò. Nel 1871 fu creata una moneta d’oro di 25 pesetas, pari in peso a 8,065 grammi a 900 millesimi e quindi quasi uguale alla lira sterlina. La Spagna non fu ammessa nell’Unione monetaria latina e nell’epoca del gold standard si ancorò al bimetallismo, del quale subì le conseguenze connesse alla crisi dell’argento. Le vicende economiche del paese non consentirono alla peseta di mantenere i cambi con le altre monete europee, né prima né dopo la prima guerra mondiale. Il sistema di controllo delle divise e del movimento dei capitali fu ulteriormente inasprito in relazione alle vicende politiche che portarono alla caduta della monarchia e poi alla guerra civile e infine alla dittatura franchista. Come in tutti i rivolgimenti politici e le guerre intestine, anche la circolazione monetaria spagnola vide pesetas emesse dai vari poteri centrali e periferici. Sarebbe quindi lungo riepilogare l’andamento dei cambi esteri e del potere d’acquisto interno della peseta. Solo nel settembre del 1939 fu fissato un cambio ufficiale di 9,90 pesetas per dollaro Usa. Ma  pochi mesi dopo aveva inizio la serie di svalutazioni ricorrenti in connessione con l’impoverimento del paese, nonostante fosse rimasto fuori dalla secondo guerra mondiale. Nel 1946 furono istituiti cambi turistici sulla base di 16,6 pesetas per dollaro e dal 1948 cambi preferenziali nel commercio di esportazione e di importazione, mentre le quotazioni cosiddette di “mercato nero” vedevano una peseta sempre più indebolita fino al massimo di 1/60 di dollaro. In seguito, quest’ultima quotazione fu difesa e nel 1959, mentre i cambi multipli venivano aboliti, era dichiarata cambio ufficiale. La parità aurea teorica era definita in 0,0148 grammi di fino. La tenuta della peseta era però da ascrivere al programma di aiuti statunitensi in virtù del trattato per la concessione di basi militari agli Stati Uniti approvato nel 1953. Nel 1955 con l’ammissione della Spagna all’Onu, finiva l’isolamento politico durante il periodo dei cambi fissi, la peseta fu indubbiamente una moneta debole, ma riuscì a contenere il deprezzamento nei confronti del dollaro. Tuttavia nel 1967, in seguito alla crisi che portò alla seconda svalutazione della sterlina dopo la seconda guerra mondiale, anche la peseta dovette abbassare la parità aurea a 0,01269 grammi di fino, corrispondente a un cambio di 70 pesetas per dollaro. Tre anni dopo, nel 1970, la quotazione libera segnava un cambio di 74-75 pesetas. Durante la crisi valutaria e la crisi economica degli anni `70 la peseta ha accusato la debolezza del sistema economico e finanziario del paese e le ripercussioni dell’economia internazionale. Dal 1971, salvo oscillazioni legate più direttamente al dollaro, la tendenza di fondo è risultata orientata al deprezzamento nei confronti delle valute forti europee e quindi anche nei confronti della valuta di conto ECU. Da una quotazione di 64,5 pesetas per dollaro stabilita nell’accordo smithsoniano che vide la prima svalutazione del dollaro, la moneta spagnola risultava quotata nel 1984 a 173,40 pesetas sempre per dollaro. Nel 1989 la peseta entrava nello SME, ma subiva la pressione del marco tedesco, tanto da dover procedere a ben 4 allineamenti, con un deprezzamento complessivo del 30 per cento nei confronti del marco dal settembre 1992 al marzo 1995. La Spagna ha aderito all’Eurosistema e dall’1.1.2002 la peseta è stata sostituita dall’euro.

  • PETIZIONE DELL'EREDITÀ

    Azione diretta ad ottenere il riconoscimento della qualità di erede e la restituzione dei beni ereditari da chiunque li possegga pretendendo a sua volta di essere erede o anche senza vantare titolo alcuno (art. 533 c.c.). Può essere rivolta pure contro chi ha acquistato dal possessore, a meno che non abbia acquistato i beni in buona fede ed a titolo oneroso da chi appariva essere l’erede (art. 534 c.c.). L’azione è imprescrittibile; ciò, però, non impedisce l’usucapione dei singoli beni, ricorrendone i presupposti.

  • PETROLIO GREGGIO

    Nella sua fase liquida è presente sotto la superficie terrestre e le sue caratteristiche fisiche (densità, viscosità, ecc..) sono altamente variabili. È il petrolio così come viene estratto dai giacimenti, prima di subire qualsiasi trattamento. È di colore marrone scuro o verdastro. Il colore risulta essere più scuro nei greggi che presentano idrocarburi con peso molecolare medio più elevato. La sua composizione è 85% carbonio, 13% idrogeno e il restante 2% ossigeno, azoto ed elementi metallici. 
    Redattore: Claudio DICEMBRINO
    © 2009 ASSONEBB

  • PHARE

    Acr. di: Poland and Hungary Action for the Restructuring of the Economy (fr. Pologne, Hongrie, Assistance la Restructuration Économique). Uno dei tre strumenti di preadesione (gli altri due sono ISPA e SAPARD) finanziati dalle Comunità Europee, lanciato nel 1989, in seguito al crollo dei regimi comunisti nei Paesi dell’Europa centrale ed orientale e destinato ad assistere questi ultimi nella ricostruzione delle loro economie. Inizialmente destinato a Polonia e Ungheria, è stato poi esteso a tutti i PECO e a quattro Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Croazia, Bosnia Herzegovina e Macedonia)

  • PHISHING

    Attività illecita volta ad acquisire dati sensibili o riservati da soggetti (ad esempio: numero carta di credito, conto corrente, password, documenti di identità, ecc.), al fine di ottenere linee di credito o effettuare altre operazioni (ad esempio: acquisti) sotto falsa identità. Le informazioni vengono acquisite da organizzazioni illecite in genere via Internet, contattando i legittimi titolari anche attraverso la falsificazione e l’utilizzo di “marchi”, “loghi” e indirizzi di posta elettronica di importanti istituzioni finanziarie.
    Fonte: Banca d'Italia

  • PIANIFICAZIONE E CONTROLLO

    In ogni organizzazione esistono almeno due attività di pianificazione e controllo svolte dall’alta direzione: pianificazione strategica e controllo di gestione (una terza attività di controllo, quella quotidiana di ogni dipendente nella realizzazione dei suoi compiti, denominata task control, si svolge automaticamente senza implicare la partecipazione dell’alta direzione). La pianificazione strategica elabora gli obiettivi e le strategie per realizzarli. Il controllo di gestione traduce nei dettagli la pianificazione strategica con l’attività di programmazione e con i budgets inseriti all’interno della contabilitàdi direzione, ne segue la realizzazione monitorandola e compiendo revisioni valutative ex post in modo da misurarne il prodotto, valutarne il comportamento e assumere le rettifiche necessarie, attuando un meccanismo di feedback (retroazione). L’impianto della contabilità di direzione è strutturato in un’organizzazione aziendale suddivisa per centri di responsabilità, in modo che il preposto a ogni centro sia responsabile del suo budget e della realizzazione dei suoi obiettivi.

  • PIANIFICAZIONE FISCALE CONCORDATA

    Acr.: PFC. Nuovo istituto introdotto a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 1°.1.2005 con la legge finanziaria 2005 (l. 30.12.2004 n. 311, art. 1, nn. 387 sgg.), noto anche come concordato triennale preventivo (v. concordato fiscale preventivo) già previsto dalla legge delega per la riforma fiscale (art. 3, l. 7.4.2003 n. 80), cui possono accedere tutti i titolari di reddito d’impresa e gli esercenti arti e professioni che abbiano dichiarato, nel periodo d’imposta in corso al 1°.1.2003, ricavi d’importo non superiore a quello stabilito per l’applicazione degli studi di settore (5.164.569 Euro). L’adesione alla pianificazione fiscale determina preventivamente, per un triennio, la base imponibile caratteristica dell’attività svolta e comporta una riduzione dell’imposizione fiscale e contributiva per gli importi eccedenti la base imponibile pianificata. La proposta della PFC è individuale ed è formulata dall’Agenzia delle Entrate, che propone all’interessato la base imponibile caratteristica dell’attività svolta da “accettare”. Il contribuente può aderire, o instaurare un contraddittorio con l’Ufficio per dimostrare l’evidente infondatezza dell’importo proposto. Il tutto entro 60 giorni di tempo dal ricevimento della proposta.

  • PIANO BARRE

    Noto anche come Rapporto (o relazione) Barre, è il Commission Memorandum to the Council on the Co-ordination of Economic Policies and Monetary Co-operation within the Community  predisposto da Raymond Barre, vice presidente della Commissione europea e presentato il 12.2.1969. Esso era stato annunciato dalla Commissione in un memo al Consiglio dei ministri del 5.12.1968. Il Memorandum conteneva tre raccomandazioni: coordinamento stretto delle politiche economiche a breve termine, convergenza degli obiettivi delle politiche economiche nazionali a medio termine e costituzione di un meccanismo della Comunità per la cooperazione monetaria attraverso interventi di breve termine di sostegno monetario e possibilità di assistenza finanziaria a medio termine. La convergenza delle politiche economiche riguardava l’evoluzione delle variabili economiche di produzione, occupazione, prezzi, saldo della bilancia dei pagamenti corrente degli Stati membri e doveva realizzarsi attraverso un confronto e un accordo tra i ministri responsabili della politica economica e monetaria. I meccanismi di cooperazione monetaria vennero realizzati con l’istituzione del Fecom (3.4.1973; cessato nel 1993). Il progetto, denominato Plan Barre, veniva accolto dal Consiglio dei ministri del luglio 1969. Sulla sua base il vertice dell’Aia del dicembre 1969 adottava come obiettivo ufficiale della Comunità la realizzazione dell’UEM e il Consiglio dei ministri incaricava il 6.3.1970 un gruppo ad alto livello presieduto da Pierre Werner, capo del governo lussemburghese, di redigere un rapporto sui mezzi da attivare per conseguire tale obiettivo entro il 1980. Il rapporto veniva presentato nell’ottobre 1970 e prevedeva la realizzazione dell’UEM in tre tappe (v. rapporto Werner). Il Piano Barre non va confuso con il Plan Barre, predisposto nel 1976 dal Governo francese per il risanamento economico della Francia.

  • PIANO D'AZIONE PER I SERVIZI FINANZIARI - PASF

    Acr. di: PASF. (fr. Plan d’Action des Services Financiers; ingl. Financial Services Action Plan). Il Piano di azione comunitario per i servizi finanziari è stato presentato dalla Commissione europea nel dicembre 1998 su richiesta del Consiglio europeo di Vienna e successivamente adottato dalla Commissione Europea con la Comunicazione della Commissione, dell'11 maggio 1999, "Attuazione del quadro di azione per i servizi finanziari: Piano d'azione (COM (1999) 232". Il Piano propone delle priorità indicative e un calendario di misure specifiche che mirano a raggiungere tre obiettivi strategici: a) istituire un mercato unico dei servizi finanziari all’ingrosso; b) rendere accessibili e sicuri i mercati al dettaglio (gli indirizzi del Piano riguardano: informazione e trasparenza, procedure di ricorso, applicazione equilibrata delle norme di tutela dei consumatori, commercio elettronico, intermediari assicurativi, pagamenti internazionali al dettaglio); c) rafforzare le norme prudenziali e di vigilanza specie del settore bancario, assicurativo e borsistico per allinearle agli standard più rigorosi tenendo conto dei lavori degli organismi esistenti, come il Comitato di Basilea e il Forum of European Securities Commissions (FESCO) ed elaborazione di una proposta di normativa sulla vigilanza prudenziale dei conglomerati finanziari. Il completamento delle 42 misure legislative previste dal PASF è stato fissato per l’anno 2005. Nello specifico il documento della commissione è articolato in tre sezioni: una relativa ai mercati all’ingrosso, una per i mercati al dettaglio e l’ultima si occupa delle strutture di vigilanza. Il percorso normativo segue la procedura Lamfalussy (vedi Rapporto Lamfalussy), istituita dal PASF per le attività UE relative al mercato mobiliare. Per migliorare l'organizzazione e l’integrazione delle piazze finanziarie europee si è reso necessario innanzitutto fornire l’UE di un quadro giuridico armonizzato per la prestazione transfrontaliera dei servizi d'investimento. A tal fine il PASF ha previsto l'aggiornamento della direttiva 93/22/CEE del Consiglio, del 10 maggio 1993, relativa ai servizi nel campo degli investimenti in valori mobiliari, la c.d. direttiva sui servizi d'investimento (Investment Services Directive - ISD). In particolare, Dal 1° novembre 2007, la direttiva 2004/39/CE ha abrogato la direttiva 93/22/CEE. Inoltre è stata prevista il completamento del quadro giuridico in vigore a livello europeo a tutela dell'integrità del mercato. Si è quindi provveduto all’ emanazione di una direttiva relativa all'abuso di informazioni privilegiate (insider trading) e alla manipolazione del mercato, la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 dicembre 2002, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato). Per garantire la raccolta di capitali su scala europea e l’offerta di valori mobiliari tra gli Stati membri si è ritenuto essenziale un aggiornamento delle direttive relative alle procedure di offerta pubblica di acquisto, concretizzato nell’emanazione della direttiva 2004/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, concernente le offerte pubbliche di acquisto (OPA) e l’intensificazione della cooperazione tra la Commissione e il FESCO. Il PASF considera indispensabile ai fini della raccolta di capitali da parte delle imprese che sia armonizzata la disciplina sugli obblighi in materia di informativa finanziaria per le società a livello europeo. Rientra nel PASF la creazione di un mercato unico dei fondi pensione mediante la definizione di un quadro giuridico coerente per lo sviluppo dei sistemi pensionistici con la proposta di una direttiva sulla vigilanza prudenziale dei fondi pensione. Un altro tema importante affrontato in questa sezione riguarda le operazioni transfrontaliere su titoli che prevede una proposta di direttiva sull'utilizzazione transfrontaliera delle garanzie. Anche le ristrutturazioni transfrontaliere sono considerate indispensabili per lo sviluppo del settore finanziario dell’Unione Europea, pertanto accanto all’adozione della già citata direttiva sulle offerte pubbliche di acquisto, il Piano ha previsto l'adozione dello statuto della società europea (SE), che ha prodotto l’emanazione del Regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio, dell'08.10.2001, relativo allo statuto della Società europea (SE) e alla direttiva 2001/86/CE del Consiglio, del 08.10.2001, che completa lo statuto della Società europea per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori. In riferimento ai mercati al dettaglio le aree critiche di intervento sono diverse. In primo luogo vi è la disciplina sull’Informazione e trasparenza e la sicurezza nel settore della prestazione transfrontaliera di servizi finanziari al dettaglio per la quale si è emanata la direttiva 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, concernente la vendita a distanza di servizi finanziari ai consumatori, e che ha aggiornato le direttive 90/619/CEE del Consiglio, 97/7/CE e 98/27/CE. Inoltre le misure previste riguardano una maggiore integrazione mirata del mercato ipotecario dell'UE, l’aggiornamento della direttiva 77/92/CEE sulle attività degli agenti e degli intermediari assicurativi, avvenuta con l’emanazione della direttiva 2002/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 dicembre 2002 ed infine un piano d'azione per la prevenzione delle frodi relative ai mezzi di pagamento. Un altro ambito di azione riguarda le procedure di ricorso per la protezione dei consumatori in relazione alle operazioni transfrontaliere con l’introduzione di meccanismi di risoluzione delle controversie non solo di tipo giudiziale ma anche stra-giudiziale. Per le procedure di ricorso rete è stata introdotta la rete FIN-NET già nel 2001. Altra area importante da disciplinare è quella relativa al e-commerce. In particolare è stata emanata la direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici del commercio elettronico nel mercato interno (la c.d. Direttiva sul Commercio Elettronico) basata sugli orientamenti della comunicazione della Commissione [COM(97) 157] che aveva già dato un impatto positivo subito dopo il suo recepimento, come espresso dalla Relazione della Commissione del 21 novembre 2003 in merito all'applicazione della direttiva. Il piano ha inoltre previsto un processo di semplificazione al quadro normativo del settore assicurativo che ha dato vita a conclusione di un biennio di lavori al Consiglio all’adozione della direttiva 2002/83/CE relativa alla disciplina dell'assicurazione sulla vita che ha aggiornato la direttiva del 1976 sugli intermediari assicurativi. Per quanto concerne infine il tema dei pagamenti transfrontalieri si è dovuto attendere l’emanazione della direttiva 2007/64/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno (la c.d. Payment Service Directive - PSD) per ottenere un quadro normativo di riferimento della SEPA. Infine l’ultima area di intervento ha riguardato il rafforzamento delle strutture prudenziali per limitare i rischi sistemici o istituzionali che la nuova integrazione delle piazze finanziarie in seno all’UE comporta. Sono già stati citati gli standard di organismi come il comitato di Basilea e il FESCO cui i settori di banca, borsa e assicurazioni europei devono tendere ma è emersa anche la necessità di intensificare la vigilanza prudenziale sui conglomerati finanziari che è stata ritenuta prioritaria in sede di attuazione del PASF. Il piano infine ha previsto il miglioramento della regolamentazione e della vigilanza dei mercati dei valori mobiliari. Ciò ha dato vita all’istituzione del CEVM con decisione 2001/528/CE della Commissione, del 6 giugno 2001, che istituisce il comitato europeo dei valori mobiliari, in linea con l’approccio Lamfalussy utilizzato nell’ambito PASF. Va ricordato che nel 2009 è stato poi introdotto (Decisione 2009/77/CE della Commissione, del 23 gennaio 2009) anche il comitato delle autorità europee di regolamentazione dei valori mobiliari (CERVM) che, insieme al CEVM contribuisce alla regolamentazione del mercato dei valori mobiliari. A seguito di numerose relazioni sulla realizzazione del PASF è stato predisposto nel 2006 il documento di lavoro dei servizi della Commissione "Single Market in Financial Services Progress Report 2004-2005" (Mercato unico dei servizi finanziari: Relazione sullo stato di avanzamento dei lavori 2004-2005) [SEC(2006) 17] pubblicato il 5 dicembre 2005, per quanto riguarda l’analisi del PASF. Da quest’ultimo documento, elaborato in ottemperanza agli obblighi presi nel Libro bianco sulla politica dei servizi finanziari 2005-2010, emerge che il 98% delle azioni previste nel PASF sono state completate entro i termini previsti.
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  • PIANO DEI CONTI

    Documento che indica denominazione e funzionamento dei vari conti utilizzati da un’azienda per la propria contabilità generale. Il piano (detto anche “quadro dei conti”) è utile per interpretare e, quindi, consentire il controllo delle registrazioni contabili. Per il piano dei conti non è prevista alcuna forma particolare: normalmente ogni conto è contraddistinto da un numero d’ordine, che ne facilita la ricerca, e che viene di solito utilizzato sul libro giornale come codice per indicare il conto in questione. Inoltre, non è soggetto a bollatura iniziale né a vidimazione annuale.

  • PIANO DI ACCUMULO DI CAPITALE

    Acr.: PAC.

    È detto anche piano di investimento. Programma offerto dall maggior parte delle società di investimento che consente ad un risparmiatore di costituire in modo sistematico, mediante versamenti effettuati ad intervalli regolari (in genere mensilmente, trimestralmente o semestralmente), un patrimonio collocato in quote di un fondo comune d’investimento.

    Dal momento che nei piani di accumulo viene determinato un importo periodico fisso, quando i corsi di mercato sono bassi viene acquistato automaticamente un maggior numero di quote e viceversa (v. averaging).

  • PIANO DI AMMORTAMENTO

    Prospetto mediante il quale si evidenzia il programma di rimborso di un debito, contratto per più anni, sul quale gravano oneri finanziari. In genere, l’ammortamento del debito viene eseguito a rate costanti, ovvero secondo il metodo francese. Una parte di dette rate è costituita dalla quota di interessi sul debito residuo al saggio convenuto, l’altra parte è data dalla quota di debito rimborsata. Inizialmente la quota d’interessi è molto più elevata della quota capitale, perché il debito residuo è praticamente intatto; successivamente, diminuendo il debito residuo, i rapporti si invertono. Nel prospetto poi, per maggior chiarezza, possono essere inseriti altri dati: l’importo ancora da pagare, le obbligazioni ancora in circolazione, il numero delle rate residue. Indispensabile è l’uso del piano di ammortamento nelle grosse società per azioni che ricorrono al prestito obbligazionario. Al momento in cui i titoli di credito vengono piazzati, presso banche o presso il pubblico, le società presentano tale prospetto per mostrare tutte le modalità relative al rimborso. Altro caso d’uso frequente si ha nei rapporti fra gli istituti di credito ed il pubblico nel caso di concessioni di prestiti a medio e lungo termine.

  • PIANO DI AZIONE SUI SERVIZI FINANZIARI

    Approvato dalla Commissione Europea l’11 giugno 1999, il “Piano d’Azione sui Servizi Finanziari” (Financial Services Action Plan - FSAP) traccia,  con riferimento agli anni compresi tra il  1999 e il  2005, le linee guida per procedere alla creazione di un mercato finanziario europeo integrato.  Tre le priorità identificate,  a ciascuna delle quali il FSAP riferisce una serie di misure di dettaglio: 1) l’integrazione dei mercati finanziari all’ingrosso; 2) l’apertura dei mercati e dei servizi al dettaglio; 3) l’armonizzazione e il rafforzamento delle regole di vigilanza. Nella valutazione condotta alla fine del periodo legislativo di riferimento (2005),  la Commissione segnala che il 98% delle azioni previste dal FSAP è stato completato nei termini previsti. Le priorità della Commissione per il periodo 2005 – 2010 sono descritte nel Libro Bianco “La politica dei servizi finanziari per il periodo 2005 – 2010”  (COM(2005) 629 def., 1 dicembre 2005).
    Redattore: Maria Giovanna CERINI
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  • PIANO ESECUTIVO DI GESTIONE

    Acr.: PEG. Il piano esecutivo di gestione è disciplinato dall’art. 169 TULOEL (ex art. 11 del d.lg. 25.2.1995 n. 77) come strumento di programmazione e di autorizzazione alla spesa finalizzato a ordinare e a razionalizzare l’attività degli enti locali, attraverso la previsione di obiettivi, risorse e responsabilità di gestione, che risulta ispirata a criteri di efficienza, efficacia economicità e trasparenza dell’azione amministrativa. Facoltativo per gli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, tale strumento consente la programmazione analitica dei flussi finanziari, l’attribuzione delle risorse ai responsabili, la possibilità di correlare l’utilizzo di tali risorse con gli obiettivi assegnati, fornendo nel contempo gli strumenti (quali p.e. l’assegnazione del budget ai responsabili della gestione) adatti a creare, in capo alla dirigenza amministrativa, ampi margini gestionali al fine di promuoverne le capacità professionali, così integrando quel modello di responsabilità, c.d. manageriale, già prevista nella l. 8.6.1990 n. 142. Successivamente all’approvazione del bilancio annuale da parte del Consiglio comunale, la Giunta nell’individuare il PEG, suddivide il bilancio (del quale il PEG costituisce peraltro un’analitica rappresentazione) in capitoli di spesa relativi agli obiettivi da raggiungere, assegnando ciascun obiettivo (compresa la frazione di bilancio da utilizzare per far fronte alle spese da impegnare) ai responsabili dei servizi competenti preposti ai vari centri di responsabilità (definiti nel linguaggio del d.lg. 25.2.1995 n. 77 “centri di costo”). In tal modo i dirigenti amministrativi hanno a disposizione risorse da impegnare al fine di realizzare gli obiettivi loro assegnati di modo che il piano esecutivo di gestione possa definirsi come un documento contenente un programma di gestione per la cui realizzazione vengono individuate le strutture responsabili con la contestuale assegnazione, a ciascuna di esse, di autorizzazioni alla spesa provenienti dall’articolazione del bilancio approvato dal Consiglio comunale. Più precisamente nella realizzazione del PEG, sono state individuate almeno tre fasi: 1) la fase dell’elaborazione, nella quale vengono raccolte tutte le informazioni inerenti alle necessità dell’ente ed alle risorse eventualmente disponibili, attraverso il coinvolgimento di una pluralità di soggetti responsabili dei vari settori della Pubblica amministrazione; 2) la fase della negoziazione e dell’affidamento, nella quale si viene a raggiungere un accordo tra sfera politica e sfera burocratica in ordine al grado di fattibilità degli interventi programmati: accordo in seguito al quale la Giunta affida il PEG ai responsabili dei servizi i quali possono presentare motivate riserve essendo diretti responsabili dell’attuazione del piano stesso; 3) la fase della gestione, nella quale il dirigente generale assume la funzione di coordinatore e sovrintendente nei confronti dei responsabili dei servizi. In tale fase in particolare si distinguono la gestione dell’entrata, attraverso l’accertamento, la riscossione e il versamento, e la gestione della spesa, attraverso le fasi di impegno, liquidazione e ordine del pagamento. Costituendo un documento nel quale viene a concretizzarsi, dal punto di vista attuativo-gestionale, l’indirizzo politico dell’ente locale, il PEG assume la qualità di strumento di raccordo tra l’organo politico e la dirigenza amministrativa venendo così ad integrare il principio di distinzione tra politica e amministrazione, cui si ispirano le più recenti riforme legislative riguardanti l’assetto della Pubblica Amministrazione. Sotto il profilo del piano esecutivo di gestione, tale distinzione si sostanzia, in particolar modo, nella determinazione di un’area di autonomia dei dirigenti amministrativi (responsabili di servizi), definita per ampiezza e contenuto (obiettivi da raggiungere, dotazioni da impiegare, responsabilità sugli obiettivi) e commisurata ai fattori reali e potenziali (cambiamenti organizzativi, legislativi, ecc.) incidenti sul piano operativo, di modo che risulti più immediata l’individuazione delle relative responsabilità. La dottrina, sottolineando l’assenza nell’art.11 del d.lg. 25.2.1995 n. 77, di minute prescrizioni e descrizioni di modelli standard, ha posto l’accento sul fatto che la concreta definizione del PEG spetti, in ultima analisi, alla libertà di autoregolamentazione degli enti locali in modo tale che lo stesso non divenga un mero adempimento contabile nell’ambito della gestione finanziaria loro attribuita: ciò che risulta confermato dalla prassi, nella quale molteplici sono i “modelli” che di tale strumento sono stati realizzati.

  • PIANO PER L'ADOZIONE DELL'EURO NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

    Documento predisposto dal Sottocomitato Pubblica Amministrazione del Comitato euro, completato nell’aprile 1998 e pubblicato nel mese successivo. Le linee-guida da seguire nel Piano sono stati fissati dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 3.6.1997 e riveduti dal d.lg. 1998/213 in attuazione dei criteri contenuti nella legge-delega 1997/433. La redazione del Piano è stata preceduta dalla stesura di Programmi operativi di attuazione (POA) da parte di ogni Amministrazione contenenti le modifiche normative e regolamentari nella struttura e nelle procedure che venivano ritenute necessarie per l’adeguamento all’euro. Il Sottocomitato ha quindi proceduto a una ricognizione delle procedure comuni integrandole in cinque macro-progetti (conversione valutaria per i pagamenti delle Amministrazioni pubbliche e alle Amministrazioni pubbliche; conversione documentale per le dichiarazioni fiscali e previdenziali, l’acquisto di beni e servizi, i trasferimenti, le sanzioni amministrative pecuniarie; conversione del debito pubblico; documenti programmatici e di finanza pubblica; statistiche) e indicando gli strumenti operativi per l’attuazione relativi all’adeguamento dei sistemi informativi e della modulistica e alla formazione e all’addestramento del personale. Il Piano ha costituito un’aggregazione delle principali procedure amministrative generalmente valide per l’insieme della Pubblica Amministrazione riguardanti i sistemi informativi e la modulistica circa i pagamenti alle e dalle Amministrazioni pubbliche, la conversione documentale per le dichiarazioni fiscalie previdenziali, gli acquisti di beni e servizi, i trasferimenti ecc. vincolante per le Amministrazioni centrali, per le Amministrazioni regionali, provinciali e comunali, il Piano svolge una funzione di indirizzo e di suggerimento in considerazione del fatto che le sue indicazioni sono in gran parte applicabili anche a queste Amministrazioni. Le modalità di attuazione rientrano comunque nell’autonomia delle singole Amministrazioni territoriali. L’adozione dell’euro nelle Amministrazioni pubbliche è stata programmata in due fasi. Nel periodo transitorio (1°.1.1999 - 31.12.2001) era consentito utilizzare l’euro nelle comunicazioni con le Amministrazioni e nei pagamenti loro dovuti e chiedere che le somme da esse dovute venissero regolate in euro. In questo periodo le Amministrazioni hanno continuato a utilizzare per la contabilità di bilancio esclusivamente la lira, pur introducendo in alcuni documenti ufficiali e per voci particolarmente significative, accanto all’ammontare in lire, i corrispondenti valori in euro. Solo a partire dall’1.1.2002  la contabilizzazione in euro è stata generalizzata per il bilancio e gli altri provvedimenti di natura contabile.

  • PIANO WERNER

    Piano predisposto nel 1970 su incarico del Consiglio europeo dal comitato di esperti, presieduto dal lussemburghese Pierre Werner, per l’integrazione economica e monetaria europea da realizzare entro la fine del decennio (v. Rapporto Werner).

  • PIATTAFORMA EUROPEA CONTRO LA POVERTA'

    Iniziativa faro della Commissione europea, nell'ambito di Europa 2020, lanciata dalla Commissione il 16 dicembre 2010, per garantire l'inclusione sociale, economica e territoriale, consentendo alle vittime della povertà una possibilità di vita dignitosa e di partecipazione attiva alla società. L'UE svolge un ruolo di coordinamento, individuando le migliori pratiche e promuovendo lo scambio di esperienze, definendo norme su scala europea e mettendo a disposizione finanziamenti. Gli interventi prioritari attraversano i seguenti ambiti: accesso facilitato al lavoro, alla sicurezza sociale, ai servizi essenziali e all'istruzione; uso intelligente dei fondi europei per sostenere l'integrazione e combattere le discriminazioni; individuazione di soluzioni innovative nell'Europa post crisi, specialmente per favorire forme più efficaci ed efficienti di sostegno sociale; ricerca di nuovi tipi di collaborazione tra pubblico e privato. A livello nazionale gli Stati membri sono tenuti a promuovere la responsabilità collettiva e individuale nella lotta alla povertà e all'esclusione sociale e a definire ed attuare misure coinvolgenti categorie particolarmente a rischio. A sostegno dell'obiettivo è necessario anche il pieno utilizzo dei propri regimi previdenziali e pensionistici, in modo da assicurare un adeguato sostegno al reddito ed un sufficiente accesso all'assistenza sanitaria.

    http://ec.europa.eu/europe2020/europe-2020-in-a-nutshell/flagship-initiatives/index_en.htm

  • PIATTAFORMA GLOBALE

    Paese che, nell’ambito di un dato settore industriale in cui un’impresa opera, rappresenti di per sé un vantaggio ai fini della competizione globale, ovverouna base per agire globalmente. Il peso che un Paese assume nel contribuire al successo di un’impresa a livello internazionale e quindi la bontà di una piattaforma globale dipendono da due elementi basilari: il vantaggio comparato (fattori disponibili in un Paese per attuare determinate rilevanti attività, come tecnici o infrastrutture avanzate) e l’interazione tra le caratteristiche dell’offerta, della domanda e delle condizioni operative locali, in relazione alle economie di scala e di apprendimento. In linea generale, un concorrente globale con base in un dato Paese può trarre tre tipi di vantaggi competitivi dalla domanda e dalle condizioni operative locali: a) la possibilità di individuare il momento opportuno per rispondere per primo ai bisogni che sorgono in un certo ambito locale, anticipando i concorrenti con una prima mossa e conseguendo un determinato know-how traducibile successivamente in vantaggi di scala e di apprendimento nel processo verso una dimensione globale; b) la motivazione a progredire rapidamente nella curva di apprendimento al fine di soddisfare una clientela raffinata e contrattualmente potente, di risolvere casi difficili, di fronteggiare imprese locali concorrenti; c) la disponibilità di un mercato per le varietà di prodotti che potranno successivamente essere domandati da mercati internazionali.

  • PIATTAFORMA UNICA CONDIVISA

    Infrastruttura tecnica unica condivisa attraverso cui opera il sistema di regolamento lordo in tempo reale europeo TARGET2. Essa si caratterizza per una struttura di tipo modulare ed è composta da quattro moduli obbligatori (Payment Module, Information and Control Module, Static Data Module e Contingency Module), e altri opzionali. La Banca d’Italia, oltre ai cennati moduli obbligatori, ha adottato tre moduli opzionali (Home Accounting Module, Standing Facilities Module e Reserve Management Module).
    Fonte: Banca d'Italia

  • PIATTAFORME TECNOLOGICHE EUROPEE (PTE)

    Unioni di imprese, centri di ricerca ed organismi di ogni tipo, che mirano ad identificare un'agenda strategica di ricerca comune, che faciliti il coordinamento delle attività di ricerca, indichi le scadenze ed i piani d'azione per il compimento di progressi tecnologici, per i quali vengono mobilitate ingenti risorse pubbliche e private sia in ambito nazionale che europeo. L'adozione di un approccio comune agevola la diffusione della tecnologia; il ricorso alle PTE ha riguardato l'ambito delle TIC (Tecnologie dell'informazione e della comunicazione) (ad es. Artemis), che hanno beneficiato della possibilità di fruizione dei risultati della ricerca e di un guadagno di rapidità nel processo di innovazione.

    http://ec.europa.eu/information_society/tl/research/priv_invest/etp/index_it.htm

  • PIAZZA BANCABILE

    Località in cui è presente almeno uno sportello bancario. Tale condizione si rende necessaria per lo svolgimento in loco delle operazioni bancarie e, soprattutto, per la bancabilità dei titoli di credito, che altrimenti devono essere domiciliati su altre piazze.

  • PIAZZA CALCOLATA

    Località a cui ci si riferisce per eseguire un arbitraggio in cambi indiretto con piazza intermediaria pensata o, più precisamente, per redigere un listino cifrato. P.e., si può cifrare a Milano il listino di Zurigo al fine di stabilire la via più conveniente per pagare un debito o riscuotere un credito in franchi svizzeri oppure per speculare nella conversione della lira in franchi svizzeri e viceversa. In questo caso la piazza di Milano è detta calcolatrice, quella di Zurigo calcolata.

  • PIAZZA ESTERA

    Centro finanziario di un Paese straniero nel quale vengono realizzate, da soggetti di altra nazione, operazioni monetarie di varia natura. Si tratta, in altri termini, di un mercato nel quale si trasferiscono, o dal quale si richiamano fondi liquidi per diversi scopi (speculazioni e coperture commerciali,nel caso di movimenti di capitale a breve termine, oppure investimenti diretti o di portafoglio, se ci si riferisce a movimenti di capitale a lungo termine). A prescindere dalla loro motivazione, le operazioni su piazza estera hanno come caratteristica comune quella di determinare il sorgere di nuove posizioni creditorie e debitorie tra residenti e non residenti o la variazione di quelle già esistenti.

  • PIAZZA FINANZIARIA ITALIANA

    Insieme dei mercati finanziari italiani, delle relative infrastrutture (anche di carattere tecnologico) e degli intermediari che operano su tali mercati, quali banche, altri intermediari finanziari, investitori istituzionali.
    Fonte: Banca d'Italia

  • PIAZZA OPERANTE

    Località estera dove si trova l’operatore finanziario, di solito una banca, chiamato ad intervenire in operazioni di cambio indiretto. Teoricamente le piazze intermediarie potrebbero essere diverse. Nella pratica si ricorre ad una sola piazza intermediaria perché con un maggior numero di piazze aumentano le provvigioni ai vari corrispondenti e, conseguentemente, anche i rischi relativi all’oscillazione del cambio.

  • PIC

    Acr. di Piano di investimento del capitale (trad. dall’ingl.: capital investment plan). Investimento in un fondo comune compiuto con un versamento in unica soluzione e, in ciò, si differenzia dal PAC (piano di accumulazione del capitale) che si effettua con versamenti periodici. Come il PAC è però alla portata, di regola, dei piccoli risparmiatori se i regolamenti dei fondi prevedono, come generalmente avviene, soglie minime basse.

  • PICCOLE E MEDIE IMPRESE - PMI

    (fr. Petites et Moyennes Entreprises-PME; ingl. Small and Medium-sized Enterprises-SMEs).
    1. Il ruolo delle piccole e medie imprese (PMI) per la crescita dell’economia, la creazione di posti di lavoro, lo sviluppo regionale e locale e la coesione sociale è stato adombrato per la prima volta agli inizi degli anni Trenta in Inghilterra dal Rapporto Macmillan, nel mentre che metteva in evidenza le difficoltà che esseincontrano a raccogliere finanziamenti a medio- lungo termine per le lacune del mercato (Macmillan gap). Il concetto è stato ripreso e approfondito sempre in Inghilterra dalBolton Committee del 1969-1971 e dal Wilson Committee del 1977-1980 (v. Rapporto Wilson (1980) e ha costituito la base delle politiche a favore delle PMI realizzate un po’ in tutti i Paesi nel secondo dopoguerra, in particolare con la costituzione di banche specializzate nel loro finanziamento e con l’introduzione di agevolazioni fiscali e creditizie e di incentivi agli investimenti. La nozione di PMI è stata definita dalla Comunità europea (raccom. 96/280/CE della Commissione, del 3.4.1996, relativa alla definizione delle piccole e medie imprese in GUCE n. L. 107 del 30. 4. 1996; v. anche la Risoluzione del Consiglio dell’UE del 22.4.1996 sul coordinamento delle attività comunitarie a favore delle piccole e medie imprese e dell’artigianato e la Comunicazione della Commissione europea sulla disciplina comunitaria degli aiuti di Stato alle piccole e medie imprese in GUCE n. C 213 del 23/07/1996) e accolta dalla legge del nostro Paese. Essa è applicata con riguardo principalmente all’assistenza e alle agevolazioni che sono concesse dalla Comunità e dalla legge nazionale. Differisce, quindi dalle nozioni di artigiano, impresa familiare, piccolo imprenditore che hanno rilievo specialmente per la legge civile, gli obblighi amministrativi e fiscali e la legge fallimentare. In sede OCSE è stata sottoscritta il 15.6.2000 la Carta di Bologna sulle politiche concernenti le PMI che ha però solo valore di dichiarazione non vincolante.
    2. Normativa italiana. 2.a) Parametri di identificazione. È contenuta nel d.m. 23.12.1997 del Ministero dell’Industria (GU 11.2.1998) che in applicazione delle raccomandazioni della Comunità ha fissato la decorrenza per l’applicazione della nuova definizione all’11.2.1998 e ha individuato, inoltre, i limiti dimensionali inferiori previsti per le PMI commerciali e di servizi. Viene fatta una distinzione tra piccole imprese e medie imprese con tre parametri (dipendenti, fatturato e attivo patrimoniale) diversi secondo il settore di attività (attività estrattive e manifatturiere, oppure commercio e fornitura di servizi) in questi termini:

    Identificazione delle PMI
    Parametri
    di
    identificazione
    Settori di attività
    Estrattive e
    manifatturiere
    Commerciali e
    fornitura di servizi
    piccole medie piccole medie
    Dipendenti
    inferiori a
    50 250 20 95
    Fatturato:
    non superiore
    a € milioni
    7 40 2,7 15
    Attivo
    patrimoniale:
    non superiore
    a € milioni
    5 27 1,9 10,1

    microimpresapiccola impresamedia impresa
    2.b) Indipendenza

  • PICCOLE E MEDIE IMPRESE - PMI (ENCICLOPEDIA)

    (Si veda anche voce del Dizionario: Piccole e Medie Imprese - PMI)
    Organismi aziendali aventi un limitato numero di dipendenti e/o che rientrano in parametri finanziari prefissati.
    In generale non è possibile trovare una definizione di piccola e media impresa unanimemente accolta, in quanto ci sono classificazioni che tengono conto solo di parametri quantitativi o esclusivamente qualitativi oppure di una serie variegata di combinazioni tra queste due.
    Quanto ai parametri quantitativi di classificazione, tra essi si citano principalmente: numero di addetti, fatturato, capitale investito, quota di mercato e valore aggiunto.
    Tra i caratteri qualitativi caratterizzanti la PMI troviamo la frequente coincidenza tra proprietà e management, una struttura organizzativa semplice, la posizione spesso non di forza nei mercati in cui opera, ricorso prevalente a forme di autofinanziamento per sostenere lo sviluppo aziendale.

    Definizione Europea di PMI

    Con la raccomandazione n° 1442 del 6 maggio 2003, la Commissione ha provveduto ad aggiornare le regole sulla base delle quali un'impresa può essere definita PMI, con decorrenza dal 1° gennaio 2005. La nuova definizione è applicata a tutte le politiche, programmi e misure posti in essere dalla Commissione per agevolare le PMI.
    Secondo la nuova definizione europea un soggetto economico che voglia definirsi tale deve presentare i seguenti requisiti:
    - Essere un'impresa o organizzazione impegnata in un’attività economica.
    - Avere meno di 250 dipendenti (per la micro impresa meno di 10, per la piccola meno di 50 e per la media meno di 250) considerando i dipendenti, i collaboratori equiparati per legge ai dipendenti, i proprietari gestori e i soci impiegati regolarmente nell’impresa; esclusi invece gli apprendisti, gli studenti in formazione, i lavoratori in congedo parentale o di maternità.
    - Avere un fatturato annuo non superiore ai 50 milioni di euro o un totale di bilancio annuo non eccedente i 43 milioni di euro (per la micro impresa un fatturato e un totale di bilancio non superiori a 2 milioni di euro, per la piccola impresa un fatturato e un totale di bilancio non superiori a 10 milioni di euro, per la media impresa un fatturato annuo non superiore ai 50 milioni di euro o un totale di bilancio annuo non eccedente i 43 milioni di euro).
    Uno dei principali obiettivi della nuova definizione è di garantire che le misure di assistenza siano concesse solo alle imprese che ne hanno realmente bisogno. Per questo motivo, la definizione introduce alcuni metodi per calcolare gli effettivi e le soglie finanziarie al fine di ottenere un’immagine più realistica della situazione economica di un’impresa. A tale scopo, viene introdotta una distinzione tra i vari tipi di imprese: autonome (imprese con partecipazioni che non implicano posizioni di controllo), associate (imprese che intrattengono relazioni di partenariato finanziario con le altre imprese, senza ch esista un effettivo controllo sull’altra) e collegate (imprese facenti parte di un vero e proprio gruppo che controlla direttamente o indirettamente la maggioranza del capitale o dei diritti di voto).
    Per una più dettagliata definizione di PMI: http://ec.europa.eu/enterprise/enterprise_policy/sme_definition/index_en.htm

    Per gli stati membri l’utilizzazione della definizione è volontaria ma la Commissione, insieme alla Banca Europea per gli Investimenti (BEI) e al Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI), li ha invitati ad applicarla quanto più estensivamente possibile.

    Definizione di PMI in Italia e nel mondo

    In Italia ad esempio si ritrovano diverse accezioni a seconda che si tratti di rilevazioni statistiche basate solo su un parametro quantitativo di natura organizzativa (in cui le PMI sono quelle imprese che hanno fino a 250 addetti), della definizione legale stricto-sensu che applica la raccomandazione comunitaria 2003/361/EC ed al numero di addetti aggiunge altri due parametri quantitativi di natura strutturale come fatturato e bilancio, o di indagini congiunturali Unioncamerali (dove la definizione di PMI arriva fino a 500 addetti).
    Nel mondo c’è una così molteplice serie di definizioni ufficiali di PMI diverse da condurre l’OECD a dichiarare che “the characteristics of a SME definition reflect not only the economic, but also the social and cultural dimension of a Country”; l’organizzazione internazionale si sta contemporaneamente impegnando in questi ultimi anni proprio ad omogeneizzare i requisiti di PMI nei diversi Paesi. Solo per portare degli esempi abbiamo accennato alla raccomandazione per la definizione legale di PMI dell’Unione Europea con i tre criteri quantitativi; anche negli Stati Uniti rileva il numero dei dipendenti, fatta eccezione nei settori che non producono beni dove si tiene conto delle fatture annue, ma il tutto è opportunamente distinto per macrosettori; in Brasile differenti criteri e soglie sono utilizzati per diversi scopi legali e fiscali; in Giappone forza lavoro e capitale o investimenti sono determinanti per la dimensione anche se le soglie variano in base alla tipologia di attività (così come in Corea).
    Tabella n° 1 - Addetti, fatturato e valore aggiunto per classe di addetti delle imprese - Anni 2006 e 2007
    (valori percentuali)

    Fonte: ISTAT 2009

    Bibliografia
    CECCARELLI A. e BELFIORI M., Le Misure Specifiche per le PMI tra il 6° e 7° Programma Quadro, APRE e Filas, Fabbri, Roma, ottobre 2007
    COMMISSIONE EUROPEA, La nuova definizione di PMI. Guida all’utente e modello di dichiarazione, 2006
    ISTAT, Struttura e competitività del sistema delle imprese industriali e dei servizi. Anno 2007, Statistiche in breve, 20 ottobre 2009
    OECD, SME Statistics: towards a more systematic statistical measurement of SME behaviour, 2nd OECD CONFERENCE OF MINISTERS RESPONSIBLE FOR SMEs, Instanbul 3-5 June 2004
    UNIONCAMERE CENTRO STUDI, Le piccole e medie imprese nell’economia italiana, Rapporto 2007. Il dinamismo della ristrutturazione, a cura dell’Istituto Guglielmo Tagliacarne, Franco Angeli, Milano 2007-bis

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  • PICCOLO IMPRENDITORE

    Figura imprenditoriale individuata sulla base del criterio dimensionale e perciò contrapposta all’imprenditore medio-grande. La nozione definitoria è contenuta all’art. 2083 c.c. che dispone che “sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”. In realtà, la seconda parte della norma rappresenta il vero criterio generale e qualificatore della fattispecie, la quale, dunque, prescinde dalle figure tipiche ivi richiamate. Deve riconoscersi, infatti, valore determinante al cosiddetto criterio della prevalenza qualitativa-funzionale del lavoro dell’imprenditore e dei propri familiari sugli altri fattori produttivi rappresentati dal capitale utilizzato e dal lavoro altrui. Pertanto, secondo l’orientamento prevalente gli artigiani e tutti gli imprenditori potranno qualificarsi piccoli solo in presenza del rispetto delcriterio della prevalenza suindicato. Il piccolo imprenditore è esonerato dall’applicazione del c.d. “statuto dell’imprenditore commerciale” e, pertanto, non è soggetto all’obbligo giuridico-civilistico di tenuta delle scritture contabili, all’obbligo di iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese (dovendosi oggi iscrivere in una sezione speciale con effetti di pubblicità notizia) e non è assoggettato alle procedure concorsuali ed in primis al fallimento. In passato vi è stato qualche problema di coordinamento, ai fini della individuazione della fattispecie in esame, fra l’art. 2083 c.c. e l’art. 1 della l.fall. Quest’ultima, prima delle modifiche subite, ai fini dell’esonero dal fallimento, individuava i piccoli imprenditori esclusivamente sulla base di due alternativi criteri monetari e patrimoniali. Infatti, ai sensi del 2° comma dell’art. 1 l. fall. era considerato piccolo imprenditore chi, in sede di accertamento ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, risultava titolare di un reddito inferiore al minimo imponibile oppure chi, in assenza di accertamento, aveva investito nell’azienda un capitale inferiore a lire 900.000. Il contrasto fra la norma del codice civile e quella fallimentare era evidente, dal momento che entrambe individuavano la stessa figura imprenditoriale sulla base di criteri differenti. Ciò poteva determinare situazioni incongruenti, in quanto un soggetto poteva qualificarsi piccolo imprenditore ai sensi dell’art. 2083 c.c. (nel rispetto del criterio dellaprevalenza), ma poteva contestualmente essere comunque assoggettato al fallimento qualora il suo complesso aziendale avesse un valore pari a lire un milione. Oggi, il contrasto interpretativo è venuto meno in seguito a due modifiche che hanno sostanzialmente eliminato quasi tutto il comma 2 dell’art. 1 l. fall. Ci riferiamo alla soppressione dell’imposta di ricchezza mobile (sostituita dall’IRPEF) che rende inapplicabile il criterio del reddito fisso e a un intervento della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo, nel 1989, il criterio del capitale investito in quanto non più idoneo in seguito alla svalutazione monetaria. Della formulazione originaria del comma in esame, rimane in vigore solo l’ultima frase la quale dispone che “in nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le società commerciali”. Alla luce di quanto esposto, il piccolo imprenditore è colui che rispetta il criterio della prevalenza codificato nell’art. 2083 c.c. e, in quanto tale, beneficia dell’esclusione dal fallimento così come dagli altri obblighi correlati al c.d. “statuto dell’imprenditore commerciale”, ferma restando l’applicazione, nei suoi confronti, degli obblighi ed oneri inerenti l’impresa, quali p.e., quelli relativi alla disciplina della concorrenza, dei segni distintivi. ecc.

  • PICCOLO RISPARMIO, DEPOSITO BANCARIO

    Deposito bancario effettuato da una persona fisica mediante versamento di una somma di denaro che non può superare una cifra prestabilita (limite fruttifero), se non per effetto della capitalizzazione degli interessi, e rappresentato da un libretto. Tale forma di deposito, unitamente ai depositi “a piccolo risparmio speciale”, la cui funzione tradizionale era quella di incentivare il risparmio monetario di singoli individui - in particolare nelle categorie meno abbienti e nei giovani - grazie ad una remunerazione superiore a quella del risparmio ordinario, è ormai quasi del tutto abbandonata. La maggiorazione di tasso offerta era in genere esigua e tale da non compensare i termini di preavviso particolarmente gravosi. In passato, il piccolo risparmio era precluso ai capitali più ingenti sia per il limite fruttifero, pari a 4 milioni, sia per il divieto, frequente nelle banche, di rilasciare più libretti della categoria ad uno stesso cliente. I depositi a piccolo risparmio speciale, in particolare, potevano essere aperti presso banche espressamente autorizzate, solo nominativamente a favore esclusivo di determinate categorie di persone o enti. Il tasso di interesse previsto era più elevato rispetto a quello concesso sui depositi a piccolo risparmio, ma si accompagnava a limitazioni ancor più restrittive riferite al limite fruttifero, pari ad 1 milione, ai prelevamenti, limitati sia nella frequenza (era consentito un solo prelevamento per settimana) sia nei giorni di preavviso, ed ai versamenti, anch’essi rigidamente limitati nella frequenza e nell’importo. Ai possessori di libretti di piccolo risparmio speciale potevano altresì essere corrisposti, previa autorizzazione, premi annuali di incoraggiamento, che però, sia singolarmente sia globalmente considerati, non potevano superare determinati, e alquanto ridotti, limiti d’importo.

  • PIEDE DEL DONT

    Prezzo di contratto diminuito del premio, e cioè il corso in base al quale si è concretato lo scambio. In pratica si usano anche le dizioni “base” o “origine” del dont. Pertanto, se nel giorno di “risposta premi” il corso del titolo risulta superiore al piede del dont, l’operatore avrà convenienza a levare il premio realizzando un guadagno oppure una perdita di ammontare inferiore al premio; se è inferiore, invece, avrà interesse ad abbandonare il premio perdendone l’importo; se è uguale, per l’operatore sarà indifferente abbandonare o levare il premio, subendo, in ogni caso, una perdita pari all’ammontare del premio.

  • PIEGO DISPOSIZIONI

    Documento che permette al mittente fino al momento dello svincolo da parte del destinatario, di modificare il contratto di trasporto ferroviario. Con esso si può ordinare all’amministrazione che la merce: sia restituita alla stazione di partenza; sia fermata in una stazione intermedia; sia consegnata ad altro destinatario; sia consegnata a domicilio; sia gravata di assegno (o il medesimo venga annullato o variato); non sia consegnata al destinatario fino a nuovo avviso; sia affrancata dalle spese di porto; sia inoltrata o fatta proseguire con resa accelerata, cioè con treni viaggiatori o treni merci ad essi equiparati (solo per i trasporti a carro). Non sono ammesse modificazioni diverse o che non riguardino l’intera spedizione. Per comunicare le suddette disposizioni il mittente deve redigere, in due originali, un apposito modello detto appunto “piego disposizioni”, allegando il duplicato della lettera di vettura. Il mittente risponde di tutte le conseguenze di tali modifiche e provvede al pagamento delle relative spese. Nel caso di spedizioni con lettera di vettura non recante l’indicazione del mittente, la facoltà di modificare il contratto di trasporto ferroviario spetta al possessore della ricevuta di spedizione.

  • PIGGY BACK

    Forma di presenza all’estero utilizzata soprattutto dalle piccole imprese, caratterizzata dalla delega della commercializzazione a un’impresa “trainante”, resa possibile grazie alla presenza di un gruppo industriale internazionale che mette a sua disposizione la propria rete commerciale. Ciò può avvenire o nell’ambito di contratti di fornitura di complessi industriali (forma di subfornitura solitamente non duratura), oppure allorché il gruppo si stabilisce all’estero insieme a propri fornitori o subfornitori o, infine, più propriamente, con un accordo di distribuzione commerciale. La rete di vendita all’estero della società trainante, infatti, deve conservare la sua natura e la sua organizzazione del personale, finalizzati alla diffusione del proprio prodotto, evitando, per non nuocere alla propria immagine, di proporre prodotti di bassa qualità e attuando una attenta scelta dell’impresa partner in funzione della sua competitività, della strategia di esportazione e dei legami con la stessa impresa trainante. L’accordo di distribuzione commerciale viene stipulato in base a un contratto e la remunerazione è costituita da una commissione che si avvicina a quella di un agente locale. Tale strategia non richiede investimenti ma non consente neppure un controllo del mercato.

  • PIGNORAMENTO

    Atto con cui ha inizio il procedimento di esecuzione forzata individuale, il cui scopo è quello di assoggettare un determinato bene del debitore all’azione esecutiva del creditore. Le forme in cui si attua il pignoramento sono regolate dal codice di procedura civile, mentre i suoi effetti sostanziali vengono stabiliti dalle norme del codice civile. Riguardo alla forma, premesso che il pignoramento deve essere preceduto dalla notifica al debitore del precetto, esso consiste in un’intimazione fatta dall’ufficiale giudiziario al debitore di astenersi dal compiere qualsiasi atto diretto a sottrarre alla garanzia del creditore il bene esecutato. In particolare, se trattasi di cose mobili, l’ufficiale giudiziario sceglie i beni da pignorare, con l’attribuzione del valore, elencandoli in un processo verbale in cui è indicato il custode degli stessi; se trattasi di immobili l’ufficiale giudiziario provvede a redigere un atto, in cui sono indicati gli immobili, con gli estremi catastali, che viene notificato al debitore e trascritto nei registri immobiliari dal competente conservatore a cui sono consegnate le note di trascrizione; se, infine, trattasi di credito o di cose mobili in possesso di terzi, l’atto, con l’indicazione dei beni pignorati, è notificato al debitore e al terzo, il quale ultimo è tenuto a rendere davanti al pretore la prescritta dichiarazione, in modo che il credito assegnato al creditore precedente o la cosa mobile sia venduta. Minuziose norme sono dettate dal codice di procedura civile in ordine al procedimento, alla conversione del pignoramento e alla mancata o contestata dichiarazione del terzo. Riguardo, poi, agli effetti sostanziali, la regola fondamentale è che il pignoramento segna il momento di inefficacia degli atti compiuti dal debitore o dai terzi che possono essere pregiudizievoli all’interesse del creditore procedente e di quelli intervenuti. A norma degli artt. 2913 e 2914 c.c., non hanno effetto gli atti di disposizione dei beni pignorati compiuti dal debitore dopo il pignoramento, salvi gli effetti dell’acquisto in buona fede di mobili non registrati; non sono altresì opponibili al creditore procedente ed a quelli intervenuti le alienazioni di beni immobili o di beni mobili registrati che siano trascritte dopo l’esecuzione del pignoramento, anche se esse siano anteriori; non sono ugualmente opponibili le cessioni di credito notificate o accettate dal debitore dopo il pignoramento, oltre che in genere gli atti non aventi data certa anteriore al pignoramento e le alienazioni di beni mobili non accompagnate dal trasferimento del possesso.

  • PIGNORAMENTO DI TITOLI

    Primo atto del procedimento esecutivo avente per oggetto un titolo di credito. Poiché il credito è incorporato nel documento, il pignoramento cade su quest’ultimo, onde si fa luogo alla procedura forzata mobiliare e non a pignoramento presso terzi (v. pignoramento). Tuttavia, stante la natura dei beni assoggettati all’esecuzione, per i titoli di credito sono dettate alcune norme particolari. Mentre infatti per le cose mobili vere e proprie viene normalmente nominato un custode che può essere anche il debitore, i titoli di credito debbono essere consegnati dall’ufficiale giudiziario al cancelliere della pretura che li custodisce nei modi stabiliti dal giudice.

  • PIGS

    Acronimo di Portogallo Irlanda Grecia Spagna, creato per descrivere lo stato di crisi di questi paesi. Due di questi sono andati vicini alla bancarotta del 2010 (Grecia e Irlanda). L'uso di questo acronimo è stato limitato in alcuni stati, poiché particolarmente offensivo (Pigs in lingua inglese significa maiali).
    Redattore: Chiara OLDANI
    © 2010 ASSONEBB

  • PIN PAD

    Dispositivo costituito come minimo da una tastiera e un display, utilizzato negli ATM e nei terminali POS per digitare il codice segreto. Tale dispositivo può includere anche particolari accorgimenti per rendere impossibile catturare le informazioni digitate (utilizzando metodi crittografici e di protezione fisica) e vengono detti PIN PAD sicure.

  • PIVOT

    Analisi tecnica. Tecnica utilizzata per prevedere il prezzo massimo ed il prezzo minimo del periodo osservato (giornaliero, settimanale mensile).

  • PLAFOND

    Lett.: soffitto piatto (dal fr. plat e fond). Limite massimo imposto dal Governo o da un’altra autorità a prezzi, salari, produzioni particolari, redditi (in ragione di un’esenzione, o di un’imposizione fiscale o contributiva, o per il godimento di certi benefici) ecc. Sin.: tetto, massimale (q.v.), o, dall’ingl., ceiling. Hanno avuto particolare importanza come strumento di politica monetaria i plafond del controllo amministrativo del credito esercitato in passato attraverso il massimale sugli impieghi e il plafond del massimale di risconto, oltre il quale la Banca d’Italia non accoglieva le richieste di risconto e di anticipazione (v. massimale).

  • PLAIN VANILLA

    Lett.: semplice vaniglia (il gusto vaniglia semplice di un gelato). Espressione di gergo americano che indica prodotti finanziari convenzionalmente ritenuti di composizione semplice, al contrario di altri prodotti visti come complicati e detti perciò exotic. Sono detti plain vanilla i contratti di interest rate swap nella loro struttura più semplice, definita da una serie di elementi standardizzati, le polizze vita con modeste componenti finanziarie, i fondi d’investimento specializzati in imprese a basso rischio, con elevata distribuzione di dividendi e in strumenti di mercato monetario (plain vanilla fund), le classi di collateralized mortgage obligations e in genere di assetbacked securities che rimborsano il capitale a una scadenza prestabilita. Il concetto di plain vanilla è molto relativo e non esiste una lista precisa di transazioni definite tali una volta per tutte. Col tempo l’opinione può cambiare e ciò che appariva complesso ieri può esser visto come semplice oggi.

  • PLAIN VANILLA FUND

    Fondo comune d’investimento operante sul mercato statunitense, specializzato in imprese a basso rischio e con elevata distribuzione di dividendi oltre che in strumenti di mercato monetario (titoli pubblici, accettazioni bancarie, carta commerciale ecc.)ed obbligazioni. L’obiettivo primario è quello di ottenere rendimenti solo leggermente superiori a quelli di mercato, con un profilo di rischio però molto più contenuto. Tale tipologia di fondo coincide, in gran parte, con quella maggiormente tipica del balance fund.

  • PLAN D'ÉPARGNE RETRAITE

    Formula per l’accumulazione del risparmio individuale a fini di previdenza integrativa introdotta in Francia nel 1987 ed avviata operativamente nel 1988. Consiste nel versamento periodico, in un apposito conto, di somme destinate all’impiego in prevalenza mobiliare e/o assicurativo. Le somme così accantonate risultano vincolate con il meccanismo dell’agevolazione/penalizzazione fiscale all’epoca dello smobilizzoin età pensionabile (oltre il sessantesimo anno di età). Tale formula non rappresenta una novità né sotto il profilo della tecnica dell’agevolazione fiscale né sotto quello della tecnica finanziaria (modalità di accumulazione ed utilizzo del capitale), ma rappresenta un elemento innovativo nel contesto istituzionale francese nell’aspetto delle agevolazioni fiscali accordate all’investimento mobiliare finalizzato alla previdenza integrativa individuale. I titolari di un Plan d’épargne retraite possono dedurre annualmente dal reddito imponibile fino a 6.000 franchi se nubili e 12.000 se coniugati, con ulteriori maggiorazioni in caso di figli a carico. La possibilità di godere di tali benefici è subordinata al rispetto di una serie di condizioni afferenti ai seguenti profili: modalità di avvio ed alimentazione del piano; impieghi del piano (almeno il 75% deve essere composto da valori mobiliari quotati presso le borse francesi e, entro certe condizioni, al terzo mercato, ovvero da quote di società e fondi d’investimento cui patrimonio rispetti il medesimo requisito di composizione); modalità di gestione degli investimenti; modalità di uscita dal piano; organismi abilitati all’offerta del piano e modalità per la vendita a domicilio.

  • PLANNED AMORTIZATION CLASS BONDS

    Titoli originati da una particolare strutturazione in classi delle emissioni di collateralized mortgage obligations, cui è associata una riduzione dell’incertezza dei flussi connessi al fenomeno dei rimborsi anticipati. Questi ultimi, infatti, anziché essere allocati pro rata sulla classe a più breve scadenza tra quelle in circolazione, vengono destinati, secondo il previsto piano di ammortamento, ai titoli della classe PAC, mentre il residuo viene allocato con le usuali modalità alla classe a scadenza minore. In conseguenza della maggior protezione dal rischio dei rimborsi anticipati, i titoli della classe PAC beneficiano normalmente di un coupon inferiore rispetto alle altre classi di titoli, ed il loro prezzo di emissione è vicino al valore nominale.

  • PLATFORM ON SUSTAINABLE FINANCE

    Abstract
    La Platform on Sustainable Finance, un organo consultivo della Commissione Europea costituito daesperti, ha l’obiettivo principale di supportare la Commissione europea su diversi compiti e temi relativi allo sviluppo delle sue politiche di finanza sostenibile al fine di raggiungere sia gli obiettivi del Taxonomy Regulation dell'UE, sia gli obiettivi del Green Deal europeo, realizzando una ripresa sostenibile dalla crisi COVID-19. La piattaforma sulla finanza sostenibile aiuta la commissione nella preparazione tecnica degli atti delegati, al fine di attuare la tassonomia dell'Unione Europea.

    Cos’è la Platform on Sustainable Finance?
    La Platform on Sustainable Finance è un organo consultivo della Commissione europea composto da esperti. La piattaforma sulla finanza sostenibile svolge un ruolo chiave nel consentire la cooperazione e il dialogo tra un'ampia gamma di parti interessate del settore pubblico e privato, riunendo le migliori competenze sulla sostenibilità del mondo delle imprese e del settore pubblico, dell'industria e del mondo accademico, della società civile e del settore finanziario. Costituita come gruppo permanente di esperti della Commissione europea, istituito ai sensi dell'articolo 20 della Taxonomy Regulation dell’Unione Europea, essa ha il fine di assistere la Commissione Europea nello sviluppo delle sue politiche di finanza sostenibile al fine di raggiungere sia gli obiettivi del Taxonomy Regulation dell'UE, sia gli obiettivi del Green Deal europeo, realizzando una ripresa sostenibile dalla crisi COVID-19.

    Cosa fa la piattaforma?
    Sulla base del mandato conferito alla Platform on Sustainable Finance (art. 20 della Taxonomy Regulation dell’Unione Europea), i membri e gli osservatori hanno iniziato a lavorare su quattro compiti principali per raggiungere gli obiettivi chiave dichiarati. I primi tre compiti riguardano l’offerta di servizi di consulenza alla Commissione europea circa:
    •    i criteri di screening tecnico per la tassonomia dell'UE;
    •   revisione della Taxonomy Regulation dell’Unione Europea e della copertura di altri obiettivi di sostenibilità, compresi l’individuazione di obiettivi sociali e di attività che danneggiano in modo significativo l'ambiente;
    •    l’individuazione di una politica di finanza sostenibile, intesa in senso ampio.
    Il quarto compito della Platform on Sustainable Finance si riferisce più nello specifico al monitoraggio e alla costruzione di un flusso informativo con la Commissione Europea circa i movimenti di capitali che coinvolgono investimenti sostenibili.

    Come è organizzata e chi compone la Platform on Sustainable Finance
    La piattaforma ha, in linea di principio, una durata illimitata, tenendo conto dei diversi compiti previsti dalla Taxonomy Regulation dell’Unione Europea e della necessità di modificare i criteri di vaglio tecnico della tassonomia nel tempo, al fine di riflettere i cambiamenti ambientali, legislativi e/o gli sviluppi tecnologici.
    La Platform on Sustainable Finance opera secondo una composizione plenaria composta da 57 membri e da 11 osservatori, organizzati in sottogruppi specializzati, all’interno dei quali viene svolto il lavoro tecnico di elaborazione di pareri, rapporti o raccomandazioni dell’Unione Europea. La plenaria funge da forum per garantire che vengano creati collegamenti appropriati tra i sottogruppi pertinenti e per approvare formalmente i pareri e le relazioni della piattaforma.
    Essa è presieduta da un presidente (attualmente, Nathan Fabian, Chief Responsible Investment Officer, dei Principles for Responsible Investment (PRI)). La Figura 1 rappresenta l’organigramma della Platform on Sustainable Finance

    Figura 1. Organigramma della Platform on Sustainable Finance

    Fonte: Commissione Europea, 2021

    Una rappresentazione ampia ed equilibrata delle parti interessate, delle competenze e delle prospettive consente alla piattaforma di:
    •     sviluppare la propria consulenza sulla base di prove scientifiche, competenze e una profonda esperienza pratica
    •    raccomandare criteri di screening tecnico per una tassonomia dell'UE che sia utilizzabile e in linea con il progetto del Green Deal europeo.
    La piattaforma riunisce esperti mondiali di sostenibilità di tutti i gruppi di stakeholder: stakeholder privati dei settori finanziario, non finanziario e imprenditoriale, ONG e società civile, università e gruppi di riflessione, esperti a titolo personale, istituzioni pubbliche sovranazionali e internazionali.
    I 57 membri della piattaforma sono così composti:
    •    50 membri selezionati tra più di 500 candidature altamente qualificate presentate rispondendo ad un invito pubblico, in base alle loro competenze in materia di ambiente, finanza sostenibile e competenze in materia di diritti sociali / umani;
    •    7 membri di enti pubblici nominati direttamente ai sensi dell'articolo 20 del regolamento sulla tassonomia:
      o    l’European Environment Agency (o Agenzia europea dell'ambiente);
      o    l’European Investment Bank, (Banca europea per gli investimenti, BEI),
      o    l’European Investment Fund (o Fondo europeo per gli investimenti, FEI);
      o    le tre agenzie europee di vigilanza, quali:
            °    l’European Banking Authority (EBA);
            °    l’European Securities and Markets Authority (ESMA);
            °    l’European Insurance and Occupational Pensions Authority (EIOPA));
      o    l'European Agency for Fundamental Rights (o Agenzia europea per i diritti fondamentali).
    •    11 osservatori invitati.
    I 50 membri selezionati della piattaforma hanno un mandato limitato a due anni. Trascorso il biennio, la Commissione avrà la possibilità di prorogare il mandato o di nominare nuovi membri.
    Attualmente sono previsti sei sottogruppi per preparare il lavoro tecnico in base alla varietà di compiti, alle scadenze indicate dal mandato e ai diversi tipi di abilità e competenze necessarie. Nello specifico:
      o    il sottogruppo 1 chiamato “Technical Working Group” è composto da 32 membri e 3 osservatori e si occupa di: i) fornire consulenza alla Commissione sui criteri e sull'eventuale necessità di aggiornare tali criteri; ii) analizzare l'impatto dei criteri di screening tecnico in termini di potenziali costi e benefici e di iii) assistere la Commissione nell'analisi delle richieste delle parti interessate di sviluppare una determinata attività economica in linea con i criteri delineati;
      o    il sottogruppo 2 dedicato alla revisione della regolamentazione sarà nominato a partire dalla seconda metà del 2021 e si occuperà di informare la Commissione sull'eventuale necessità di modificare la Taxonomy Regulation in base ai lavori dei sottogruppi 3 e 4;
      o    il sottogruppo 3 sulle attività a basso impatto o a impatto negativo è composto da 9 membri e 3 osservatori e ha la funzione di aiutare la Commissione a sviluppare la tassonomia relativa alle attività economiche che non hanno un impatto significativo sulla sostenibilità ambientale e alle attività economiche che danneggiano in modo significativo la sostenibilità ambientale;
      o    il sottogruppo 4 sulla tassonomia sociale, formato da 8 membri e 2 osservatori, supporta la Commissione circa l’estensione della tassonomia agli obiettivi sociali e il rispetto delle garanzie sociali minime;
      o    il sottogruppo 5 sui dati e sull’usabilità dei criteri è composto da 13 membri e 6 osservatori e si occupa di raccogliere i dati, esprimere pareri sugli standard contabili e di rendicontazione sostenibile e di fornire una valutazione circa lo sviluppo di questioni di politica di finanza sostenibile;
      o    il sottogruppo 6 sul monitoraggio dei flussi di capitale sarà nominato come il sottogruppo 2 nella seconda metà del 2021 e si occuperà di monitorare e riferire regolarmente alla Commissione europea a proposito delle tendenze relative ai flussi di capitale verso investimenti sostenibili.
    Dei sei sottogruppi, il sottogruppo 2 e il sottogruppo 6 è previsto che inizino i lavori nella seconda metà 2021.

    Bibliografia
    https://ec.europa.eu/info/business-economy-euro/banking-and-finance/sustainable-finance/overview-sustainable-finance/platform-sustainable-finance_en
    https://ec.europa.eu/info/business-economy-euro/banking-and-finance/sustainable-finance/eu-taxonomy-sustainable-activities_en
    https://ec.europa.eu/info/law/sustainable-finance-taxonomy-regulation-eu-2020-852_en
    https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_en
    PLATFORM ON SUSTAINABLE FINANCE (2021), Report on transition finance, https://ec.europa.eu/info/sites/default/files/business_economy_euro/banking_and_finance/documents/210319-eu-platform-transition-finance-report_en.pdf
    EUROPEAN COMMISSION (2019), The European Green Deal, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?qid=1576150542719&uri=COM%3A2019%3A640%3AFIN
    EUROPEAN COMMISSION (2019), Natural Capital Accounting in the European Union, https://ec.europa.eu/environment/nature/capital_accounting/pdf/MAES_INCA_2019_report_FINAL-fpub.pdf
    EUROPEAN COMMISSION (2019), EU Guidance document on integrating ecosystems and their services in decision-making – Part I,  https://ec.europa.eu/environment/nature/ecosystems/pdf/SWD_2019_305_F1_STAFF_WORKING_PAPER_EN_V2_P1_1042629.PDF
    EUROPEAN COMMISSION (2019), EU Guidance document on integrating ecosystems and their services in decision-making – Part II, https://ec.europa.eu/environment/nature/ecosystems/pdf/SWD_2019_305_F1_STAFF_WORKING_PAPER_EN_V2_P2_1042629.PDF
    EUROPEAN COMMISSION (2019), EU Guidance document on integrating ecosystems and their services in decision-making – Part III, https://ec.europa.eu/environment/nature/ecosystems/pdf/SWD_2019_305_F1_STAFF_WORKING_PAPER_EN_V2_P3_1042629.PDF
    EUROPEAN COMMISSION (2020), Sustainable Europe Investment Plan, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A52020DC0021
    UNIONE EUROPEA (2020), Next Generation EU, https://ec.europa.eu/info/strategy/recovery-plan-europe_it#nextgenerationeu
    MACCHIAVELLO E. e SIRI M. (2020), Sustainable Finance and Fintech: Can Technology Contribute to Achieving Environmental Goals? A Preliminary Assessment of "Green FinTech", European Banking Institute Working Paper Series 2020 – no. 71, Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=3672989 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3672989
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    PYKAI. e NOCON A. (2021), Banks’ Capital Requirements in Terms of Implementation of the Concept of Sustainable Finance. Sustainability, Vol. 13, pp. 3499, https://doi.org/10.3390/su13063499
    CHATZIMENTOR A., APOSTOLOPOULOU E. e MAZARIS A. D., (2020), A review of green infrastructure research in Europe: Challenges and opportunities, Landscape and Urban Planning, Volume 198, https://doi.org/10.1016/j.landurbplan.2020.103775
    CARINCI F. (2015), Essential levels of health information in Europe: An action plan for a coherent and sustainable infrastructure, Health Policy, Volume 119, Issue 4, pp. 530-538 https://doi.org/10.1016/j.healthpol.2014.11.016

    Redattore:  E.  Anna GRAZIANO




  • PLATINO

    Metallo nobile, di colore biancogrigio, lucente, duttile e malleabile. In natura è associato agli elementi del suo gruppo (rutenio,rodio, palladio, osmio e iridio), al rame, al ferro, all’oro ecc. Il più grande giacimento del mondo si trova negli Urali. Giacimenti di una certa importanza si trovano anche in altre aree, tra cui quelle del Canada, della California e del Brasile. Il 60% della produzione è destinato all’industria, in primo luogo quella chimica e quella elettrica. Il 40 % è destinato all’oreficeria. I campioni dei pesi e delle misure custoditi a Parigi a cura dell’apposita Commissione internazionale sono di platino in lega con l’iridio. Nonostante il suo elevato valore intrinseco, il platino non ha trovato spazio negli usi monetarti, salvo un breve periodo in Russia al tempo degli zar. La circolazione delle monete di platino non riscosse il successo sperato, non avendo forse il colore caldo delle monete d’oro e il caratteristico suono di quelle d’argento

  • PLAZA AGREEMENT

    Accordo concluso tra i maggiori Paesi industrializzati nel settembre 1985 in una riunione tenuta all’Hotel Plaza di New York. I partecipanti concordarono con gli USA che giudicavano la quotazione del dollaro troppo elevata. Le banche centrali intervennero per aiutare la valuta statunitense a scendere e rapidamente marco tedesco e yen giapponese si apprezzarono.

  • PLURALITÀ DEI CONTI

    Insieme di rapporti che un cliente intrattiene con la stessa banca, attraverso l’accensione di conti distinti. I conti possono essere diversamente classificati e avere varia natura (accanto ad un conto corrente bancario può esserne costituito uno di deposito). La molteplicità dei conti non implica però la loro compensabilità, essendo intrinseca alla loro natura la rispettiva indipendenza. Solo nel caso in cui i conti siano chiusi, i saldi relativi si compensano anche se espressi in monete diverse e una clausola specifica è sovente compresa nella normativa contrattuale.

  • PLUSVALENZA

    Componente positivo di reddito che si ottiene cedendo un’immobilizzazione ad un prezzo superiore al valore netto contabile, cioè al costo di acquisto o fabbricazione rettificato dell’ammortamento. Le plusvalenze si distinguono in ordinarie e straordinarie secondo che si riferiscano ad un’immobilizzazione della gestione tipica o ad investimenti accessori o siano conseguenti ad operazioni straordinarie come la cessione d’azienda ecc.

  • PLUSVALENZA, REGIME FISCALE

    Aumento del valore di un bene dovuto a cause diverse, in genere non dipendenti dall’attività del soggetto che lo possiede, quale, p.e., un aumento nel livello generale dei prezzi. La plusvalenza può dare luogo all’applicazione della imposta sul reddito quando e nella misura in cui, rispetto al valore capitale di riferimento determinato dalla legge, a essa debba riconoscersi natura di reddito conseguito in occasione di un momento o evento impositivo, coincidente, in genere, con l’alienazione del bene. Il plusvalore immobiliare, che è soggetto a una diversa forma d’imposizione (INVIM), si designa più propriamente come incremento di valore. La plusvalenza, agli effetti dell’applicazione dell’IRPEF concorre alla formazione del reddito complessivo nella categoria dei redditi diversi sempre che non risulti componente positivo del reddito d’impresa La condizione per il concorso della plusvalenza alla formazione del reddito d’impresa è, di norma, quella del suo realizzo mediante cessione del bene a titolo oneroso (corrispettivo in denaro o in natura). Con l. 27.12.1997 n. 449, è stata abrogata la lettera c) dell’art. 54, TUIR, che prevedeva l’inclusione nel reddito imponibile delle plusvalenze iscritte nello stato patrimoniale, consentendo così la tassazione dei plusvalori latenti dei beni appartenenti all’impresa in occasione della rivalutazione dei medesimi posta in essere dall’imprenditore attraverso, appunto, la citata iscrizione. Il periodo d’imposta al quale deve essere imputata è quello di realizzo. Per il calcolo si ha riguardo al maggior valore realizzato rispetto all’ultimo valore riconosciuto ai fini dell’imposta sul reddito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione (compresa l’INVIM).

  • POINT OF SALE - POS

    Acr. di: Point Of Sale; lett.: punto di vendita. Apparecchiatura automatica collocata presso gli esercizi commerciali mediante la quale è possibile effettuare, con carta di debito o carta di credito, il pagamento di beni o servizi. L’apparecchiatura consente il trasferimento delle informazioni necessarie per l’autorizzazione e la registrazione, in tempo reale o differito, del pagamento sui conti del portatore della carta e dell’esercente. Il primo POS è stato installato da VISA USA nel 1979.

  • POLITICA DEI REDDITI

    Trad. dell’ingl. income policy. Particolare politica, spesso associata a un controllo dei prezzi, per l’autodisciplina delle c.d. parti sociali in modo da impedire o imbrigliare l’inflazione. Consiste generalmente in un accordo tra Governo, imprenditori e lavoratori per contenere gli aumenti monetari dei redditi di lavoro dipendente entro un tetto non superiore all’aumento della produttività media delle imprese. Questo limite è giudicato compatibile con la stabilità monetaria, in quanto, se salari e produttività crescono allo stesso ritmo, le imprese mantengono i loro margini di profitto e non sono indotte ad aumentare i prezzi. L’accordo si accompagna all’autodisciplina da parte degli imprenditori, che si impegnano a non aumentare i prezzi.

  • POLITICA DI BILANCIO

    Scelte dell’alta direzione di un’impresa al momento della stesura del bilancio e della determinazione del risultato di esercizio. Questa è influenzata da diverse poste contenenti valori stimati o congetturati (p.e. rimanenze, ammortamenti, accantonamenti a fondo rischi e a fondo svalutazione crediti, costi capitalizzabili) nel cui apprezzamento si ha legittimamente un certo grado di discrezionalità finché si rimane nell’ambito della ragionevolezza, della correttezza contabile e della rappresentazione veritiera della situazione patrimoniale, economica e fi- nanziaria dell’impresa, cioè nell’applicazione dei principi di redazione del bilancio (art. 2423 bis c.c.), nelle norme in materia di valutazione (art. 2426 c.c.) e dei principi contabili. Con questi legittimi margini di manovra l’alta direzione ha una certa libertà nel determinare la struttura dello stato patrimoniale, del conto economico e del risultato di esercizio secondo i suoi obiettivi in materia di distribuzione di dividendi (politica dei dividendi), quotazione ecc.

  • POLITICA DI COESIONE: PRIORITA' E INVESTIMENTI DELL'UNIONE EUROPEA NELLA PROGRAMMAZIONE 2014-2020 (ENCICLOPEDIA)

    Abstract

    La politica di coesione, definita anche politica regionale, si configura come principale politica comunitaria utilizzata per ridurre le disparità di sviluppo fra le regioni degli Stati membri nonchè come il più importante strumento d’investimento dell’Unione europea. La politica di coesione è ripartita in cicli di programmazione della durata di 7 anni. La normativa che disciplina l’ultimo ciclo di investimenti relativi al periodo 2014-2020 è stata adottata nel dicembre 2013 dal Consiglio dell’Unione europea con lo stanziamento di 351,8 miliardi di euro, circa un terzo del bilancio Ue, ai quali si aggiunge il cofinanziamento dei singoli Stati membri. L’attuazione della politica di coesione e l’utilizzo delle risorse a disposizione passa attraverso tre fondi principali Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), Fondo sociale europeo (FSE), Fondo di coesione. In base alle priorità individuate, queste risorse saranno utilizzate per finanziare infrastrutture di trasporto e comunicazione, per sostenere le piccole e medie imprese (PMI) nei processi di innovazione e competitività, per generare posti di lavoro, per rafforzare e modernizzare i sistemi d’istruzione e per creare inclusione sociale. L’obiettivo ultimo di questa nuova programmazione della politica di coesione, in accordo con la strategia “Europa 2020”, è di ottenere una crescita inclusiva, intelligente e sostenibile.

    Normativa UE

    La politica di coesione trae origine sin dal Trattato di Roma (1957). Nel suo preambolo, infatti, si fa espressamente riferimento alla necessità di "rafforzare l’unità delle loro economie e di assicurarne lo sviluppo armonioso riducendo le disparità fra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite". Più recentemente la politica di coesione trova legittimazione in 5 articoli, dal 174 al 178, del Trattato di Lisbona (2010).

    Ripartita in cicli di programmazione della durata di 7 anni, le risorse della politica di coesione si basano sul Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) che stabilisce la pianificazione finanziaria dell’Unione europea.

    Sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, serie L 347 del 20 dicembre 2013 sono stati pubblicati i Regolamenti sui Fondi strutturali e di investimento europei (SIE) per il nuovo periodo di programmazione 2014-2020. Il prossimo ciclo di programmazione è, di fatto, regolamentato dalle seguenti nuove norme:

    N°1 Regolamento contenente le disposizioni comuni: sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (Regolamento UE n. 1303/2013). Il Regolamento prevede l’adozione, da parte della Commissione europea, del Quadro Strategico Comune (QSC), volto a tracciare le linee guida per la definizione delle priorità di investimento per gli Stati membri e per le Regioni, nonché le modalità di attuazione della politica di coesione;

    N° 5 Regolamenti specifici relativi a ciascun fondo: FESR (Regolamento UE n. 1301/2013), FSE (Regolamento UE n. 1304/2013) Fondo di coesione (Regolamento UE n. 1300/2013), FEASR (Regolamento UE n. 1305/2013), FEAMP (Regolamento in attesa di approvazione e pubblicazione);

    N° 2 Regolamenti specifici relativi a: obiettivo di "cooperazione territoriale europea" Regolamento (UE) n. 1299/2013 e gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT) Regolamento (UE) n. 1302/2013.

    Funzionamento politica di coesione: ruolo Commissione, Stati membri e Regioni

    La politica di coesione è caratterizzata da un processo di governance basato sul lavoro sinergico tra Commissione europea, Stati membri e autorità locali. Nell’implementazione di tale politica pertanto si susseguono diverse fasi che coinvolgono, con grado diverso, tali attori.

    Una prima fase preliminare è legata all'individuazione delle aree destinatarie dei finanziamenti (regioni). Il livello di sostegno nell'attribuzione dei fondi e il contributo nazionale o "tasso di cofinanziamento" da destinare ad ogni singola regione in cui è suddivisa l’Unione europea dipende dal loro sviluppo economico. La classificazione delle regioni (Figura 1) riguarda tre livelli individuati in base al Pil pro capite delle stesse:

    - Regioni meno sviluppate (pil/pro capite < 75 % della media ue-27);

    - Regioni in fase di transizione (pil/pro capite fra 75 % e 90 % della media ue-27);

    - Regioni più sviluppate (pil/pro capite > 90 % della media ue-27).

    Figura 1: Classificazione Regioni Unione Europea per Pil pro capite

    Fonte: Commissione europea

     

    Oltre all'individuazione delle regioni in cui destinare i fondi, l’implementazione della politica di coesione si caratterizza di ulteriori fasi. Nello specifico, il bilancio e le norme che ne regolamentano l’utilizzo sono approvati di comune accordo dal Parlamento europeo e dal Consiglio dei ministri dell’Ue sulla base di una proposta della Commissione. Vengono adottate disposizioni comuni a cui si aggiungono norme specifiche per ciascun fondo FESR, FSE, FC, FEASR e FEAMP (per le norme relative alla programmazione 2014-2020 vedi sopra paragrafo Normativa Ue).

    Una terza fase può essere individuata nella formulazione delle priorità della politica di coesione sulla base delle consultazioni tra Commissione e Stati membri. Per quest’ultimo motivo, per l’attuazione della politica di coesione è necessario un “Accordo di Partenariato” tra il paese membro e la Commissione Europea. Nello specifico, l’accordo di partenariato è il documento predisposto da uno Stato membro in collaborazione con le istituzioni di livello centrale dell’Unione Europea e quelle locali, che definisce strategie, metodi e priorità di spesa. Ogni Stato membro redige quindi un accordo di partenariato e propone un elenco di Programmi Operativi (PO) ripartendo gli obiettivi in aree d’azione concrete. I PO possono riguardare interi paesi o intere regioni dell’Ue, ma anche attività di cooperazione che interessano più di un paese.

    Successivamente, la Commissione negozia il contenuto definitivo dei piani d’investimento (accordo di partenariato e PO) con le autorità nazionali e regionali. Il negoziato con lo Stato membro si conclude con l’approvazione dell’accordo di partenariato da parte della Commissione europea.

    Nell’ultima fase, quella di realizzazione, i PO specifici vengono attuati dai paesi dell’Ue e dalle loro regioni. Ciò significa selezionare, monitorare e valutare centinaia di migliaia di progetti. Il lavoro è organizzato da "autorità di gestione" in ciascun paese poichè la Commissione mette a disposizione i finanziamenti complessivi, ma spetta ai paesi membri, attraverso i loro organismi regionali e nazionali accreditati dall’Ue, effettuare i pagamenti diretti e individuali ai beneficiari dei singoli progetti.

    Programmazione 2014-2020: prioritá, investimenti e fondi destinati

    La politica di coesione è la principale politica di investimento dell’Unione europea poiché impegna circa un terzo del suo bilancio totale. Numerose sono le novità rispetto al periodo di programmazione precedente 2007-2013, come l’introduzione di un insieme di norme unico per tutti i fondi, l’introduzione di prerequisiti da soddisfare prima della canalizzazione dei finanziamenti, il potenziamento della dimensione urbana e della lotta per l’inclusione sociale, la possibilità di sospendere l’erogazione dei contributi allo Stato membro che non rispetta le norme di carattere economico dell’Unione europea, ma più di tutte risulta fondamentale l'allineamento della nuova politica di coesione alla strategia “Europa 2020”. La programmazione 2014-2020 della politica di coesione, infatti, mette a disposizione il quadro generale di investimento (Quadro Strategico Comune) e il sistema di assegnazione necessari per raggiungere gli obiettivi della strategia “Europa 2020”, mobilitando fino a 351,8 miliardi di euro destinati alle regioni, alle città dell'UE e all'economia reale (come mostrato dal Grafico 1). La politica di coesione è, inoltre, un catalizzatore di ulteriori finanziamenti pubblici e privati, considerati i quali, si prevede un impatto della politica di coesione per il periodo 2014-2020 quantificabile in circa 500 miliardi di EUR.

    Grafico 1: Fondi della Politica di coesione 2014-2020

    Fonte: Commissione europea

     

    Gli investimenti predisposti dalla nuova programmazione contribuiranno allo sviluppo in diversi settori chiave dell’economia, quali istruzione, occupazione, energia, ambiente, mercato unico, ricerca e innovazione.

    Per far ciò la politica di coesione stabilisce 11 obiettivi tematici a sostegno della crescita per il periodo 2014-2020:
     1. rafforzare la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione;
     2. migliorare l’accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), nonché il      loro utilizzo e qualità;
     3. migliorare la competitività delle PMI;
     4. sostenere la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio;
     5. promuovere l’adattamento ai cambiamenti climatici e la prevenzione e la gestione dei rischi;
     6. preservare e tutelare l’ambiente e promuovere l’efficienza delle risorse;
     7. promuovere il trasporto sostenibile e migliorare le infrastrutture di rete;
     8. promuovere l’occupazione sostenibile e di qualità e sostenere la mobilità dei lavoratori;
     9. oromuovere l’inclusione sociale e lottare contro la povertà e qualsiasi discriminazione;
    10. investire in istruzione, formazione e apprendimento permanente;
    11. migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione.

    Gli investimenti del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) finanziano tutti gli 11 obiettivi, ma quelli da 1 a 4 costituiscono le principali priorità di investimento. Le principali priorità del Fondo sociale europeo (FSE) sono gli obiettivi da 8 a 11, ma il fondo finanzia anche quelli da 1 a 4. Infine il Fondo di coesione finanzia gli obiettivi da 4 a 7 e 11.

    La politica di coesione e l’Italia

    L’accordo di partenariato tra Italia e Commissione europea è stato approvato il 29 ottobre 2014 e ha definito la strategia per l’utilizzo dei Fondi strutturali e di investimento europei nei prossimi 7 anni di programmazione della Politica di coesione. Le priorità italiane indivuate nell’accordo di partenariato riguardano: lo sviluppo di un ambiente imprenditoriale favorevole all’innovazione, la realizzazione di infrastrutture a elevate prestazioni e la gestione efficiente delle risorse naturali, l’aumento del livello di partecipazione al mercato del lavoro, la promozione dell’inclusione sociale e il miglioramento qualitativo del capitale umano, la qualità, l’efficacia e l’efficienza della pubblica amministrazione.

    Nel periodo 2014-2020, l’Italia gestirà oltre 60 Programmi Operativi Regionali e 14 Programmi Operativi Nazionali per circa 44 miliardi di euro. Questa cifra fa dell’Italia il secondo Stato membro della Ue per dotazione di bilancio, dopo la Polonia (come mostrato nel Grafico 2).

    Grafico 2: Dotazioni di bilancio per Stato Membro

    Fonte: Commissione europea

     

    Dei 44 miliardi complessivi, 32,2 miliardi derivano dai Fondi di coesione (20,6 miliardi dal FESR - Fondo europeo di sviluppo regionale, 10,4 miliardi dal FSE - Fondo sociale europeo, 1,1 miliardi per la cooperazione territoriale europea e 567 mln della YEI, l'iniziativa a favore dell'occupazione giovanile) che si vanno a sommare ai 10,4 miliardi del FEASR - Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e ai 537 mln del FEAMP - Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca.

    I Fondi di coesione verranno distribuiti tra le regioni, con maggior incidenza sulle aree più svantaggiate:

    - 22,2 miliardi di euro alle regioni meno sviluppate (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia); - 1,3 miliardi di euro alle regioni in transizione (Sardegna, Abruzzo e Molise); - 7,6 miliardi di euro alle regioni più sviluppate (Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Provincia di Bolzano, Provincia di Trento, Friuli Venezia-Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Lazio).

     

    Bibliografia

    COMISSIONE EUROPEA (2010), “Bilancio della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato Delle Regioni, Bruxelles, http://ec.europa.eu/europe2020/pdf/europe2020stocktaking_it.pdf
    COMMISSIONE EUROPEA (2012), “Elementi di un quadro strategico comune 2014 - 2020 per il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo sociale europeo, il Fondo di coesione, il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca”, documento di lavoro dei servizi della Commissione, Bruxelles
    COMMISSIONE EUROPEA DG COMUNICAZIONE E INFORMAZIONI PER I CITTADINI (2014), "Politica regionale”, paper, Lussemburgo Commissione Europea, website, http://ec.europa.eu/
    DIPARTIMENTO PER LO SVILUPO E LA COESIONE ECONOMICA, “Accordo di partnernariato dell’Italia 2014-2020”, http://www.dps.gov.it/it/AccordoPartenariato Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica, website, http://www.dps.gov.it/
    GAZZETTA UFFICIALE DELL'UNIONE EUROPEA, “Regolamento n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio”, 17 dicembre 2013, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32013R1303
    PARLAMENTO EUROPEO (2013), “2014-2020 Multiannual Financial Framework (MFF)”, http://www.europarl.europa.eu/RegData/bibliotheque/briefing/2013/130627/LDM_BRI(2013)130627_REV1_EN.pdf Unione Europea, website, http://europa.eu/

     

    Autore: Giovanni AVERSA

  • POLITICA DI STABILIZZAZIONE DEI DIVIDENDI

    Seguita dalle imprese quotate, tende a mantenere stabile nel tempo l’ammontare del dividendo distribuito annualmente agli azionisti, indipendentemente dai risultati dell’esercizio. In caso di utile netto insufficiente, si mantiene lo stesso dividendo dell’esercizio precedente utilizzando riserve disponibili. In caso di risultato particolarmente favorevole, invece, si aumenterà l’ammontare dell’utile rinviato a nuovo.

  • POLITICA ECONOMICA

    1. Studio e descrizione dei principi e delle tecniche economiche con cui il Governo realizza obiettivi definiti politicamente rilevanti dai poteri costituzionali competenti. L’espressione indica anche le scelte e i programmi di un Governo per la realizzazione di questi obiettivi. Si distingue in politica fiscale e politica monetaria. Gli obiettivi differiscono a seconda che il Paese sia in stato di pace o di guerra o di preparazione alla guerra e sia amministrato da un regime oligarchico, dittatoriale o democratico. Generalmente in periodi di pace e di tranquillità sociale si indicano come principali obiettivi di politica economica la stabilità dei prezzi, l’equilibrio della bilancia dei pagamenti e stabilità del cambio, la crescita degli investimenti, lo sviluppo dell’economia, la piena occupazione, cui si aggiungono la ridistribuzione dei redditi e l’eliminazione degli squilibri tra regioni più e meno sviluppate. Difficilmente nel breve periodo questi obiettivi possono essere realizzati tutti insieme. Di regola la gestione della politica economica impone una scelta di un obiettivo prioritario a scapito di altri. Attualmente la politica economica dell’UEM ha un solo obiettivo prioritario, il mantenimento della stabilità dei prezzi, stabilito dagli artt. 4.2 (ex. 3A) e 105 TCE e dall’art. 2 dello statuto del SEBC. A questo obiettivo sono subordinati gli altri. Principi e tecniche variano a seconda dei regimi politici che reggono un Paese e le dottrine economiche dominanti. In regimi di economia socialista centralmente pianificata (v. economie di tipo sovietico; socialismo reale) e di dirigismo fascista prevalgono la proprietà pubblica, in tutto o in parte, dei capitali di produzione e strumenti di controllo amministrativo diretto, gestiti dalla burocrazia statale con l’intromissione e la supervisione del partito al potere. Questi caratteri sono stati presenti anche i Paesi a regime democratico, come quelli occidentali, sorretti dalle teorizzazioni dell’economia politica intorno ai concetti di fallimento del mercato e di necessità di interventi correttivi pubblici. Dopo il 1945 e fino agli anni Ottanta, p.e., il nostro Paese ha conservato e rafforzato il regime dirigista, l’impresa pubblica e i controlli amministrativi diretti, ereditati dal fascismo. Indirizzi simili si sono verificati in altri importanti Paesi occidentali, principalmente in Francia e in UK. Negli ultimi venti anni le dottrine economiche hanno riscoperto i benefici dei meccanismi di mercato e della concorrenza e ciò ha favorito da un lato un processo di deregulation e di privatizzazione delle imprese in mano pubblica e, dall’altro, il prevalere di controlli indiretti sull’economia esercitati attraverso i prezzi e, soprattutto, i tassi di interesse.

    2. Politica economica comunitaria. L’art. 2 TCE fissa i grandi obiettivi verso i quali va orientata la politica economica della Comunità europea: promuovere nell’insieme della Comunità (mediante l’instaurazione di un mercato comune e di un’unione economica e monetaria e mediante l’attuazione di politiche e di azioni comuni) a) uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche; b) una crescita sostenibile e non inflazionistica; c) un elevato grado di convergenza dei risultati economici; d) un elevato livello di protezione dell’ambiente e il miglioramento di quest’ultimo; e) un elevato livello di occupazione e di protezione sociale; f) il miglioramento del tenore e della qualità della vita; g) la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri. Il tutto da realizzare conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo un’efficace allocazione delle risorse. Tutte azioni e tutte le politiche degli Stati membri partecipanti all’Eurosistema (attualmente i 12) e della Comunità sono subordinate dall’art. 4.3 (ex 3A) e dall’art. 98 (ex art. 102A) TCE al rispetto dei quattro principali obiettivi (“principi”) della stabilità dei pezzi, di finanze pubbliche e condizioni monetarie sane e della bilancia dei pagamenti sostenibile. Da notare che il secondo, il terzo e il quarto principio sono condizioni o aspetti del primo. Ciò attribuisce alla politica monetaria (q.v. anche per gli strumenti) una preminenza rispetto alla politica fiscale e a tutte le politiche applicate della Comunità. Gli Stati membri devono considerare le loro politiche economiche una questione di interesse comune, le coordinano nell’ambito del Consiglio e le attuano in modo da contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità. Il “progetto di indirizzi di massima” è elaborato dal Consiglio dell’UE deliberando a maggioranza qualifi cata su raccomandazione della Commissione, sottoposto al Consiglio europeo che lo discute. Sulla base delle conclusioni di questo, il Consiglio dell’UE delibera, infine, a maggioranza qualificata una raccomandazione che definisce gli indirizzi di massima. Il Consiglio informa il Parlamento europeo in merito a tale raccomandazione. Il Consiglio, inoltre, sulla base di relazioni presentate dalla Commissione, sorveglia l’evoluzione economica in ciascuno degli Stati membri e nella Comunità e la coerenza delle politiche economiche con gli indirizzi di massima e procede regolarmente ad una valutazione globale (sorveglianza multilaterale). Per consentire la sorveglianza, gli Stati membri trasmettono alla Commissione le informazioni concernenti le misure di rilievo da essi adottate nell’ambito della loro politica economica, nonché tutte le altre informazioni da essi ritenute necessarie. Se viene accertato che le politiche economiche di uno Stato membro non sono coerenti con gli indirizzi di massima o rischiano di compromettere il corretto funzionamento dell’Unione economica e monetaria, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su raccomandazione della Commissione, può rivolgere allo Stato membro in questione le necessarie raccomandazioni.Il Trattato sull’Unione Europea (trattato di Maastricht del 1992) ha dato corpo alle politiche di convergenza monetaria e fiscale verso condizioni comuni di stabilità e di sviluppo fissando cinque criteri di convergenza monetaria e di convergenza fiscale (art. 121 TCE) dasoddisfare per l’ammissione nell’Eurosistema (v. criteri di convergenza) due dei quali aggregati nel concetto di disavanzo eccessivo (art. 104 TCE), un terzo relativo al raggiungimento di un alto grado di stabilità dei prezzi e altri due transeunti, in quanto relativi all’andamento dei tassi a medio-lungo termine e all’oscillazione del cambio nello SME prima dell’avvio dell’Eurosistema (1°.1.1998).

  • POLITICA FISCALE

    Parte della politica economica che si occupa del governo della domanda aggregata attraverso la manovra della tassazione, della spesa pubblica e, di conseguenza, del disavanzo e del debito pubblico. La gestione del debito pubblico è in comune con la politica monetaria. È detta “fiscale” per traduzione dell’espressione americana fiscal policy, dove fiscal ha un significato più esteso del corrispondente aggettivo italiano (“fiscale” nel linguaggio giuridico ed economico tradizionale del nostro Paese ha un senso limitato a ciò che attiene al Fisco, cioè al prelievo forzoso in denaro dello Stato). La politica fiscale riguarda la gestione della finanza pubblica che negli Stati costituzionali è generalmente sottoposta all’approvazione e al controllo del Parlamento. Nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento prevalevano dottrine per una finanza neutrale, tale cioè da ridurre al minimo le distorsioni causate dall’imposizione di tributi e dalla spesa pubblica. Caratteristiche della finanza neutrale più rigorosa erano la preferenza per l’imposta diretta, la regola del pareggio del bilancio e la concentrazione della spesa in soli tre servizi pubblici (difesa, giustizia, sicurezza pubblica), oltre agli organi costituzionali (cortereale e parlamento). Ogni attività produttiva industriale e commerciale andava rimessa all’iniziativa privata. Di fatto una politica fiscale del genere non è mai stata realmente seguita. I Governi hanno sempre fatto ricorso all’imposizione indiretta, finanziato le grandi opere di pubblica utilità (porti, strade, ferrovie), l’istruzione, l’assistenza, l’industria e l’agricoltura con dazi protettivi, hanno costituito e gestitoimprese pubbliche e hanno portato il bilancio in disavanzo di frequente. I principi della finanza neutrale restavano comunque il punto di riferimento della politica economica dei Governi,da rispettare sempre salvo contingenze straordinarie. A partire dagli anni Quaranta del Novecento hanno preso il sopravvento le dottrine keynesiane (ispirate alla General Theory of Employment, Interest and Money, l’opera pubblicata nel 1936 da John Maynard Keynes, 1883-1946) favorevoli al governo della domanda aggregata attraverso la manovra della tassazione e della spesa anche in disavanzo (deficit spending). Fondamento della dottrina keynesiana della politica di disavanzo era che il deficit spendine favorisce lo sviluppo economico attraverso la stimolazione della domanda aggregata (sempre che l’economia non sia in condizioni di pieno impiego delle risorse e non vi siano strozzature dal lato dell’offerta). La serie degli obiettivi delle politiche di ispirazione keynesiana si è formata nel tempo: inizialmente controllo del ciclo economico (politica fiscale anticiclica; politica di bilancio per la stabilità), poi realizzazione del pieno impiego delle risorse, poi sviluppo del reddito con la politica del doppio bilancio e del bilancio per lo sviluppo pianificato. Con queste due ultime forme ha avuto forte impulso il fenomeno dell’economia mista. Il doppio bilancio prevedeva la distinzione tra spese di bilancio in spese di parte corrente e spese in conto capitale, le prime da mantenere sempre in misura minore delle entrate tributarie o, almeno, in pareggio, le seconde eseguibili in disavanzo finanziato con l’accensione di prestiti per investimenti in “capitale collettivo” capace di rendere utilità e aumentare il benessere per gli anni futuri. La politica del bilancio per lo sviluppo pianificato era pensata per interventi pubblici inseriti nel quadro di una programmazione economica. Essa è stata la bandiera di battaglia di tutti i partiti di sinistra e peronisti negli anni Sessanta e Settanta in Europa occidentale e nell’America latina, non ha mai avuto una teorizzazione unitaria, l’unico comun denominatore essendo la dichiarazione dell’obbligo dello Stato di assumersi la responsabilità di promuovere e guidare lo sviluppo economico in un ambito di economia mista. Nel nostro Paese una politica fiscale avvicinabile a quella del doppio bilancio è stata adottata negli anni Sessanta con la formazione dei primi governi di centro-sinistra e una politica del bilancio per lo sviluppo pianificato è stata teorizzata nello stesso periodo e tentata col 1° piano quinquennale per il periodo 1966-1970 (ma approvato con l. 27.7.1967 n. 685). Un successivo documento del Ministero del bilancio e della programmazione economica, denominato Progetto 80 e pubblicato nel 1970, ha costituito il rapporto preliminare ai due programmi economici 1971-1975 e 1976-1980 non attuati in legge. Di fatto la politica di bilancio italiana è stata condotta per un trentennio in disavanzo anche nella parte corrente. Tutte le politiche fiscali keynesiane hanno portato a trascurare l’obiettivo della stabilità. Le manovre di fine tuning con cui i keynesiani pensavano di governare con precisione i livelli di produzione e di realizzare la piena occupazione si sono rivelate l’origine delle pressioni inflazioniste e dell’instabilità delle aspettative che hanno travagliato i Paesi industriali fino agli anni Novanta. Tutto ciò in dottrina ha fatto maturare, nell’ultimo quarto del secolo scorso, sfiducia verso le politiche di tipo keynesiano, ha indotto a negare in qualche misura le manovre discrezionali di politica fiscale e ha portato al primo posto negli obiettivi di politica economica la stabilità dei prezzi e, nel governo dell’economia, gli strumenti di politica monetaria. Questa linea è stata adottata in sede comunitaria. Agli Stati membri che intendevano entrare nella terza fase dell’UEM la Comunità Europea ha imposto col trattato di Maastricht (Trattato sull’Unione europea 7.2.1992) regole fisse sotto la specie di criteri di convergenza che riguardano la politica fiscale (in particolare per il disavanzo e il debito pubblico), il tasso di inflazione, il cambio e il livello dei tassi di interesse. Il Trattato che istituisce la Comunità Europea pone all’art. 4.3 (ex art. 3A) il mantenimento della stabilità dei prezzi al primo posto (insieme a finanze pubbliche e condizioni monetarie sane e bilancia dei pagamenti sostenibile) nella politica economica subordinandogli le altre politiche. Sono vietati disavanzi pubblici eccessivi, definiti secondo certi valori di riferimento (art. 104 TCE). La realizzazione dell’obiettivo della stabilità dei prezzi è assegnata con la stessa priorità dall’art. 105 TCE al SEBC. Il principio è ripreso con le stesse parole dall’art. 2 dello Statuto del SEBC (v. politica monetaria).

  • POLITICA INDUSTRIALE PER L'ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE

    Iniziativa faro della Commissione europea, nell'ambito di Europa 2020, lanciata dalla Commissione il 27 ottobre 2010, assegna un ruolo centrale alla piccola e media impresa e richiama l'affermazione di una governance industriale europea. Condizioni più favorevoli sono previste tramite una regolamentazione intelligente, un accesso agevolato ai finanziamenti per le imprese, lo sviluppo del mercato unico, la difesa attiva dei diritti di proprietà ed il rafforzamento delle infrastrutture. Per competere nei mercati internazionali l'UE inoltre deve provvedere ad una migliore regolamentazione degli scambi e degli accordi internazionali unitamente ad una maggiore garanzia di accesso alle materie prime ed ai fattori di importanza critica. A livello nazionale gli Stati membri sono tenuti ad apportare variazioni positive al clima imprenditoriale, ad esempio, utilizzando gli appalti pubblici per sostenere gli incentivi all'innovazione e a favorire le situazioni tutelate dal diritto della proprietà intellettuale. Inoltre si richiede una riduzione egli oneri amministrativi ed una più stretta collaborazione tra i diversi settori per accelerare il progresso di tutta l'industria.

    http://ec.europa.eu/europe2020/europe-2020-in-a-nutshell/flagship-initiatives/index_en.htm

  • POLITICA MONETARIA

    1. Parte della politica economica che ha per obiettivi specifici e prioritari la stabilità monetaria (stabilità del potere d’acquisto della moneta, ovvero stabilità dei prezzi), la stabilità del cambio, la stabilità del sistema finanziario. La politica monetaria ha assunto di recente anche un ruolo di surroga della politica fiscale (q.v.; v. anche moneta) nel governo della domanda aggregata in seguito alla sfiducia nelle politiche di tipo keynesiano. Gli strumenti della politica monetaria sono i controlli amministrativi diretti sul credito (p.e. massimale sugli impieghi; vincolo di portafoglio; vincoli sui tassi di interesse) e sui movimenti di capitale e i controlli indiretti, attraverso il mercato, con la manovra della base monetaria, dei tassi di interesse e del tasso di cambio. Largamente applicati nel regime dirigistico imperante fino agli anni Ottanta, i controlli amministrativi diretti sono stati poi abbandonati. Una questione importante per la politica monetaria, che costituisce anche un problema di costituzione materiale emerso negli ultimi venti anni nei Paesi industrializzati, è quello delle competenze in materia di politica monetaria, risolto generalmente nella loro attribuzione a una banca centrale operante autonomamente e indipendentemente dal Governo. Questo ruolo è oggi riconosciuto nel nostro Paese alla Banca d’Italia che opera dal 1°1.1999 come Banca Centrale Nazionale (BCN) nell’Eurosistema. Con l’avvio della terza fase dell’UEM la sovranità monetaria è stata, infatti, trasferita all’Eurosistema e alla BCE che ha il monopolio dell’emissione di moneta e, con esso, è in grado di fissare le condizioni del rifinanziamento delle banche nell’area dell’euro e, per questa via, di influenzare le condizioni delle negoziazioni nel mercato monetario.

    2. Politica monetaria dell’Eurosistema.
    a) Obiettivi
    .
    Sebbene non esista una dichiarazione completamente esplicita, tuttavia dal coordinamento di diversi articoli del Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE) si rileva che l’obiettivo prioritario della politica economica comunitaria è la stabilità dei prezzi, il cui rispetto è obbligatorio per tutti gli Stati membri e per la Comunità. Tutte azioni e tutte le politiche degli Stati membri partecipanti all’Eurosistema (attualmente i 12) e della Comunità sono subordinate dall’art. 4.3 (ex 3A) e dall’art. 98 (ex art. 102 A) TCE al rispetto dei quattro principali obiettivi (“principi”) della stabilità dei pezzi e di altri tre (finanze pubbliche e condizioni monetarie sane, bilancia dei pagamenti sostenibile) che sono condizioni o aspetti del primo. Ciò attribuisce alla politica monetaria una preminenza rispetto alla politica fiscale e a tutte le politiche applicate della Comunità. La priorità del “principio” dei prezzi stabili è confermata dall’art. 105 TCE per il quale “l’obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nella Comunità al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità. Nel perseguimento dei propri obiettivi, il SEBC agisce in conformità del principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo un’efficiente allocazione delle risorse”. La stessa dizione è ripresa nell’art. 2 dello Statuto del SEBC e della BCE (Protocol No. 18, ex No. 3, on the Statute of the ESCB and of the ECB).

    3. Autorità monetarie comunitarie.
    La politica monetaria è diretta dal SEBC e gestita dalla BCE, due organi tecnici istituzionalmente autonomi e indipendenti e non politici, a differenza dalla politica fiscale e dalle politiche applicate decise e gestite da organi politici e con procedure politiche (Consiglio dell’UE, ECOFIN, Commissione europea).

    4. Strumenti di politica monetaria dell’Eurosistema.
    Si classificano in tre gruppi: operazioni di mercato aperto, operazioni attivabili su iniziativa delle controparti; riserva obbligatoria. I primi due gruppi costituiscono operazioni creditizie e devono essere garantite da attività idonee dalle controparti. 4.1) Operazioni di mercato aperto. Sono volte dalle singole BCN su iniziativa della BCE e rappresentano lo strumento principale della politica monetaria dell’Eurosistema per il controllo dei tassi di interesse, la determinazione delle condizioni di liquidità sul mercato e l’indicazione dell’orientamento della politica monetaria. Vengono classificate da due punti di vista: secondo il contenuto dell’operazione in cinque tipi (operazioni temporanee di pronti contro termine, operazioni definitive, emissione di certificati di debito, swap in valuta e raccolta di depositi con durata prestabilita) e secondo gli obiettivi, la regolarità e le procedure in quattro categorie: operazioni di rifinanziamento principali, operazioni di rifinanziamento a più lungo termine, operazioni di fine-tuning, operazioni di tipo strutturale. 4.1.a) Operazioni di rifinanziamento principali sono operazioni temporanee di finanziamento con frequenza settimanale e scadenza a due settimane, effettuate dalle BCN mediante aste standard secondo un calendario predefinito. Sono lo strumento principale per realizzare gli obiettivi attraverso le operazioni di mercato aperto e forniscono la maggior parte della liquidità necessaria al settore finanziario. 4.1.b) Operazioni di rifinanziamento a più lungo termine sono operazioni temporanee di finanziamento con frequenza mensile e scadenza a tre mesi, effettuate dalle BCN mediante aste standard osservando un calendario predefinito. Mirano a fornire alle controparti ulteriori finanziamenti a più lungo termine. Di norma, l’Eurosistema non utilizza questa tipologia di operazioni per inviare segnali al mercato e, di conseguenza, agisce in modo da non influenzare i tassi di interesse. 4.1.c) Operazioni di fine-tuning possono essere effettuate con una frequenza prestabilita e mirano sia a regolare la liquidità del mercato sia a controllare l’evoluzione dei tassi di interesse, principalmente per ridurre gli effetti che questi ultimi subiscono a causa di fluttuazioni impreviste della liquidità. Esse sono prevalentemente condotte come operazioni temporanee, ma possono anche assumere la forma di operazioni definitive, di swap in valuta o di raccolta di depositi con durata prestabilita. Gli strumenti e le procedure utilizzati per le operazioni di fine-tuning sono adeguati alla tipologia delle transazioni e agli obiettivi specifici da conseguire attraverso tali operazioni. Le operazioni di fine-tuning vengono di norma effettuate dalle BCN mediante aste veloci o procedure bilaterali. Il Consiglio direttivo deciderà se, in circostanze eccezionali, operazioni bilaterali di fine-tuning possano essere effettuate direttamentedalla BCE;

    4.1.d) Operazioni di tipo strutturale

    Mediante l’emissione di certificati di debito, operazioni temporanee e operazioni definitive. Tali operazioni, temporanee o definitive, sono effettuate quando la BCE intende modificare la posizione strutturale dell’Eurosistema nei confronti del settore finanziario (su base regolare o non regolare). Le operazioni di tipo strutturale sotto forma di operazioni temporanee e di emissione di certificati di debito sono effettuate dalle BCN attraverso aste standard, quelle di carattere definitivo sono condotte attraverso procedure bilaterali.

    4.2) Operazioni attivabili su iniziativa delle controparti
    .
    Le operazioni attivabili su iniziativa delle controparti mirano a immettere e ad assorbire liquidità overnight, a segnalare l’orientamento generale della politica monetaria e a porre un limite alle fluttuazioni dei tassi di interesse sul mercato overnight. Le controparti possono accedere di propria iniziativa a due specie di operazioni, gestite dalle BCN a livello decentrato. La prima consiste delle operazionidi rifinanziamento marginale utilizzate dalle controparti per ottenere dalle BCN liquidità overnight, a fronte di attività idonee. Il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento marginale costituisce in genere un limite massimo per il tasso di interesse del mercato corrispondente. La seconda specie è data dai depositi overnight che le controparti possono aprire presso le BCN. Il tasso di interesse sui depositi presso la banca centrale costituisce in genere un limite minimo per il tasso di interesse del mercato overnight.

    4.3) Riserva obbligatoria
    .
    Sono imposte alle banche e consistono nell’obbligo di costituire su conti aperti presso le banche centrali nazionali dell’area dell’euro depositi di ammontare determinato in relazione a certe poste di bilancio. Ha per obiettivi di stabilizzare i tassi di interessedel mercato monetario, di creare (o ampliare) il fabbisogno di liquidità del mercato e di contribuire al controllo dell’espansione monetaria (v. riserva obbligatoria).

    4.4) Attività idonee a essere accettate in contropartita
    di operazioni creditizie delle BCN.
    L’18.1 dello Statuto del SEBC e della BCE prescrive che tutte le operazioni creditizie delle BCNdell’Eurosistema devono essere effettuate a fronte di adeguate garanzie. La gamma di attività in contropartita delle operazioni è abbastanza ampia e sono distinte in due liste: “lista di primo livello” e “lista di secondo livello”. La lista di primo livello comprende strumenti di debito negoziabili che soddisfano i criteri uniformi di idoneità definiti dalla BCE, validi per l’intera area dell’euro. La lista di secondo livello comprende ulteriori attività, negoziabili e non negoziabili, di particolare rilevanza per i mercati finanziari e i sistemi bancari nazionali e per le quali i criteri di idoneità sono fissati dalle BCN, previa approvazione della BCE. Per quanto riguarda la qualità delle attività e il loro utilizzo nelle diverse tipologie di operazioni di politica monetaria dell’Eurosistema, non viene effettuata alcuna distinzione tra le due liste (come unica eccezione, le attività di secondo livello non sono di norma utilizzate nelle operazioni definitive).

  • POLITICA STRUTTURALE DELL'UE

    La politica strutturale della Comunità è l’insieme delle azioni (“azioni strutturali”) dirette a ridurre i livelli di sviluppo tra le regioni e gli Stati membri dell’UE. Il fondamento delle azioni strutturali è negli artt. 158 e 159 CE (ex 130A e 130B TCE). Esse sono finanziate e realizzate tramite cinque strumenti finanziari: i quattro Fondi strutturali (Fondo sociale europeo - FSE; Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia - FEOGA, sez. garanzia; Fondo europeo di sviluppo regionale - FESR; Strumento finanziario di orientamento della pesca - SFOP) per le regioni e il Fondo di coesione - FCE per le disparità tra gli Stati membri. Il sistema degli interventi strutturali è stato ampiamente riformato secondo le proposte dell’Agenda 2000 dal regolamento(CE) n. 1260/99 adottato dal Consiglio dei Ministri del 21 giugno 1999.

    1. Obiettivi. 1.a) Regioni. Per le regioni, prima della riforma ex Agenda 2000, il reg. (CE) n. 2052/86 prevedeva sette obiettivi per la politica strutturale (così numerati: 1. riequilibrio economico di regioni meno sviluppate; 2. riconversione economica delle aree industriali in declino; 3. lotta alla disoccupazione a lungo termine e agevolazione dell’entrate nel lavoro da parte delle giovani generazioni e delle persone a rischio di esclusione dl mercato del lavoro; 4. agevolazione all’adattamento degli operai ai cambiamenti industriali e dei sistemi produttivi; 5a. adattamento delle strutture agricole e della pesca; 5b. diversificazione economica delle aree vulnerabili; 6. aggiustamenti strutturali delle regioni del Nord-Europa con popolazione sparsa). Gli obiettivi sono stati ridotti a tre dall’art. 1 del reg. (CE) n.1260/1999 del Consiglio: 1. sviluppo e adeguamento delle regioni in ritardo di sviluppo; 2. riconversione economica e sociale delle aree con difficoltà strutturali; 3. adeguamento e ammodernamento delle politiche e dei sistemi di istruzione, formazione e occupazione. Per l’obiettivo n. 1 intervengono tutti i Fondi: FESR, FSE, FEAOG, sezione “orientamento” e SFOP; per l’obiettivo n. 2 operano i soli FESR e FSE, mentre quest’ultimo è l’unico a operare nell’ambito dell’obiettivo n. 3 (art. 2 Reg.1260/99). Inoltre, i Fondi contribuiscono al finanziamento delle iniziative comunitarie e alla promozione di azioni innovative e di assistenza tecnica. Più specificatamente, l’obiettivo 1) intende promuovere lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo il cui prodotto interno lordo pro capite (calcolato in termini di standard di potere d’acquisto, in sigla spa) è inferiore al 75% della media dell’UE. Esso riguarda, inoltre, le regioni ultraperiferiche (dipartimenti francesi d’oltremare, Azzore, Madera e isole Canarie) e le zone interessate dal precedente obiettivo 6, creato in seguito all’atto di adesione dell’Austria, della Finlandia e della Svezia. Il 22,2% circa della popolazione totale dell’Unione dovrebbe essere interessata dalle misure adottate nel quadro di tale obiettivo. L’obiettivo 2 contribuisce a favorire la riconversione economica e sociale delle zone con difficoltà strutturali diverse da quelle ammissibili all’obiettivo 1, riunendo i precedenti obiettivi 2 e 5b e altre zone che registrano problemi di diversificazione economica. Esso riguarda globalmente le zone in fase di mutazione economica, le zone rurali in declino, le zone dipendenti dalla pesca che si trovano in una situazione di crisi e i quartieri urbani in difficoltà. Il 18% al massimo della popolazione dell’Unione può rientrare in questo obiettivo. Infine, l’obiettivo 3 riunisce tutte le azioni a favore dello sviluppo delle risorse umane al di fuori delle regioni ammissibili all’obiettivo 1. Tale obiettivo riprende i precedenti Obiettivi 3 e 4. Esso costituisce il quadro di riferimento dell’insieme delle misure prese nell’ambito del nuovo titolo sull’occupazione del Trattato di Amsterdam e della strategia europea per l’occupazione. 1.b) Stati membri. Per la riduzione di rilevanti disparità economiche e sociali tra gli Stati membri opera il Fondo di coesione-FCE, istituito nel 1993. Il concetto di coesione economica è stato introdotto con l’Atto unico europeo (1986). Il FCE era destinato ai soli Paesi (Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo) il cui PIL pro capite nazionale era inferiore al 90% di quello medio comunitario ed è diretto alla realizzazione di interventi strutturali per l’ambiente e per le infrastrutture dei trasporti.

    2. Programmazione. Gli interventi finanziati dai quattro fondi (FEOGA, FESR, FSE, SFOP) sono concordati a livello comunitario con i singoli Stati in un Quadro Comunitario di Sostegno (QCS): articolato in assi prioritari. Questo documento definisce la strategia e le priorità di azione dei Fondi e dello Stato membro, i relativi obiettivi specifici, la partecipazione dei Fondi e le altre risorse finanziarie. È sulla base del QCS che vengono elaborati a livello subnazionale e regionale il Documento Unico di Programmazione (DOCUP) e uno o più programmi operativi (Programma Operativo Multiregionale-POM; Programma Operativo Regionale-POR). Gli interventi restano ancorati, da una parte, alla ripartizione del territorio comunitario in NUTS (nomenclatura delle unità territoriali per la statistica, dove NUTS I corrisponde al livello statale e NUTS II al livello regionale, e così a decrescere), dall’altra, per ciò che concerne l’obiettivo n. 1, alla concezione (peraltro non conforme al nuovo testo dell’art. 158 CE) che regioni sfavorite siano solo quelle con PIL pro capite inferiore al 75% della media comunitaria. Viene previsto un periodo di transizione (phasing out) per quelle regioni che, precedentemente beneficiarie di interventi strutturali, non abbiano più le caratteristiche richieste nel nuovo periodo di programmazione.

    3. Principi dell’azione strutturale. L’operatività dei Fondi è regolata da quattro principi (fissati nel 1989 e rafforzati dal reg. 1260/99): concentrazione (degli interventi sui tre obiettivi all’incirca secondo le percentuali indicate dall’art. 7 del reg. 1260/99), programmazione (l’azione congiunta della Comunità e degli Stati membri deve avvenire seguendo un processo di organizzazione, decisione e finanziamento effettuato per fasi successive su base pluriennale, descritto dal titolo II del reg.1260/99), complementarità e partenariato (gli interventi sono concepiti sono come complementari alle corrispondenti azioni nazionali o come contributi alle stesse e presuppongono concertazione tra la Commissione e le autorità competenti a livello nazionale. regionale o locale degli Stati membri per la preparazione, il finanziamento, la sorveglianza e la valutazione degli interventi: art. 8 reg. 1260/99) e addizionalità (gli interventi comunitari si aggiungono a quelli degli Stati membri e non possono sostituirsi alle spese a finalità strutturale pubbliche o assimilabili dello Stato membro:art. 11 reg. 1260/99).

    4. Iniziative comunitarie (artt. 20-21 reg. n. 1260/99). A fianco degli interventi diretti dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione, operano le iniziative comunitarie ridotte a quattro: Interreg (incentiva la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale); Leader (promuove lo sviluppo rurale mediante le iniziative di gruppi di azione locale-GAL); Equal (mira allo sviluppo di nuove prassi per la lotta contro le discriminazioni e le disuguaglianze di qualsiasi tipo nell’accesso al mercato del lavoro attraverso le Partnership di Sviluppo); Urban (per il rilancio economico e sociale delle città e delle periferie in crisi). Esse sono finanziate con una quota del 5,35% degli stanziamenti disponibili per i quattro Fondi strutturali regionali.

    5. Azioni innovatrici e assistenza tecnica (artt. 22-24 reg. n.1260/99). Altro gruppo di interventi sono quelli previsti dagli artt. 22-24 del regolamento n.1260/99 (v. azioni innovatrici e assistenza tecnica). Essi consistono nel finanziamento di azioni innovatrici (studi, progetti pilota e scambi di esperienze che contribuiscono all’elaborazione di metodi e pratiche innovativi intesi a migliorare la qualità degli interventi degli obiettivi) e di assistenza tecnica relativa alle misure preparatorie, di sorveglianza, di valutazione e di controllo necessarie per l’applicazione del regolamento n.1260/ 99 (studi, compresi quelli di carattere generale, relativi all’azione dei Fondi; azioni di assistenza tecnica e scambi di esperienze e di informazioni; l’installazione, il funzionamento e il collegamento dei sistemi informatizzati per la gestione, la sorveglianza e la valutazione; il miglioramento dei metodi di valutazione e lo scambio di informazioni sulle prassi in questo settore). Anch’essi sono finanziati con una quota dello 0,65% degli stanziamenti disponibili per i quattro Fondi strutturali regionali.

    6. Dotazioni. La programmazione prevista (proposta della Commissione) copre un arco di 7 anni dal 2000 al 2006. Il totale delle dotazioni dei 4 Fondi strutturali nel settennio è programmato in 202,29 miliardi di € (391.684 miliardi di lire) e quello del Fondo di coesione in 18,63 miliardi di € (36.077 miliardi di lire) ripartiti in quote annue leggermente decrescenti. La dotazione globale dei quattro Fondi strutturali è destinata indicativamente per il 69,7% all’obiettivo 1, per l’11,5% all’obiettivo 2 e per il 12,3% all’obiettivo 3 e per uno 0,5% allo SFOP per interventi al di fuori dell’obiettivo1. Le iniziative comunitarie e le azioni innovatrici e di assistenza tecnica, finanziate dai Fondi strutturali, si ripartiscono rispettivamente il 5,35% e lo 0,65%.

    7. Normativa di applicazione. Al regolamento del Consiglio 1260/99 sulla riforma dei Fondi strutturali, si è dato tra l’altro attuazione attraverso sia la decisione 1999/502/CE della Commissione, del 1° luglio 1999, che stabilisce l’elenco delle regioni interessate dall’obiettivo n. 1 dei Fondi strutturali per il periodo dal 2000 al 2006, sia la decisione 1999/503/CE della Commissione, del 1° luglio 1999, che stabilisce un massimale di popolazione per Stato membro nel quadro dell’obiettivo n. 2 dei Fondi strutturali per il periodo dal 2000 al 2006. Il quadro attuativo è infine completato da numerose decisioni che la Commissione ha adottato per la ripartizione delle risorse disponibili, oltre che dalla Comunicazione, del 1° luglio 1999, su “Fondi strutturali e coordinamento con il Fondo di coesione: Linee direttrici per i programmi del periodo 2000-2006” attraverso la quale la Commissione stabilisce alcuni orientamenti intesi ad aiutare gli Stati membri e le regioni nell’elaborare i propri piani di sviluppo, definendo le priorità comunitarie che dovrebbero riflettersi nelle strategie di programmazione per gli Obiettivi 1, 2 e 3 (v. Fondo di coesione - FCE).

  • POLITICA VALUTARIA

    Insieme degli interventi delle autorità monetarie centrali tendenti a controllare (andamento di breve periodo della bilancia dei pagamenti e a garantire il mantenimento della solvibilità di un Paese nei confronti del resto del mondo. Questi interventi si attuano essenzialmente mediante la gestione delle riserve valutarie, costituenti parte dell’insieme dei mezzi di pagamento internazionale ed utilizzate in manovre compensative volte ad assorbire gli avanzi o a fronteggiare i disavanzi di natura temporanea della bilancia dei pagamenti. P.e., qualora la valuta nazionale di un paese sia insistentemente offerta sul mercato dei cambi a causa o di un eccesso di importazione o di movimenti speculativi e qualora le conseguenti spinte sul tasso di cambio siano considerate pregiudizievoli per l’economia del paese, la banca centrale interviene sul mercato dei cambi chiedendo la propria valuta e cedendo parte delle proprie riserve valutarie. Le operazioni compensative vengono registrate, nel quadro della bilancia dei pagamenti, sotto il titolo “movimenti monetari”, rendendo così esplicito il modo in cui la banca centrale ha fatto fronte all’avanzo o disavanzo della bilancia dei pagamenti. Nell’esperienza italiana le partite incluse tra i “movimenti monetari” registrano le variazioni nella posizione sull’estero delle istituzioni monetarie centrali e delle banche.

  • POLIZZA

    Documento che contiene una promessa unilaterale fatta da un soggetto ad un altro. Il nostro ordinamento non prevede una figura generale di polizza, ma chiama con tale termine vari documenti, come quello di assicurazione, di pegno e, nel trasporto marittimo la polizza di ricevuta per l’imbarco, che è consegnata dal vettore al caricatore e prova l’avvenuta consegna della merce, e ancora la polizza di carico, che è consegnata dal comandante della nave al caricatore della merce. Per ciascuno di questi documenti è prevista una particolare disciplina, ma non tutti sono considerati titoli di credito, poiché alcuni servono soltanto ad identificare l’avente diritto alla prestazione (v. documento di legittimazione).

  • POLIZZA DI ABBONAMENTO

    Documento comprovante un particolare contratto di assicurazione su merci, con il quale l’assicuratore,dietro pagamento di un premio, assume su di sé il rischio derivante all’assicurato da un determinato numero di trasporti che possono essere effettuati in un periodo di tempo stabilito. La polizza di abbonamento, detta flottante, appartiene alla categoria delle c.d. “polizze globali”, la cui caratteristica è appunto quella di coprire i rischi di più viaggi. L’assicurato deve dare comunicazione all’assicuratore di ogni spedizione effettuata, utilizzando un apposito registro, sul quale la compagnia assicuratrice appone il proprio visto. È pure previsto che l’assicurato trasmetta di volta in volta alla controparte un bollettino in duplice copia, una delle quali, debitamente sottoscritta, deve essergli restituita.

  • POLIZZA DI ANTICIPAZIONE

    Documento che prova l’operazione bancaria di prestito di una somma di denaro, garantita da pegno di cose mobili, nel quale sono fissate le condizioni generali e particolari, convenute tra le parti contraenti, che regolano i loro rapporti circa lo svolgimento dell’operazione e l’esercizio del diritto di pegno. Il documento di cui si tratta viene emesso in duplice originale: uno a mano della banca e l’altro del cliente affidato. Dato che il pegno può essere costituito anche da una terza persona, si potrà avere il caso di polizza di anticipazione in triplice copia. L’affidato deve controfirmare i due modelli non solo nel momento in cui costituisce il pegno, ma anche ogni volta che ne modifica la composizione, aggiungendo nuovi beni o prelevandone taluni. Sulla polizza le banche riproducono anche il diritto, derivante dal contratto di anticipazione, di poter far vendere i beni avuti in pegno dopo la scadenza del prestito, nel caso di mancato pagamento da parte del cliente. Se il credito è a scadenza fissa, l’inadempimento da parte dell’affidato rende immediatamente esecutiva la condizione contrattuale di poter far vendere il pegno per mezzo di agente di cambio, se si tratta di titoli, o di pubblico mediatore se l’oggetto della garanzia è rappresentato da merci. Nel caso di conto corrente garantito, invece, se il fido è “salvo revoca”, occorrerà costituire prima in mora il debitore. Le polizze di anticipazione prevedono, infine, almeno di norma, che il sovvenzionato abbia il diritto i rimborsare il prestito in tutto o in parte, in via anticipata, con parziale compensazione degli interessi.

  • POLIZZA DI ASSICURAZIONE

    Documento probatorio del contratto di assicurazione, rilasciato al contraente dall’assicuratore e firmato da entrambi, contenente le condizioni chedisciplinano il rapporto. Non è obbligatorio, giacché l’assicuratore può rilasciare anche un documento diverso. A richiesta ed a spese del contraente, l’assicuratore è tenuto a consegnare duplicati o copie della polizza, ma in tal caso può esigere la presentazione o la restituzione dell’originale. Per espresso accordo tra le parti contraenti, la polizza di assicurazione può essere emessa con la clausola all’ordine o al portatore, che facilita la circolazione del rapporto assicurativo. In tal caso il suo trasferimento importa quello del credito verso l’assicuratore, con gli effetti della cessione ordinaria, senza la necessità di osservarne le forme. Pertanto deve escludersi che dette clausole attribuiscano alla polizza la natura di vero e proprio titola di credito. Si tratta di documento di legittimazione, anche se l’assicuratore è liberato se, senza dolo o colpa grave, adempie la prestazione nei confronti del giratario o del portatore, pur non essendo quest’ultimo l’assicurato. È espressamente previsto che allo smarrimento, distruzione o furto della polizza all’ordine si applicano le disposizioni relative all’ammortamento dei titoli all’ordine. In genere, la polizza è emessa in tre esemplari, di cui due rimangono all’assicuratore; essa contiene l’indicazione del rischio, l’importo del premio e le condizioni di contratto, che si distinguono in generali, speciali e particolari, a seconda che siano predisposte per tutti i rapporti assicurativi del ramo o deroghino alle prime o siano concordate tra le parti in relazione al singolo rapporto. L’assicurazione contro i rischi della navigazione marittima è regolata dalle norme generali se non espressamente derogate dal codice della navigazione. Anche per questo tipo di assicurazione è previsto a scopo probatorio il rilascio della polizza o di altro documento. In particolare, per l’assicurazione della nave, l’assicuratore emette la polizza, mentre per (assicurazione di merci essa è rilasciata soltanto quando è stipulata un’assicurazione in abbonamento (v. polizza di abbonamento). La polizza in quovis viene emessa quando l’assicurato non è in grado di indicare le caratteristiche della nave sullaquale verrà effettuato il trasporto delle merci assicurate. Ovviamente i dati necessari dovranno essere comunicati entro un termine prestabilito. La polizza stimata o valutata contiene la stima, non la semplice dichiarazione del valore della cosa assicurata. La polizza con franchigia pone a carico dell’assicurato una percentuale del danno.

  • POLIZZA DI CARICO

    Documento che, oltre alla funzione di ricevuta rilasciata dall’armatore o dal comandante della nave al caricatore attestante l’avvenuto caricamento della merce a bordo, ha altresì quella eventuale di documento probatorio del contratto di trasporto, ha la funzione di titolo di credito rappresentativo della merce viaggiante per mare e quella di titolo di consegna della merce stessa (bill of fading). Nei trasporti per via navigabile interna il vettore rilascia una polizza di carico fluviale, che ha la stessa disciplina della polizza di carico; la compagnia di navigazione può anche rilasciare una ricevuta fluviale che attesta la presa in consegna delle merci (come mezzo di prova per il venditore di aver assolto i suoi impegni); se emessa all’ordine, è soggetta allo stesso regime della polizza di carico. La polizza di carico è detta, nella pratica marittima, “valutata”, quando indica il valore della cosa trasportata; “aperta”, quando non indica alcun valore; “dall’interno”, se in essa è indicato un percorso fluviale o ferroviario fino al porto d’imbarco, oltre che il trasporto marittimo; “diretta”, se riguarda, in generale, un trasporto da eseguirsi da più vettori differenti e successivi o, quanto meno, su più di una nave, a mezzo di trasbordi intermedi; “ricevuta per l’imbarco”, se è emessa dall’armatore prima dell’imbarco della merce sulla nave vettrice, all’atto della consegna della stessa sulla banchina ai suoi incaricati o magazzinieri o anche prima, purché egli sia certo che la merce sia stata già consegnata dallo speditore a un vettore terrestre con l’esatta destinazione; “del porto”, se è emessa a firma del comandante o dell’agente dell’armatore, debitamente autorizzato, nel porto di carico, quando la merce e la nave già si trovino nel porto stesso e la merce sia stata effettivamente ricevuta in consegna dal comandante o dall’agente per essere imbarcata; “netta o pulita”, quando la merce appare in buono stato e la polizza non contiene riserve; “sporca”, se riporta osservazioni del comandante circa il cattivo stato della merce caricata; “di custodia”, se viene sottoscritta quando la merce già si trova nel porto di carico debitamente consegnata al comandante o all’agente autorizzato dall’armatore; “di trasbordo”, se prevede, all’infuori delle clausole stampate, il trasbordo durante il viaggio, a condizione tuttavia che l’intero viaggio sia effettuato sotto la copertura di una stessa polizza di carico. Il documento di cui si tratta costituisce un titolo particolarmente complesso dal punto di vista sia tecnico che giuridico. Una sua importante funzione si ricollega alla qualità di titolo rappresentativo della merce viaggiante. Il legittimo possessore ha diritto alla riconsegna delle merci descritte nella polizza e ha il diritto di disporne. Da ciò deriva che il possessore legittimo della polizza può eseguire sulla stessa le operazioni commerciali e finanziarie concernenti la merce (vendita, costituzione in garanzia ecc.), mentre essa è viaggiante.

  • POLIZZA DI CREDITO COMMERCIALE

    Strumento di mercato monetario simile, nei suoi tratti sostanziali, all’accettazione bancaria (pur non implicando l’utilizzo dello strumento cambiario), introdotto in Italia dalla Continental Bank ed Euromobiliare in occasione di una massiccia operazione di finanziamento a favore di Agip e Pirelli. La struttura dell’operazione è così riassumibile: la società x riceve dalla società y (in genere una banca o società finanziaria) un finanziamento, all’occorrenza rinnovabile, previo rilascio di un documento (inquadrabile civilisticamente come una ricognizione di debito in cui si riconosce debitrice di una certa somma, superiore a quella ricevuta per un importo corrispondente al rendimento assicurato alla società finanziatrice; il credito derivante da tale rapporto, accompagnato da una fideiussione bancaria, è destinato alla circolazione e viene normalmente venduto ad investitori istituzionali; la società finanziata pagherà alla scadenza l’importo indicato nel documento al possessore del documento medesimo, cioè a chi lo presenterà per il pagamento e risulti a ciò legittimato in base ai criteri in esso evidenziati. Dal punto di vista fiscale se la polizza è trattenuta fino alla scadenza, essa dà luogo redditi da capitale, nel caso invece che venga ceduta prima origina una plusvalenza. Per quanto concerne il regime fiscale proprio delle polizze di credito commerciale va notato quanto segue. Il reddito derivante dall’investimento in questo strumento finanziario costituisce reddito di capitale ai sensi dell’art. 41, lett. a) e h), d.p.r. 22.12.1986 n. 917. In caso di cessione della polizza il reddito relativo costituisce un ricavo da cessione di credito. Da ultimo, il reddito derivante dalla polizza è soggetto alla ritenuta del 12,5% di cui all’art. 26, ultimo comma, d.p.r. 1973/600. Nessuna ritenuta, ovviamente, sussiste, nell’ipotesi in cui detto reddito costituisca reddito d’impresa e non già reddito di capitale come richiesto dall’art. 26, ultimo comma, d.p.r. 1973/600, cit. Per quanto è relativo alle imposte indirette, le polizze di credito commerciale non sono soggette ad IVA in quanto si tratta di operazioni formalizzate in documenti di riconoscimento di debito. I proventi derivanti da tali strumenti finanziari si devono considerare esenti da tale imposta ai sensi dell’art. 10, n. 1, d.p.r. 26.10.1972 n. 633. La cessione delle polizze di credito commerciale non è soggetta ad IVA in quanto cessione di credito in denaro ai sensi dell’art. 2, d.p.r. 1972/633. Ai fini dell’imposta di registro tuttavia la lettera di riconoscimento di debito, essendo redatta in genere in forma di corrispondenza commerciale deve essere registrata solo in caso d’uso. L’atto fideiussorio è pure assoggettato ad imposta di registro solo in caso d’uso se redatto per corrispondenza commerciale. Le lettere di cessione del credito, se redatte per corrispondenza, devono essere registrate solo in caso d’uso, ma scontano in tale ipotesi l’imposta di bollo, essendo tutti gli atti in esame redatti nella forma della corrispondenza commerciale, l’imposta è dovuta solo in caso d’uso. La tassa speciale sui contratti di borsa non si applica a tali strumenti finanziari, in quanto i valoriscambiati non rientrano nella previsione normativa della tassa.

  • POLIZZA DI DEPOSITO

    Documento rilasciato dalla banca come ricevuta di un deposito a custodia libera, costituito per lo più da titoli pubblici o privati, libretti di risparmio, polizze di assicurazione, divise ed altri valori di simile natura. Detti valori sono consegnati dal depositante insieme ad una distinta. La banca rilascia la polizza, che, contrassegnata da un numero progressivo, contiene la descrizione dei beni depositati, il nome del depositante e della banca, le condizioni che disciplinano il rapporto, la data e la firma del funzionario che l’ha emessa. Il depositante deve presentarla alla banca per tutte le annotazioni relative alle variazioni per prelievi e depositi dei valori. Alcune banche rinnovano la polizza ad ogni variazione dei valori depositati, mentre altre corredano la polizza di alcuni tagliandi utilizzabili per i ritiri parziali. Per la restituzione totale dei valori è necessaria la presentazione della polizza, con l’obbligo per la banca di assicurarsi dell’identità del depositante. La restituzione può essere effettuata a un procuratore del depositante munito di mandato speciale. In caso di smarrimento della polizza, alcune banche consentono la restituzione dei valori dietro dichiarazione di smarrimento e quietanza; mentre altre richiedono speciali garanzie. La polizza non è trasmissibile per girata e non può essere ceduta. È soggetta alla registrazione. Le banche tendono di solito a non rilasciare la polizza, bensì semplici ricevute e lettere successive attestanti i movimenti dei valori depositati.

  • POLIZZA DI MASSA

    Documento che viene rilasciato dai magazzini generali ed il cui possesso fa sorgere il diritto alla riconsegna di una determinata quantità di merce omogenea presente nei suddetti magazzini, la quale però deve corrispondere, sia per la qualità sia per il valore monetario, a quella depositata. Tale documento regola il rapporto esistente tra due parti in virtù di un contratto di deposito. La particolarità sta nel fatto che oggetto del contratto sono beni fungibili e il deposito dà diritto alla riconsegna non degli stessi beni depositati, ma solo di una stessa quantità di beni del medesimo genere.

  • POLIZZA DI PEGNO

    Documento rilasciato al mutuatario dalle banche che esercitano il credito su pegno e che contiene la denominazione del Monte, la descrizione sommaria della cosa data in pegno e del suo valore, la data di concessione e quella della scadenza del prestito, l’indicazione dei corrispettivi dovuti al Monte, le firme del funzionario delegato e del perito che ha proceduto alla stima della cosa, l’indicazione dell’orario di servizio e delle sedi del Monte, le norme principali che regolano i prestiti (v. anche prestito su pegno). È un titolo al portatore anche se contiene l’indicazione di un nome. Costituisce reato acquistare in modo abituale le polizze di pegno oltre che concedere, per professione, sovvenzioni supplementari contro pegno delle polizze stesse. In ogni caso gli acquirenti non possono vantare verso l’ente che ha concesso il prestito diritti diversi da quelli spettanti ai prestatari. Lo smarrimento, la distruzione e la sottrazione della polizza sono disciplinati dalle stesse disposizioni previste dalla l. 30.7.1951 n. 948 per i titoli rappresentativi dei depositi bancari. Pertanto, il portatore deve denunciare l’evento al monte, che è tenuto a non eseguire alcuna operazione relativa a quella polizza, dopo di che si fa luogo al procedimento di ammortamento (v. ammortamento dei titoli).

  • POLIZZA UNIT LINKED

    E' una polizza vita ad alto contenuto di strumenti finanziari. Consente una forte diversificazione del rischio, attraverso la diversificazione dei fondi d'investimento in cui si investono quote del capitale della polizza, garantisce i benefici della polizza vita tradizionale (benefici fiscali, assicurativi).

    E' possibile il riscatto della polizza in qualsiasi momento, come pure lo switch verso comparti diversi.

  • POLIZZA VITA RIVALUTABILE

    Polizze vita con prestazioni collegate a una gestione separata di valori mobiliari. L’assicuratore garantisce la corresponsione del capitale assicurato e di una rivalutazione pari a una parte del rendimento della gestione separata.
    Fonte: Banca d'Italia

  • POLIZZE VITA INDEX-LINKED

    Contratti di assicurazione in cui l’entità del capitale assicurato dipende dal valore di un indice azionario o di un altro valore di riferimento, regolati dalle circ. ISVAP 25.5.1998 n. 332 e 25.5.1998 n. 332. Questi prodotti possono offrire delle garanzie (per esempio la restituzione almeno dell’importo dei premi versati oppure un capitale minimo) sia in caso di vita, sia in caso di morte. Generalmente sono a premio unico e l’importo del premio richiesto dalle imprese è piuttosto elevato. Come per le polizze unit linked, grava su queste polizze il rischio finanziario che può comportare la liquidazione di un capitale inferiore ai premi versati nel caso in cui l’impresa di assicurazione non presta garanzie in proposito. I rischi finanziari dipendono dall’andamento dell’indice di riferimento al quale il capitale assicurato è legato e, in assenza di garanzie da parte dell’impresa di assicurazione, alla solvibilità dell’ente che emette il titolo (index-linked) o alle variazioni del valore delle quote (unit-linked). Nella nota informativa deve essere ben evidenziata la presenza o meno di rischi finanziari a carico del contraente (secondo le disposizioni della circ. ISVAP 15.1.1998 n. 317).

  • POLIZZE VITA UNIT-LINKED

    Contratto di assicurazione sulla vita in cui l’entità del capitale assicurato dipende dal valore di quote di fondi di investimento interni (appositamente costituiti dall’impresa di assicurazione) o da fondi esterni (OICVM italiani, comunitari o esteri purché commercializzati in Italia) in cui vengono investiti i premi versati. Sono regolati dalle circ. ISVAP 25.5.1998 n. 332 e 25.5.1998 n. 332. Di norma è consentito al contraente di scegliere il fondo di investimento al quale agganciare il capitale tra più opportunità offerte dall’impresa di assicurazione e di trasferire le somme accumulate da un fondo all’altro (switch), pagando una commissione. Questi prodotti possono offrire garanzie di minimo e possono prevedere il pagamento di un premio unico o di premi periodici e sono gravati, oltre che dal caricamento sui premi, anche dal prelievo di commissioni di regola compiuto dalle imprese di assicurazione direttamente dal valore delle quote dei fondi di investimento, che può avvenire con periodicità diverse (giornalmente, mensilmente, trimestralmente, etc.), riducendo la redditività dei fondi. Su questi prodotti gravano gli stessi rischi finanziari delle polizze index-linked (q.v.). Nella nota informativa deve essere ben evidenziata la presenza o meno di rischi finanziari a carico del contraente (secondo le disposizioni della circ. ISVAP 15.1.1998 n. 317).

  • POOL

    Da to pool: consorziare, sindacarsi. 1. Accordo stipulato da aziende operanti nello stesso settore o in settori complementari per limitare la concorrenza. L’intesa consiste nel concordare politiche di vendita e rispettive zone, oltre che i prezzi, e mira a determinare una situazione di mercato sostanzialmente monopolistico. Attorno agli anni Venti, inoltre, con tale termine in America veniva indicata l’associazione temporanea di due o più persone che agivano come un gruppo per manipolare il mercato di borsa. 2. Pool ha anche il significato di “fondo”. Si parla così del pool dell’oro (q.v.); del “pool dei dollari”, cioè un fondo di titoli in dollari costituito dai residenti inglesi anteriormente all’imposizione della non convertibilità della sterlina; del “pool dell’uranio”, costituito nel 1970 da Germania occidentale, Olanda e Inghilterra per ovviare alla crisi dell’Euratom; di “pool swap”, il fondo di valute di riserva manovrato dalla BRI per fronteggiare i movimenti dei capitali vaganti. 3. Le banche eseguono operazioni in pool quando intervengono congiuntamente per concedere un finanziamento di entità notevole o per effettuare una massiccia sottoscrizione di titoli obbligazionari emessi da un ente pubblico o da una società privata. L’accordo di pool regola i rapporti tra le banche che intervengono nell’operazione che, di regola, è diretta da una banca, che assume le funzioni di capofila.

  • POOL DELL'ORO

    Accordo stipulato tra lebanche centrali facenti parte del Consiglio di amministrazione della Banca dei Regolamenti Internazionali, con la presenza degli Stati Uniti e con l’esclusione della Svezia. I paesi membri del pool risultarono i seguenti: Stati Uniti, Germania,Gran Bretagna, Francia, Italia, Svizzera, Belgio e Olanda. Agente del pool fu la Gran Bretagna con compiti di intervento nel mercato europeo dell’oro. I partecipanti si impegnarono a vendere oro contro dollari ogni qual volta la Banca d’Inghilterra avesse ritenuto opportuno intervenire. Le banche centrali si impegnarono altresì ad astenersi dal comperare oro in qualità di compratori individuali. Le singole quote di partecipazione al pool non furono rese note, ma si presume che quella degli Stati Uniti fosse il 50% di un totale di 270 milioni di dollari. La quota dell’Italia, della Francia e della Gran Bretagna fu singolarmente di 25 milioni. Massicci interventi a difesa del prezzo ufficiale dell’oro, che il mercato considerava insufficiente, furono effettuati nell’ottobre del 1962. Cospicue vendite di oro furono effettuate anche durante il conflitto arabo israeliano del giugno del 1967, che portò alla chiusura del Canale di Suez. Nel novembre del 1967 l’intervento del pool fu massiccio e volto a impedire una svalutazione del dollaro in termini di oro. Nel marzo del 1968, in seguito alle ripetute tensioni valutarie, i paesi del pool stilarono i cosiddetti Accordi di Washington per l’istituzione di un doppio mercato dell’oro: quello libero, dove il prezzo dell’oro avrebbe subito il gioco della domanda e dell’offerta senza alcun intervento delle banche centrali; quello ufficiale, dove il prezzo dell’oro sarebbe rimasto a 35 dollari per oncia di fino. Nel frattempo la legislazione statunitense aveva messo a disposizione tutto l’oro della Riserva per la difesa del valore esterno del dollaro. Il pool dell’oro fu pertanto sciolto. Il perdurare della crisi valutaria internazionale, lo sganciamento del dollaro dall’oro e la fluttuazione dei cambi condussero nel novembre del 1973 a rescindere gli accordi che avevano portato a istituire il doppio mercato dell’oro.

  • PORCELLUM

    La legge elettorale italiana, promossa dal Ministro Calderoli, n.270 del 21.12.2005, fu definita "una porcata" dal politologo Sartori e da qui deriva il suo nomignolo.
    La legge modifica il precedente assetto legislativo orientato al sistema maggioritario, per introdurre alcune modifiche rilevanti:
    1. liste di candidati bloccate e definite dai partiti;
    2. premio di maggioranza alla Camera, senza soglia minima di applicazione; premio di maggioranza al Senato con soglia minima del 55% dei voti;
    3. sbarramento al 4% su base nazionale per l'accesso in Parlamento;
    4. circoscrizione estero.
    Nel 2012 oltre 1 milione di italiani firmò una richiesta di referendum popolare per la sua abrogazione.

  • PORTAFOGLIO

    Generica espressione con la quale si designa un insieme di attività finanziarie omogenee, come titoli, valori mobiliari, effetti, crediti verso clienti, ordini ecc., gestito da un soggetto economico (portafoglio titoli, portafoglio ordini ecc.). Nella prassi bancaria il termine “portafoglio” indica specificamente il complesso degli effetti cambiari detenuti o negoziati dalla banca attraverso un insieme di operazioni (v. sconto bancario; salvo buon fine; sovvenzione cambiaria; incasso). Si hanno numerosi tipi di portafogli distinti in base agli elementi che li compongono (cambiario, Italia, Estero, sovvenzioni, insoluti ecc.) e che ne determinano le modalità di gestione e di contabilizzazione. Gli effetti in portafoglio possono essere classificati secondo più criteri: in base alla residenza dell’obbligato principale (portafoglio Italia e portafoglio estero), al luogo di scadenza (su piazza o fuori piazza), al termine di scadenza (brevissima, nel qual caso le cambiali vengono definite brucianti, breve, media e lunga), all’importo (piccolo, medio, grosso taglio), al rischio di insolvenza (cambiali con una o più firme o garantite), ai criteri di ammissibilità delle cambiali al risconto presso la banca centrale (effetti bancabili e non bancabili) e, infine, alla natura (cambiali commerciali, finanziarie, agrarie e ipotecarie). Secondo quest’ultimo criterio, in particolare, si definiscono “carta commerciale” le cambiali rilasciate in pagamento di una transazione commerciale; esse sono gradite alla banca, poiché riferendosi a specifiche operazioni commerciali lasciano supporre che l’azienda acquirente (e debitrice principale dell’effetto), rivendendo la merce acquistata, sia in grado di rimborsare l’effetto alla scadenza. Al contrario, la cosiddetta carta di comodo o di favore non deriva da una transazione commerciale, ma è rilasciata da una persona a favore del beneficiario senza che questi vanti un credito nei suoi confronti. É evidente dunque l’intrinseca rischiosità di tali cambiali, che vengono richiamate normalmente prima della scadenza, onde evitarne la presentazione per l’incasso. La carta finanziaria è emessa al fine di ottenere un finanziamento e non ha quindi natura commerciale: si tratta di pagherò diretti emessi all’ordine della banca che formalmente li sconta anticipandone il netto ricavo. In portafoglio vi può essere inoltre la carta di banca, detta anche di “prim’ordine”, che porta appunto la firma di una banca come obbligato principale o girante o avallante ed è utilizzata specie nel commercio estero, in presenza di clausole di pagamento D/A o D/P per rimborso di banca (v. credito documentario). La carta di consumo viene rilasciata a commercianti per l’acquisto di beni di uso durevole con pagamento rateale e può avere durata anche di 24-30 mesi. Le cambiali sono garantite quando sono assistite da garanzia reale o personale, mentre sono in bianco nel caso contrario. Le cambiali ipotecarie, in particolare, emesse dall’acquirente dell’immobile a fronte di un pagamento rateizzato, sono assistite da diritti reali di natura immobiliare. La carta di gruppo è costituita da cambiali emesse da una società a favore di un’altra facente parte dello stesso gruppo: tali cambiali possono riguardare il pagamento di una fornitura o il regolamento di rapporti finanziari intergruppo per il finanziamento del complesso aziendale. Le cambiali in portafoglio sono acquisite di norma attraverso le operazioni di sconto (v. sconto bancario) e di accredito s.b.f. (v. salvo buon fine). La movimentazione relativa a tali effetti viene riportata in un conto denominato Portafoglio Italia o portafoglio sconti, che riporta in Dare il valore nominale degli effetti scontati e in Avere quello delle cambiali inviate all’incasso o riscontate o trasferite al portafoglio insoluti. Quest’ultimo raccoglie le cambiali scadute non andate a buon fine, per le quali la banca ha elevato il protesto (a meno che gli effetti non siano stati girati con la clausola “senza protesto” o “senza spese”) ed addebita al cedente il valore nominale e le spese sostenute risultanti dal conto di ritorno, Con l’espressione Portafoglio estero si designa, infine, l’insieme delle divise estere in possesso della banca.

  • PORTAFOGLIO AMMASSI

    Complesso delle cambiali relative alle operazioni di finanziamento degli ammassi obbligatori e per contingente di prodotti agricoli e delle campagne di acquisto grano per conto dello Stato. Tali cambiali, a differenza del portafoglio ordinario, erano ammesse senza limitazione al risconto presso l’Istituto di emissione. Ciò anche al fine di evitare un’eccessiva crescita del relativo portafoglio, per effetto della continua capitalizzazione degli oneri, in mancanza di una sistemazione finanziaria dei deficit delle decorse gestioni statali di ammasso. In considerazione delle particolari motivazioni di politica economica, la Banca d’Italia considerava il risconto di tale portafoglio tra le operazioni a favore del Tesoro, ponendole nella “situazione generale” al 31 dicembre di ogni anno accanto alle anticipazioni straordinarie, ai conti correnti per il servizio di tesoreria e agli impieghi in titoli di Stato o garantiti dallo Stato.

  • PORTAFOGLIO CAMBIARIO

    Insieme delle cambiali in possesso di una banca o di un’impresa. A seconda della natura degli effetti si possono fare varie distinzioni. Il portafoglio commerciale comprende le cambiali originate da una transazione commerciale effettivamente intercorsa tra emittente e prenditore e, nel caso della tratta, tra trassato e traente. Il portafoglio di comodo non deriva da una transazione commerciale, ma da una promessa di pagamento degli obbligati che hanno offerto la propria firma in favore di colui che richiede il prestito. Il portafoglio finanziario raccoglie gli effetti originati da operazioni di finanziamentoe non di compravendita. Qualora il finanziamento ecceda i quattro mesi, di solito, il debitore rilascia effetti con tale scadenza che poi rinnova a seconda della durata del prestito. Le cambiali in questione possono essere assistite da garanzie reali o personali, oppure dalla coobbligazione di un terzo. Il portafoglio cambiario delle banche comprende anche gli effetti recanti la firma di primarie banche o banchieri; può quindi negoziarsi in qualsiasi momento, formando un mercato tutto proprio. In relazione all’esistenza di corrispondenti bancari sulla piazza di pagamento, inoltre, si distingue il portafoglio bancabile da quello non bancabile; per la Banca d’Italia sono da considerarsi bancabili solo gli effetti pagabili su piazze comprese su un’apposita lista. Si ha, poi, il portafoglio garantito quando le cambiali sono assistite da una garanzia, come l’ipoteca, il pegno, la cessione di credito, o altra; il portafoglio chirografario non è, invece, assistito da alcuna garanzia. In relazione alla data di scadenza si distingue il portafoglio lungo dal portafoglio breve; si dice, invece, bruciante il portafoglio che giunge alla banca con scadenza talmente prossima da lasciare appena il tempo di curare l’incasso sulla piazza di pagamento. Rispetto ad accordi eventualmente intervenuti tra banca e cedente, si distingue il portafoglio in garanzia dal portafoglio di smobilizzo. Il primo si ha quando la banca ne acquista la disponibilità solo se i debitori non hanno fatto fronte all’impegno per il quale avevano rilasciato o girato gli effetti in garanzia, e solo limitatamente all’importo residuo; il secondo è costituito da effetti rilasciati per alleggerire o definire crediti in conto corrente già accordati dalla banca. In relazione all’eventuale esistenza di documenti che lo accompagnano si distingue il portafoglio semplice dal portafoglio documentato. Con riferimento alle condizioni convenute per il regolamento a scadenza, si parla di portafoglio rinnovabile e di portafogli pagabile a scadenza.

  • PORTAFOGLIO DI COPERTURA

    E' un portafoglio costruito al fine di replicare con caratteristiche di segno opposto (es. flussi di cassa) un particolare rischio/titolo/portafoglio.

  • PORTAFOGLIO ESTERO

    Insieme delle divise estere in possesso della banca. Contabilmente il portafoglio estero è il conto che accoglie costi e ricavi relativi agli acquisti ed alle vendite di divise estere. Funziona a costi, ricavi e rimanenze e permette di determinare l’utile o la perdita lorda sui cambi. Si articola in tanti sottoconti quante sono le valute che la banca tratta. Tale suddivisione consente la valutazione mensile delle consistenze in divisa estesa al fine della determinazione degli utili o delle perdite sulla negoziazione in cambi. Le banche vendono divise estere cedute loro da operatori nazionali, creditori verso l’estero in seguito ad esportazioni di beni o di servizi, o derivanti dalla possibilità delle banche di trarre sui loro corrispondenti all’estero. Il movimento del portafoglio estero nelle banche non si riferisce soltanto alle compravendite, agli sconti e alle cessioni delle cambiali a lunga o a breve scadenza, ma anche a tutti gli chéques che esse traggono sull’estero e a tutti i giri di partite che ordinano nei conti correnti dei corrispondenti. Nel movimento del portafoglio estero transitano anche le cambiali pagabili in Italia in valuta estera.

  • PORTAFOGLIO INSOLUTI

    Insieme delle cambiali scadute e non riscosse provenienti dalle varie categorie dl portafoglio Italia, In alcune banche l’amministrazione di tali effetti è affidata ad un ufficio denominato appunto “portafoglio insoluti”. Il suo compito è quello di restituire tali effetti al cedente, previo addebito del relativo conto di ritorno in cui debbono essere incluse le spese di protesto. Ovviamente, la banca non fa elevare il protesto se gli effetti sono stati ad essa girati con la clausola “senza protesto” o “senza spese”. C’è da notare che, tranne rari casi, la banca non accoglie allo sconto cambiali che contengono clausola che in qualche modo diminuiscano i diritti del possessore.

  • PORTAFOGLIO ITALIA

    Conto che accoglie, nella contabilità di una banca, le cambiali in lire italiane acquisite attraverso l’operazione dlsconto (v. sconto bancario). E così chiamato per distinguerlo dal conto portafoglio estero che accoglie il movimento di titoli espressi in moneta estera. Il conto portafoglio Italia, detto anche portafoglio sconti, accoglie in “dare” il valore nominale degli effetti in rimanenza all’inizio dell’anno e di quelli successivamente scontati; in “ avere” il valore nominale delle cambiali inviate all’incasso, richiamate da parte dei clienti o riscontate presso un’altra banca, o, infine, le cambiali trasferite al portafoglio insoluti.

  • PORTAFOGLIO REPLICA

    E' un portafoglio costruito con le stesse caratteristiche (es. flussi di cassa) del singolo titolo, o portafoglio desiderato, a scadenza oppure nel tempo continuo.

  • PORTAFOGLIO SOVVENZIONI

    Conto in cui le banche rilevano lo sconto di pagherò diretti, cioè di effetti firmati dai clienti all’ordine della stessa banca. L’operazione, che prende il nome di sovvenzione cambiaria ed è normalmente assistita da firme di avallo apposte sul pagherò da persone notoriamente solvibili, si svolge secondo le modalità tecniche dello sconto bancario, ma è un’apertura di credito assistita da garanzia cambiaria. Non è raro che gli effetti diretti vengano rinnovati alla scadenza. La banca richiede di solito una decurtazione per recuperare progressivamente la somma anticipata diminuendo gradualmente l’importo del debito del cliente. Il conto portafoglio sovvenzioni espone in “dare” il valore nominale degli effetti in rimanenza all’inizio dell’anno e di quelli successivamente “scontati”; in “avere” il valore nominale degli effetti estinti.

  • PORTAFOGLIO WARRANTS

    Insieme delle note di pegno scontate da una banca. Lo sconto di warrant è, in effetti, un’anticipazione bancaria garantita da tale titolo, che, unitamente alla fede di deposito, viene rilasciato dai magazzini generali ai depositanti che ne facciano richiesta. Il conto portafoglio warrants espone in “dare” l’ammontare del finanziamento concesso e in “avere” l’importo delle sovvenzioni estinte.

  • PORTALE

    Dall’amer. Portal (anche e-portal). Sito Web (v. www), composto da diverse pagine ipertestuali, che fornisce in modo strutturato e di (non sempre) facile accesso notizie relative a un dato soggetto (impresa o altra organizzazione, pubblica o privata) o a un dato argomento corredandolo, spesso, di un motore di ricerca, di un indirizzo di e-mail per comunicare con l’organizzatore del sito, di links (v. link) e di altre notizie utili. I portali delle organizzazioni possono permettere l’accesso ad attività di e-commerce (B2B, B2C) e simili (B2E, B2G), consentendo anche acquisti e lo svolgimento di altre attività in linea.

  • PORTATORE

    Possessore di un titolo di credito, che può esercitarne il diritto in base al semplice possesso (non è necessario cioè, che sul titolo sia indicato il suo nome) e mediante la presentazione. Titoli al portatore possono essere emessi soltanto nei casi stabiliti dalla legge, onde evitare che la loro eccessiva diffusione usurpi la funzione della carta moneta. il portatore di un titolo deteriorato, non più idoneo alla circolazione ma tutt’ora identificabile, può ottenere dall’emittente un titolo equivalente, mediante la restituzione del primo ed il rimborso delle spese. La denuncia provata di smarrimento dà diritto alla prestazione solo dopo decorso il termine di prescrizione del titolo stesso; tuttavia, se prima di tale decorso di tempo il debitore esegue la prestazione in buona fede, è liberato. Chi possiede azioni al portatore può, in caso di sottrazione o smarrimento, essere autorizzato dal tribunale ad esercitare i relativi diritti anche prima del decorso del termine di prescrizione. La distruzione del titolo dà diritto ad un duplicato o ad un titolo equivalente, a spese di chi lo richiede.

  • PORTFOLIO COLLATERAL LOAN

    Tecnica di asset management adottata dalle istituzioni finanziarie statunitensi al fine di diversificare il rischio del proprio portafoglio crediti. È applicabile a ciascun prestito e consiste nella “costruzione” di un portafoglio di attività dell’impresa mutuataria acquisito a titolo di garanzia collaterale. Tale portafoglio si compone di un ben specificato pool di assets aziendali, comprensivo sia di disponibilità monetarie (compensating balance; v. prime rate) che di cespiti via via meno liquidi (crediti esigibili, magazzino, macchinari, immobili), di composizione variabile in relazione all’evoluzione della situazione dell’impresa e del rapporto di affidamento. Nelle valutazioni dei proponenti, lo strumento consente: di ampliare il portafoglio crediti attraverso l’acquisizione di nuova clientela specie nella fascia delle piccole-medie imprese e di quelle di recente costituzione; di contribuire alla riduzione dei rischi attraverso l’agganciamento dei prestiti ad un pool diversificato di garanzie anziché ad una garanzia unica; di sfruttare il vantaggio della flessibilitàa traverso la possibilità di modulare le caratteristiche del pool di garanzie, in termini di durata, composizione, corrispondenza al valore residuo del debito, su mutamenti delle condizioni di rischiosità effettiva; di migliorare e rendere maggiormente durevole nel tempo la relazione con la clientela aziendale affidata, come conseguenza dei maggiori e più stabili flussi informativi richiesti fra le controparti e della più frequente ed incisiva azione di monitoraggio imposta alla banca. I vantaggi elencati si confrontano, però, con una serie di svantaggi connessi agli elevati costi di gestione di un portafoglio di attività a garanzia di un solo prestito e alle prevedibili resistenze delle imprese a fornire garanzie che dal loro angolo prospettico possono sembrare eccessive.

  • PORTO

    Corrispettivo dovuto per il trasporto di merci spedite via terra. Il prezzo del trasporto marittimo ed aereo, invece, si indica col termine nolo. Il porto si dice affrancato se il suo pagamento avviene all’atto della conclusione del contratto, o assegnato, se viceversa il pagamento è rimandato al momento della consegna delle merci al destinatario. La scelta tra le due possibilità è rimessa agli accordi che intercorrono tra mittente e destinatario, ovvero agli usi o alle disposizioni dei vettori.

  • PORTO FRANCO

    Zona marittima che gode della franchigia doganale. Le merci estere vi possono essere introdotte “schiave di dazio” per venire poi consumate, ovvero manipolate o rispedite all’estero, senza alcuna ingerenza della dogana. L’istituto, nel nostro ordinamento, è stato abolito: caratteristiche analoghe, però, sono riscontrabili nel deposito franco. V. anche: punto franco.

  • POSIZIONE CORTA

    Trad. it. dell’ingl. short position. È la posizione dell’operatore di una borsa valori o di una borsa merci che non possiede i titoli o le merci che deve consegnare in base ai contratti stipulati. Indica dunque l’ammontare dei titoli o strumenti finanziari derivati venduti allo scoperto, le cui rispettive posizioni non sono chiuse da operazioni di acquisto in senso opposto. Per estensione si dice che nei contratti a termine (opzioni, futures ecc.) assume una posizione corta il venditore che è tenuto a consegnare a termine titoli o merci. Dall’altra parte viene invece denominata posizione lunga quella del compratore. Le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia definiscono posizione corta (o debitoria) lorda gli “scoperti tecnici”, i titoli da consegnare per operazioni da regolare (a pronti o a termine) e le altre operazioni “fuori bilancio” che comportano l’obbligo o il diritto di vendere titoli, indici o tassi di interesse prefissati; posizione corta (o debitoria) lorda in valute le passività in valuta, le valute da consegnare per operazioni da regolare (a pronti o a termine) e le altre operazioni “fuori bilancio” che comportino l’obbligo o il diritto di vendere attività in valuta; posizione netta corta su un titolo, la posizione che risulta dalla differenza tra le posizioni creditorie lorde e quelle debitorie lorde, in bilancio e fuori bilancio, relative alla medesima emissione per i titoli di debito; posizione netta in valuta la differenza tra la posizione lunga lorda e la posizione corta lorda in ciascuna valuta.

  • POSIZIONE DEL CLIENTE

    Situazione dei conti di un cliente ad una determinata data, nei confronti della banca presso la quale è affidato. La posizione riguarda tutti i conti in valuta nazionale e in divise estere, in titoli e in merci, gli impieghi attuali o Prevedibili, determinati o da determinarsi. Essa costituisce il documento su cui si basa la direzione della banca nell’amministrazione dei fidi concessi al cliente secondo i criteri interni di ogni singola banca. La compilazione della posizione di ciascun cliente ha inizio con l’annotazione dei saldi attivi e passivi dei conti correnti per i quali è necessario mettere in evidenza sia il saldo contabile che quello liquido quando il cliente usufruisce dell’accreditamento di assegni. Nel caso alcune passività del cliente siano assistite da garanzie speciali, sarà data specificazione anche di esse. Seguono quindi le annotazioni relative ai rischi di portafoglio in corso, il dettaglio delle tratte e l’esposizione per pagherò diretti e per rischi indiretti (fideiussioni, avalli ecc.). Saranno, inoltre, annotati i fidi autorizzati, l’esposizione del cliente per aperture di credito, per avalli e fideiussioni, prestati dalla banca, per sovvenzioni su merci, per riporti, per compravendita di titoli a consegna, per cambi a consegna. Le procedure per l’elaborazione dei dati dai quali si ricava la “posizione” di ogni singolo cliente sono ormai su supporto elettronico nella maggior parte delle banche e alcune procedure forniscono le indicazioni in “tempo reale”.

  • POSIZIONE IN CAMBI

    Saldo netto giornaliero che scaturisce dal complesso dei saldi in valuta estera di pertinenza della banca. Il calcolo della posizione richiede la redazione di situazioni contabili che forniscono la posizione generale di ciascuna valuta, di quella complessiva di tutte le valute trattate e di quella dei cambi a consegna e riporti in cambi. La posizione per ciascuna valuta risulterà da un prospetto sul quale sono state annotate le divise acquistate e vendute, i cambi a termine acquistati e venduti, gli addebitamenti e gli accreditamenti nei conti dei corrispondenti esteri, i cambi impegnati per i quali si attendono la conferma e gli arbitraggi. Il saldo di tali voci fornisce la posizione della banca nei confronti di ciascuna valuta estera. Prima della liberalizzazione valutaria, le banche dovevano tendere al pareggio giornaliero delle operazioni in cambi. Tale pareggio, inizialmente imposto valuta per valuta, era stato successivamente richiesto per gruppi di valute (CEE, extra-CEE, dollaro, Eco) e, infine, per il solo controvalore in lire della posizione complessiva. Attualmente non vige più alcun obbligo di pareggiamento: le banche possono conseguentemente mantenere posizioni aperte in qualsiasi valuta, con assunzione dei connessi rischi di cambio.

  • POSIZIONE IN TITOLI

    Situazione del portafoglio titoli di una banca. La situazione titoli serve per conoscere: la quantità sia assoluta che relativa dei titoli di ciascuna specie che la banca possiede al fine di raggiungere, attraverso nuove operazioni, il più conveniente frazionamento dei rischi; quali e quanti titoli, di quelli posseduti, siano stati utilizzati o siano ancora utilizzabili in operazioni di provvista di fondi; gli impieghi attivi e passivi che la banca ha compiuto per operazioni a termine in titoli; la quantità di titoli presso la banca a garanzia di operazioni attive; l’eventuale possibilità di influire sul corso di un determinato titolo in rapporto alla quantità posseduta.

  • POSIZIONE LAVORATIVA

    L’Istat definisce una posizione lavorativa come contratto di lavoro, esplicito o implicito, finalizzato allo svolgimento di una prestazione lavorativa contro corrispettivo di un compenso.
    Fonte: Banca d'Italia

  • POSIZIONE LUNGA

    Trad. it. dell’ingl. long position. È la posizione dell’operatore di una borsa valori o di una borsa merci che si trova ad avere, in un dato momento, una quantità di titoli o di merci superiore a quella che deve consegnare in base ai contratti stipulati. Per estensione si dice che nei contratti a termine (opzioni, futures ecc.) assume una posizione lunga il compratore che ha titolo a ricevere titoli o merci. Dall’altra parte viene invece denominata posizione corta quella del venditore. Le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia definiscono posizione lunga (o creditoria) lorda l’insieme dei titoli in portafoglio, i titoli da ricevere per operazioni da regolare (a pronti o a termine) e le altre operazioni “fuori bilancio” che comportano l’obbligo o il diritto di acquistare titoli, valute, merci, indici, tassi di interesse o di cambio prefissati; posizione lunga (o creditoria) lorda in valute le attività in valuta, le valute da ricevere per operazioni da regolare (a pronti o a termine) e le altre operazioni “fuori bilancio” che comportino l’obbligo o il diritto di acquistare attività in valuta; posizione netta lunga su un titolo, la posizione che risulta dalla differenza tra le posizioni creditorie lorde e quelle debitorie lorde, in bilancio e fuori bilancio, relative alla medesima emissione per i titoli di debito; posizione netta in valuta la differenza tra la posizione lunga lorda e la posizione corta lorda in ciascuna valuta.

  • POSIZIONE PATRIMONIALE VERSO L'ESTERO

    Prospetto statistico che mostra, a una certa data, la consistenza delle attività e delle passività finanziarie di un paese verso il resto del mondo. Lo schema di presentazione della posizione patrimoniale verso l’estero utilizza gli stessi criteri classificatori del conto finanziario della bilancia dei pagamenti: funzionale, attività/passività, per strumento e settoriale. La bilancia dei pagamenti e la posizione patrimoniale sono raccordabili. La variazione della posizione patrimoniale netta verso l’estero, al netto degli aggiustamenti di valutazione (prezzi degli strumenti finanziari sottostanti, tassi di cambio) e di altri aggiustamenti, corrisponde al saldo del conto finanziario, che a sua volta coincide con la somma dei saldi del conto corrente e del conto capitale e della voce errori e omissioni della bilancia dei pagamenti.
    Fonte: Banca d'Italia

  • POSIZIONI

    Nelle banche era così denominata una struttura nella quale venivano documentati, su schede intestate a ciascun cliente, i saldi dei conti e le altre posizioni per operazioni creditizie in corso. Tipico era l’ufficio nel quale si tenevano le schede dei conti correnti attivi e passivi con la clientela (e con le banche corrispondenti), incaricato di vistare gli assegni (e gli altri documenti contabili a credito e a debito) prima del loro pagamento o cambio allo sportello. Oggi, i movimenti dei conti con la clientela e le altre operazioni relative a utilizzi e rientri di crediti accordati sono memorizzati su archivi elettronici dai quali le posizioni di ciascun cliente possono essere rilevate mediante interrogazioni a terminale effettuabili anche dagli addetti agli sportelli. Se le procedure sono in tempo reale, le posizioni della clientela vengono aggiornate contestualmente all’effettuazione delle varie operazioni. Ciò ha consentito di eliminare la richiesta del visto preventivo che in precedenza veniva fatta dagli uffici operanti all’ufficio posizioni, prima di consentire qualsiasi operazione di addebito o di utilizzo di credito (p.e. pagamento di assegni, accensioni di anticipi s.b.f., finanziamenti all’importazione). In particolar modo, risultano snellite le operazioni di sportello che vengono perfezionate da un unico operatore (cassiere terminalista).

  • POSIZIONI APERTE

    Detta anche: contratti aperti. Rende in it. l’espressione ingl. open interest mutuata dalla terminologia delle borse merci americane, dove denota la quantità di beni necessari in un qualsiasi momento a un operatore per soddisfare i contratti a termine su cui si è esposto. È il numero delle operazioni di futures o di opzioni acquistati dagli operatori e non ancora rivenduti (ovvero non ancora chiusi con un operazione di segno contrario), in un dato momento. Sul mercato dell’Idem l’open interest è reso noto al pubblico immediatamente al termine della seduta e sul listino.

  • POSSESSO

    Relazione materiale tra un soggetto e un determinato bene, accompagnata dall’intenzione di avere la cosa per sé e goderla come propria. A differenza della proprietà, il termine implica una semplice potestà di fatto che l’ordinamento giuridico, a determinate condizioni, riconosce e tutela. La signoria di fatto sulla cosa deve essere caratterizzata dall’intendimento di comportarsi come proprietario; altrimenti, si ha soltanto detenzione. Ad esclusione di quelli demaniali (v. demanio), possono essere oggetto di possesso tutti i beni oltre che i diritti reali a questi inerenti: in questo caso si parla di possesso di diritti o quasi possesso. L’acquisto del possesso è a titolo originario, se avviene con l’apprensione della cosa, ovvero derivato, ed allora presuppone la consegna da parte del precedente possessore. La perdita si ha con il venir meno del potere sul bene, ovvero quando cessa la volontà di tenerlo come proprio. Il possesso si presume in colui che esercita il potere di fatto, quando non si provi che tale esercizio è iniziato per conto di altri, come semplice detenzione. Il possesso attuale, però, non fa presumere quello anteriore; si ammette invece la presunzione del possesso intermedio, allorché l’attuale possessore abbia posseduto anche in un periodo più remoto. Il possesso continuato, iniziato non violentemente o clandestinamente, porta, col decorso del tempo, all’acquisto della proprietà (v. usucapione) o del diritto reale esercitato. L’ordinamento giuridico accorda al possessore una specifica tutela giurisdizionale e prevede due distinte azioni: quella di reintegrazione o spoglio e quella di manutenzione. La prima è data per riottenere la cosa nelle ipotesi di spossessamento violento o fraudolento; la seconda, invece, mira all’eliminazione di atti molestiche turbino il godimento del bene. Inoltre, ricorrendone le condizioni, il possessore può esercitare la denunzia di nuova opera e la denunzia di danno temuto. Particolari effetti sono ricollegati al possesso di buona fede, che si ha quando si ignori l’esistenza di diritti di terzi sulla cosa, a condizione che tale ignoranza non derivi da grave negligenza. In caso di rivendica da parte del proprietario, il possessore non è tenuto a restituire i frutti percepiti, mentre, di norma, il rivendicante deve restituire le spese eseguite. Il possesso di buona fede di beni mobili, accompagnato da un titolo valido ed idoneo a produrre il trasferimento, comporta l’acquisto immediato della proprietà, anche se il dante causa non è proprietario o comunque legittimato ad alienare. La buona fede, per principio generale, è presunta, e l’onere di provare il contrario spetta pertanto a chi vi ha interesse. È sufficiente, inoltre, che il requisito della buona fede sussista all’inizio del possesso, poiché la successiva conoscenza dell’esistenza di diritti di terzi sulla cosa non ha rilevanza. Oltre al possesso corrispondente alla proprietà od alla titolarità di diritti reali di godimento, va infine segnalato il possesso di stato, consistente in una serie di circostanze dalle quali si deduce lo stato di figlio legittimo. In mancanza dell’atto di nascita, il possesso di stato ha piena efficacia nella prova della filiazione.

  • POSTA CORRETTIVA

    Importo che evidenzia la correzione apportata in conto. La correzione può riguardare un errore materiale o la necessità di dare al saldo del conto un valore "assestato" secondo il criterio della competenza economica dei costi e dei ricavi all’esercizio. Gli esempi del primo tipo sono facilmente intuibili, quelli del secondo sono da ricollegarsi alla contabilizzazione delle rimanenze finali di merci, di materie e prodotti; alla rilevazione della quota annua di ammortamento; alla registrazione della presunta perdita su crediti; ecc. In bilancio le poste correttive derivanti dalle scritture di assestamento (v. assestamento dei conti) trovano collocazione, nello stato patrimoniale, raggruppate in classi omogenee, come i vari tipi di rimanenze di materie prime, sussidiarie e di consumo, di prodotti in corso di lavorazione e semilavorati, di lavori in corso su ordinazione, di prodotti finiti e merci, nel conto economico come quota annua di ammortamento, come quota di svalutazione dei crediti in essere al termine dell’esercizio, variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti, variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci ecc. Nello stato patrimoniale in forma abbreviata il fondo ammortamento e il fondo svalutazione crediti vengono inseriti a rettifica del relativo valore lordo, soluzione accettabile anche per lo stato patrimoniale ordinario, anche se la lettera del codice civile richiede la rettifica diretta nei conti.

  • POSTA ELETTRONICA

    Sistema di comunicazione elettronica in rete, comunemente conosciuta con l’espressione americana e-mail.

  • POSTA, IN CONTABILITÀ

    Importo registrato in dare o in avere di un conto, del quale modifica il valore. La “posta” ha una specifica individualità che le deriva dal fatto di gestione da cui è generata. In base al metodo della partita doppia, ad ogni posta registrata in dare, e cioè addebitata in un conto, ne corrisponde una o più in avere di uno o più conti e viceversa, in modo che il totale degli addebitamenti uguagli sempre quello degli accreditamenti. Nel bilancio il processo di conglobamento delle singole poste contabili viene portato molto avanti per rispettare il carattere di sintesi di tale documento. Ne consegue che le voci di bilancio non corrispondono alle poste contabili, ma sono costituite dal saldo dei singoli conti ovvero dalla somma algebrica tra poste contabili addebitate ed accreditate nei conti chiusi “a bilancio”.

  • POSTAMAT

    Marchio delle Poste Italiane spa per la Carta Postamat Maestro, carta di debito analoga al PagoBancomat. Mediante l’utilizzo di un PIN permette di prelevare e pagare in tutti gli uffici postali in Italia; prelevare dagli sportelli automatici postali del circuito Postamat; prelevare da tutti gli sportelli automatici bancari che hanno il marchio Cirrus/Maestro in Italia e all’estero; pagare gli acquisti in tutti gli esercizi commerciali con POS convenzionati Maestro. I prelievi presso gli ATM non devono superare 600 € al giorno senza limiti mensili se non quelli determinati dalla disponibilità del conto. I prelievi presso gli sportelli postali non hanno limite. I pagamenti tramite POS hanno un limite di 600 € giornalieri con un plafond di 1.600 € mensili. Sono inoltre disponibili i servizi di ricarica cellulari (presso gli ATM Postamat) e il pagamento di pedaggi autostradali.

  • POSTE ITALIANE

    Società per azioni costituita il 28.2.1998 per trasformazione dell’Ente Poste Italiane decisa con deliberazione CIPE 18.12.1997. A sua volta l’Ente Poste Italiane derivava dalla trasformazione dell’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico (d.l. 1.12.1993 n. 487, conv. con modif. dalla l. 29.1.1994 n.71). L’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni era un’amministrazione autonoma statale senza personalità giuridica suddivisa in Azienda delle Poste e elegrafi (PPTTo PT) e l’Azienda di Stato dei Servizi telefonici (ASST; soppressa nel 1992; le attività sono state cedute alla Sip, oggi Telecom). Poste Italiane spa esercita il servizio universale postale e dei pagamenti su tutto il territorio nazionale, è ripartita in cinque Divisioni: Corrispondenza, Espresso logistica e pacchi, Bancoposta, Rete territoriale, Filatelia e dispone di una rete di circa 14.000 uffici postali. Detiene alcune partecipazioni insieme alle quali costituisce il Gruppo Poste Italiane spa: SDA Express Courier (operatore nel settore del corriere espresso che possiede a sua volta diverse società operanti in attività connesse), Postel spa (posta elettronica ibrida: le lettere, inviate per posta elettronica dal cliente sono stampate, imbustate e recapitate dal servizio di corrispondenza ordinario), Postevita spa (autorizzata dal marzo 1999 all’esercizio dell’attività assicurativa nel ramo vita), Postecom spa (progetta e gestisce servizi accessibili via Internet, tra cui i servizi on line di BancoPosta).

  • POSTO DI LAVORO

    Postazione elettronica (generalmente costituita da una unità di elaborazione, uno schermo, una tastiera e un dispositivo per il puntamento sullo schermo - detto “mouse”) attraverso la quale un utente finale può accedere ai sistemi informativi della Banca o può effettuare “in loco” l’elaborazione di dati.

  • POTERE D'ACQUISTO

    Quantità di beni e di servizi che può essere acquistata con una data quantità di moneta. Il potere d’acquisto è dato dal reciproco dei prezzi e le variazioni di questo rapporto indicano, a seconda dei casi, apprezzamento o deprezzamento della moneta. Detto altrimenti, esso varia in funzione inversa all’andamento dei prezzi: diminuisce quando i prezzi salgono e aumenta nel caso contrario.

  • POTERE DI EMISSIONE

    Diritto di emettere biglietti aventi corso legale, oggi riservato di regola alla banca centrale. In quasi tutti i paesi, infatti, l’emissione di biglietti è effettuata da un solo istituto, che svolge la sua attività nell’ambito della legge e sotto il controllo dello Stato. In Italia la legge bancaria del 1874 riconosceva sei banche di emissione: la Banca nazionale del Regno (già Banca nazionale sarda), la Banca toscana di credito, la Banca nazionale toscana, la Banca romana (già Banca dello Stato pontificio), il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. A seguito della crisi bancaria del 1893, la Banca romana fu posta in liquidazione e la Banca nazionale del regno, assorbite la Banca toscana di credito e la Banca nazionale toscana, ha assunto il nome di Banca d’Italia. A partire dal 1°.7.1926 la facoltà di emissione è stata riservata alla sola Banca d’Italia (d.l. 6.5.1926 n. n. 812, conv. in l. 25.6.1926 n. 1362) che, da allora, ne ha conservato il monopolio fino alla sua attribuzione alla Banca centrale europea (BCE) con la terza fase dell’UEM.

  • POTERE DI FIRMA

    1. Detto anche facoltà di firma. Fenomeno, sostanzialmente riconducibile nell’ambito della rappresentanza, consistente nella legittimazione di un soggetto a sottoscrivere atti giuridici, assumendo così obblighi e acquisendo diritti in nome e per conto altrui. Nello svolgimento dell’attività d’impresa i soggetti abilitati ad agire in luogo dell’imprenditore possono essere stabilmente inseriti, ancorché con margini di autonomia decisionale differenziati, nell’ambito dell’organizzazione aziendale in forza di un rapporto di lavoro subordinato (c.d. ausiliari interni dell’imprenditore): essi sono l’institore (il quale può però essere vincolato da un rapporto di collaborazione continuativa e non solo da un contratto di lavoro subordinato), il procuratore e il commesso, e l’attività dagli stessi posta in essere è disciplinata in modo peculiare dagli artt. 2203 e ss. c.c., in materia di rappresentanza commerciale. Peraltro il potere di firma può appartenere anche a soggetti estranei all’organigramma aziendale, i quali tuttavia collaborano con l’imprenditore, occasionalmente o stabilmente, in base a rapporti contrattuali di varia natura, quali p.e. mandato o commissione (v. contratto di commissione): si fa riferimento a questo riguardo agli ausiliari c.d. esterni, nei confronti dei quali trova applicazione, oltre alla disciplina del contratto di collaborazione che li vincola all’imprenditore (alla quale si rinvia), la normativa contenuta, in materia di rappresentanza, negli artt. 1387 e ss. c.c. Il ruolo di maggior rilievo, e dunque l’attribuzione del potere di firma, spetta all’institore, genericamente assimilato alla figura del direttore generale o ad altro dirigente d’azienda preposto ad un settore di attività costituente un’unità organica o responsabile di una sede secondaria (direttore di sede o di filiale); non può escludersi però l’esistenza di una pluralità di institori, che possono agire disgiuntamente o congiuntamente, in conformità al conferimento dei poteri intervenuto all’atto della preposizione. Per quanto concerne le banche, di norma il potere di firma è conferito al presidente del Consiglio d’amministrazione o, in caso di sua assenza o impedimento, al vice presidente e, per gli atti della direzione generale e delle filiali, al direttore generale o, in caso di sua assenza o impedimento, al vice direttore generale. Il potere di firma, su deliberazione del Consiglio d’amministrazione o del direttore generale, può essere delegato, in conformità agli statuti, per gli atti della direzione generale al direttore generale oppure a dirigenti centrali singolarmente o (più spesso) congiuntamente; per gli atti delle filiali e delle agenzie dipendenti, di norma, al irettore titolare o al vice direttore congiuntamente tra loro o ad uno di essi congiuntamente ad altro funzionario oppure, ma in via straordinaria, ad un impiegato che, in caso di necessità temporanea ed eccezionale, sia stato espressamente autorizzato. Peraltro la facoltà di firma per i dirigenti e i funzionari della filiale è limitata all’attività negoziale di competenza della filiale stessa e delle agenzie da essa dipendenti. 2. Nelle banche, di regola, vige il sistema delle firme congiunte nella corrispondenza comportante impegni o rischi verso terzi. La prima firma è apposta generalmente da un funzionario dell’ufficio, la seconda da un funzionario o dirigente cui spetta la responsabilità del servizio. Nelle filiali la persona autorizzata a firmare la corrispondenza è un procuratore e la seconda firma è apposta da un dirigente o dal direttore. Non sempre la facoltà di firma implica rappresentanza (p.e. firma apposta dal cassiere o dall’impiegato contabile sui titoli di credito).

  • POTERE LIBERATORIO DELLA MONETA

    Capacità della moneta legale a corso forzoso di liberare da obbligazioni chi la offre in adempimento di un’obbligazione pecuniaria. Questo potere appartiene solo ai biglietti di banca e alla moneta di Stato aventi corso legale. Nel nostro Paese, per tutti gli altri strumenti di pagamento il potere di assolvere le obbligazioni dipende dal consenso del creditore. Nessuna legge infatti conferisce capacità liberatoria, p.e., agli assegni di conto corrente, anche se questi sono nella pratica abbastanza accettati come mezzo di pagamento. Nel nostro Paese questo principio è imposto dall’art. 1277 c.c. e l’adempimento con modalità diverse (principalmente la moneta bancaria, appunto, ma anche la cessione di crediti, il baratto) è liberatorio solo se c’è il consenso del creditore (artt. 1197 e 1198 c.c.). Peraltro la l. 2.7.1991 n. 197, (conv. del d.l. 3.5.1991 n. 143, “legge antiriciclaggio) sancisce una deroga al principio dell’art. 1277 c.c. L’art. 1 della legge, infatti, vieta in generale il trasferimento di denaro contante (oltre che di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in lire o in valuta estera) a qualsiasi titolo per somme complessivamente superiori a lire venti milioni, consentendone però l’esecuzione mediante banche, BancoPosta e altri intermediari finanziari indicati dalla legge (all’art. 4) secondo certe formalità che hanno per obiettivo l’attività di prevenzione antiriciclaggio. Di conseguenza la previsione di ricorrere alla moneta legale fata dall’art. 1277 c.c. si applica all’adempimento delle obbligazioni pecuniarie di importo non superiore ai 20 milioni di lire (10.329,14 €), mentre per importi superiori è obbligatorio il ricorso alla moneta bancaria. V. anche: corso della moneta; moneta; strumenti di pagamento nell’e-commerce.

  • POTESTÀ DEI GENITORI

    Complesso di poteri- doveri spettante ai genitori nell’interesse dei figli. I genitori, infatti, hanno l’obbligo di mantenere, educare la prole e curarne l’istruzione, secondo le capacità, le inclinazioni e le aspirazioni. I figli sono soggetti alla potestà dei genitori fino al compimento della maggiore età o all’emancipazione. La potestà viene esercitata di comune accordo da entrambi i genitori; il giudice però può pronunciare la decadenza dalla potestà di entrambi o di uno solo di essi qualora vengano meno ai loro doveri o abusino con grave pregiudizio del figlio del loro potere. I genitori, o il genitore che esercita in modo esclusivo la potestà, rappresentano i figli nati o nascituri in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni; non possono però compiere atti di straordinaria amministrazione se non per necessità o utilità evidente del figlio e dopo autorizzazione del giudice tutelare.

  • PPBS

    Acr. di: Planning, Programmino, Budgeting System. Sistema di programmazione utilizzato nell’ambito pubblico e che comporta l’uso, oltre al bilancio annuale, anche di un secondo bilancio che tenga conto degli obiettivi della programmazione economica.

  • PRAGMATISMO E VITALITA' DELLA ANALISI ECONOMICA

    1) Vi sono situazioni storiche di fronte alle quali i punti di vista degli economisti sono più differenziati. Noi attraversiamo una situazione storica di questo tipo. E le contrapposizioni tra gli economisti stanno nuocendo al giudizio circa l’attendibilità della scienza economica.
    Come studioso di questa scienza, sento perciò la necessità di dimostrare l’infondatezza di questo giudizio. Per farlo, mi baserò soprattutto sul ruolo determinante che le ipotesi di volta in volta assunte dagli economisti svolgono nella diagnosi degli squilibri, e conseguentemente nelle terapie suggerite. Diagnosi e terapie si differenziano reciprocamente per effetto delle ipotesi che le suffragono.
    Userò alcune “parole chiave” che aiutano a cogliere la sostanza del problema.

    2) La prospettiva “temporale”
    Il breve periodo è una di questa. Si intende con essa uno stato di cose in cui la struttura dell’economia è data: è data, cioè, la dotazione dei vari fattori di produzione, data la tecnologia, e dato è per conseguenza il prodotto potenziale dell’economia. Ma può esserci, ad esempio per effetto del ciclo, un prodotto diverso dal potenziale.
    Di ciò, una domanda globale debole è una delle principali cause, e il sostegno della domanda è in questo caso una politica fisiologica. Una spesa pubblica in aumento, riduzioni della pressione fiscale, e per tutto ciò disavanzi pubblici più ampi, da un lato, ed una politica monetaria espansiva, dall’altra, trovano allora un’applicazione pertinente.
    Nel breve periodo le cose stanno così, e va riconosciuto il messaggio al riguardo di Keynes. Ma nel lungo periodo? Questa è una prospettiva non prediletta da questo economista: “nel lungo periodo, saremo tutti morti”, è una sua frase famosa.
    Ma inappropriata: innanzitutto, perché dovremmo occuparci un po’ più delle generazioni giovani e di quelle future. E poi, perché il lungo periodo degli economisti non è il trascorrere del tempo. E’ piuttosto - come si evince dalla definizione già data del breve periodo - uno stato di cose in cui fenomeni considerati assenti nel breve sono invece all’opera in misura determinante.
    Beninteso, un livello adeguato di domanda globale è importante anche nel lungo periodo. Ma sono all’opera anche modifiche strutturali: dalla tecnologia alla demografia; il funzionamento dei mercati del lavoro e del credito; il grado di efficienza della Pubblica Amministrazione; una giustizia rapida ed imparziale; una struttura fiscale in contrasto con le iniziative di consumo e di impresa; una tipologia di spesa pubblica (spending review) che richiede revisioni e priorità (e non basata sui tagli orizzontali, utili solo ad evitare dissidi nel Governo). Gli indicatori della “Qualità della vita” sembrano un contributo importante per individuare le priorità avvertite dai cittadini.
    Questi e consimili fattori richiedono riforme: più difficili da realizzare perché spesso contrastate da lobbies conservatrici, e perché i relativi benefici si avvertiranno quando le cadenze elettorali, che spingono piuttosto a provvedimenti “elettoralistici”, saranno già passate. (J. Buchanan e G. Tullock, “The calculus of consent”, 1962; ma molto prima, A. De Viti de Marco, “Principi di economia finanziaria”, 1934).

    3) La concorrenza estera
    Vi sono economie per le quali la concorrenza estera non è strutturalmente rilevante, e ciò in quanto autosufficienti, o in quanto esistono protezioni importanti sotto varie forme, come dazi, divieti, e contingentamenti. Noi viviamo in tempi di globalizzazione, e cioè di economie molto aperte agli scambi con l’estero e ai movimenti di capitale e di lavoro.
    Questa ipotesi di massima apertura all’estero non è frequente nelle teorie keynesiane. Non è una critica a Keynes, ma agli economisti che non prestano attenzione alle conseguenze che derivano, nell’analisi, dall’introduzione dell’ipotesi di economia aperta.
    La competitività è cruciale in questa diversa prospettazione. Se i governi si limitano a sostenere la domanda globale senza potenziare, al tempo stesso, la competitività del proprio paese, un risultato probabile è che la domanda cresca, ma si rivolga all’acquisto di prodotti esteri, per l’appunto più competitivi.
    Questo risvolto è particolarmente grave per le economie prive o scarsamente dotate di materie prime, e che devono procurarsele sul mercato estero. Ma per farlo, devono essere in grado di realizzare in contropartita esportazioni adeguate: ossia, devono essere competitive anche nella misura corrispondente alle esigenze di approvvigionamento delle imprese nazionali.

    4) L’economia “supply side”
    E’ un progresso importante nel percorso logico dell’analisi economica. Si delinea il ruolo di una visione comprensiva della realtà in cui appare il ruolo di altri elementi rispetto alla domanda.
    Non si tratta di accantonare la politica della domanda, ma di integrarla con altre politiche.
    Ma prima di proseguire occorre tener conto del contributo dei cosiddetti monetaristi, il cui principale esponente è M. Friedman. Se, per sostenere la domanda, si adotta una politica di finanza pubblica molto espansiva, si osserva che ne possono derivare effetti di spiazzamento degli investimenti privati: con conseguenze negative sulla stessa domanda globale, ma anche sullo sviluppo di lungo periodo dell’economia.
    Per evitarlo, occorre adottare una politica monetaria espansiva, come hanno fatto gli Stati Uniti nella crisi iniziata nel 2007, ed oggi la Banca centrale europea: quest’ultima, in un contesto più difficile per motivi, ancora, strutturali. Se introduciamo l’ipotesi - di nuovo, le ipotesi - che una politica monetaria espansiva susciti inflazione, questa, specie con cambi fissi, suscita effetti simili a quelli di una ridotta competitività; o se, all’opposto, l’ipotesi è di un’elevata preferenza per la liquidità del pubblico e delle banche - rese restie a concedere crediti data la componente di rischio derivante dalla crisi - la politica monetaria perde efficacia.
    Ma più significative sul fronte “supply side” sono altre teorie. In origine, si può dire che se ne intravedono tracce nella legge degli sbocchi di Jean-Baptiste Say. Ai nostri fini, questa va interpretata non nel senso ovvio dall’identità - il prodotto nazionale è sempre potenzialmente adeguato ad essere assorbito dalla domanda di quanti l’hanno realizzato - ma in senso “supply side”: se non aumenta il prodotto non può esservi uno stabile aumento della domanda.
    In tempi più recenti, l’attenzione verso l’offerta e sui fattori che la influenzano, come la pressione fiscale, quella salariale o la produttività è riconoscibile in I. Kristol, in A. B. Laffer, in Gilder ed altri (rispettivamente in “Two Cheers for Capitalism, 1978; “The monetary crisis”, 1979; “Wealth and poverty”, 1981). Occorre rimuovere i fattori di criticità e potenziare i fattori della crescita del sistema produttivo. Ecco delinearsi le riforme strutturali.
    A questa categoria di pensiero possono ricondursi anche le teorie “reputazionali”. La competitività dipende in un mondo globalizzato anche dalla reputazione del Paese: secondo una riflessione che dura da decenni (di recente, A. Mancinelli, “La comunicazione sostenibile. Valori, reputazione e governo nelle democrazie complesse”, 2008 e R. Artoni “Teoria economica e Analisi delle istituzioni”, 1993).
    Se la reputazione è insufficiente, gli investimenti esteri si terranno lontani, e le imprese interne tenderanno a farli all’estero. I movimenti del lavoro - specie giovanile - seguiranno analoghe tendenze.
    La reputazione è importante non solo per le istituzioni pubbliche. Un sistema finanziario o bancario più propenso ad attività speculative - secondo varie interpretazioni, con i finanziamenti “N.I.N.J.A” (né reddito, né lavoro, né attività) e sub-prime specie negli Stati Uniti, o più in generale con l’eccesso di sofferenze ed incagli nella concessione del credito a famiglie ed imprese e la stessa acquisizione di imponenti volumi di titoli di Stato (circa 200 milioni in Italia) - nuociono ad una gestione equilibrata del credito e alla credibilità del sistema.
    Queste situazioni spingono ad interventi pubblici di salvataggio delle banche più esposte - come in Germania negli anni passati - o a tecniche discutibili - come il bail-in che considera responsabili della crisi di singole aziende bancarie anche i depositanti, fino all’operazione “Atlante” per il recupero di valore dei crediti deteriorati (con la partecipazione della Cassa Depositi e Prestiti, controllata per l’80% dal Tesoro).
    Siamo ad una conclusione generale, che del resto risponde ad un’esigenza etica nella scienza: rifuggire dai pregiudizi, ed impegnarsi solo nella ricerca della verità (o, almeno, verosimiglianza). La coesistenza di diverse teorie economiche, come quelle che a titolo esemplificativo si sono evocate, non indebolisce il contributo della scienza economica al progresso della conoscenza. Al contrario, ne estende la capacità di comprensione della realtà, grazie alla varietà delle ipotesi di base, che riflettono alternativamente, ma anche sinergicamente, le caratteristiche preminenti dei casi storici che si affrontano. Al di là di ciò, le critiche che si formulano andrebbero piuttosto rivolte alle scelte dei politici, non sempre congrue rispetto ai moniti che si prospettano.


    Redattore: Antonio MARZANO

  • PRASSI BANCARIA

    Pratica costante di comportamento tenuta dagli organismi bancari. La prassi non si differenzia solo dalle norme o dai regolamenti interni che hanno efficacia obbligatoria per gli appartenenti ad un determinato istituto, ma anche dalle consuetudini interne che sono legate al convincimento della loro conformità a un obbligo giuridico. Essa, quindi, costituisce una regola di condotta che si forma e viene seguita solo perché ritenuta la più conveniente ed opportuna. Nessuna responsabilità disciplinare può derivare dall’eventuale inosservanza della prassi, così come non è possibile alcun ricorso in caso di violazione della medesima. Pertanto la prassi differisce dagli usi di banca.

  • PREAVVISO

    Periodo che deve trascorrere, nei contratti di durata e a tempo indeterminato, tra il momento in cui un soggetto rende nota la sua volontà di recedere e quello in cui il contratto ha termine. Nella tecnica bancaria il preavviso viene dato quando un soggetto intende procedere, entro un termine convenuto, all’esecuzione di un’operazione o alla liquidazione di un conto o di un altro rapporto obbligatorio. Il preavviso si usa con riferimento all’obbligo del depositante di dare notizia alla banca dell’intenzione di prelevare le somme depositate. Nella pratica la banca paga comunque le somme richieste dal cliente anche senza preavviso nei termini fissati, ma retrodata la valuta del prelievo al giorno precedente a quello in cui doveva essere dato il preavviso.

  • PRECETTO

    Intimazione di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo entro un termine non minore di dieci giorni, salva abbreviazione autorizzata dal giudice, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata individuale. Titolo esecutivo è un atto giuridico contenente un comando di dare, di fare e di non fare, che può essere eseguito forzatamente, ossia attraverso un procedimento giurisdizionale (il processo d’esecuzione), volto a soddisfare coattivamente il diritto del beneficiario del suddetto comando. Il precetto è sottoposto ai requisiti di forma prescritti dall’art. 480 c.p.c. e deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione delle parti, della data di notificazione del titolo esecutivo, se questa è fatta separatamente, o la trascrizione integrale dello stesso, con la notificazione dell’uffi ciale giudiziario che la trascrizione corrisponde esattamente all’originale. Il precetto, a norma del successivo art. 481 c.p.c., diventa inefficace se nel termine di novanta giorni dalla sua notificazione il creditore non inizia l’esecuzione forzata.

  • PREFERENCE SHARES

    Titoli che associano a forme di indicizzazione, con remunerazione variabile legata ai tassi di mercato, clausole di subordinazione particolarmente accentuate, come p.e., il mancato recupero negli esercizi successivi degli interessi non orrisposti dalla banca e la perdita definitiva del diritto alla remunerazione in caso di azzeramento per perdite del capitale della banca. Le Istruzioni di Vigilanza di Banca d’Italia stabiliscono le condizioni in base alle quali le preference shares possono essere considerate ai fini del calcolo del patrimonio di base delle banche e dei gruppi bancari. Nel febbraio 2000, in particolare, Banca d’Italia ha modificato le disposizioni di vigilanza per tenere conto delle indicazioni fornite dal Comitato di Basilea, prevedendo che, nel caso di perdite che determinino una riduzione del requisito patrimoniale minimo complessivo al di sotto del 5%, la banca può utilizzare le preference shares per assorbire le perdite stesse.

  • PREFINANZIAMENTO

    Erogazione di risorse finanziarie, preliminare rispetto alla concessione di un finanziamento, generalmente a protratta scadenza. Il prefinanziamento trova giustificazione economica nell’esistenza del finanziamento principale. Ciò influenza il modo in cui l’operazione viene valutata dalla banca erogante: essa considera tale operazione un impiego di fondi a breve scadenza, che verrà estinto con il ricavato del finanziamento principale, ma che comunque richiede la valutazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria del cliente. Il prefinanziamento viene corrisposto nella maggior parte dei casi nella forma dell’apertura di credito in c/c dalla banca all’impresa che ha in corso operazioni di finanziamento collegate con movimenti internazionali di capitali (in particolare con l’accensione di mutui su piazze finanziarie estere e con finanziamenti all’esportazione) e di mutui domestici. Queste operazioni, i mutui in particolare, seguono una procedura burocratica non breve in quanto richiede accertamenti tecnici e legali anche complessi e, inoltre, vengono di solito erogati quando i lavori sono giunti a un determinato stadio. Il prefinanziamento, che può essere concesso anche da una banca diversa da quella che eroga il mutuo, serve a fronteggiare le esigenze finanziarie relative al periodo che va dall’inizio dell’opera al momento in cui matura il diritto al versamento della prima tranche del mutuo. Il prefinanziamento viene anche concesso alle imprese appaltatrici di lavori pubblici dietro garanzia del credito vantato nei confronti dello Stato.

  • PRELAZIONE

    Preferenza accordata a un soggetto nell’acquisto di un diritto. Nel caso di un bene che altri intenda alienare, il diritto di prelazione può nascere dalla legge o da un contratto e si configura come un diritto di credito, nel senso che la controparte, se decide di vendere la cosa può indirizzare la proposta a terzi solo dopo che il preferito (ossia il titolare del diritto di prelazione) l’abbia rifiutata. Diritti di prelazione di origine legale sono, p.e., quello dei coeredi nei confronti dell’erede che vuole alienare ad un estraneo la sua quota di eredità o parte di essa, quello del concedente di un terreno in enfiteusi di fronte all’enfiteuta che voglia vendere il proprio diritto, quello del coltivatore (mezzadro, colono ecc.) di fronte al proprietario che voglia vendere il fondo concesso (art. 8 l. 6.5.1965 n. 590). In tutti questi casi citati suol dirsi che la prelazione ha effetti reali, ciò significando che se il venditore aliena a terzi senza aver prima notificato la proposta di vendita al preferito, questi può riscattare dal terzo acquirente la cosa venduta (c.d. “diritto di retratto”). Diritto di prelazione di origine convenzionale è, p.e., quello del socio di una società per azioni, possessore appunto di azioni con diritto di prelazione (c.d. azioni privilegiate): se la società vorrà emettere nuove azioni egli sarà preferito nell’acquisto. Altra prelazione convenzionale è quella prevista negli statuti societari per la vendita di azioni o quote a favore degli altri soci. La prelazione può avere, anziché effetti reali, effetti soltanto obbligatori: il titolare del relativo diritto può ottenere solo il risarcimento del danno in caso di violazione. Con altra accezione si parla di cause legittime di prelazione quando a favore di alcuni creditori dello stesso debitore esista una garanzia specifica, come il pegno e l’ipoteca, o un privilegio. Nel caso del pegno e dell’ipoteca i beni su cui gravano tali diritti sono sottratti alla garanzia generica e sono destinati a soddisfare in via esclusiva, fino al completo esaurimento delle loro ragioni, i creditori muniti della prelazione; nel caso del privilegio tutti i beni del debitore sono soggetti all’esecuzione, ma, in sede di distribuzione del ricavato dalla vendita coatta, i creditori privilegiati, tenuto conto del rispettivo grado, sono preferiti a quelli c.d. chirografari.

  • PRELAZIONE, CAUSE LEGITTIME

    Cause per cui viene assicurato ad alcuni creditori il diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore a preferenza di tutti gli altri ed in deroga al principiodella par condicio creditorum (art. 2741 c.c.). Sono tali il pegno, l’ipoteca ed il privilegio. Nelle prime due ipotesi i beni su cui gravano tali diritti sono sottratti fin dall’inizio alla garanzia generica e sono destinati a soddisfare in via esclusiva - cioè fino a totale esaurimento delle loro ragioni - i creditori titolari della prelazione. Nel caso del privilegio, invece, i beni del debitore sono soggetti alla procedura esecutiva, ma, in sede di distribuzione del ricavato della vendita, i creditori privilegiati sono preferiti a quelli chirografari. Se la cosa soggetta a privilegio, pegno od ipoteca perisce o è deteriorata, il creditore perde il diritto di prelazione (a meno che il debitore non si sia assicurato contro eventuali danni, nel qual caso il creditore si surroga al primo nella percezione delle somme liquidate a titolo di indennizzo).

  • PREMIO

    Nel mondo degli affari è ogni corrispettivo in denaro in cambio di una prestazione d’opera o di un servizio, quindi compenso, provvigione, emolumento et sim. Nella finanza è genericamente il corrispettivo in cambio di una commissione, una garanzia e specificamente di una copertura assicurativa (premio di assicurazione; premio lordo; premio puro); il prezzo della facoltà di recedere dal contratto a premio abbandonando il premio stesso; l’importo (option money) pagato per le opzioni (i warrant, i covered warrant) dall’acquirente al venditore per il diritto di acquisto (o di vendita) dell’underlying allo strumento derivato; il maggior valore ottenuto in un affare commerciale o finanziario (premio di avviamento; premio di rimborso o di emissione; premio di deporto); un aggio (premio sull’oro); uno speciale contributo o concorso finanziario dato dallo Stato o da altro ente pubblico per incoraggiare certe attività economiche (premio all’esportazione; premio di demolizione o di costruzione; premio alla produzione). Nel rapporto di lavoro dipendente il premio (gratifica) è un’indennità peciale, che si aggiunge alla normale retribuzione e che è corrisposta una tantum o annualmente secondo i contratti, di importo fisso o variabile e in proporzione a determinate circostanze o per particolari risultati produttivi: premio aziendale, di bilancio, di produttività, di produzione, di qualità.

  • PREMIO ALL'ESPORTAZIONE

    Sussidi statali diretti e indiretti che facilitano, a scopo promozionale, la produzione industriale e agraria destinata all’estero. Sono da considerarsi premi all’esportazione anche i premi di navigazione esercitanti linee regolari di traffico, per favorire lo sviluppo della marina mercantile e dell’aviazione civile e i premi di compensazione, destinati a colmare un eventuale squilibrio tra prezzi interni e prezzi esteri dannoso agli esportatori nazionali. Il fine di incoraggiare le esportazioni può anche essere raggiunto mediante il ricorso ai tassi di cambio multipli.

  • PREMIO CONTRO FERMO

    Operazione a carattere speculativo posta in essere abbinando un contratto a premio con un contratto a termine fermo, stipulato contemporaneamente o in tempi successivi. Nella pratica non accade quasi mai che un operatore accenda un contratto a premio a se stante poiché si è soliti combinarlo, con intenti esclusivamente speculativi, ad altre operazioni a fermo sullo stesso quantitativo di titoli o su un quantitativo diverso (maggiore o minore del primo), con lo scopo di modificare il sistema dei rischi. Nelle nostre borse è diffusa la pratica di contratti a premio dont (più raramente gli stellage) variamente “lavorati” con il “fisso”, che consentono di realizzare gli stessi risultati economici di contratti non in uso oppure non stipulabili direttamente per mancanza di contropartite o per condizioni eccessivamente onerose. Le più diffuse modalità di abbinamento di premi contro fermo, note anche con il nome di equivalenza o equazioni di borsa, sono: acquisto a fermo con vendita contemporanea di un dont; compera di un dont con successiva vendita a fermo; vendita a fermo con acquisto contemporaneo di un dont; acquisto di un dont e vendita, contemporanea o meno, di metà del fisso; vendita di un dont con acquisto di metà del fisso; vendita a fermo con acquisto di un dont su un quantitativo doppio di titoli ecc. Tali tipi di combinazioni valgono sostanzialmente anche per il “fermo contro premio”, cioè per le combinazioni di operazioni iniziali ferme con successive operazioni a premio.

  • PREMIO CONTRO PREMIO

    Operazione a carattere speculativo posta in essere abbinando un contratto a premio con un altro contratto di borsa, anch’esso a premio, acceso contemporaneamente e successivamente, per quantitativi di titoli uguali o diversi. In questo caso, così come per i premi contro fermo, la combinazione consente di realizzare gli stessi risultati economici di contratti non in uso oppure non stipulabili direttamente per mancanza di contropartita o per condizioni eccessivamente onerose. Tipici esempi di premio contro premio sono: acquisto di uno stellage con contemporaneo acquisto di un put per un uguale quantitativo di titoli; acquisto di uno stellage con contemporaneo acquisto di un dont per un uguale quantitativo di titoli. Tali combinazioni realizzano sul piano pratico gli stessi effetti economici rispettivamente prodotti dai contratti a premio “strip” e “strap”, recentemente introdotti nelle nostre borse valori.

  • PREMIO DI ASSICURAZIONE

    Somma di denaro che l’assicurato deve versare all’assicuratore quale corrispettivo del rischio assunto da quest’ultimo. Il premio costituisce dunque l’oggetto dell’obbligazione dell’assicurato in esecuzione del contratto di assicurazione (v. assicurazione). Si determina in funzione di due elementi: l’equivalente matematico del rischio sopportato dall’assicuratore, più il caricamento costituito dalle spese e dalle quote utili. Entrambe queste voci sono calcolate in apposite tariffe, su basi percentuali, che debbono essere preventivamente approvate dall’autorità amministrativa. Il premio può essere unico, cioè pagato in unica soluzione, oppure periodico, cioè pagato periodicamente in relazione ai singoli periodi nei quali è suddiviso il rapporto assicurativo. Esso, inoltre, è indivisibile, onde deve essere corrisposto per intero anche nel caso in cui l’efficacia del contratto cessi nel corso di un singolo periodo di assicurazione. Il suo pagamento deve eseguirsi al domicilio del creditore, ma nella prassi assicurativa si è diffuso l’uso di erigere il premio al domicilio dei debitore. La copertura del rischio è in funzione del pagamento del premio; in mancanza, l’assicurazione resta sospesa fino alle ore ventiquattro del giorno in cui il contraente adempie l’obbligazione relativa, quando l’inadempimento riguarda il premio che deve essere corrisposto in unica soluzione o la prima rata; per l’inadempimento relativo alle rate successive, la legge stabilisce che l’assicurazione resta sospesa dalle ore ventiquattro del quindicesimo giorno dopo quello della scadenza. In entrambi i casi, inoltre, trattandosi di assicurazioni contro i danni, il contratto è risolto di diritto se l’assicuratore non agisce per la riscossione entro sei mesi dal giorno di scadenza; nell’assicurazione sulla vita, invece, la risoluzione di diritto del contratto avviene alla scadenza del termine di tolleranza previsto dalla polizza e i premi già pagati restano acquisiti all’assicuratore.

  • PREMIO DI AVVIAMENTO

    Valore versato dall’acquirente di un’impresa in funzionamento, come corrispettivo della particolare capacità dell’azienda di conseguire risultati economici positivi (v. avviamento dell’impresa). Il valore di avviamento viene anche preso in considerazione nel calcolo della quota spettante al socio uscente, in caso di estinzione del rapporto sociale. Per le società quotate in borsa l’art. 2437 c.c. rinvia al prezzo medio delle azioni nell’ultimo semestre. In questo caso, l’avviamento sarà valutato implicitamente dal mercato che dà la quotazione dei titoli. Per le altre società, invece, il valore va espressamente computato per la determinazione della quota da liquidare. Infine, la corresponsione di somme come riconoscimento o corrispettivo dell’avviamento è prevista dalla legge sull’equo canone 27.7.1978 n. 392. All’atto della cessazione dei contratti di affitto di immobili adibiti all’esercizio di attività commerciali o artigiane, il proprietario, tranne che il fatto derivi da inadempimento o disdetta del conduttore, deve versare a quest’ultimo una somma a titolo compensativo per la perdita di avviamento che l’impresa subisce a causa dell’abbandono dei locali.

  • PREMIO DI DEPORTO

    Compenso pagato dal ribassista per ottenere titoli a riporto. Chi ha venduto a termine allo scoperto, cioè senza disporre effettivamente dei titoli, entro il giorno dei riporti fissato nel calendario disposto a cedergli a riporto i titoli necessari per la consegna, sostenendo l’eventuale onere dell’operazione. Il premio di deporto (o déport) rappresenta, nel contratto di riporto, la differenza tra il prezzo per fine corrente (più alto) e il prezzo per fine prossimo (più basso) e costituisce l’onere del finanziamento in titoli. Tale premio viene di norma espresso con una somma fissa per titolo e liquidato in via anticipata; quando è indicato in misura percentuale si parla di “tasso di deporto” e può in pratica considerarsi un tasso di riporto negativo. La misura del déport, analogamente al prezzo del riporto ordinario o con interessi, varia in funzione di molteplici elementi (condizioni del mercato monetario, specie dei titoli, valutazione della controparte ecc.), ma soprattutto dipende dalla situazione tecnica di borsa, cioè dall’entità delle posizioni rialziste e ribassiste che si vogliono prorogare. In pratica, tuttavia, almeno in condizioni normali del mercato, i venditori che domandano titoli a riporto sono soliti non scoprire la propria posizione, in quanto si pongono come contropartite dei compratori che offrono titoli a riporto. In tal caso il premio di deporto non viene pagato, ed anzi ivenditori scopertisi vengono a beneficiare degli interessi per il prestito di capitali. Più spesso “fanno deporto” singoli titoli a scarso flottante e fortemente speculati.

  • PREMIO DI RIMBORSO O DI EMISSIONE

    Differenza tra il prezzo di emissione dei titoli ed il loro valore nominale che, alla scadenza, verrà rimborsato dall’emittente. In genere, il soggetto che intende fare ricorso all’emissione di titoli, sia nel settore privato con prestiti obbligazionari, sia nel settore pubblico con buoni del tesoro ecc., cerca di stimolare il pubblico dei risparmiatori all’acquisto vendendo titoli “sotto la pari”, cioè ad un prezzo inferiore al valore nominale. Gli acquirenti quindi, beneficeranno non solo degli interessi nella misura prestabilita, ma anche di questa differenza detta appunto premio di rimborso. Questo, in genere, è sempre fissato in relazione alla durata del prestito e al corso dei tassi di interesse correnti.

  • PREMIO IMPONIBILE

    Nelle assicurazioni è detto così il premio dovuto dal cliente che si ottiene sommando al premio puro i caricamenti e gli eventuali interessi di frazionamento, prima dell’applicazione delle imposte.

  • PREMIO LORDO

    Nel computo delle tariffe dei premi di assicurazioni è il premio che si ottiene sommando al premio puro i caricamenti. Nella pratica il premio comprensivo solo dei caricamenti è denominato premio netto e si riserva l’espressione premio lordo all’ammontare dovuto dal cliente comprensivo anche di interessi di frazionamento.

  • PREMIO PURO

    Termine attuariale che indica nelle assicurazioni dei rami danni per indicare l’importo dovuto dall’assicurato per la coperturadel solo rischio. Il premio puro è calcolato sulla base della sinistrosità presunta o statisticamente rilevata e si ottiene in base alla stima della frequenza dei sinistri e a quella del costo medio di un sinistro.

  • PREMIO SULL'ORO

    In regimi monetari con circolazione di moneta d’oro, il termine esprimeva il maggior prezzo dell’oro rispetto ai biglietti di banca, o, in altri termini, il minor potere d’acquisto della carta-moneta nei confronti della moneta aurea.

  • PREMIO/SCONTO CAMBI

    Il mercato dei cambi a termine esprime quotazioni di una divisa in rapporto a un’altra. Queste quotazioni sono di solito diverse da quellea pronti, in funzione dei tassi di interesse. Lo scarto fra il cambio a pronti e quello a termine è legato alla differenza tra i relativi tassi di interesse delle due divise. I cambi a termine costituiscono uno spostamento temporaneo sul mercato a termine di acquisti e vendite che si sarebbero effettuate sul mercato a pronti. In un mercato certo ed efficiente il cambio a termine dovrebbe differire dal cambio a pronti solo per il diverso tasso di interesse nei due Paesi. Se il differenziale di interesse fosse zero, il cambio a pronti e quello a termine dovrebbero essere uguali. Si dice che la moneta A fa sconto sulla moneta B se in termini di tasso la moneta A vale più della moneta B e il cambio a pronti della moneta che fa sconto è superiore al cambio a termine. L’importatore che acquista valuta A a termine avrà una quotazione a termine più favorevole rispetto quella a pronti. L’esportatore che cede valuta A a termine, otterrà per le negoziazioni a termine una minor quantità di moneta B. Si dice che la moneta A fa premio sulla moneta B quando in termini di tasso la moneta A vale meno della moneta B e il cambio a pronti della moneta che fa premio sarà inferiore al cambio a termine. L’importatore acquirente di moneta A a termine sosterrà un maggior onere. L’esportatore cedente valuta A a termine otterrà un maggior introito. Nella pratica i cambi che si formano sul mercato dei cambi a termine sono influenzati anche dalle aspettative degli operatori relative a svalutazione e rivalutazione, alla situazione politica ed economica ecc.

  • PRESCRIZIONE ESTINTIVA

    Estinzione di un diritto soggettivo, causata dall’inerzia del titolare protratta per il tempo fissato dalla legge. La disciplina legale della prescrizione è inderogabile per evitare che, dopo un lungo periodo di tempo da quando il diritto poteva essere fatto valere, sorgano o permangano controversie sulla legittimità del suo esercizio. La prescrizione ha carattere essenzialmente processuale, nel senso che il soggetto, convenuto in giudizio dal titolare del diritto, può utilmente eccepire l’avvenuto decorso del tempo per paralizzare la domanda avversaria; la prescrizione, pertanto, non può essererilevata d’ufficio dal giudice, ma deve essere eccepita dalla parte. Viceversa, se un dirittocaduto in prescrizione venisse ugualmente soddisfatto in via spontanea dal debitore, quest’ultimo realizzerebbe, col suo comportamento, l’adempimento di un’obbligazione naturale. Dalla prescrizione sono, tuttavia, esclusi i diritti indisponibili ed altri indicati dalla legge, come quello di proprietà. La prescrizione inizia a decorrere solo quando il creditore è effettivamente in grado di esercitare il suo diritto. Nel nostro ordinamento la prescrizione ordinaria è quella di dieci anni; ma, in relazione a diversi tipi di obbligazioni, vi sono anche prescrizioni più brevi (cinque o tre anni, un anno, sei mesi ecc.). Esiste anche la prescrizione presuntiva, che si riferisce a rapporti della vita corrente nei quali si presume che il debitore adempia celermente la propria prestazione senza munirsi di quietanza; e poiché costui non deve provare l’estinzione del suo debito, si verifica un’inversione dell’onere della prova. Il decorso della prescrizione può essere sospeso - e in tal caso il periodo successivo alla sospensione si cumula con quello precedente - oppure interrotto (con citazione, con domanda comportante la messa in mora, o con il riconoscimento o dichiarazione del debito da parte del soggetto passivo ecc.), ed allora la prescrizione inizia a decorrere nuovamente, per intero, dal fatto interruttivo. La prescrizione riguarda altresì il campo penale (estinzione del reato o della pena per decorso del tempo) ed i vari termini di durata possono essere stabiliti anche in leggi speciali (civili, penali, tributarie ecc.). La prescrizione non deve essere confusa con la decadenza, che si riferisce al mancato esercizio, di un determinato diritto o di un potere che deve essere fatto valere entro un termine perentorio fissato dalla legge o dal giudice.

  • PRESCRIZIONE PRESUNTIVA

    Istituto in base al quale, dalla circostanza che sia decorso un certo periodo di tempo, si trae la presunzioneche un debito sia già stato pagato o, comunque, si sia in altro modo estinto (artt. 2954-2956 c.c.). Sul piano processuale, la prescrizione presuntiva comporta un’inversione dell’onere della prova: il giudice, infatti, deve assolvere il debitore dalla domanda di pagamento, senza che lo stesso sia tenuto a provare il fatto che avrebbe determinato l’estinzione del debito. Il creditore, dal canto suo, può soltanto cercare di ottenere dal debitore la confessione che il debito non è stato ancora pagato o, in mancanza, invitarlo a prestare giuramento decisorio.

  • PRESENTAZIONE ALL'INCASSO

    Attività diretta a ottenere il pagamento o l’accettazione di effetti, assegni e qualsiasi altro tipo di carta commerciale accompagnata da documenti (p.e. fatture). Normalmente tale attività viene svolta dalle banche a favore della propria clientela. Per il servizio fornito le banche richiedono il pagamento di una commissione determinata in forma percentuale rispetto alle somme riscosse, con un minimo per ogni titolo incassato. Molteplici sono le ragioni per cui si ricorre a questo sistema per incassare i propri crediti: non tutte le aziende posseggono un’adeguata organizzazione in grado di assicurare con celerità e poca spesa un tale servizio; spesso il creditore ritiene, attraverso l’intervento della banca, di esercitare una favorevole pressione sul debitore. Il servizio in esame può assumere anzitutto la forma di “servizio incasso”: le parti convengono che l’importo della rimessa sia accreditato nel conto corrente del cliente nel momento stesso della consegna del documento alla banca. In tal caso l’accreditamento è fatto alla condizione del “salvo buon fine” (v. salvo buon fine), ma la somma può essere resa disponibile o immediatamente o alla scadenza dell’effetto. Si parla, invece, di “servizio dopo incasso” quando le parti hanno convenuto che l’ammontare del credito sia messo a disposizione del creditore soltanto a incasso avvenuto (v. salvo incasso). In entrambi i casi titolare dei credito resta il cliente, diversamente da quanto avviene nello sconto bancario. La banca, una volta accettato l’incarico, è tenuta a presentare al pagamento o all’accettazione gli effetti o i documenti entro i termini di decadenza e di prescrizione previsti dalla disciplina dei singoli titoli. Essa, inoltre, ha l’obbligo di eseguire il mandato con la diligenza del buon banchiere, ma non assume alcuna responsabilità per la regolarità dei documenti esibiti; l’onere del controllo spetta, infatti, al debitore. Nel caso di presentazione di cambiali all’incasso, le banche incaricate usano inviare l’avviso di scadenza al debitore. Se nonostante l’avviso l’effetto non viene ritirato agli sportelli della banca, la presentazione viene effettuata a mezzo di pubblici ufficiali per le cambialiil cui mancato pagamento debba risultare all’atto di protesto. Eseguito il mandato, la banca dovrà inviare al suo mandante le somme incassateo accreditargliele nel suo conto corrente. Se, infine, la banca ha anticipato l’importo dei titoli all’incasso, l’anticipazione opera come causa di estinzione per compensazione dell’obbligo di trasferire ex mandato.

  • PRESENTAZIONE DEL DIZIONARIO DI BANCA E BORSA DEL 2005

    Tutti gli elementi che compongono il sistema finanziario sono variati sostanzialmente in quest’ultimo decennio. L’attuale situazione contiene caratteri dinamici tali da porre la sfida di prevedere le direzioni e le intensità del loro sviluppo: esso ha già raggiunto orizzonti mondiali, tali da richiedere conoscenze ben oltre i confini nazionali, ha assimilato e creato innovazioni sia tecniche, nelle comunicazioni e registrazioni, sia finanziarie nei contratti e nei programmi. L’aspetto che più colpisce è la dimensione e l’influenza che il settore finanziario ha conquistato nell’economia, che ormai ne è condizionata in qualunque Paese e in qualunque ramo produttivo e distributivo. Particolarmente in Europa, dove è in pieno svolgimento il processo d’integrazione, stimolato dall’unione politica. Tali processi motivano ormai un’autentica rivoluzione bancaria e finanziaria internazionale. Pertanto l’obiettivo principale, e anche il più impegnativo, per i promotori e gli autori del Dizionario è stato quello di illustrare i grandi cambiamenti intervenuti sul piano interno e internazionale. 
Tutto ciò ha comportato, rispetto alla precedente edizione 1993-96, un rifacimento totale dell’opera con il mutamento radicale dell’impostazione. I radicali mutamenti del sistema bancario e finanziario internazionale, tuttora in corso, riguardano i campi:
 
1) delle tecniche funzionali e delle scelte organizzative; dei metodi di ricerca e valutazione dell’ambiente, in cui operano le istituzioni finanziarie; 
2) delle relazioni con la clientela; 
3) delle relazioni con le istituzioni.

Nel primo campo le principali innovazioni sono: Informatica e tecnologie connesse. Data l’importanza assunta dall’ICT, specie nei sistemi dei pagamenti e nel mondo finanziario, la materia è stata completamente rifatta e diffusamente trattata, anche con sintetiche notazioni storiche. Il numero delle voci è salito a circa 400 con precisi agganci, ove necessario, alle voci delle banche e della finanza (p.e., per la voce Bancomat, PagoBancomat, Carta di debito, Carta di credito ecc.). La materia che riguarda ragioneria e management, computisteria, valutazione, matematica finanziaria, economia delle imprese internazionali, commercio internazionale è stata attentamente riveduta e in massima parte riscritta, in specie per ciò che riguarda la parte contabile e di management. 
Tra le scelte strategiche che più risaltano e modificano il settore bancario è la concentrazione, tendenza che, accolta con entusiasmo in tutto il mondo, ha creato colossi e posto, tuttavia, nuovi problemi di gestione e di adattamento al territorio, specie in Italia, in cui la minore dimensione di molti istituti assicura la migliore aderenza alle esigenze della clientela. Nel secondo campo, la finanza strutturata, la novità maturata negli ultimi 20 anni negli Stati Uniti che si è impiantata in Europa a partire dagli anni 90. Per esempio sono state sviluppate le voci relative alla cartolarizzazione (asset-backed securities, mortgage-backed securities ecc., securitization), agli strumenti finanziari derivati (futures, option, contratti forward ecc.), ai contratti derivati su crediti, ai prodotti sintetici, al project financing ecc., mancanti o appena accennati nella precedente edizione. È stato dato spazio alle tecniche di controllo del rischio e della performance (p.e., i GIPS, Global Investment Performance Standards), non trattate in precedenti edizioni.

 Altro campo promettente di espansione sono i servizi finanziari, che formano una vasta gamma che va dalla consulenza all’esecuzione di impegni finanziari di ogni genere e rappresenta, ormai, una sostanziale parte dei ricavi aziendali. L’attività bancaria è sempre più condizionata dalla ricerca di maggiore competitività, sia come superiore efficienza sia come minori costi, coinvolgendo in essa cure interne e rispetto nelle norme e politiche di ogni genere, come chiarito e richiesto in numerosi studi e manifestazioni, che fanno parte del progresso della cultura bancaria. Nel terzo campo, l’evoluzione della regolamentazione e vigilanza è maturata, sotto l’impulso dell’attività del Comitato di Basilea e delle direttive europee, sebbene la Banca d’Italia abbia anticipato spesso i tempi. È stato dato risalto, nella nuova edizione, all’evoluzione del concetto di vigilanza e particolarmente alla nuova forma della vigilanza prudenziale e alle tecniche per la valutazione dei rischi (rating interno, valore a rischio ecc.). Di grande rilievo sono state le trasformazioni istituzionali dei mercati finanziari italiani. 
La principale innovazione del quinquennio è stata il Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF; d.lg. 24/2/1998 n. 58) che ha sensibilmente inciso anche sul Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUBC; d.lg. 1/9/1993 n. 385). Sono state sottoposte a profonde revisioni le voci già presenti (p.e., Consob, Isvap, Banca d’Italia, ecc.) e altre voci sono state introdotte, anche per tener conto dei nuovi istituti e dei nuovi agenti entrati sul mercato. Non meno importanti le modificazioni dello statuto degli agenti. Nel Dizionario sono state sviluppate le innovazioni apportate al regime delle società commerciali, delle banche, del BancoPosta e degli altri intermediari finanziari, specialmente dal TUF e dal nuovo diritto societario (l. delega 3/10/2001 n. 366, solo in parte esercitata finora col d.lg. 11/4/2002 n. 61). Un adeguato rilievo è stato dato alla questione della governance, non presente nella precedente edizione. Sono state anche considerate le eliminazioni di adempimenti burocratici e fiscali inutili. Altre ragguardevoli trasformazioni e modificazioni hanno riguardato il diritto penale italiano, ovviamente i tributi, il diritto privato e pubblico, l’amministrazione pubblica, l’Europa in quanto organizzazione comunitaria, le istituzioni finanziarie internazionali. 

Modificazioni del diritto penale. Questa materia è aggiornata con le nuove norme cogliendo l’occasione per rivedere e strutturare meglio le voci precedenti colmando alcune lacune. 
Regime tributario. Anche questa materia è stata aggiornata in modo da includere la Tremonti-bis, lo scudo fiscale ecc. 
Diritto privato e pubblico (aspetti generali). Per queste voci sono stati compiuti i dovuti aggiornamenti del vecchio testo. 
Trasformazioni dell’amministrazione pubblica. Sono state introdotte voci apposite per descrivere la riforma del governo centrale e delle competenze degli enti locali. È stato dato il dovuto spazio all’accorpamento dei ministeri finanziari in un unico ministero dell’economia e delle finanze e alla costituzione delle Agenzie. È stata trattata, inoltre, la questione delle privatizzazioni delle imprese pubbliche e le trasformazioni formali e sostanziali imposte alle residue imprese che restano in mano pubblica. 
Europa: la materia è stata ampliata, in modo da includere tutte le istituzioni europee, anche non comunitarie e gli strumenti di politica economico-finanziaria e da descrivere le principali politiche della Comunità. Particolare attenzione è stata riservata alla Banca Centrale Europea. 
Organizzazioni finanziarie e altre istituzioni internazionali. Tutte le voci esistenti sono state interamente rifatte e ne sono state aggiunte altre in modo da dare un quadro, il più possibile completo, degli organismi finanziari, mentre per gli altri enti il florilegio è limitato ai più importanti. 
Non si poteva, infine, trascurare i temi dell’economia politica e della politica economica e monetaria, pur nella consapevolezza che essi coinvolgono per lo più questioni teoriche molto specializzate ed estranee alle finalità proprie di un Dizionario come questo. Tutte le voci in tale campo sono state comunque riviste e arricchite ove necessario e sono state introdotte numerose nuove voci, con particolare riguardo alla politica monetaria della Banca Centrale Europea. 

Il Nuovo Dizionario è concepito come un’opera specialistica di pronta consultazione, con un elevato livello culturale, destinata a restare valida nel tempo. Essa si rivolge al mondo bancario e finanziario, alle Università e ai Dipartimenti universitari, ai centri studi, alle biblioteche, agli uffici e agli studi professionali e a quanti, nel privato e nel pubblico, hanno interesse alla materia. Questo vasto spettro di destinatari deriva dalla convinzione, universalmente riconosciuta, che la cultura finanziaria non è solo un fattore fondamentale dello sviluppo e dell’elevazione di una categoria professionale, ma è anche l’elemento qualificante del progresso politico e sociale di un Paese. 
Le voci (oltre 4.500) sono state redatte da 20 gruppi di studio, composti da esperti di formazione accademica o professionale della materia. L’opera è aggiornata al 31 luglio 2002. L’intero Dizionario è trasfuso in formato ipertestuale in un CD-ROM che allarga le possibilità di consultazione secondo le proprie esigenze. Oltre alla lettura e alla documentazione in video come l’opera su carta, il CD consente, infatti, l’approfondimento interattivo con i rinvii ipertestuali, con queries automatizzate mediante un motore di ricerca e con possibilità di estrazione di testi, il tutto mediante gli ordinari programmi di un personal computer.
 
Il Dizionario corrisponde ad un disegno innovativo, che unisce monografie e apparati di ricerca alla consueta parte lessicografica. In particolare esso comprende: due saggi di alti dirigenti della Banca d’Italia (il compianto Avv. Pietro De Vecchis, l’Avv. Giuseppe Leonardo Carriero e il Dr. Antonio Pasquale Soda) che illustrano le innovazioni della regolamentazione bancaria e dell’intermediazione finanziaria, in particolare i due assi portanti del sistema finanziario italiano: il Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lg. 1 settembre 1993 n. 385) e il Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lg. 24.2.1998 n. 58); due saggi di insigni studiosi che espongono la storia e l’evoluzione della banca (Prof. Luigi De Rosa) e della moneta (Dr. Angiolo Veniero Forzoni); un dizionario vero e proprio, che dedica oltre 4.500 voci e 1.100.000 parole alla trattazione di altrettanti concetti fondamentali con gli opportuni rinvii incrociati; un indice analitico-alfabetico, che contiene un apparato di circa 4.000 rinvii a concetti non trattati individualmente ed esposti nelle 4.500 voci del dizionario; un elenco che riporta oltre 1.750 sigle con la relativa spiegazione. La qualificazione e professionalità del Nuovo Dizionario sono comprovate e impreziosite dal riconoscimento concesso dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che ha onorato del Suo alto patronato la pubblicazione e dalla prestigiosa e gratificante prefazione del Governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio. 
Nel concludere la presentazione di questa opera organica e innovativa, assolviamo il gradito dovere di esprimere, a nome del Consiglio e del Comitato scientifico, i sentimenti più vivi di riconoscenza a tutti i collaboratori, da quelli più noti ed eminenti, a quelli meno noti ma non per questo meno meritevoli, che ci hanno consentito di portare a compimento questo non facile progetto. Un particolare apprezzamento per il Prof. Gian Carlo Loraschi, che ha curato e coordinato i lavori complessi del Dizionario, con assiduo impegno. Ci sia consentito manifestare la fiducia che la nostra iniziativa, ormai portata a termine, acquisisca il consenso dei nostri lettori, confidando che essi trovino nell’opera soddisfatte le loro aspettative di conoscenza, modernità, chiarezza dell’informazione. L’arricchimento culturale è indispensabile per l’utilità delle scelte operative in un universo, come quello della banca, della borsa, della finanza e della valuta sottoposto ad un ritmo frenetico di mutamenti nei principi, nelle istituzioni, negli ordinamenti, nel linguaggio, nel modo stesso di pensare.

    Redattore: Francesco PARRILLO (Presidente dal 1990 al 2003 dell’Istituto per l’Enciclopedia della Banca e della Borsa - IeBB)

    Assonebb 2005

  • PRESENTAZIONE DELL'ENCICLOPEDIA ONLINE DELLA BANCA E DELLA BORSA - BANKPEDIA

    Il Consiglio d’amministrazione dell’Assonebb ha trasferito online la preziosa eredità lasciata dal prof. Francesco Parrillo nella forma del “Dizionario di Banca, Borsa e Finanza”. Bankpedia.org è oggi composta da 5000 voci e continua il processo di aggiornamento e di approfondimento scientifico per arrivare a una vera e propria Enciclopedia online di Banca, Borsa e Finanza.


    Assonebb pubblica la prima enciclopedia alla fine degli anni '70 mentre l'ultima edizione risale agli inizi del 2005 con la collaborazione di Milano Finanza. L’iniziativa di creare Bankpedia.org è destinata agli operatori di mercato, agli studiosi della materia e ai giovani che intendono specializzarsi sui temi della moneta e della finanza. Le voci del Dizionario nell'edizione del 2005 sono solo la base di partenza del lungo lavoro che ci prefiggiamo di svolgere e chiediamo, quindi, ai lettori di non avere solo un ruolo di utenti, ma di attori della trasformazione, suggerendo correzioni e integrazioni alle voci esistenti, e proponendone di nuove.

    Vi è un continuo lavoro di collegamento con i siti web che trattano la materia, tale da poter accogliere i suggerimenti che provengono dall’esterno, oltre che i suggerimenti o i lavori proposti dall’interno della compagine associativa, in gran parte composta da operatori del settore.
    Data la diffusione dell'uso dell'inglese nel mondo dell'economia è nostra ambizione muovere verso l'implementazione di Bankpedia anche in questa lingua.

    Il 15 ottobre 2010 è stato presentato il progetto Bankpedia a Roma. L'evento è visibile su YouTube


    Prof. Alberto Franco Pozzolo, Presidente dell’Assonebb

    Dott. Giovanni Parrillo, Vice Presidente dell'Assonebb

    Dott. Ivano Spallanzani, Vice Presidente dell'Assonebb

     



  • PRESENTAZIONE FOGLI

    Giorno stabilito dal calendario di borsa nel quale gli operatori associati alla stanza di compensazione presentavano la loro situazione contabile definendo le rispettive posizioni creditorie o debitorie, in titoli o denaro, nei confronti di ogni altro singolo associato.

  • PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE

    Membro del Consiglio di amministrazione chiamato, dallo stesso o dall’assemblea, a presiedere il consiglio e ad acquisire la rappresentanza legale dell’ente o della società. Nel caso di persone giuridiche pubbliche la carica deriva o direttamente dalla legge, come avviene per quelle costituite presso i singoli ministeri, i cui Consigli di amministrazione sono presieduti dal Ministro o, in sua vece, da un Sottosegretario o dalla nomina effettuata dal Governo o da altra autorità. Nel caso di persone giuridiche private il presidente può essere scelto dal Consiglio di amministrazione in seno ai suoi membri ovvero può venir nominatodall’assemblea. In questo secondo caso il potere di amministrare compete collegialmente al consiglio. La principale funzione del presidente è quella di disciplinare e coordinare l’attività collegiale dei membri del consiglio, di cui presiede le riunioni; egli inoltre dispone la convocazione del consiglio e redige e sottoscrive, insieme con il segretario, il verbale delle riunioni. Nelle società, il Consiglio d’amministrazione, qualora lo permettano l’atto costitutivo o l’assemblea, può delegare al presidente funzioni di sua spettanza, definendo i limiti della delega: egli viene così investito del ruolo di amministratore delegato. Esistono comunque attribuzioni che non possono essere delegate senza sopprimere la funzione stessa del Consiglio d’amministrazione, come la formazione del bilancio, il potere di aumentare il capitale sociale e la facoltà di convocare l’assemblea quando le perdite eccedano il terzo del capitale sociale. Al presidente è di norma affidata la rappresentanza della società, nel qual caso gli è attribuito il potere di firma.

  • PRESSIONE FISCALE

    Rapporto tra l’ammontare delle entrate realizzate dallo Stato e dagli altri enti pubblici a titolo di tributi e di contributi sociali in un dato periodo temporale (di solito un anno) e il reddito nazionale prodotto nella stessa unità di tempo. Esso esprime la percentuale di reddito prodotto da una collettività, che viene prelevata dallo Stato e dagli altri enti impositori (Province, Comuni, enti previdenziali ecc.) attraverso la riscossione delle imposte, tasse e contributi sociali. Il rapporto in tal modo determinato rappresenta altresì un indice della quota media di reddito che ciascun individuo cede al settore pubblico. Tuttavia, inteso in questo senso, il concetto ha scarso significato ove nella realtà il sistema tributario presenti estese sperequazioni. Il rapporto viene normalmente utilizzato per indicare la quota di risorse nazionali sottratte al settore privato, al fine di finanziare le attività del settore pubblico: acquisto di beni e servizi, salari, stipendi dei pubblici dipendenti, trasferimenti alle famiglie e alle imprese, investimenti pubblici. In questo caso viene spesso impiegato per effettuare comparazioni tra i livelli impositivi esistenti in Paesi diversi o in uno stesso Paese in tempi diversi. Tuttavia, al fine di effettuare una corretta comparazione tra diversi gradi di pressione fiscale, si deve tener conto sia dei differenti livelli di reddito pro-capite, che comportano diverse capacità contributive, sia delle differenze nelle qualità e quantità dei servizi pubblici offerti. Per completezza va poi tenuta presente l’esistenza di numerosi oneri impropri (sotto forma di servizi, adempimenti, prestiti coattivi ecc.) che in sostanza si qualificano come imposte “occulte” ed esercitano effetti analoghi a quelli che delineano il concetto di pressione fiscale. Ci si riferisce, a titolo indicativo, al numero enorme di pagamenti indebiti, a cui corrisponde la tassa occulta costituita dai mancati rimborsi, causati, in parte, dall’assenza di una separazione tra imposizione e relativo flusso finanziario, tra atti dell’imposizione e atti della riscossione; il riferimento è comunque, più in generale, ai crediti fiscali che i contribuenti vantano nei confronti dell’erario e che costituiscono una vera e propria imposta occulta la cui gravosità consegue, tra l’altro, al differimento normativamente previsto della maturazione degli interessi per ritardato rimborso e alla tassazione degli stessi prima che ne avvenga la riscossione. Ci si riferisce, inoltre, all’esistenza di adempimenti imposti caratterizzati da una particolare complessità ed onerosità, adempimenti il cui carattere regressivo è ben evidente se solo si nota che spesso il costo di un adempimento strumentale è identico per diversi contribuenti pur in presenza di valori imponibili fortemente differenziati; si pensi, infine, al fenomeno del fiscal drag vale a dire al fenomeno dell’agire dell’inflazione su imposte tipicamente progressive, agire che determina un aumento della pressione fiscale reale operante in maniera “occulta”.

  • PRESTAZIONE

    Comportamento al quale è tenuto il debitore nei confronti del creditore nell’adempimento dell’obbligazione. La legge fissa le caratteristiche essenziali ed inderogabili di tale comportamento. La prestazione deve essere innanzi tutto suscettibile di valutazione economica (c.d. patrimonialità della prestazione) dato che l’obbligazione civile, nel suo contenuto e nelle sanzioni previste in caso di inadempimento, fa parte dei rapporti patrimoniali. Il comportamento richiesto al debitore, inoltre, deve sempre corrispondere ad un interesse del creditore, che, però, può anche avere natura non patrimoniale (affettiva, morale, religiosa ecc.). Fissando questo principio il codice civile accorda tutela anche a quegli interessi che, pur non facendo parte della sfera patrimoniale dell’individuo, ineriscono tuttavia a bisogni fondamentali della persona. Requisiti fondamentali della prestazione sono la possibilità, la liceità e la determinabilità. L’obbligazione, infatti, per essere valida deve essere innanzi tutto di possibile realizzazione, non potendosi pretendere dal debitore un comportamento che sia materialmente o giuridicamente inattuabile. Tale impossibilità, però, deve essere giudicata in senso assoluto, dovendosi prescindere da ogni riferimento alla persona del debitore (p.e., l’obbligo di pagare una determinata somma non diviene impossibile perché assunto da persona indigente). La prestazione deve essere lecita: è infatti inconcepibile che la legge riconosca la validità di un obbligo il cui contenuto è contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Il comportamento del debitore, infine, deve essere determinato o almeno determinabile. La sua individuazione può anche mancare all’atto della costituzione del vincolo, potendo essere rimessa al giudizio di un terzo detto arbitratore o, se questa manca o è iniqua o erronea, del giudice. Dalla prestazione, che costituisce il contenuto del rapporto obbligatorio, si distingue l’oggetto, che è il bene giuridico dedotto nel rapporto stesso.

  • PRESTITI IN VALUTA A MEDIO TERMINE

    Intervento finanziario che consente all’esportatore di concedere dilazioni di pagamento ai clienti esteri, che eccedono il breve termine (in particolare per esportazioni di beni strumentali). Dal 1988 i finanziamenti a favore di operatori residenti non hanno più vincoli di durata. Il finanziamento in valuta comporta condizioni favorevoli di tassi di interesse. Può essere concesso per operazioni di esportazione in conto deposito volte a conquistare nuovi mercati o da effettuare con pagamento differito o per compensi di lavorazione di merci per conto dell’estero. Il finanziamento può essere estinto prima della scadenza, nella stessa valuta. Se entro la scadenza concordata non perviene dall’estero la valuta derivante dal ricavo dell’esportazione il finanziamento può essere estinto mediante acquisto sul mercato delle valute di conto valutario.

  • PRESTITI IRREDIMIBILI

    Analogamente ai prestiti subordinati, i prestiti irredimibili sono i prestiti a cui è apposta, sin dall’origine la c.d. clausola di subordinazione: si conviene, cioè, che, a fronte di un tasso di remunerazione del capitale superiore ai tassi correnti, il rimborso del capitale medesimo è subordinato all’integrale soddisfacimento di tutti gli altri creditori di rango diverso. Sono prestiti tendenzialmente perpetui, cioè per la durata della vita dell’emittente, o quanto meno non rimborsabili per iniziativa del possessore o in assenza del consenso delle Autorità di vigilanza. A differenza dei prestiti subordinati, i prestiti irredimibili sono destinati ad assorbire le perdite della società emittente anche al di fuori della fase di liquidazione o delle procedure concorsuali; inoltre, si prevede il differimento della remunerazione qualora i profitti annuali dell’emittente risultino insufficienti alla stessa. Proprio per questo particolare regime, la dottrina assimila il prestito irredimibile al contratto di associazione in partecipazione piuttosto che al mutuo: con tale prestito, cioè, si pone in essere una partecipazione diretta al rischio dell’attività d’impresa dell’emittente. La qualifica di “prestazione di rischio” ha poi conseguenze rilevanti in tema di possibilità di compensazione del prestito con un controcredito vantato dall’emittente, compensazione che resterebbe perciò esclusa o fortemente limitata. L’art. 12 del TUBC riconosce alle banche la facoltà di emettere prestiti irredimibili alle condizioni indicate dalla Banca d’Italia, sotto forma di obbligazioni o di titoli di deposito. Si esclude invece che possano emettersi prestiti irredimibili in forma di pagherò cambiario, poiché la promessa contenuta in questi titoli di credito ha obbligatoriamente carattere incondizionato. Nelle Istruzioni, la Banca d’Italia ha altresì stabilito che i prestiti irredimibili, al pari dei subordinati, concorrono a comporre il patrimonio di vigilanza della banca emittente.

  • PRESTITI SUBORDINATI

    Con tale termine si intendono i prestiti assistiti, fin dall’atto della stipulazione, della c.d. clausola di subordinazione:in caso di liquidazione o di procedura concorsuale, il rimborso del capitale è condizionato all’integrale soddisfacimento di tutti gli altri creditori non egualmente subordinati. La stipulazione di tali prestiti è, per contro, conveniente in quanto essi godono di remunerazione a tassi superiori a quelli correnti. Diversamente dai prestiti irredimibili, i prestiti subordinati partecipano alle perdite dell’emittente solo in caso di liquidazione. La natura di tali prestiti è controversa: si tende a riconoscere che la clausola condizioni sospensivamente l’obbligo di restituzione della somma, allontanando, con ciò, lo schema del prestito subordinato da quello del mutuo e attribuendo all’istituto il carattere di prestazione di rischio. In base all’art. 12, comma 7 del TUBC, le banche possono emettere prestiti subordinati, anche sotto forma di obbligazioni o titoli di deposito. L’emissione è disciplinata dalla Banca d’Italia, la quale, con Istruzioni, ha stabilito che i prestiti subordinati possono far parte del patrimonio in vigilanza della banca emittente. È dubbio poi se possano emettere tali prestiti le società quotate in borsa: la dottrina tende a dare risposta affermativa, ma sottolinea delicati aspetti di tutela del capitale.

  • PRESTITO

    In termini generali si definisce prestito la cessione di un quantitativo di beni contro l’impegno di restituire gli stessi o altri della stessa specie in uguale (prestito gratuito) o in maggiore quantità. Esso dà luogo a un credito di chi presta nei confronti di chi si obbliga a restituire. Nella maggior parte dei casi il prestito ha natura monetaria, ovvero oggetto del prestito sono disponibilità monetarie. I prestiti monetari, o impieghi (v. impieghi bancari), assumono una notevole importanza per la banca, rientrando, con la raccolta tra il pubblico, nell’attività tipica delle banche. Esse concedono altresì prestiti in titoli, in misura alquanto ridotta, nella forma del riporto (v. riporto) con deporto, per consentirne il deposito in garanzia dell’esecuzione di un contratto o la partecipazione all’assemblea della società emittente oppure cedendoli in comodato. L’utilizzo del prestito si fonda su una precedente concessione di fido (v. fido bancario), che stabilisce l’importo massimo di credito che l’azienda si impegna ad erogare, nelle varie forme tecniche, all’impresa cliente. L’espressione ha contenuto assai ampio, comprendendo numerose operazioni, differenziate per forma tecnica, scadenza e clientela, variamente svolte dalle banche per ragioni sia aziendali sia esterne, di carattere amministrativo e più in generale di mercato. Gli impieghi delle banche vengono destinati prevalentemente alle imprese non finanziarie, alla pubblica amministrazione, alle imprese finanziarie ed assicurative, oltre che, in misura alquanto minore ma crescente, alle istituzioni senza finalità di lucro e alle famiglie. Le forme tecniche attraverso le quali i prestiti vengono concretamente erogati - essenzialmente aperture di credito, anticipazioni, sconti, sovvenzioni cambiarie, credito al consumo, mutui e crediti di firma - variano in relazione alle ragioni della richiesta, da parte della clientela, e alla clientela stessa. In base alla scadenza si distingue, almeno formalmente, fra prestiti a breve e a medio-lungo termine. Tale distinzione è alla base della bipartizione fra banche e istitutidi credito speciale (v. specializzazione bancaria). La gestione dei prestiti è divenuta particolarmente complessa, sia con riferimento alla fase iniziale di valutazione dei fidi e quindi del loro grado di rischio economico e finanziario, sia in sede di determinazione del loro ammontare e della loro composizione, nel rispetto del principio del frazionamento dei rischi e della limitazione dei rischi. L’andamento dei prestiti bancari è condizionato ovviamente dalla domanda di credito a sua volta determinata dall’andamento dell’attività produttiva e dal ciclo degli investimenti, dall’evoluzione dei margini di autofinanziamento e dalle scelte di struttura finanziaria delle imprese, oltre che dalla presenza di vincoli quantitativi all’offerta di credito (v. massimale sugli impieghi).

  • PRESTITO A PREMIO

    Debito, contratto di regola in forma obbligazionaria, da enti pubblici o da società commerciali con l’impegno di corrispondere, oltre al saggio di interesse stabilito, taluni premi, in base a determinate modalità di sorteggio stabilite nel programma di emissione dei titoli che rappresentano il prestito.

  • PRESTITO DELLA REPUBBLICA

    Titoli obbligazionari a tasso fisso o variabile emessi dal Tesoro italiano sui mercati esteri sotto la denominazione di Republic of Italy. Sono solitamente denominati nelle principali valute degli euromercati quali dollari, yen, euro.
    Fonte: Banca d'Italia

  • PRESTITO DI TITOLI

    1. Contratto con il quale un soggetto (prestatore) trasferisce la proprietà ad un altro soggetto (prestatario) di una quantità di titoli ad un determinato prezzo. Contestualmente il prestatario assume l’obbligo di trasferire al prestatore, alla scadenza del termine stabilito, la proprietà di altrettanti titoli, della stessa specie, dietro rimborso del prezzo, aumentato di un importo corrispondente ai proventi derivanti dai titoli in prestito. Si tratta di uno schema contrattuale, elaborato dall’ABI secondo diversi modelli, che coinvolge quattro soggetti: il cliente (lender), la banca o altro intermediario, quale mandataria del lender, il cliente prestatario (borrower) e la banca o altro intermediario che agisce in nome e per conto di quest’ultimo. Lo scopo di questi contratti consiste nell’agevolare il soddisfacimento delle esigenze di finanziamento delle operazioni di borsa, soprattutto in relazione alle operazioni di liquidazione a contanti. Oggetto del contratto è il prestito di titoli nominativi e al portatore, sia italiani sia esteri. L’effetto principale del contratto è rappresentato dal trasferimento dellaproprietà di titoli con i relativi diritti accessori di carattere patrimoniale ed amministrativo. Sotto il profilo economico, i proventi derivanti dal titolo durante il contratto sono recuperati dal prestatore nel momento del pagamento del compenso ad opera del prestatario. Il borrower, a sua volta, dovrà versare all’intermediario del lender un importo pari al valore dei titoli ottenuti in prestito oltre ad un compenso stabilito dalle parti in relazione alla durata del contratto; tale compenso costituisce una garanzia per il lender. Il rapporto di mandato fra lender e intermediario può essere con o senza garanzia, a seconda che quest’ultimo garantisca o meno al cliente prestatore il buon fine delle operazioni concluse in nome e per conto dello stesso. Inoltre, va sottolineato che, mentre nel rapporto fra lender ed intermediario, quest’ultimo ha ampia autonomia nella gestione dell’incarico, nel rapporto fra il borrower ed il proprio intermediario, questi provvede ad effettuare le operazioni solo su richiesta del prestatario. Il d.lg. del 7.1.1995, n. 1 ha introdotto, ai fini tributari, una disciplina specifica del contratto in esame e dei proventi da esso derivanti.

    2. Riporto nel quale il prezzo per contanti è superiore a quello a termine. Questo tipo di riporto prende tecnicamente il nome di riporto con deporto. L’operatore che ha temporaneamente bisogno di titoli di una determinata specie li può prendere in prestito stipulando un contratto di riporto nel quale egli acquista i titoli ad un determinato corso, impegnandosi a rivendere, ad una scadenza convenuta, al riportato, un uguale quantitativo di titoli della stessa specie ad un prezzo inferiore a quello di acquisto, giacché la differenza rappresenta il “compenso” per il prestito dei titoli. I motivi che possono indurre a richiedere un prestito di titoli possono ricercarsi, p.e., nell’obbligo di depositare determinati titoli a garanzia dell’esecuzione di un contratto o nell’intenzione di partecipare all’assemblea di determinate società con un numero di voti che consenta di influire sulle decisioni che richiedano date maggioranze. È chiaro che in quest’ultimo caso la domanda riguarderà i titoli delle società in questione. Occorre quindi che le banche, per soddisfare il cliente, dispongano dei titoli richiesti ed in quantità sufficiente. Rientrano altresì nel concetto di prestito in titoli le operazioni nelle quali il titolo viene dato in comodato.

  • PRESTITO ESTERO

    Sottocategoria di prestito internazionale che raggruppa al proprio interno l’insieme dei prestiti concessi a non residenti nella propria valuta da parte di banche residenti in uno stesso Paese.

  • PRESTITO FORZOSO

    Pubblica sottoscrizione di titoli dello Stato imposta ai cittadini. Originariamente il prestito forzoso era l’unica forma in cui si concretizzava il debito pubblico non essendo ancora diffusa la pratica di sottoscrizioni spontanee di titoli pubblici da parte di privati cittadini. I prestiti forzosi erano quindi assimilabili a una sorta d’imposta patrimoniale fatta gravare sui contribuenti in modo temporaneo in quanto a fronte di essa venivano rilasciati titoli suscettibili di rimborso e di negoziazione. Questa forma di forzata sottoscrizione dei titoli pubblici viene oggi sempre meno utilizzata per le notevoli difficoltà che si incontrano nel commisurare la sottoscrizione di ciascun contribuente alla sua effettiva ricchezza e al grado di liquidità di tale ricchezza. A esso si fa ricorso solo in situazioni eccezionali, quali quelle che nel corso della seconda guerra mondiale spinsero Stati Uniti e Gran Bretagna a convogliare il risparmio privato verso l’acquisto di titoli del debito pubblico emessi con bassi tassi d’interesse. Un ulteriore esempio di prestito forzoso si è avuto recentemente nel nostro paese con le disposizioni legislative relative agli aumenti retributivi dovuti agli scatti della scala mobile (d.l. 2.10.1976 n. 699, convertito, con modificazioni, nella l. 10.12.1976 n. 797). In base a queste disposizioni gli aumenti retributivi causati dalle variazioni del costo della vita, nel periodo tra il 30.9.1976 e il 30.4.1978, furono corrisposti, per un importo pari al 50% dell’aumento ai lavoratori dipendenti con reddito compreso fra i 6 e gli 8 milioni e integralmente a quelli con reddito superiore agli 8 milioni, in buoni del tesoro poliennali al portatore. Molte famiglie a basso reddito scontarono i buoni ricavandone appena il 20 per cento del loro valore facciale.

  • PRESTITO IN NATURA

    Operazione economica consistente nell’anticipazione di una determinata quantità di beni presenti contro l’impegno di restituirne, ad una scadenza convenuta, un quantitativo uguale o maggiore. I beni devono essere fungibili ed il beneficiario è tenuto a restituire, nella quantità pattuita, beni della stessa specie qualità.

  • PRESTITO INTERNAZIONALE

    Concessione di credito da parte di organismi internazionali, Stati, banche o altri operatori economici di un paese a favore del governo, di enti pubblici e privati di un altro paese. Le principali categorie di prestiti internazionali sono l’europrestito e il prestito estero.

  • PRESTITO IPOTECARIO - MUTUO IPOTECARIO

    Rappresenta la concessione di credito oltre il breve termine con garanzia ipotecaria (v. ipoteca). Può assumere la forma dell’apertura di credito in conto corrente o del mutuo, ed essere erogato sia da banche ordinarie, nei limiti previsti dal CICR, sia da sezioni o istituti di credito speciale. Il prestito viene accordato sulla base di un’ipoteca di primo grado a favore del medesimo ente finanziatore, per un importo accertato mediante perizia tecnica. Quest’ultimo, dunque, garantisce non soltanto il rimborso del capitale, ma anche quello degli interessi e degli oneri accessori. La richiesta di finanziamento deve essere corredata dalla documentazione relativa alla planimetria dell’immobile (nel caso, invero maggiormente frequente, di ipoteca immobiliare), da copia autentica dell’atto di acquisto o del preliminare di compravendita (compromesso), da copia della polizza di assicurazione contro gli incendi con vincolo a favore della banca (per importo pari o superiore all’ipoteca).

    Il contratto di mutuo per costituzione della garanzia ipotecaria è stipulato con atto notarile; l’accredito è effettuato previa deduzione delle spese di perizie e di istruttoria, dell’imposta sostitutiva dovuta sui prestiti con scadenza superiore ai 18 mesi e dell’eventuale premio assicurativo. I prestiti ipotecari possono essere concessi in molteplici forme: a tasso d'interesse fisso, a tasso d'interesse variabile, a tasso misto, a tasso miscelato, a tasso variabile delimitato ("Cap and Floor"), a tasso intercambiabile per opzione, a rata fissa con durata variabile, con rimborso autonomo, in valuta, a rate crescenti o decrescenti.

    La Legge n° 40 del 2 aprile 2007 (cosiddetta Legge Bersani) ha stabilito sia la gratuità dell'estinzione anticipata, dei prestiti ipotecari sottoscritti da persone fisiche a partire dal 2 febbraio del 2007; sia la gratuità della surrogazione per volontà del debitore, cioè la possibilità, di trasferire gratuitamente, il prestito ipotecario presso una banca che offra condizioni migliori.

    Le banche Associate ad Assonebb offrono alla loro clientela i seguenti prodotti:

    BAPR

    BANCA FIDEURAM

    BPER

    INTESA

    UBIBANCA

  • PRESTITO OBBLIGAZIONARIO

    Prestito emesso dallo Stato, da enti pubblici o da società per azioni e diviso in obbligazioni offerte al pubblico.

  • PRESTITO PARTECIPATIVO

    Prestito a medio-lungo termine dalle caratteristiche particolari istituito in Francia nel 1968. È assimilabile al capitale proprio in quanto, in caso di liquidazione dell’impresa, viene rimborsato solo dopo l’integrale soddisfazione di tutti gli altri creditori, chirografari e privilegiati. In caso di procedura concorsuale, è prevista la sospensione dei rimborsi, sia per interessi che in linea capitale. Deve la sua denominazione alla facoltà concessa al titolare di stabilire contrattualmente il pagamento, da parte del mutuatario, oltre che di un interesse fisso, di una maggiorazione (c.d. “clausola di partecipazione”) collegata all’andamento di un indicatore della situazione economica della società, sia esso l’utile netto, il margine operativo, l’autofinanziamento lordo o altro. Accanto ai prestiti partecipativi ordinari è possibile identificare altre due categorie di prestiti partecipativi, disciplinati in maniera più dettagliata dalle disposizioni legislative vigenti: i prestiti partecipativi garantiti ed i prestiti partecipativi erogati su fondi statali. I primi sono stati introdotti al fine di promuovere una maggiore disponibilità da parte delle banche circa l’erogazione di prestiti di natura partecipativi, vincendone le iniziali perplessità. Essi sono parzialmente garantiti (fino al 50- 60% dell’importo globale) da un fondo nazionale di garanzia creato nel 1980 e trasferito in gestione alla SOFARIS a partire dal 1982. Le possibilità di utilizzare le agevolazioni previste è subordinata al rispetto delle condizioni fissate nella convenzione istitutiva del fondo. Tali prestiti possono essere erogati da imprese costituite in qualsiasi forma giuridica, operanti in tutti i settori economici a fronte di specifici investimenti o, più semplicemente, di programmi di sviluppo o di consolidamento della struttura finanziaria. Salvo casi specificamente autorizzati, i prestiti devono essere concessi a piccole-medie imprese (fatturato inferiore a 500 milioni di franchi), non superare nel complesso i 10 milioni di franchi oltre che i 2/3 dei fondi propri dell’impresa beneficiaria, accompagnarsi all’impegno di quest’ultima di procedere nei sei anni successivi ad un aumento del capitale proprio almeno pari al 50% del prestito ottenuto, prevedere un periodo di preammortamento di almeno tre anni assieme alla possibilità di rimborso anticipato solo dopo sette anni. I prestiti della seconda categoria sono erogati dallo Stato o da organismi pubblici specializzati a valere su fondi messi a disposizione del Tesoro. Sono generalmente destinati a rinforzare la struttura patrimoniale delle imprese minori nell’ambito di processi di ammodernamento degli impianti, di incremento della capacità produttiva, di sviluppo dell’attività di export e di acquisto e creazione di nuove imprese. Le imprese beneficiarie, a carattere individuale, devono fatturare almeno 20 milioni di franchi, contare meno di 50 dipendenti e conservare, dopo la concessione del finanziamento, un capitale circolante netto positivo ed una struttura finanziaria in equilibrio. La formula dei prestiti partecipativi si è sviluppata sensibilmente nel periodo 1982-1984, registrando tuttavia un rapido declino negli anni successivi. Tale trend è giustificabile sia alla luce dell’abolizione del massimale sui prestiti, cui sfuggivano i prestiti partecipativi coperti dalla garanzia SOFARIS, sia dalla soppressione, a partire dal 1985, del contributo statale in conto interessi a beneficio delle istituzioni specializzate sui prestiti partecipativi. Nel 1986 è stata così decisa l’estinzione del fondo nazionale di garanzia dei prestiti partecipativi, in un quadro di generale smantellamento dei crediti agevolati e dei circuiti di finanziamento privilegiato ad opera dei poteri pubblici. La maggior parte degli osservatori è pertanto concorde nel prevedere la scomparsa di tale formula di finanziamento, la cui diffusione è stata favorita in misura sostanziale dalla presenza di meccanismi di garanzia sostenuti dall’intervento degli organi della Pubblica Amministrazione.

  • PRESTITO RATEALE

    Cessione di una somma la cui restituzione da parte del mutuatario incluso l’obbligo degli interessi, avviene, nell’arco di un determinato periodo di tempo, con pagamenti regolari a intervalli prestabiliti. I prestiti rateali sono generalmente utilizzati per finanziare l’acquisto di beni di consumoe possono essere concessi, generalmente dietro garanzia (p.e., patto di riservato dominio), ai consumatori da banche o da istituti specializzati (v. credito al consumo). Assimilabili ai prestiti rateali per il finanziamento diretto del consumo sono i prestiti ai rivenditori relativi al finanziamento delle scorte in quanto essi sono concessi per beni (in particolare automobili) la cui vendita avviene in larga parte attraverso il finanziamento rateale al consumo (v. vendita con riserva di proprietà). I prestiti rateali comportano,in generale, un’alta redditività; ciò deriva dal fatto che le restituzioni periodiche del prestito dimezzano quasi il suo valore nominale per cui il tasso d’interesse anziché riferirsi al valore nominale deve essere riferito al valore medio del prestito. All’alta redditività dei prestiti rateali si contrappongono, d’altra parte, elevati costi per l’istituto che li concede; essi consistono essenzialmente in costi per la loro amministrazione e gestione mensile, per insolvenze e costo del denaro che per le banche è costituito dagli oneri relativi al servizio dei depositi a vista e vincolati da cui esse attingono la maggior parte dei mezzi da investire.

  • PRESTITO SINDACATO

    Prestito concesso congiuntamente da un gruppo di banche e/o altri intermediari finanziari legati fra loro da specifi ci accordi, secondo una procedura simile a quella adottata nei sindacati di collocamento dei titoli (v. sindacato finanziario). La tecnica del prestito consortile (syndication) si è dapprima sviluppata sui mercati internazionali del credito, per poi trovare sempre più vasta applicazione anche in Italia. La sua diffusione, in particolare, è spiegata dal fatto che essa consente agli istituti di credito di concedere prestiti eccedenti il potenziale creditizio individuale, compresso da un coacervo di fattori di natura esogena (disciplina del limite massimo di fido accordabile al singolo cliente, disposizioni normative e vincoli di carattere statutario in materia di operazioni di impiego oltre il breve termine) ed endogena (sistema dei rischi aziendali ritenuto pro tempore più consono alle proprie caratteristiche strutturali e funzionali dei singoli istituti), permettendo così di soddisfare i crescenti fabbisogni finanziari delle imprese di maggiori dimensioni e di perseguire nel contempo un idoneo frazionamento dei rischi. Gli interventi bancari in pool non configurano una particolare struttura tecnica di prestito, dalle caratteristiche originali, ma rappresentano meramente un approccio alternativo di natura organizzativa alla soluzioneparziale da parte del sistema bancario di taluni problemi finanziari delle imprese, pubbliche e private, di dimensioni medio-grandi e degli operatori pubblici (Governi ed istituzioni ufficiali). Ciò significa che la casistica degli affidamenti oggetto delle convenzioni stipulate fra i membri del pool e dei contratti fraqueste ultime e i mutuatari è estremamente ampia, giacché essa contempla prestiti a breve o a medio termine, prestiti per cassa o di firma, prestiti in moneta nazionale o in valuta estera. Frequentemente, nella prassi delle singole banche, inoltre, tali affidamenti possono discostarsi dalle forme tecniche tradizionali di prestito; non è rara, p.e., la concessione di linee di credito composite, che prevedono impegni verso gli affidati a effettuare prestazioni di vario tipo, differenziate sotto il profilo economico-tecnico. Le banche che prendono parte ad un prestito sindacato sono articolati in una scala gerarchica e diversamente remunerati in relazione alle funzioni svolte ed alla quota di partecipazione. Si distinguono, in particolare: la banca leader (capofila nella terminologia italiana), talora affiancata da una (o più) banca co-leader; la banca manager e banca co-manager; la banca agente; (vedi sub b); le semplici partecipanti (partners). Le funzioni da svolgere sono sostanzialmente le seguenti: organizzazione del consorzio, che comprende l’analisi preliminare del rischio e della fattibilità dell’operazione e della contrattazione delle condizioni annesse; assunzione dell’impegno di sottoscrizione a fermo, corrispondente ad un credito di firma teso a garantire il buon esito dell’operazione con decorrenza dalla stipulazione del mandato fino alla firma del prestito; concessione del fido e fornitura del credito per cassa; amministrazione del prestito, consistente nello svolgimento di tutte le incombenze di natura contabile (raccolta delle quote delle banche partecipanti, incasso e riparto pro-quota degli interessi e dei rimborsi in linea capitale percepiti dal debitore). Il costo per il mutuatario ed il rendimento per le banche mutuanti è formato, oltre che dal tasso di interesse, da una serie di commissioni, che costituiscono in parte una remunerazioneper lo svolgimento delle sopracitate funzioni, in parte una forma di interesse. Anche se i termini adottati e la struttura delle singole commissioni possono differire da contratto a contratto, si hanno generalmente le seguenti voci: la commitment fee, diretta a compensare il consorzio per il mantenimento della disponibilità dei fondi; la management fee, spettante alle banche organizzatrici e, di norma, parzialmente retrocessa agli istituti accollantisi il rischio della sottoscrizione a fermo, la agency fee, corrisposta alla banca agente in contropartita del lavoro di amministrazione del prestito. Da un punto di vista strettamente giuridico, la duplice esigenza della ripartizione interna dei rischi e della gestione esterna e unitaria dell’operazione trova soddisfazione nello schema del mandato; la casistica delle configurazioni di mandato e delle pattuizioni collaterali è assai ricca, e consente di adeguare con notevole flessibilità le condizioni del pool alle specifiche esigenze delle banche partecipanti. La banca capofila, che dirige l’operazione verso l’esterno e il più delle volte agisce anche come banca agente, assume la veste di mandataria, mentre le altre banche partner quella di mandanti. Se il mandato conferito senza rappresentanza, la capofila agisce nel rapporto di finanziamento in nome proprio e sempre in nome proprio assume obblighi ed acquista diritti. Le banche partecipanti non hanno alcun vincolo contrattuale con il cliente mutuatario, ma sono tuttavia tenute a somministrare in tempo utile alla banca mandataria i mezzi monetari necessari per l’esecuzione del mandato e per l’assolvimento delleobbligazioni contratte in nome proprio. Se il mandato è conferito con rappresentanza, la capofila agisce sia in nome proprio (per la propria quota di partecipazione), sia in nome delle banche partecipanti, le quali pertanto contraggono diretti rapporti con l’affidato, assumendo nei suoi confronti obblighi e diritti. L’operazione in questo modo si fraziona, perché gli effetti (vantaggi ed oneri) si producono direttamente in capo a ciascuna banca; contestualmente, però, attraverso il mandato alla capofila, l’operazione conserva un profilo unitario, competendo ad essa la gestione dell’intera operazione. I finanziamenti in pool presentano una serie di vantaggi per le aziende prenditrici. Queste ultime, infatti, sono in grado di reperire fondi con scadenze anche assai differite e per importi considerevoli, in tempi sensibilmente brevi; esse, inoltre, non sono normalmente tenute a produrre garanzie reali, ma al massimo garanzie fideiussorie.

  • PRESTITO SOCIALE

    Strumento attraverso il quale, tramite piattaforme online, una pluralità di soggetti può richiedere a una pluralità di potenziali finanziatori fondi rimborsabili per uso personale o per finanziare un progetto.
    Fonte: Banca d'Italia

  • PRESTITO SU PEGNO

    Operazione attiva già tipica dei monti di pietà e dei monti di credito su pegno (v. casse di risparmio; monti di credito su pegno di seconda categoria), regolata dagli artt. 37 e ss. del r.d. 25.5.1939 n. 1279, consistente nella consegna in garanzia di preziosi o di oggetti diversi al fine di ottenere in prestito una somma di denaro. Ai sensi della legge citata il prestito non deve essere superiore ai quattro quinti o ai due terzi del valore di stima dei beni pignorati a seconda che si tratti di oggetti preziosi o di oggetti diversi. L’istituto di credito autorizzato all’effettuazione di questa operazione bancaria deve consegnare al prestatario una polizza dalla quale risulti la descrizione dettagliata e il valore dell’oggetto costituito in pegno, la data di scadenza del prestito e gli interessi da corrispondere. Il tasso di interesse se non diversamente convenuto è quello stabilito dal regolamento interno del singolo istituto di credito. Se il costituente non restituisce alla scadenza la somma con gli interessi e gli eventuali accessori, gli oggetti sono messi all’asta con un avviso che deve rimanere esposto per almeno cinque giorni consecutivi prima del giorno fissato e fintanto che essi non vengano aggiudicati. Fino a questo momento il debitore può chiedere il riscatto o la rinnovazione. L’istituto o la banca deve tenere un registro dove annotare le generalità di chi concede il pegno, le generalità di chi lo estingue e una serie di altre indicazioni relative al pegno stesso. L’inosservanza di quest’obbligo costituisce reato e comporta per l’istituto la pena dell’ammenda e, nei casi di recidiva, la revoca all’abilitazione dell’esercizio pignoratizio. Le merci costituite in pegno possono essere sottoposte a sequestro in un procedimento penale. In questo caso però custode degli stessi sarà nominato l’istituto di credito. Nel caso in cui nel procedimento penale sia riconosciuto come proprietario un soggetto diverso dal costituente il pegno, quest’ultimo non potrà riottenere il possesso degli oggetti se non dopo aver dato la prova del pagamento all’istituto di credito della somma data a prestito, degli interessi e degli accessori. Con la riforma operata dal TUBC (artt. 48, commi 1 e 2, 152 e 155, comma 3), il credito su pegno di cose mobili continua a essere esercitato dalle banche già abilitate allo svolgimento di questa attività (art. 48, comma 1, TUBC). Anche le altre banche possono operare il credito su pegno senza che l’inizio dell’attività sia più subordinato all’autorizzazione della Banca d’Italia e alla licenza del questore ex art. 115 T.U.LP.S. (art. 48, comma 2, modif. dal d.lg. 1999/342 (v. licenza per le agenzie di prestito su pegno).

  • PRESUNZIONE

    Mezzo di prova alla stregua del quale, risalendo da un fatto noto ad uno ignoto, si suppone che determinati eventi si siano effettivamente realizzati o si siano svolti in un certo modo o siano noti alla generalità degli interessati. Vi sono tre tipi di presunzione: la prima è quella “semplice”, che aiuta il giudice a formare il proprio convincimento sulla base di elementi o circostanze di fatto gravi, precise e concordanti in base a regole dell’esperienza, desunte da ogni campo dello scibile. Gli altri due tipi, stabiliti (a differenza del primo) dalla legge, sono la presunzione relativa e, rispettivamente, assoluta. Quella “relativa” fissa una supposizione di massima, che tuttavia può essere vinta con la prova contraria, dimostrando, cioè, che la situazione reale è diversa da quella legislativamente presunta. La presunzione “assoluta” consiste in una supposizione che riveste, appunto tale natura, così da non consentire alcun dimostrazione in senso contrario da parte dell’interessato: in questo caso la statuizione della legge è determinante, quali che siano gli eventi concreti.

  • PRESUNZIONE MUCIANA

    Secondo l’art. 70 della legge fallimentare (r.d. 16.3.1942 n. 267) i beni che il coniuge del fallito ha acquistato a titolo oneroso nel quinquennio anteriore alla dichiarazione di fallimento si presumono, di fronte ai creditori, acquistati con denaro del fallito e si considerano proprietà di lui, salvo prova contraria. In seguito all’entrata in vigore della l. 19.5.1975 n. 151 sulla riforma del diritto di famiglia, tale presunzione deve ritenersi implicitamente abrogata e non solo nel caso in cui tra il fallito ed il suo coniuge al momento del fallimento fosse operante il regime di comunione (come per un lungo periodo si è ritenuto), ma anche nel caso in cui i due coniugi avessero optato per il regime della separazione dei beni (Cass. Sez. Unite 12 giugno 1997, n. 5291).

  • PREVIDENZA COMPLEMENTARE

    Detta anche: previdenza integrativa. È la parte della previdenza che si affianca e integra quella obbligatoria di base (primo pilastro). Nei paesi maggiormente industrializzati la crescente durata media della popolazione e la conseguente riduzione del rapporto fra attivi e pensionati hanno costretto i Governi a diminuire il grado di copertura della previdenza di base e ad incentivare la previdenza complementare (l’espressione è contenuta nel d.lg. 21.4.1993 n. 124) distinta in due grandi categorie: quella collettiva (secondo pilastro) e quella individuale (terzo pilastro). La previdenza collettiva può svilupparsi a livello aziendale o di categoria professionale attraverso la costituzione di un fondo pensione e la previdenza individuale è posta in essere dai singoli individui attraverso definiti strumenti di investimento, p.e. con l’acquisto di una rendita differita da una compagnia di assicurazione (v. forme pensionistiche individuali). Sia la previdenza collettiva sia quella individuale godono di norma di un trattamento fiscale favorevole. V. anche: pensioni, primo secondo e terzo pilastro.

  • PREVIDENZA SOCIALE

    Complesso di istituti predisposti dallo Stato affinché i cittadini che si trovino in una situazione di bisogno, e in particolare i lavoratori, abbiano i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria, secondo il precetto dell’art. 38 Cost. Nel nostro ordinamento tale scopo viene attuato per mezzo delle assicurazioni sociali, con la creazione di appositi istituti previdenziali (per il settore del credito l’INPS e l’INAIL), ai quali affluiscono i contributi che devono essere versati dal datore di lavoro e, in parte, anche dal lavoratore. Per quanto riguarda specificamente l’assistenza sanitaria, dal 1980 la stessa è gestita dal Servizio Sanitario Nazionale-SSN con valenza generale nei confronti di tutti i cittadini, a prescindere dalla loro condizione professionale. Sia l’INAIL che il SSN sono tenuti ad erogare le prestazioni ai lavoratori anche quando l’imprenditore non abbia versato regolarmente i contributi, mentre tale principio non vale relativamente alle prestazioni fornite dall’INPS. Appunto nei casi in cui gli istituti previdenziali, per mancata o irregolare contribuzione, non siano tenuti ad effettuare le loro prestazioni, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al lavoratore. La previdenza sociale, salvo i detti principi generali, è disciplinata da leggi speciali, a cui fa rinvio l’art. 2114 c.c. Queste leggi s’ispirano al principio espresso nel cit. art. 38 Cost., onde esse tendono ad estendere la previdenza non solo ai familiari del lavoratore ma a tutti i cittadini che si trovino in stato di bisogno. Accanto alle forme obbligatorie di previdenza e di assistenza hanno avuto diffusione, negli ultimi anni, forme complementari che assicurano ai lavoratori prestazioni migliorative di quelle del SSN ovvero del sistema pensionistico di legge (queste ultime sono particolarmente presenti nel settore creditizio).

  • PREVISIONI DEGLI ANALISTI FINANZIARI SULL'UTILE PER AZIONE

    Le previsioni degli analisti finanziari sull’utile per azione (inglese earning per share, EPS) e i relativi errori di previsione sono un argomento largamente discusso nella letteratura economica. Le previsioni degli analisti sono considerate un’approssimazione delle aspettative razionali (Rational Expectations, RE) e quindi sono ritenuti essere molto più utili delle tradizionali previsioni basate sulle serie storiche. Gli analisti devono scegliere tra aggiornare le previsioni, incorporando una nuova informazione o rinviarla in modo da produrre previsioni più accurate, tenendo conto di maggiori informazioni. Un interessante trade-off è quello tra la tempestività (timeliness) e l’accuratezza delle previsioni (forecast accuracy). Tali informazioni possono essere ricavate da diverse fonti come ad esempio le anticipazioni, i report trimestrali o annuali, le informazioni al mercato e altre comunicazioni del management. Le informazioni processate dagli analisti sono poi utilizzate anche dagli investitori al fine di elaborare le loro strategie d’investimento, che a loro volta influenzano i prezzi del mercato. Sotto l’ipotesi di efficienza del mercato dei capitali e del metodo di previsione utilizzato le previsioni degli analisti riflettono immediatamente e in modo completo le informazioni. La previsione elaborata in tal modo si denota:


    Dove rappresenta l’informazione disponibile all’orizzonte temporale precedente alla sua realizzazione e  è l’operatore valore atteso condizionato. Tuttavia, nell’arco di tempo compreso tra l’istante della previsione e quello della realizzazione può arrivare nel mercato una nuova informazione che, generando un’inefficienza nel mercato, porta a degli errori nella previsione. Il forecast error è calcolato come la differenza tra gli utili (per azione) effettivi e quelli previsti:


    Dove  è il forecast error calcolato per l’impresa i calcolcato t mesi anteriormente alla data di realizzazione dall’analista j per l’anno T, è l’effettivo utile per azione per l’impresa i per l’anno T, è l’utile per azione previsto relative all’impresa i dall’analista j per l’anno T, con la previsione effettuata t mesi anteriormente alla data di realizzazione e  è il prezzo per azione relativo all’impresa i alla fine dell’anno precedente, T-1. Tecnicamente sussiste un problema di scala nella misurazione delle previsioni degli analisti e degli errori quando sono utilizzati dati misurati in livelli. Tale problema può persistere tra le imprese e nel tempo. Dunque un’impresa che presenta gli stessi utili totali di un’altra, ma ha la metà del numero di azioni avrà utili per azione pari al doppio rispetto all’altra impresa. Per porre rimedio alla differenza nell’ordine di grandezza tra gli utili (per azione) e il forecast error è sufficiente dividerlo per il prezzo dell’azione. Tale operazione presuppone che gli errori in rapporto al prezzo per azione siano relativamente omogenei tra le imprese. Finora la letteratura si è concentrata sulle deviazioni tra gli utili e le previsioni, il che può indurre a sottovalutare quanto siano informative le previsioni riguardo agli utili effettivi. Al contrario, infatti, le previsioni risultano essere piuttosto informative riguardo agli utili effettivi. Può accadere che un elevato numero di forecast error negativi/positivi distribuiti nel tempo riflettano previsioni troppo basse/alte; ciò può accadere anche per diverse ragioni.  Ad esempio, può avvenire che le imprese che presentano utili inferiori a quelli previsti abbiano la possibilità di fornire agli analisti delle informazioni prima dell’annuncio e che le previsioni siano aggiornate alla luce delle nuove informazioni disponibili. I forecast error generalmente variano tra impresa e impresa e a seconda degli analisti finanziari che hanno effettuato le previsioni, a causa di molteplici ragioni. Una di queste è il fatto che gli utili sono più prevedibili per alcune imprese e meno per altre. È ragionevole pensare che gli errori risultino essere inferiori in imprese soggette a minor volatilità nel mercato. Ad esempio, i prezzi nel mercato energetico sono soggetti a elevate e imprevedibili oscillazioni che hanno ovviamente forti ricadute sugli utili. Sebbene i prezzi nel settore dell’assistenza sanitaria siano aumentati in maniera rilevante negli ultimi anni, tale aumento è stato relativamente persistente e di conseguenza prevedibile. Infatti, tale settore può non essere colpito dalle recessioni, mentre la domanda di energia cala marcatamente in tali periodi. Anche altre imprese presentano scarsi utili durante i periodi di recessione come nell’industria dei materiali e dei beni di largo consumo. Se le recessioni non possono essere previste in anticipo, c’è scarsa ragionevolezza nel pensare che la discesa degli utili sia, al contrario, prevedibile. Man mano che passa il tempo sono disponibili un maggior numero di informazioni e tale flusso informativo è rilevante: undici dodicesimi dell’anno sono passati quando si è fatta una previsione sul mese successivo. Le imprese dichiarano gli utili trimestralmente; quando è stata effettuata una previsione sul mese successive, gli utili per i tre trimestri precedenti sono già stati annunciate e dunque sono conosciuti. Per effetto di questo meccanismo, man mano che il tempo passa nuove informazioni diventano disponibili, di conseguenza ci si aspetta che l’ampiezza degli errori sulle previsioni decrescano proporzionalmente. Pertanto si verifica che le previsioni degli analisti sugli utili, a distanza di tempo dalla data di realizzazione, sono mediamente più alti degli utili effettivi.
    In altre parole, presa qualsiasi previsione sugli utili di un’impresa effettuata da un qualsiasi analista finanziario, una migliore previsione risulterà essere quella che presenta un livello inferiore di utili. Questo scarto prevedibile è chiamata forecast non corretto (biased forecast). A prima vista sembra ovvio che un forecast corretto sia migliore. Vi sono diverse condizioni sotto le quali un forecast non corretto risulta essere invece migliore. Un criterio adottato generalmente per gli errori di previsione è l’errore quadratico medio (mean squared error). Nel caso in cui si desideri minimizzare l’errore quadratico medio atteso della previsione (expected squared forecast error), allora una previsione corretta risulterà essere la migliore possibile. L’errore quadratico medio atteso della previsione impone una penalità crescente su forecast relativamente più distanti dalla media - un forecast che dista due volte dallo zero risulta invece essere quattro volte peggiore. Il forecast corretto – la media (mean forecast) – non è necessariamente il migliore forecast in tutte le circostanze. Supponiamo che un esperto di previsioni voglia prevedere il risultato di un lancio di un dado equo. 
    La mean forecast è la media di 1, 2, 3, 4, 5, e 6, cioè 3.5. Se gli utili previsti dipendono da quanto si discosta la previsione dal valore effettivo, il migliore forecast sarà proprio 3.5.
    D’altro canto, se l’esperto viene pagato solo quando il risultato del lancio del dado risulta essere esattamente pari a quello della previsione, una previsione corretta implica che l’esperto non sia mai retribuito. Il dado, infatti, non assumerà mai valore 3.5. Se l’esperto viene pagato solo quando la previsione è esattamente pari al il risultato del lancio del dado, che assume valori da 1 a 6 con la stessa probabilità, qualsiasi intero da 1 a 6 potrà essere ugualmente previsto, ma in nessun caso verrà scelto il valore 3.5. Partendo da tale semplice esempio, si può costruire una teoria più generale. Il valore predetto dipenderà dagli incentivi dell’analista e dalla distribuzione dei dati. Una previsione corretta potrebbe non essere il "migliore" forecast. Esistono anche obiettivi simili alla minimizzazione dell’errore quadratico atteso che portano a forecast "non corretti"(biased). Se l’esperto desidera minimizzare la deviazione attesa assoluta (expected absolute deviation) dell’errore di previsione, allora la mediana risulterà essere il migliore forecast. Il forecast error assoluto impone una penalità crescente su previsioni relativamente più distanti dallo zero - un forecast che dista due volte dallo zero risulta invece essere due volte peggiore.
    I costi associati all’errore di previsione aumentano linearmente con l’aumentare dell’errore. La previsione che minimizza l’errore atteso assoluto è la mediana, non la media (o più precisamente la media aritmetica). Tale distinzione non conta solo nel caso in cui media e mediana siano uguali. 
    D’altra parte, se la distribuzione non è simmetrica, siccome la distribuzione degli utili non lo è, la mediana è una previsione migliore della media se il costo associato all’errore aumenta in maniera lineare rispetto al forecast error. La mediana divide il forecast in due parti, con metà delle osservazioni al disopra della mediana e metà al si sotto. Se il forecast error associato alla mediana è notevolmente più vicino allo zero dell’errore associato alla media, ciò indica che l’errore di previsione generico negativo (positivo) è di grandezza superiore rispetto al generico forecast error positivo (negativo). In altre parole, la distribuzione degli errori non è simmetrica. Quindi i consistenti valori negativi/positivi di asimmetria (skewness) indicano che i forecast error sono maggiori (in magnitudine) degli errori positivi/negativi. L’indice di asimmetria indica di quanto i valori degli errori sono "spostati" verso valori negativi/positivi. Infine, la curtosi (kurtosis) misura quanto è concentrata la distribuzione attorno alla media, rispetto a numero di osservazioni che ricoprono le code della distribuzione. Un valore positivo di curtosi indica che le code della distribuzione hanno più osservazioni di quanto accade per la distribuzione normale. L’evidenza empirica sulla distribuzione delle previsioni sugli utili degli analisti e dei relativi errori che utilizzano dati sulle società statunitensi dal 1990 al 2004 indica che vi è una sostanziale asimmetria degli utili, delle previsioni sugli utili e dei relativi errori. Vi è inoltre una forte evidenza empirica sulla superiorità degli utili previsti utilizzando il valore atteso e la mediana un anno anteriormente alla data annuncio, rispetto a quelli effettivamente registrati. Tali scostamenti tra utili e utili previsti sussistono anche in relazione a periodi di tempo e ai settori. La differenza tra media e mediana risulta bassa nel mese che precede l’annuncio. Dunque sorge il seguente interrogativo: vi sono differenze prevedibili tra gli utili previsti dagli analisti e quelle effettivi? Inoltre, questa evidenza empirica suggerisce che le previsioni prossime alla data di annuncio degli utili diminuiscono meno degli utili effettivi. La spiegazione per questa reverse bias è che gli utili superiori rispetto alle previsioni più recenti sono interpretabili come utili inattesi e ne segue che il prezzo dell’azione aumenta. Quasi tutta la letteratura esistente sulle previsioni degli analisti si concentra sulla distanza delle previsioni, riscontrando che gli analisti sovrastimano gli utili. Questa sovrastima diminuisce all’approssimarsi della data dell’annuncio. Inoltre, alcune ricerche suggeriscono che gli analisti da sovrastimare passano a sottostimare esattamente prima della data di annuncio. Tali near-term forecast favoriscono il management perchè l’annuncio di utili superiori a quelli previsti producono una buona pubblicità alla società, che induce a un aumento del prezzo delle azioni dopo l’annuncio. Richiedere un forecast che sia né troppo elevato nè troppo basso in media rispetto sembra essere una richiesta più ragionevole se confrontata con la richiesta di un forecast accurato. Nonostante questo sia vero, è possibile che l’analista processi l’informazione disponibile nel migliore dei modi, ma che qualcuno o tutti gli analisti non abbiano incentivi a effettuare previsioni che siano corrette, neanche in media. Mediamente la media degli errori diminuisce all’avvicinarsi della data di annuncio. Il tema degli incentivi degli analisti è stato approfonditamente discusso in letteratura e in particolare è stato messo in luce il fatto che gli analisti non effettuino previsioni in modo isolato. La presenza di previsioni effettuate da altri analisti può influenzare le previsioni in diversi modi. Inoltre, l’abilità dell’analista può cambiare nel tempo e quindi può acquisire maggiore abilità man mano che effettua previsioni che si riflettono nell’evoluzione degli errori sulle stesse previsioni. Piuttosto che singole previsioni isolate, l’attività degli analisti può esser considerata approssimativamente come un forecasting game (gioco) in cui vince chi fa l’errore più piccolo (e riceve un premio), mentre gli altri non ricevono nulla. Secondo tale gioco una previsione corretta potrebbe non essere il migliore forecast di un analista e che l’incentivo potrebbe indurre a fare solo "il più vicino" possibile al migliore. Se non è il più vicino al migliore, allora non riveste più alcuna importanza la differenza che intercorre tra la previsione effettuata e la migliore possibile. In generale, ciascuna previsione dipenderà da come l’analista percepisce quelli che saranno le previsioni effettuate dagli altri partecipanti al gioco e dalle previsioni che essi hanno già effettuato. Si consideri il seguente gioco a titolo di esempio. Due giocatori devono indovinare se l’altro giocatore pesca un numero compreso tra 0 10. La previsione corretta è 5. Supponiamo che la prima persona peschi un 5. Se l’altra persona pesca un 5 allora il primo giocatore non può vincere, ma solo pareggiare. Pescare un 4 o un 6 può aumentare la vincita attesa se non c’è nessun guadagno associato al pareggio. Né 4 né 6 sono corretti, ma non ha importanza. Infatti, entrambi i numeri massimizzano la vincita attesa, che è ciò che conta in questo gioco. Ciò suggerisce che anche se la previsione dell’analista non è corretta è comunque necessario considerare i loro gli incentivi prima di denunciare la loro "irrazionalità" o il fatto che "ignorino le informazioni facilmente a loro disponibili". Molti fattori possono spiegare la prevedibilità di errore di previsione diversa da zero, come ad esempio un analista che produce errate previsioni e rischia il licenziamento è più probabile che faccia previsioni azzardate che, con scarsa possibilità di essere corretto, ma che potrebbe effettivamente permettere all’analista di non perdere il lavoro nel caso in cui risultasse esatta.

    Bibliografia
    CICIRETTI  R., BAGELLA  M. e BECCHETTI  L., "The Earning Forecast Error in the US and European Stock Markets", in The European Journal of Finance, Vol. 13 (2), pp. 105-122, Febbraio 2007
    CICIRETTI  R.,  DWYER  Jr. G. P. e  HASAN  I., "Investment Analysts’ Earnings Forecasts and Errors: A Summary of the Data", in Review Federal Reserve Bank of St. Louis, 91(5, Part 2), pp. 545-67, Settembre/Ottobre 2009
    CLARKE  J. e  SUBRAMANIAN  A. "Dynamic Forecasting Behavior by Analysts: Theory and Evidence", in Journal of Financial Economics, Vol. 80, pp. 81-113, Aprile 2006
    GU  Z. e  WU  J. S. "Earnings Skewness and Analyst Forecast Bias", in Journal of Accounting and Economics, Vol. 35(1), 5-29, Aprile 2003
    HONG  H. e  KUBIK  J. D. "Analyzing the Analysts: Career Concerns and Biased Earnings Forecasts", in Journal of Finance, Vol. 58, pp. 313-51, Febbraio 2003
    KEANE  M. P. e  RUNKLE  D. E. "Testing the Rationality of Price Forecasts: New Evidence from Panel Data", in American Economic Review, Vol. 80(4), pp. 714-35, Settembre 1990

    Redattori: Rocco CICIRETTI, Bianca GIANNINI
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  • PREZZI DI COMPENSO

    Prezzi medi di riferimento nella valutazione dei titoli ceduti a riporto (v. riporto) e dell’imponibile tassabile per valori mobiliari quotati ufficialmente e caduti in successione, che era determinato mensilmente dal Comitato direttivo degli agenti di cambio e, poi, dal Consiglio di Borsa, che gli era succeduto dal 1991 al 1997.

  • PREZZI DI PENETRAZIONE INTERNAZIONALE

    Manovra di prezzo che un’impresa può adottare per conquistare i mercati esteri; prevede un attacco iniziale con prezzi minori rispetto alla concorrenza ed in seguito un’elevazione graduale degli stessi, man mano che il prodotto incontra il favore dei consumatori e la concorrenza si indebolisce. Tuttavia, il mantenimento per un lungo periodo di una politica di prezzi al di sotto dei costi di produzione presenta il rischio di scatenare accuse di dumping da parte di industrie locali o concorrenti stranieri, con ostilità nell’opinione pubblica o interventi governativi; inoltre, anche la concorrenza potrebbe attuare la medesima manovra ed, infine, il successivo rialzo dei prezzi potrebbe suscitare reazioni non positive nei consumatori.

  • PREZZI DI SCREMATURA DEL MERCATO INTERNAZIONALE

    Metodo di fissazione del prezzo all’esportazione attuato dalle impreseche esportano prodotti particolarmente avanzati (dal punto di vista tecnologico rispetto alla concorrenza), o prodotti di moda, che possono essere venduti, almeno inizialmente, a prezzi elevati, anche se successive imitazioni potranno rendere necessaria una diminuzione dei prezzi per conservare la posizione sul mercato.

  • PREZZI DIFENSIVI SUI MERCATI INTERNAZIONALI

    Tecnica di fissazione del prezzo di vendita sui mercati esteri che assume come termine di confronto i prezzi applicati dai concorrenti e che ha lo scopo di conquistare una presenza stabile sul mercato. Un’iniziale vendita a prezzi in linea con la concorrenza permette di difendere la posizione acquisita per poi rafforzarla potenziando progressivamente la rete di distribuzione e diffondendo l’immagine.

  • PREZZO ALLA PRODUZIONE DEI PRODOTTI INDUSTRIALI

    L’indice dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali misura le variazioni nel tempo dei prezzi che si formano nel primo stadio di commercializzazione dei principali beni fabbricati da imprese con stabilimenti di produzione localizzati nel paese di riferimento e venduti all’interno del territorio nazionale (mercato interno) o direttamente esportati (mercato estero).
    Fonte: Banca d'Italia

  • PREZZO BASE

    Prezzo di riferimento per la quotazione o per il prezzo di emissione di un titolo azionario o obbligazionario. È generalmente rappresentato dal valore nominale.

  • PREZZO CONTABILE

    Rappresenta un indicatore del valore, che sostituisce il prezzo efficiente. Generalmente usato come sinonimo di prezzo ombra. A differenza del prezzo ombra, il prezzo contabile approssima, solo imperfettamente, il prezzo della teoria economica neoclassica. Il termine contabile indica che il prezzo non è un prezzo di mercato. Il prezzo contabile, ad esempio, riflette il valore economico degli input e degli output in contrapposizione al loro valore finanziario e di mercato.
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  • PREZZO CORRENTE

    Si riferisce a criteri di determinazione di valori prospettici, tenendo conto dell’effetto dell’inflazione.
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  • PREZZO COSTANTE

    Si riferisce a criteri di determinazione di valori prospettici, senza tener conto dell’effetto dell’inflazione.
    © 2010 ASSONEBB

  • PREZZO DI EMISSIONE

    Nel linguaggio di borsa indica il prezzo che viene pagato al momento della emissione di un titolo azionario od obbligazionario quando questo viene offerto per la prima volta al pubblico. Nel caso in cui l’operazione sia effettuata con il ricorso ad un intermediario (underwriter), indica il prezzo concesso a questo primo sottoscrittore e non il prezzo superiore, realmente pagato dai singoli investitori. Le azioni non possono essere emesse a un prezzo superiore a quello del conferimento del socio.

  • PREZZO DI ESERCIZIO - STRIKE PRICE

    (In inglese strike price). E’ l’ammontare di denaro investito (nel caso di opzioni call) o ricevuto (nel caso di opzioni put) nel momento in cui si esercita l’opzione. Nelle opzioni di tipo call è rappresentato dal valore attuale dei costi di investimento. All’aumentare del prezzo di esercizio, al contrario del sottostante, il valore dell’opzione call diminuisce, avviene il contrario nel caso delle opzioni put.

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  • PREZZO DI INVENTARIO

    Nella terminologia relativa al fondo comune d’investimento indica il prezzo al quale vengono offerte le quote di un fondo comune d’investimento, detratte le spese di stampa e la commissione di collocamento. Equivale alla differenza fra il valore delle attività (contante, crediti e titoli in portafoglio) e delle passività contabili del fondo, divisa per il numero di quote in circolazione. Viene calcolato quotidianamente e pubblicatonella pagina finanziaria dei principali quotidiani nazionali e sulla stampa specializzata. Ilprezzo pagato effettivamente da chi sottoscrive è superiore, in quanto include le commissioni di entrata.

  • PREZZO ECONOMICO

    Sinonimo di prezzo di efficienza, prezzo che riflette il valore relativo che dovrebbe essere assegnato agli input ed output se l’obiettivo del sistema economico è quello della massimizzazione della produzione. Non contiene alcuna considerazione relativa alla distribuzione del reddito, o altri obiettivi che non siano di efficienza.
     
    Redattore: Carmela NOTARO
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  • PREZZO OMBRA

    Prezzo che riflette il valore sociale di un bene o servizio (si veda anche prezzo contabile, prezzo economico) e corrisponde al costo-opportunità di una qualsiasi allocazione di risorse.
     
    Redattore: Carmela NOTARO
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  • PRICE SKIMMING

    Lett.: prezzo di scrematura. Tecnica di pricing diretta a ottenere dai clienti il massimo che essi sono disposti a pagare per un dato prodotto o servizio, diretta cioè ad assorbire totalmente la rendita del consumatore. Consiste nell’offrire inizialmente il prodotto, o il servizio, al prezzo più elevato possibile e, poi, nel ridurre il prezzo progressivamente finché raggiunge il livello che lo mantiene a lungo vitale sul mercato.

  • PRICE TO BOOK RATIO

    Acr.: PBR, ovvero in sigla: p/b. Multiplo di mercato che misura il rapporto tra il valore di mercato (capitalizzazionedi borsa) di una società e il suo valore contabile risultante dal bilancio (valore di libro). Indice utile per confronti con altre imprese quotate (per avere una grossolana indicazione su di una possibile sottovalutazione o sopravalutazione del titolo), ovvero per avere indicazioni su un possibile valore delle azioni di una società da quotare. Questo indicatore ha tutti i punti deboli dei multipli di mercato.

  • PRICE/CASH FLOW RATIO

    Lett.: prezzo/cash flow per azione. Multiplo di mercato pari al rapporto tra quotazione di un’azione e il flusso di cassa per azione (anche rapporto tracapitalizzazione di borsa e cash flow della società). Simile al price /earnings ratio e al price/earnings adjusted è però più di questi indipedente dalla politica di bilancio seguita dalle società.

  • PRICE/EARNING RATIO

    In sigla: p/e (in it.: p/u). Lett.: rapporto prezzo/utili. Anche price earning ratio. Multiplo di mercato che si calcola facendo il rapporto tra la quotazione di un'azione e gli utili per azione di una società dell'anno più recente conosciuto. Gli utili sono al netto delle imposte. Al denominatore, negli studi approfonditi, si mettono gli utili futuri attesi, in modo che l'indicatore abbia una qualche valenza di inverso del rendimento futuro. È simile al bond yield ratio per i bonds. Indica il periodo di recupero cioè quante volte il prezzo dell'azione incorpora l'utile dell'ultimo esercizio, o l'utile atteso e in quanti anni il capitale investito in quell'azione verrà recuperato sotto forma di dividendo e/o di aumento di valore del titolo per gli utili non distribuiti e accantonati a riserve. Il p/e è un indice delle aspettative degli operatori finanziari sull'andamento del titolo in futuro. Se il p/e è basso (si considera tale se meno di 16 per le imprese industriali) e se non esistono attese di uno sfavorevole andamento futuro degli affari l'azione è verosimilmente sottovalutata e viceversa. Più alto è p/e, maggiori sono le aspettative degli investitori sulle prospettive di crescita della società. Viene utilizzato dagli analisti finanziari per valutare la convenienza economica del prezzo di un titolo rispetto al suo valore effettivo. Altro rapporto della famiglia dei p/e è il price earning adjusted (p/e adj) che è il rapporto fra prezzo e utile netto per azione rettificato per le componenti non ricorrenti e per l'eventuale goodwill.

  • PRICING

    Lett.: prezzatura, determinazione del prezzo.

    1. In economia è il procedimento con cui l’impresa o il venditore giungono a fissare il prezzo di vendita di un loro prodotto utilizzando procedure contabili o d’altro tipo. Il procedimento contabile tiene conto dei costi industriali e degli altri costi e del profitto programmato. Ma nella fissazione del prezzo l’impresa può perseguire obiettivi particolari (p.e. di penetrazione del mercato, o di mantenimento della quota di mercato), può essere obbligata a rispettare leggi particolari o accordi di cartello e, nel breve periodo, deve tener conto di fattori esterni (p.e. l’andamento ciclico della domanda o la comparsa di concorrenti agguerriti o di prodotti sostitutivi) e interni (p.e. la percentuale di capacità produttiva utilizzata). L’insieme dei criteri e dei vincoli rispettati dall’impresa nella fissazione dei prezzi è detta politica dei prezzi (pricing policy).

    2. In finanza il pricing è la procedura di determinazione del valore finale del prezzo di collocamento di un titolo stabilito dalla società emittente e dalla banca che cura il collocamento. Per i titoli a reddito fisso il collocamento può avvenire a prezzo fisso col sostegno, di regola, di un consorzio di collocamento, oppure l’asta (p.e.: BOT). Il termine pricing è però specialmente riservato alla individuazione del prezzo per le IPO (offerta pubblica iniziale), cioè per il collocamento iniziale di azioni di società non ancora quotate. Il metodo comunemente impiegato in Europa fino agli inizi degli anni Novanta è quello dell’offerta a prezzo fisso e, di recente in alcuni Paesi, di offerte simili a un’asta. Un terzo metodo è quello del bookbuilding, correntemente praticato negli Stati Uniti e da qui diffuso in Europa, diventando anche qui quello generalmente più seguito. Il metodo è anch’esso un’offerta a prezzo fisso, ma il prezzo viene fissato al termine di un primo giro di raccolta di informazioni sull’orientamento degli investitori istituzionali. In una procedura di bookbuilding la banca che cura il collocamento sollecita gli investitori istituzionali a indicare la loro disponibilità a sottoscrivere una certa quantità di azioni, ovvero come si dice built the book. Le informazioni di ritorno possono contenere delle precisazioni aggiuntive come p.e. un limite di prezzo e altro. La banca utilizza le informazioni per costruire una curva di domanda, secondo l’interpretazione che essa dà delle indicazioni degli investitori e fissa il prezzo di offerta a un livello per il quale la domanda supera l’offerta. Questa procedura non è un’asta, nonostante le somiglianze. La fissazione del prezzo e le regole di assegnazione delle quote non sono specificate inanticipo e sono, invece, lasciate alla discrezione della banca. Inoltre le segnalazioni degli investitori istituzionali non sono impegnativi, ma solo indicazioni di interesse (sebbene il rifiuto di sottoscrivere sia molto raro).

  • PRICING DEI PRESTITI BANCARI

    Procedura di determinazione del tasso da applicare ai prestiti, che si attua in varie fasi: nella valutazione del rischio del prestito, nella successiva determinazione del costo ed infine nella determinazione del prezzo. La valutazione del rischio coincide con la tradizionale istruttoria di fido (screening) e si conclude con l’assegnazione del richiedente ad una determinata classe di rischio (attribuzione del rating). Tale fase è volta cioè alla stima della probabilità di default del debitore e della percentuale di perdita; il prodotto di questi due dati determina il tasso di perdita attesa. L’elaborazione delle informazioni, ottenute sia direttamente dal richiedente sia mediante il ricorso a fonti informative interne ed esterne alla banca, può essere attuata anche con l’ausilio di opportune tecniche statistiche (come, p.e., l’analisi discriminante) o di sistemi esperti. La successiva fase di determinazione del costo del rischio, ovvero la determinazione della perdita massima accettabile, comporta la valutazione sia del rischio “previsto”, dato dal tasso medio di perdita per impieghi simili appartenenti a quella particolare classe di rating; sia del rischio “imprevisto”, che dipende dalla variabilità di tale tasso e che può essere stimato sulla base di serie storiche o di valutazioni soggettive; sia infine del grado di correlazione tra i tassi di perdita nelle diverse classi di rischio per la determinazione dell’impatto dell’operazione sul rischio complessivo del portafoglio. Nella fase conclusiva, il prezzo viene determinato sommando ad un adeguato premio per il rischio (comprensivo anche della remunerazione del capitale a rischio), i costi di provvista e quelli diretti e indiretti non collegati alla provvista (costi del personale, costi di amministrazione e fiscali). Le tre fasi individuate dovrebbero essere ripetute periodicamente, non solo quindi in sede di erogazione del prestito, per poter valutare costantemente la convenienza, in termini di rischio e rendimento, delle operazioni poste in essere. In concreto, gli approcci possibili per ladeterminazione del prezzo dei prestiti bancari, sono sostanzialmente riconducibili a due modelli di comportamento: con il primo si fa riferimento ai prezzi praticati dal mercato per operazioni analoghe (il cosiddetto comparison pricing); con il secondo si valuta il rischio proprio di ciascuna operazione isolatamente considerata in modo da determinarne il valore intrinseco (intrinsic value pricing). Il primo metodo è certamente di più semplice applicazione, almeno là dove esiste un riferimento certo e significativo: può essere tale il mercato obbligazionario (ma presuppone l’esistenza di una gamma sufficientemente estesa di scadenze e la relativa valutazione del debito da parte di agenzie di rating) oppure una serie di dati calcolati sulle serie storiche dei prestiti bancari (che richiede però molta cautela nella estrapolazione delle previsioni sugli andamenti futuri). L’altra metodologia procede al calcolo di un tasso di interesse coerente con gli obiettivi di redditività della banca, tale cioè da produrre un profitto adeguato al rischio sopportato. Essa prevede il ricorso a modelli di tipo RORAC o, ma soltanto in linea teorica, all’uso di modelli derivati dalla teoria delle opzioni. Con il ricorso al primo, la banca quantifica sia il costo del rischio sopportato sia il mark up necessario per tener conto del ricavo desiderato. Il tasso del prestito viene così determinato secondo un modello additivo, che prevede l’aggiunta, al costo marginale di raccolta, del premio per il rischio previsto e di un premio per il rischio imprevisto, dato dal prodotto fra il ROE obiettivo e il capitale a rischio. Il tasso sul prestito, cioè, viene fissato in modo tale che il profitto dell’operazione,in termini di rendimento del capitale proprio allocato a copertura del rischio sopportato, risulti almeno pari al ROE obiettivo. Una particolare applicazione di tale metodologia è quella del LAFP (Loan arbitrage free pricing model).

  • PRICING-TO-MARKET

    La legge del prezzo unico (LPU) è una delle ipotesi alla base della maggior parte dei modelli di economia internazionale. Secondo questa condizione di non arbitraggio, uno stesso bene commerciato in paesi diversi dovrebbe essere venduto allo stesso prezzo una volta espresso in un’unica valuta. La teoria del Pricing-to-market theory (PTM), sviluppata nell’ambito di quella branca dell’economia internazionale che enfatizza il ruolo della concorrenza imperfetta, fornisce una spiegazione del possibile fallimento della LPU. Secondo questa teoria esistono dei beni (es. le automobili) per i quali è plausibile ritenere che i produttori, sfruttando il proprio potere di mercato, siano in grado di praticare una discriminazione di prezzo, caricando un destination specific mark-up sul costo unitario. Tale mark-up tenderà ad essere tanto maggiore quanto minore sarà l’elasticità della domanda.
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  • PRIMA GIRATA SULLA NOTA DI PEGNO

    Trascrizione indicante l’ammontare del credito, degli interessi e della scadenza apposta sulla nota di pegno. La girata contenente le predette indicazioni deve essere riportata sulla fede di deposito e controfirmata dal giratario. e sulla girata non viene indicato l’ammontare del credito, questa vincola, per tutto il valore delle cose depositate, il possessore in buona fede. Nel caso in cui il titolare o il terzo possessore della fede di deposito paghi una somma non dovuta, può esercitare un’azione di rivalsa nei confronti del diretto contraente e del possessore in mala fede della nota di pegno.

  • PRIMARY ACCOUNT NUMBER

    Codice identificativo attribuito da un sistema di carte elettroniche, concepito in modo da identificare contemporaneamente emettitore e titolare. È normalmente composto da un prefisso che identifica l’emettitore, un identificatore del conto individuale ed un codice di controllo

  • PRIMARY DEALERS

    In it.: operatori principali. Intermediari autorizzati (banche, società finanziarie, compagnie di assicurazione, SGR ecc.) che operano sullo MTS (il mercato all’ingrosso dei titoli di Stato) e che hanno particolari requisiti patrimoniali, operativi e professionali (consistenza patrimoniale, allo spessore delle negoziazioni effettuate, all’onorabilità degli amministratori e del direttore generale e alla professionalità del top management) tali da consentirne l’iscrizione in un particolare elenco tenuto dalla società di gestione del mercato. Essi si impegnano a formulare in via continuativa e a pezzi competitivi offerte di acquisto e di vendita su certi titoli di Stato. Una categoria speciale di primary dealers sono gli specialisti in titoli di Stato, iscritti in un apposito elenco tenuto dl Tesoro e operanti anche essi sullo MTS. Figura analoga ai primary dealers è quella dell’operatore principale (specialist, q.v.) operante sui mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana spa.

  • PRIME RATE

    Tasso d’interesse di massimo favore applicato dalle banche ordinarie sulle operazioni d’impiego ai loro migliori clienti. In pratica, si possono distinguere tre livelli di prime rate: il prime rate propriamente detto, cioè il tasso d’interesse sui crediti in bianco utilizzabili in conto corrente; il tasso per le operazioni di sconto di portafoglio commerciale; il tasso per gli anticipi in lire alle esportazioni. Non è raro che alla clientela più selezionata e affidabile sia riconosciuto un tasso anche inferiore al prime rate. Il prime rate è anche correlato al tasso ufficiale di sconto del paese. Infatti, un rialzo o un ribasso di quest’ultimo influenza sensibilmente i tassi attivi e passivi chele banche applicano. Esso costituisce un punto di riferimento per la valutazione delle condizioni vigenti sul mercato del credito e pertanto può rappresentare un tasso di riferimento per il calcolo del rendimento di attività finanziarie indicizzate. Attualmente l’ABI rileva, con cadenza quindicinale, il valore medio del prime rate del sistema bancario come media ponderata aziendale con riferimento ai volumi di credito erogati a tassi pari o inferiori al prime rate: tale calcolo si basa su dati relativi ad un campione rappresentativo di banche.

  • PRINCIPAL ONLY

    Acr.: PO. Nella pratica statunitense è una classe di strumenti finanziari che dà diritto solo a pagamenti in linea capitale in relazione al flusso dei rimborsi del pacchetto sottostante, p.e. di CMO (collateralized mortgage obligations) o REMIC (v. asset-backed securities). Un aumento del livello dei tassi di interesse ha effetti negatici sui PO e viceversa per le stesse ragioni per cui i titoli interest only manifestano il fenomeno inverso.

  • PRINCIPALE-AGENTE

    Trad. it. di principal-agent impiegata nell’espressione americana principal-agent problem (donde la principal- agent theory socioeconomica). La questione principale-agente è propria delle relazioni umane in ogni campo di attività, connessa alla naturale condizione dell’uomo di aver bisogno dei propri simili per soddisfare i bisogni e realizzare gli obiettivi. Essa sorge quando nel proprio interesse qualcuno (il principal) incaricaun altro (l’agent) di compiere qualcosa. Di regola il principale non è in grado di controllare e verificare che l’agente esegua il compito nel modo migliore, per mancanza di conoscenze specifiche (come avviene, p.e., per il cliente, principal, che per investire i risparmi si rivolge al promotore finanziario, l’agente; nella stessa condizione è il paziente che si rivolge al medico), o per l’eccessivo costo, o per l’impossibilità dei controlli. La relazione principale-agente è caratterizzata da asimmetria dell’informazione (v. anche moral hazard). Gestione dei fondi di investimento per conto degli investitori, di società per conto degli azionisti, diservizi pubblici e della cosa pubblica per contodei cittadini, gli stessi acquisti dei consumatori sono esempi di relazione principale-agente in cui l’investitore, l’azionista, il cittadino, il consumatoresi trovano nella posizione del principal. Il contratto con le sue formalità e le azioni che ne tutelano l’esecuzione sono il mezzo principale per eliminare la distorsione nei rapporti che si instaurano tra principale ed agente. Altri mezzi introdotti dal diritto sono gli obblighiin materia di pubblicità e trasparenza, le norme a tutela del consumatore (p.e. i contratti del consumatore col professionista; le norme sul credito al consumo), la regolamentazione dei servizi pubblici, le norme tributarie e quelle di diritto amministrativo e anche costituzionale inerenti le spese e le entrate pubbliche.

  • PRINCIPI DEL BILANCIO

    Gli artt. 2423 e 2423 bis del codice civile riassumono a grandi linee i requisiti qualitativi, nonché alcuni dei principi fondamentali e applicativi che formano la struttura concettuale della contabilità. L’articolo 2423 bis è stato aggiunto nel codice dal d.lg. 9.4.1991 n. 127 in attuazione delle direttive comunitarie 78/660/CEE del 25.7.1978 e 83/349/CEE del 13.6.1983 (rispettivamente quarta e settima direttiva sui bilanci societari). In precedenza la legge taceva, lasciando implicitamente alla dottrina e alla pratica contabile la definizione di simili questioni1. Requisiti qualitativi. L’art. 2423, 2° comma, prescrivono che il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio. Nei due commi successivi si precisa che se le informazioni richieste dalla legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni complementari necessarie allo scopo e che, se, in casi eccezionali, l’applicazione di una disposizione di legge è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere applicata. Il n. 6 dell’art. 2423 bis aggiunge che i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro (principio della consistency), salvo casi eccezionali. Le due deroghe vanno, però, motivate nella nota integrativa specificandone l’influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico. Queste norme danno riconoscimento legale ai requisiti qualitativi primari della contabilità: la rispondenza ai principi di chiarezza e comprensibilità, rappresentazione fedele, costanza di impostazione. In essi sono impliciti gli altri requisiti che completano il quadro descritto dalla dottrina e cioè: pertinenza, tempestività, verificabilità, completezza, obiettività, possibilità di comparazione almeno da un esercizio all’altro e, quindi, affidabilità e utilità per la previsione e il feedback. La nota integrativa (che fa parte del bilancio di esercizio) e l’aggiunta della relazione sulla gestione a corredo del bilancio realizzano il principio di obiettività, o dell’informazione completa (full-disclosure principle) secondo cui le informazioni contabili devono essere accompagnati da spiegazioni che espongano, senza riserve, tutte le notizie economiche e finanziarie utili e importanti alla sua comprensione. 2. L’art. 2423 bis elenca questi altri principi, da seguire nella redazione del bilancio: 1) la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività, tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato; 2) si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio; 3) si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento; 4) si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo; 5) gli elementi eterogenei compresi nelle singole voci devono essere valutati separatamente. L’ultimo comma dell’art. 423 prescrive che il bilancio deve essere redatto in unità di euro, senza cifre decimali. La nota integrativa può essere, però, redatta in migliaia di euro. 3. Il n. 1) contiene un assioma fondamentale della contabilità commerciale, quello dell’ipotesi di continuità dell’attività (principio di funzionamento, going-concern principle) ossiache l’unità per la quale si stende il bilancio non sia da porre in liquidazione, ma continuerà indefi nitamente a svolgere la sua attività. L’obbligodi redigere il bilancio in euro discende da un altro assioma fondamentale della contabilità, per cui l’unità di misura del valore (il bilancio è sempre rappresentazioni di valori monetari) deve essere sempre un’unica moneta, per unificare i valori di conto in modo che gli oggettidei vari conti (ossia i beni, i servizi e i diritti le cui consistenze e variazioni sono iscritte nel conto) siano resi omogenei tra di loro. Valoriin monete diverse sono convertiti a un tasso di cambio in moneta nazionale. Altri assiomi fondamentali, non richiamati in modo espresso dal codice nella sezione IX sul bilancio ma impliciti nell’ordinamento, sono il principio della separazione dei rapporti di debito e di credito dell’azienda di cui si rende conto e da quelli di altre entità, come i proprietari, o i manager e i dipendenti; l’assioma della periodizzazione (le rilevazioni riguardano un periodo convenzionale, ma predefinito e tenuto costante nella durata e nella ricorrenza, di solito 12 mesi, non necessariamente l’anno solare); l’assioma della completezza e della continuità delle rilevazioni, che si manifesta p.e. nella regola che i conti di ogni periodo devono essere aperti, all’inizio, esattamente con la ripresa del saldo di chiusura del periodo precedente. Il divieto di discontinuità può considerarsi estensione dell’assioma della continuità di funzionamento. 4. I numeri 1, 2 e 4 applicano il principio della prudenza con la nota asimmetria in cui vanno rilevati gli utili solo se certi, i rischi e le perdite anche se solo probabili. Più in generale, se una perdita e un guadagno sono altamente probabili entrambi, ma non sicuri, si rileva la perdita, ma non il guadagno. A maggior ragione non si devono sopravalutare attività ed entrate e sottostimare debiti e spese. Il n. 3 riassume il principio della competenza economica secondocui i costi devono essere correlati con le entrate dell’esercizio, per associazione di causa ed effetto, ripartizione di utilità o altra ragione di imputazione (matching principle, in inglese; in italiano anche “principio di correlazione”). Tutti i costi sopportati per l’acquisizionedi un’entrata vanno identificati e imputati nel periodo contabile in cui l’entrata stessa è stata accertata. Il n. 5 va inteso nel senso di procedere alla valutazione dei beni non in monte, ma separati per categorie omogenee di beni cui il mercato attribuisca un medesimo valore. 5. A differenza dei criteri di valorizzazione, i principi dell’art. 2423 bis non sono mai derogabili, all’infuori di quello della consistency (n. 6), ma solo in casi eccezionali. Per l’assioma della prospettiva della continuazione dell’attività (n. 1), l’abbandono significa passare dal bilancio di esercizio ad altra specie di bilancio (di liquidazione ecc.).

  • PRINCIPIO DEL PARALLELISMO

    Principio adottato fin dagli inizi degli anni Settanta secondo il quale è indispensabile un progresso parallelo nell’integrazione economica e in quella monetaria, per evitare squilibri che potrebbero causare tensioni economiche e perdita del sostegno politico a favore di un’ulteriore trasformazione della Comunità in un’unione economica e monetaria in senso proprio. Così nel giugno 1989, sulla base della relazione presentata dal presidente della Commissione Jacques Delors, il Consiglio europeo di Madrid ha stabilito i principi generali per la realizzazione di un’Unione economica e monetaria: obiettivi di una moneta unica, processo in più tappe e parallelismo fra l’aspetto monetario e quello economico. Questo principio però era già stato enunciato in risoluzioni precedenti del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri. Lo si rintraccia, p.e., nelle risoluzioni del 22 marzo 1971 (al Punto IV) e del 21 marzo 1972 (nelle premesse) sulla realizzazione, per tappe, dell’unione economica e monetaria nella Comunità.

  • PRINCIPIO DI INSULARITÀ

    Il Trattato di Amsterdam del 2.10.1997 ha introdotto nell’ordinamento comunitario delle novità rispetto al regime riservato alle regioni insulari, sia attraverso l’art. 158 CE (ex 130A TCE), sia attraverso la “Dichiarazione relativa alle regioni insulari” allegata allo stesso Trattato. Queste novità si inseriscono in un annoso filone del diritto internazionale che, dalle pronunce della Corte Permanente di Giustizia Internazionale (Avis consultatif del 6.4.1935), passando attraverso la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay, 10.12.1982), ha riconosciuto alle isole un regime differenziato. In ambito comunitario, a parte alcuni riferimenti relativi alle regioni ultraperiferiche (peraltro solo in parte insulari), si trovano dei regimi specifici riservati alle isole nei Trattati di adesione di Danimarca, Irlanda e Regno Unito (22.5.1972) in relazionealle isole Faeröer, alla Groenlandia, alle Isole Normanne e all’Isola di Man; così anche nel trattato di adesione di Spagna e Portogallo (12.6.1985) per Azzorre e Madera e per le Canarie. In quest’ultimo Trattato e nella Dichiarazione comune allegata, si rinvengono alcuni dei fondamentali principi che hanno ispirato lo status comunitario delle regioni insulari nell’Unione europea ove si riconoscono esenzioni e deroghe rispetto al regime ordinario comunitario, con la finalità di raggiungere l’obiettivo fondamentale della coesione economica e sociale. Inoltre, anche nel Trattato di adesione di Austria, Finlandia e Svezia è accordato un regime differenziato alle isole Åland, regime che viene inserito nell’art. 299 CE (ex 227 TCE). Gli atti di diritto comunitario derivato concernenti l’insularità consistono prevalentemente in risoluzioni del Parlamento europeo (11.5.1979, 14.10.1983, 15.9.1987) e del Consiglio dei Ministri (15.2.1992), oltre che in pareri del Comitato Economico e Sociale (31.8.1987), i quali riconoscono la particolare vulnerabilità dei territori insulari; lo stretto rapporto tra politica di coesione economica e sociale, da un lato, e regole e misure specifiche nei confronti delle isole, dall’altro; la necessità di integrare gli aiuti finanziari con “deroghe” alle generali regole di diritto comunitario. Orbene, l’art. 158CE (ex art. 130A TCE), così come modificato ad Amsterdam, riconosce che l’insularità di una data regione è di per sé un elemento suscettibile di ostacolare la coesione all’interno della Comunità e, in conformità al successivo art. 159 CE, occorre quindi tenere conto dei riflessi che, sul piano della coesione economica e sociale esercitano le politiche e le azioni comunitarie nel loro insieme, comprendendo quelle che si svolgono attraverso i Fondi a finalità strutturale i quali, peraltro, non esauriscono il campo di applicazione dei richiamati articoli. Conviene precisare che una corretta interpretazione degli articoli 158 e 159 CE deve prendere in considerazione la Dichiarazione sulle regioni insulari allegata al Trattato di Amsterdam in cui si enuncia il principio dell’esistenza di “svantaggi strutturali” di cui “soffrono”, a motivo della loro “insularità”, tutte “le regioni insulari” (e non solo le regioni meno favorite come risulterebbe da un’interpretazione letterale della versione inglese dell’articolo 158 CE). Sulla base del principio di insularità, infine, l’inserimento delle regioni insulari nell’ambito di quelle condizionate da “svantaggi strutturali” (che l’Unione europea, in virtù dei Trattati, è tenuta a rimuovere) non dovrebbe essere sottoposto al requisito del PIL pro capite (come avviene di norma per l’inserimento nelle aree di applicazione dell’Obiettivo 1), ma dovrebbe essere immediato, conseguente alla sola constatazione dello stato di insularità al quale i Trattati ricollegano automaticamente la condizione di svantaggio strutturale permanente cui deve fare fronte il ricorso a “misure specifiche” nei loro confronti.

  • PRINCIPIO DI PEREQUAZIONE FINANZIARIA

    Principio elaborato nell’ambito del dibattito dottrinario sul rafforzamento dell’autonomia finanziaria delle Regioni. Esso tende a dare, in prospettiva, una risposta all’ipotesi (già avanzata in sede di Conferenza Stato-Regioni) di un federalismo fiscale basato su aliquote di compartecipazione differenziate in base alle potenzialità ed alle necessità di ciascuna Regione. Il modello di politica finanziaria che, ispirandosi al principio, verrebbe prospettato, risulterebbe costituito da un sistema finanziario comune integrato da sistemi speciali, tesi a valorizzare l’autonomia delle singole Regioni, e da “contributi” provenienti dalle Regioni economicamente più avanzate nei confronti di quelle meno avanzate, modulati in base alle funzioni che le stesse devono istituzionalmente svolgere. Esempi di un consolidato “sistema misto di perequazione finanziaria” sono rinvenibili nel federalismo canadese ed in quello australiano.

  • PRINCIPIO DI SEPARATEZZA

    Il principio di separatezza di attività economiche implica che in ciascuna siano tenuti rigorosamente separati e isolati dalle altre i centri dei poteri di decisione, i compiti e le responsabilità del loro esercizio. Il principio può applicarsi tanto a organizzazioni diverse, quanto all’interno di una stessa organizzazione. 1. Principio di separatezza tra banca e industria. Nel primo caso l’esempio di maggior rilievo è la separatezza tra banca e industria, che ha costituito, insieme al principio di specializzazione, uno dei due pilastri della politica creditizia attuata in base alla l.b. 1936 fino agli anni Ottanta del secolo scorso (sebbene in dottrina alcuni ritenevano che la l.b. 1936 non codificava il principio di separatezza). Mentre il principio di specializzazione è stato abrogato dal d.lg.14.12.1992 n. 481 e dal TUBC (instaurandosi al suo posto quello della banca universale), il principio di separatezza è stato confermato esplicitamente dal TUBC che ha imposto limiti sia alla partecipazione alle banche da parte di soggetti non bancari e non finanziari (art. 19.6 TUBC: “i soggetti che, anche attraverso società controllate, svolgono in misura rilevante attività d’impresa in settori non bancari né finanziari non possono essere autorizzati ad acquisire azioni o quote che comportano, unitamente a quelle già possedute, una partecipazione superiore al 15 per cento del capitale di una banca rappresentato da azioni o quote con diritto di voto o, comunque, il controllo della banca stessa”), sia alla partecipazione delle banche in imprese non finanziarie, cioè società che svolgono attività diversa da quella bancaria, finanziaria, assicurativa, ovvero che non sono una società strumentale (non oltre il 15% della società partecipata con certi limiti rispetto al patrimonio di vigilanza: Istruzioni di vigilanza, Tit. IV, cap. 9). Fanno eccezione a questo limite le partecipazioni in società di intermediazione finanziaria che, costituite da banche, svolgono attività di merchant bank, acquisendo partecipazioni in imprese non finanziarie. L’attenuazione del limite all’assunzione di partecipazioni in società non finanziarie risale agli anni Settanta del secolo scorso in seguito alla l. 5.12.1978 n. 787, sulla ristrutturazione delle imprese industriali in crisi, che permetteva alla banche creditrici di partecipare a società consortili destinate ad assumere partecipazioni nelle società industriali in temporanea difficoltà. 2. Banca di gruppo. Il mantenimento del principio di separatezza e la fermezza con cui è stato a lungo (per oltre sessant’anni) sostenuto in ragione dei rischi per il sistema creditizio dalla diffusione della banca di gruppo. Con questa espressione di designa una banca che fa parte di un gruppo a prevalente specializzazione industriale e commerciale e che svolge una parte notevole del suo giro d’affari con le società del gruppo. L’inserimento di un’organizzazione bancaria in un simile contesto è suscettibile, per la particolare natura dell’attività creditizia, di produrre alcune patologie derivanti dall’asservimento agli obiettivi strategici ed operativi del gruppo di controllo. Le motivazioni dell’interessamento di un gruppo all’acquisizione di una partecipazione maggioritaria o totalitaria in una banca sono intuibili: la banca, infatti, rappresenta uno strumento utile per la gestione finanziaria del gruppo e può amplificare, migliorandone anche i termini di convenienza, le capacità finanziarie del gruppo medesimo. Sono del pari intuibili i rischi di instabilità, conflitto d’interessi e misallocazione del risparmio insiti in una struttura del genere derivanti dalla subordinazione dei centri di decisione della banca al vertice del gruppo industriale controllante. 3. Altre applicazioni del principio di separatezza. Altre applicazioni del principio si ha nella securitizazion con la separatezza patrimoniale e l’autonomia di gestione imposta alla società veicolo (special purpose vehicle) rispetto al cedente; con la separatezza amministrativa e contabile nelle chinese walls; con la separazione patrimoniale imposta nei servizi di investimento alle società di intermediazione; per le attività del BancoPosta che devono essere gestite mediante strutture organizzative autonome e devono essere contabilizzate separatamente rispetto alle altre. In passato esisteva separatezza amministrativa e contabile e autonomia gestionale nelle Sezioni di credito speciale senza personalità giuridica degli istituti di credito di diritto pubblico e delle casse di risparmio. Si ha separatezza anche nell’amministrazione autonoma, dove assume la forma di autonomia amministrativa, finanziaria e contabile di diritto amministrativo.

  • PRINCIPIO DI SPECIALIZZAZIONE

    Principio introdotto dalla l.b. 1936 assieme principio di separatezza tra banca e industria e a questo in parte connesso. Il principio della specializzazione degli intermediari creditizi fa emergere un modello di banca contrapposto a quello di banca universale accolto dal d.lg.14.12.1992 n. 481 di recepimento della seconda direttiva comunitaria in materia creditizia e poi generalizzato dal TUBC. In base al principio della specializzazione temporale degli intermediari si distingueva tra aziende di credito, cui è riservata l’operatività nel breve termine (con scadenza contrattuale entro 18 mesi) e istituti di credito speciale, caratterizzati da un’operatività nel medio-lungo termine. Con l’andare del tempo la distinzione tra banche e istituti di credito speciale è andata attenuandosi, per lo meno se analizzata dal punto di vista dell’operatività concreta, dando luogo ad un processo di despecializzazione (v. despecializzazione degli intermediari creditizi). Accanto alla specializzazione temporale, il sistema creditizio italiano era caratterizzato da un principio di specializzazione funzionale, che pure è andato attenuandosi nel tempo. Per le banche la specializzazione funzionale trovava applicazione nella distinzione per categorie giuridiche, cui corrispondeva originariamente una differenziazione quanto a estensione territoriale dell’operatività, a operazioni messe in essere e a controparti. Oltre alla separazione tra aziende di credito e istituti speciali di credito, di cui si è detto, all’interno delle aziende di credito si distingueva tra istituti di credito di diritto pubblico, banche di interesse nazionale (v. banca d’interesse nazionale), aziende di credito ordinarie, casse di risparmio e monti di credito su pegno di prima categoria, banche popolari (v. banca popolare), casse rurali e artigiane (v. cassa rurale e artigiana), ciascuna delle quali aveva peculiarità operative di diritto o di fatto che determinavano un’ulteriore specializzazione funzionale e, sotto certi aspetti, anche una specializzazione territoriale (v. specializzazione bancaria). Tutte queste forme di specializzazione sono cadute col TUBC (d.lg. 1°.9.1993 n. 385). Restano in vigore un limite territoriale all’operatività delle anche di credito cooperativo (le ex casse rurali e artigiane) e ad alcune attività (p.e. il credito su pegno), ma solo in quanto soggette ad autorizzazione della Banca d’Italia.

  • PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ

    1. Diritto comunitario. Principio indicato nel “Rapporto sull’unione economica e monetaria nella Comunità europea” (Rapporto Delors), per la definizione di un corretto equilibrio di poteri nell’ambito della Comunità. Secondo questo principio le funzioni di governo di livello più elevato dovrebbero essere le più limitate possibili e sussidiarie di quelle di livello più basso. Quindi l’attribuzione di competenze alla Comunità dovrebbe essere circoscritta specificamente a quei settori nei quali fosse necessaria un’attività decisionale collettiva, mentre tutte le funzioni di politica economica che potrebbero essere esercitate ai livelli nazionali (oltre che regionali e locali) senza ripercussioni sfavorevoli sulla coesione e sul funzionamento dell’Unione economica e monetaria, resterebbero di competenza degli Stati membri. Il principio di sussidiarietà viene richiamato innanzitutto nel Preambolo del TUE, dove sì afferma che il processo di creazione di un’unione sempre più stretta fra i popoli d’Europa sarà portato avanti in modo che le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio della sussidiarietà. Ugualmente, l’art. 2 (ex B) del TUE stabilisce che gli obiettivi dell’Unione (elencati nei precedenti commi del medesimo articolo e, cioè: la promozione di un progresso economico e sociale equilibrato e sostenibile; l’affermazione dell’identità dell’Unione Europea sulla scena internazionale, particolarmente mediante l’attuazione di una politica estera e di sicurezza comune; il rafforzamento della tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini degli Stati membri; lo sviluppo di una stretta cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni; e, infine, l’integrale mantenimento dell’acquis communautaire) debbano essere perseguiti, conformemente alle disposizioni del TUE, alle condizioni e secondo il ritmo fissati dallo stesso e nel rispetto del principio di sussidiarietà così come definito dall’art. 5 (ex 3 B) del TCE. Tale articolo ribadisce, in primo luogo, il principio delle competenze di attribuzione, per il quale la Comunità deve agire nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal Trattato. In secondo luogo, esso afferma il principio di sussidiarietà, per il quale, nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, la Comunità deve intervenire (soltanto) se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri mentre, a causa delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, possono essere realizzati meglio a livello comunitario. Il comma 3, dell’art. 5 TCE precisa, infine, che l’azione della Comunità non deve andare al di là di quanto è necessario per il raggiungimento degli obiettivi del Trattato CE (principio di proporzionalità e principio di necessità). Il Consiglio europeo di Edimburgo del dicembre 1992 ha precisato il concetto di sussidiarietà e le linee-guida dell’interpretazione dell’articolo 5 (ex articolo 3B) e le sue conclusioni sono state recepite dal trattato di Amsterdam. Il rapporto (“Meglio legiferare”) della Commissione europea diretto al Consiglio europeo e al Parlamento europeo è principalmente dedicato alle questioni dell’applicazione del principio di sussidiarietà. (cs-sb, lr, ca)

    2. Diritto amministrativo italiano. Il principio di sussidiarietà è entrato nell’ordinamento interno italiano con l’art.4 della l. 15.3.1997 n. 59: v. enti locali.

  • PRINCIPLE FOR RENSPONSIBLE INVESTMENTS-PRI

    Questi principi sono stati lanciati dall'Organizzazione delle Nazioni Unite (Enciclopedia) nel 2006 con lo scopo di favorire la diffusione dell'investimento responsabile e sostenibile tra gli investitori istituzionali; l'adesione al PRI comporta il rispetto e l'applicazione dei seguenti principi:

    1. incorporare parametri ambientali, sociali e di governance (ESG) nell'analisi finanziaria e nei processi di decisione degli investimenti;
    2. essere azionisti attivi e incorporare parametri ESG nelle politiche e pratiche di azionariato;
    3.esigere la rendicontazione delle pratiche ESG da parte delle aziende oggetto di investimento;
    4.promuovere l'accettazione e l'implementazione dei principi dell'industria finanziaria;
    5.collaborare per migliorare tali principi;
    6.rendicontare periodicamente sull'applicazione dei principi.

    www.unpri.org

    Fonte: Il Sole 24 Ore, Il risparmio sociale, Le guide di Plus 24

  • PRIVATE BANKING

    Il Private Banking è un'attività rivolta a clientela dotata di patrimoni di rilevante ammontare che, caratterizzata da necessità finanziarie - o di diversa natura - non facilmente standardizzabili, si rivolge ad una banca (anche banca specializzata o intermediario non bancario) per ottenere un servizio "tailor made", progettato sullo specifico bisogno rilevato1. Diversa, pertanto, è la logica che distingue il private banking dal retail banking: il private banker (o il personal banker che tipicamente si pone come partner degli investitori rientranti nelle fasce più basse di capitali) costruisce con il cliente un rapporto one-to-one, offrendo soluzioni modellate sul profilo del cliente (connesso alla fascia di dotazione patrimoniale) e caratterizzate da diversi gradi di sofisticazione correlati al particolare bisogno manifestato. Differentemente, il retail banker opera con definiti target di clientela - distinti in termini di aspettative ed esigenze - cui vengono indirizzati in maniera mirata servizi pre-confezionati (mass customization). Una soluzione in certa parte standardizzata può essere eventualmente disegnata dal private banker in una prima fase del rapporto, qualora la controparte non abbia ancora manifestato autonomia nella valutazione delle proprie esigenze finanziarie. Generalmente, l'idea del cliente che si rivolge all'intermediario è quella di rilasciare una delega incondizionata alla gestione del patrimonio affidato (passive investor). Ciò non esclude la presenza di "active investor", che mantengono, in ogni caso, il controllo sui propri investimenti o dei cosiddetti "self confident", per i quali il private banker è mero esecutore di scelte finanziarie (o non finanziarie) già predeterminate. Soprattutto in presenza di "active investor", dei quali l'intermediario deve ottenere il preventivo consenso nelle scelte di investimento proposte, determinante è il grado di professionalità e competenza richiesto al personale che stabilisce il contatto con i clienti. Per tali peculiarità di contenuti, a svolgere l'attività sono, generalmente, intermediari bancari (in particolare, banche commerciali che dedicano alla funzione una specifica area d'affari) o gruppi di elevata dimensione, che operano nella maggior parte dei casi attraverso società prodotto. Possono peraltro erogare il servizio anche intermediari medio-piccoli che si rivolgono, normalmente, a professionisti esterni per l'individuazione di soluzioni da adattare successivamente alle esigenze dello specifico cliente.
    La specificità dell'attività di private banking non consente di individuare in maniera esaustiva i servizi ad essa riconducibili: l'offerta include generalmente la gestione dei patrimoni mobiliari e la connessa attività di consulenza (servizi tipicamente offerti dalle banche europee), può comprendere le gestioni immobiliari e la consulenza in materia di compravendita di opere d'arte (nell'esperienza americana), fino ad estendersi, nei mercati caratterizzati da elevata cultura finanziaria, alla prestazione di servizi di assistenza in materia fiscale, di trust e di successioni (svolti nei centri off-shore). E' possibile comunque suddividere i principali servizi di private banking in due categorie generali (ancorché non esaustive):
    a) i servizi principali comprendono le gestioni di patrimoni mobiliari o immobiliari e la consulenza in materia di investimenti;
    b) i servizi accessori sono offerti in connessione con i primi e includono l'attività di intermediazione mobiliare, gli investimenti in valuta ed in commodities, la consulenza in materia successoria e fiscale, l'intermediazione in opere d'arte.
    Altrettanto complessa risulta la qualificazione del target di clientela cui il private banking si rivolge, qualora si voglia fornire una più puntuale definizione di "investitori con ampia dotazione patrimoniale". Sebbene possa non esservi una correlazione diretta tra sofisticazione del cliente e dotazione patrimoniale, per ovvie ragioni operative le banche tendono ad associare il livello di personalizzazione del servizio alla "disponibilità" del cliente. Offrire un servizio vuol dire, per la banca, creare una struttura e mettere a disposizione del cliente risorse tanto più numerose quanto più sono i servizi offerti. Prescindendo dal fatto che, con tutta probabilità, un cliente con patrimonio molto piccolo non avrà interesse ad accedere a servizi particolarmente specifici, bisogna tenere conto anche dell’"economicità" del servizio offerto: la segmentazione della clientela, con la relativa attribuzione dei servizi a questa offerti, deve necessariamente andare di pari passo con l’individuazione del patrimonio del cliente in modo che i margini di guadagno siano proporzionali alle risorse messe in campo.
    A scopo di sintesi si può classificare la clientela nel seguente modo:
    - Ultra High Net Worth Individual (UHNWIs);
    - High Net Worth Individual (HNWIs);
    - Affluent.
    La clientela cosiddetta "affluent", che appartiene alla fascia quantitativa inferiore, dispone generalmente di una "ricchezza" che supera il milione di dollari. Tali investitori tendono normalmente ad affidare la totalità del patrimonio ad un unico soggetto gestore. Gli "High Net Worth Individual" sono caratterizzati da patrimoni che superano i 10 milioni di dollari ma che si mantengono al di sotto della fascia quantitativa dei 25 milioni di dollari che qualifica, invece, gli "Ultra High Net Worth Individual". Entrambe le categorie di clientela "high" hanno la tendenza a suddividere la gestione della propria dotazione patrimoniale presso più private banker anche con l'obiettivo di raggiungere la più sofisticata diversificazione degli investimenti del proprio patrimonio. Tale caratteristica è generalmente riconosciuta uno stimolo alla massimizzazione dell'efficienza e della qualità del servizio reso dall'intermediario, in un'ottica di customer satisfaction. Ulteriore indicatore che consente una segmentazione della clientela è il reddito del potenziale investitore. Le fasce quantitative sono costruite prendendo in considerazione sia il flusso di nuova ricchezza percepita, sia l'attività svolta dal soggetto che misura la crescita potenziale della variabile.
    _________________________________________
    1Resti A., (2003), "Il Private Banking", Bancaria Editrice.

    © 2009 ASSONEBB

  • PRIVATE EQUITY (ENCICLOPEDIA)

    Operazione di acquisizione temporanea di quote di partecipazione al capitale di società, generalmente non quotate, da parte di un intermediario specializzato, finalizzata alla dismissione in un arco temporale medio/lungo al fine di realizzare un guadagno in conto capitale. Gli investimenti di private equity sono anche definiti come investimenti istituzionali in capitale di rischio, per differenziarli dall’acquisizione di quote di capitale effettuata da imprese o soggetti privati, e vengono classificati come apporti di risorse da parte di intermediari specializzati, sotto forma di partecipazione al capitale azionario o sottoscrizione di prestiti obbligazionari convertibili1.
    Da un punto di vista definitorio, adottando una classificazione in funzione delle motivazioni alla base della domanda per tale tipologia di intervento da parte delle imprese, le operazioni di private equity vengono classificate in quattro macro categorie. Si distinguono infatti: (i) early stage financing, ovvero operazioni finalizzate a sostenere l’avvio di nuove imprese (seed capital o start up financing); (ii) expansion capital, segnatamente investimenti orientati a sostenere lo sviluppo di imprese già esistenti e consolidate, attraverso principalmente aumenti di capitale finalizzati ad acquisire una quota di minoranza dell’impresa; (iii) replacement capital, ovvero interventi generalmente di minoranza finalizzati a sostenere il cambiamento degli assetti proprietari, ovvero a sostituire azionisti non più interessati a sostenere l’impresa nei suoi progetti di sviluppo; buy out, ovvero interventi di maggioranza finalizzati a rilevare la proprietà dell’impresa, favorendo, in tal modo, il passaggio generazionale o la transizione da una proprietà familiare a una manageriale.
    Di recente, si è assistito alla crescita di operatori specializzati in operazioni di turnaround financing, ovvero ad interventi nel capitale di imprese distressed, finalizzati al salvataggio dell’intera impresa o a rami della stessa.
    Da un punto di vista classificatorio, secondo le definizioni adottate dalle principali associazioni del settore, le prime due tipologie rientrano nella categoria del venture capital, mentre le ultime tipologie rappresentano il later stage private equity. Gli investimenti di buy out sono il segmento maggiore del mercato (grafico 1).
    Graf. 1

    Nei mercati maturi si assiste ad una sempre maggiore specializzazione degli operatori per tipologia di investimento, così come per macro-settore di attività delle aziende partecipate e, in alcuni casi, per area geografica di intervento.
    Gli intermediari specializzati in operazioni di buy out sono più numerosi, rispetto a quelli che investono in altre categorie di operazioni (grafico 2).
    Graf. 2

    Oltre a investitori istituzionali, anche intermediari bancari e operatori pubblici effettuano interventi di private equity2 (grafico 3)
    Graf. 3

    Nell’ambito dell’intervento nel capitale delle imprese, l’intermediario, diventando socio dell’imprenditore o dei managers, non apporta solo risorse finanziarie, ma anche consulenza specializzata su tematiche strategiche, competenze manageriali, esperienze professionali e un network di relazioni in campo finanziario e industriale, che consentono alle imprese di agevolare il proprio percorso di sviluppo per linee interne o esterne e realizzare gli obiettivi iscritti nel business plan concordato con l’intermediario all’ingresso. L’obiettivo è quello di accrescere il valore di impresa, e quindi della partecipazione detenuta dall’operatore di private equity, al fine di realizzare un capital gain con la cessione della stessa nel medio lungo termine. Nel mercato europeo-continentale, con eccezione della realtà anglosassone, gli interventi di private equity sono per la maggior parte rivolti ad imprese non quotate. Nel grafico 4 è riportata l’evoluzione degli investimenti di private equity in Italia, suddivisi per numero e ammontare complessivo delle operazioni.
    Graf. 4

    Sebbene il presupposto principale per la realizzazione di qualsiasi tipo di investimento di private equity sia rappresentato dalla validità della società oggetto di intervento e dei suoi progetti di sviluppo, per le differenze che caratterizzano le diverse forme di intervento, diversi sono i presupposti e i benefici di un intervento di private equity per le imprese, e diversi sono i rendimenti attesi per l’intermediario nelle diverse categorie di operazioni.
    Gli interventi di early stage sostengono le fasi iniziali di un’impresa o di un business e sono rivolti molto spesso al settore tecnologico, dove gli alti tassi di crescita attesi che si legano all’innovazione di prodotto consente di formulare ipotesi di uscita nel medio termine pur partendo da livelli dimensionali minimi. Sono generalmente effettuati attraverso aumenti di capitale successivi (follow on investments), rivolti a sostenere i diversi stadi di sviluppo della società. Il presupposto per tali interventi è rappresentato in ogni modo dalle veloci prospettive di crescita della società o del business di riferimento e dalla presenza di un imprenditore con validi progetti di sviluppo ed elevate capacità manageriali.
    Tali investimenti hanno per l’intermediario minori garanzie patrimoniali, essendo l’impresa in una fase di vita iniziale, e minori protezioni in termini di governance, e presentano, quindi, un rischio superiore, correlato anche alla maggior mortalità di tali imprese, in particolare se operano in settori tecnologici, oltreché alla maggiore difficoltà di smobilizzo, in particolare se l’impresa non riesce a sostenere i tassi di crescita stabiliti inizialmente.
    Le operazioni di expansion financing (o development capital) sono rivolte a sostenere i piani di crescita dell’impresa per linee interne o per linee esterne, attraverso la sottoscrizione di un aumento di capitale o di un prestito obbligazionario convertibile, finalizzato generalmente ad acquisire una quota di minoranza della società. Presupposto per tali interventi è la validità dell’imprenditore, che rimane socio di maggioranza, e la sostenibilità del piano di sviluppo dell’impresa, che, di norma, viene concordato all’atto dell’ingresso. Per l’intermediario, i rischi in tale tipologia di operazione sono legati alla minor liquidabilità di una quota di minoranza.
    In tale forma di intervento è fondamentale il rapporto con l’imprenditore azionista di maggioranza nell’ambito di una complementarietà di esperienza tra lo stesso e l’intermediario: il primo è essenziale avendo realizzato lo sviluppo dell’attività, avendo la conoscenza del business e del mercato, nonché la capacità di gestire l’impresa e realizzare gli obiettivi strategici; il secondo apporta, invece, un confronto sulle strategie di impresa, l’esperienza acquisita in contesti diversificati, la capacità di risolvere problemi organizzativi e finanziari, nonché un vasto network di relazioni commerciali e finanziarie.
    Essenziale, in tale ambito di interventi, è la condivisione di idonee regole di corporate governance, preposte a garantire la stabilità della compagine sociale e del management, a definire il processo di formazione della volontà in relazione alle decisioni di particolare rilevanza, nonché a regolare l’informativa societaria e, infine, a stabilire le modalità di disinvestimento della partecipazione da parte dell’investitore di private equity, trascorso un determinato periodo di tempo3.
    Le operazioni di replacement capital sono utilizzate per sostituire azionisti di minoranza non più interessati a sostenere lo sviluppo dell’azienda. Anche in questo caso, il presupposto di tali interventi è rappresentato dalla validità dei piani di crescita dell’impresa e dalla condivisione di idonee regole di corporate governance. Rispetto ad altri interventi di minoranza, come l’expansion financing, in questo caso il capitale non viene immesso in società, ma va a remunerare gli azionisti intenzionati a cedere le loro quote. Trattandosi di acquisizione di quote di minoranza, vi è un rischio maggiore per l’intermediario legato alla minore possibilità di liquidare la quota di partecipazione.
    Nelle operazioni di buy out viene acquisita la maggioranza della società assieme al management interno (management buy out) o esterno (management buy in). Il presupposto ulteriore di tale tipologia di operazione risiede nella presenza di un management che voglia supportare l’operazione, sia in grado di gestire operativamente la società e desideri intraprendere un’esperienza imprenditoriale, essendo a lui richiesto un investimento finanziario.
    Tali operazioni prevedono spesso il ricorso alla leva finanziaria, per minimizzare l’apporto di equity da parte dell’intermediario e del management e massimizzare il ritorno per questi ultimi e per l’imprenditore cedente. Presupposto, quindi, essenziale, per tale tipologia di operazione è una buona capacità reddituale dell’impresa (in termini di EBITDA) al fine di consentire alla stessa il ripagamento degli oneri per interessi derivanti dalla strutturazione della leva finanziaria. Per tali caratteristiche, tali operazioni presentano un rischio superiore collegato alla presenza di indebitamento, che, se eccessivo, o in presenza di un ciclo congiunturale avverso, potrebbe non essere ripagato dall’impresa. Di contro è minore il rischio di liquidità per l’intermediario, avendo lo stesso la maggioranza del capitale dell’impresa. Il beneficio di tali operazioni per le imprese è legato alla possibilità di garantire il passaggio generazionale, quando l’impresa è a proprietà familiare, o la continuità aziendale, in caso di acquisizione da parte del management.
    Da ultimo, le operazioni di turnaround financing sono rivolti all’acquisizione di aziende in difficoltà o a rami di azienda. Il presupposto, in tale circostanza, è rappresentato da un piano di “salvataggio” dell’impresa o del ramo aziendale, e da un accordo con i creditori in fase concorsuale o pre-concorsuale che ne garantisca i relativi diritti4. Il beneficio di tali interventi è legato alla continuità aziendale o di rami di azienda pur in presenza di problematiche di tensione finanziaria. I maggiori rischi per l’intermediario sono legati alla sostenibilità del piano industriale della società, che, se mal strutturato o in presenza di un ciclo congiunturale o di condizioni di mercato avversi, può implicare un ulteriore assorbimento di risorse.
    In generale, gli interventi di private equity hanno un’efficacia particolare per le imprese che intendono crescere per linee interne, attraverso il lancio di nuovi prodotti o di nuove tecnologie, o per linee esterne, attraverso acquisizioni di altre imprese. Sono inoltre importanti per migliorare la gestione del capitale circolante e per dare maggiore solidità patrimoniale e contribuiscono alla stabilità della compagine sociale, sostituendo azionisti non più interessati a sostenere lo sviluppo dell’impresa oppure rilevando l’intera proprietà assieme al management, assicurando in tal modo la continuità aziendale o il passaggio generazionale.
    Tali benefici si traducono in effetti economici rilevanti per le imprese. Considerando il periodo 2000-2006, gli indicatori in termini di ricavi, EBITDA e occupazione delle società italiane partecipate da operatori di private equity mostrano tassi di crescita medi (CAGR) superiori rispetto a quelli delle medio-grandi aziende italiane prese come benchmark5 (grafico 5).
    Graf. 5

    Nel periodo 2000-2006, le società partecipate da intermediari di private equity hanno fatto registrare tassi di crescita dei ricavi dell’EBITDA e dell’occupazione superiori rispetto al benchmark di grandi imprese rispettivamente di 7,8, 13,1 e 6,4 punti percentuali.
    Da un punto di vista dell’investitore in private equity, invece, i vantaggi sono rappresentati dalla possibilità di ottenere rendimenti superiori rispetto a quelli di strumenti caratterizzati da maggiore liquidità e non correlati con i rendimenti di altri strumenti quotati su mercati regolamentati6.
    Collegando i benefici per le imprese al ruolo svolto da tale categoria di investitore istituzionale, è possibile comprendere meglio la funzione macroeconomica del private equity all’interno del sistema economico e finanziario.
    L’intermediario di private equity, ponendosi come ponte tra l’offerta di risparmio dei propri investitori e la domanda di finanziamenti delle imprese, assolve a diverse funzioni all’interno del sistema finanziario. Esso contribuisce innanzitutto a canalizzare il risparmio verso gli investimenti a più alta redditività, contribuendo all’allocazione spaziale e temporale delle risorse nonché alla crescita e allo sviluppo delle imprese.
    Secondariamente, attraverso la raccolta e l’elaborazione di informazione direttamente dall’impresa, l’intermediario di private equity ha un importante ruolo nella generazione di informazione, riducendo problematiche di costo e di asimmetria dell’informazione. Da ultimo, ma non meno importante, l’intermediario di private equity, attraverso la diversificazione degli impieghi, contribuisce a una migliore gestione del rischio rispetto a singoli investimenti diretti nel capitale delle imprese.
    Considerando assieme i benefici per le imprese e per i risparmiatori e il ruolo degli intermediari è possibile mettere in evidenza il “circolo virtuoso” del private equity7 per lo sviluppo economico (grafico 6).
    Graf. 6

    Attraverso il ruolo di intermediari specializzati dotati di elevate professionalità, il risparmio di investitori con un orizzonte temporale di medio lungo termine viene canalizzato verso investimenti in imprese ad elevate possibilità di crescita. Il disinvestimento produce capital gains che alimentano un nuovo flusso di risorse per sostenere lo sviluppo di nuove imprese.
    Le statistiche sul risparmio raccolto e sul flusso di disinvestimenti e capital gains determinati nel tempo da tale strumento sono significative nel chiarire il ruolo macroeconomico del private equity. Esso raccoglie ammontari di risparmio crescenti nel tempo (grafico 7)
    Graf. 7

    e rappresenta una percentuale significativa dell’asset allocation di investitori individuali e gruppi industriali, sebbene in Italia sia ancora marginale l’investimento dei fondi pensione (grafico 8).
    Graf. 8

    Produce infine un flusso di disinvestimenti significativi (grafico 9)
    Graf. 9

    ancora maggiormente proveniente da operazioni di trade sale, rispetto a initial public offering (grafico 10)
    Graf. 10

    _________________________
    1Cfr. AIFI, PriceWaterhouseCoopers (2000).
    2In realtà l’investimento nel capitale delle imprese da parte di queste ultime due categorie di operatori determina un effetto di crowding out nei confronti degli interventi maggiormente professionali svolti da investitori istituzionali. Per gli intermediari bancari, infatti, l’intervenendo nel capitale delle imprese determina un conflitto di interessi con l’attività creditizia, per l’unificazione del soggetto datore e prenditore di fondi: le banche sono spesso più attente all’attività di finanziamento svolta nei confronti delle partecipate rispetto all’obiettivo della creazione di valore e del disinvestimento nel medio termine, a scapito dei risparmiatori, nel caso in cui il fondo di private equity sia anche sottoscritto da terzi. L’intervento pubblico, invece, viene spesso effettuato con logiche non di mercato e a condizioni meno onerose per gli imprenditori.
    3Cfr. Commissione Corporate Governance AIFI (2005).
    4Cfr. Associazione Italiana degli Analisti Finanziari (2009).
    5Cfr. PriceWaterhouseCoopers (2008).
    6Cfr. Grabenwarter, Weidig (2005).
    7Cfr. Bracchi (2006).

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    Redattore: Gianluca CALISE

    © 2009 ASSONEBB

  • PRIVATE EQUITY FUND (ENCICLOPEDIA)

    Investitore istituzionale specializzato in investimenti di private equity. Si tratta di un intermediario fondo comune di investimento che indirizza le sottoscrizioni raccolte presso investitori istituzionali o presso investitori privati di tipo affluent verso investimenti istituzionali in capitale di rischio, ovvero in operazioni di acquisizione temporanea di quote di partecipazione al capitale di società, di maggioranza o di minoranza, finalizzate alla dismissione in un arco temporale medio/lungo al fine di realizzare un guadagno in conto capitale e remunerare il capitale sottoscritto dagli investitori.
    Mutuando una classificazione tipica delle associazioni di categoria del settore, il fondo di private equity indirizza i propri interventi verso il later stage, ovvero ad operazioni di buy out e replacement capital nei confronti di imprese già consolidate, distinguendosi dal venture capital fund, che, al contrario, indirizza i propri investimenti a fasi di inizio di vita dell’impresa (early stage financing) o di sviluppo della stessa (expansion financing).
    Da un punto di vista giuridico/strutturale, esso può assumere la classica forma di fondo di investimento, ovvero di patrimonio separato rispetto a quello della società di gestione. Nel contesto italiano, tali intermediari assumono la forma di fondi mobiliari chiusi, istituiti e disciplinati dalla Legge 14 agosto 1993, n. 344, così come modificata dal Decreto Legislativo 21 novembre 1997 n. 461, e successivamente dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998 n. 58.
    Il fondo di tipo chiuso costituisce patrimonio distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione e da quelli dei partecipanti, nonché da quello di ogni altro fondo gestito dalla medesima società di gestione (grafico 1). Sul fondo non sono ammesse azioni dei creditori della società di gestione. Le azioni dei creditori dei singoli partecipanti sono ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi.
    Graf. 1

    Diversamente, nel contesto anglosassone, dove tale strumento è nato, il fondo è rappresentato da una limited partnership (di fatto una società a capitale variabile) tra i diversi sottoscrittori (limited partners o "LP"), le cui disponibilità vengono movimentate da una società di advisory (grafico 2), formata dai componenti del team di gestione (general partner o "GP").
    Graf. 2

    Le caratteristiche essenziali del fondo mobiliare chiuso di private equity sono le seguenti: (i) il fondo è connotato da una struttura chiusa conseguente alla circostanza che, da un lato, l’ammontare del fondo ed il numero delle relative quote viene prefissato al momento della sua costituzione, dall’altro, il rimborso delle quote interviene alla scadenza della durata del fondo; (ii) gli importi sottoscritti non vengono versati immediatamente, ma nel tempo secondo le esigenze di liquidità del fondo; (iii) è comunque prevista la possibilità di effettuare rimborsi parziali, ad avvenuto completamento dei versamenti.
    Rispetto ai fondi comuni di investimento di tipo aperto - dove l’investitore versa immediatamente il valore corrente delle quote sottoscritte del Fondo, già investito nei diversi assets, eventualmente corrispondendo al gestore un’eventuale commissione di ingresso, paga una commissione di gestione, che può essere fissa o proporzionata all’andamento del net asset value (NAV) e si aggiunge all’importo del valore delle quote sottoscritte, e realizza l’eventuale capital gain cedendo successivamente tali quote - il fondo di private equity presenta quindi alcune caratteristiche strutturali distintive.

    Per quest’ultimo l’ammontare sottoscritto non viene versato immediatamente dall’investitore, ma nel tempo, proporzionalmente agli investimenti deliberati dal gestore o alle commissioni e spese dello stesso: in base alle esigenza di liquidità del Fondo, il gestore richiede quindi agli investitori la proporzione dell’ammontare sottoscritto corrispondente all’importo necessario (richiami degli impegni o draw-downs).
    Il Fondo, di conseguenza, non viene investito immediatamente nei diversi assets, ma nel corso di un arco temporale prefissato, definito come periodo di investimento del fondo. All’interno della durata complessiva del fondo, dovranno essere dismessi gli assets da parte del gestore al fine di restituire l’importo richiamato e l’eventuale capital gains agli investitori. Diversamente dal fondo aperto mobiliare, l’investitore non è libero di cedere in ogni momento le quote da lui sottoscritte, anzi, in genere, tale fattispecie è di norma esclusa.
    La commissione di gestione, in genere fissa e proporzionata all’ammontare sottoscritto nell’ambito del periodo di investimento, viene versata anch’essa proporzionalmente nel tempo e rientra nell’ammontare sottoscritto dall’investitore (diversamente dal fondo aperto la cui commissione si aggiunge all’importo sottoscritto).
    La dinamica dei rendimenti prevede in genere, in caso di determinazione dei proventi, la restituzione in primis del capitale richiamato. Successivamente, in caso di proventi eccedenti il capitale richiamato, viene remunerato con priorità il capitale richiamato dagli investitori in base a un tasso di interesse preferenziale (hurdle rate). Nel caso di proventi che eccedano la somma dei due importi precedenti, l’eccedenza viene suddivisa con proporzioni e ammontari diversi tra gli investitori, in misura maggiore, e il gestore (carried interest). I proventi vengono in genere distribuiti immediatamente al momento del loro percepimento agli investitori e solo al termine di vita del fondo al gestore.
    Ne consegue che il valore delle quote, pari al NAV complessivo del Fondo diviso il numero delle quote in circolazione, viene ad avere un andamento diverso rispetto al fondo aperto. Inizialmente, infatti, il valore delle quote è nullo, nel caso in cui non siano stati fatti richiami degli impegni. Successivamente il NAV si incrementa per effetto dei richiami degli impegni effettuati per gli investimenti: tale importo sarà comunque inferiore rispetto all’importo richiamato, per la presenza delle commissioni che vengono pagate al gestore. Di seguito il NAV si riduce per effetto dei disinvestimenti degli assets e della distribuzione dei proventi agli investitori. Nell’ambito della vita del Fondo, quindi, l’andamento dei cash flow cumulati assume la forma tipica di una J-curve1, come indicato nel grafico 3.
    Graf. 3

    Rispetto a un fondo mobiliare aperto, dove di norma è possibile cedere o riscattare (chiedere il rimborso al gestore) le quote in ogni momento, il fondo di private equity presenta rischi superiori. Premettendo che il fondo di private equity effettua investimenti non garantiti e subordinati rispetto al debito senior, va sottolineato come tale tipologia di fondo presenti un maggior rischio di liquidità rispetto a un fondo aperto non essendo di norma previsto il riscatto prima della fine della durata del fondo, che, in genere, non è inferiore ai dieci anni. Circa la cessione delle quote ad altri investitori, prima del termine di durata del Fondo, va rilevato che questa fattispecie è in genere subordinata all’accettazione da parte del gestore, che dovrà verificare la possibilità che il nuovo entrante abbia le disponibilità per far fronte ai richiami degli impegni previsti in futuro, oltre al fatto che il nuovo investitore possieda le caratteristiche di volta in volta previste dalle diverse normative per poter investire in tale strumento. Non è inoltre previsto un mercato secondario regolamentato di quote di fondi di private equity: sebbene sia sempre più numeroso il numero di investitori che hanno una strategia di acquisto di quote di fondi di private equity (secondary transactions), tali transazioni avvengono in genere applicando un significativo fattore di sconto al NAV del fondo, determinando, per l’investitore cedente, una perdita rispetto al valore corrente delle quote.
    Il rischio di liquidità nel fondo di private equity è inoltre incrementato per effetto della durata media degli investimenti in portafoglio che, di solito, si colloca tra i 4 e i 5 anni. Poiché la possibilità di distribuzione agli investitori (sia del capitale richiamato sia dei proventi) è subordinata al disinvestimento delle partecipazioni, è possibile che gli investitori non ricevano distribuzione alcuna nei primi anni di operatività del Fondo.
    Analogamente, il rischio di liquidità aumenta per i fondi di private equity che investono in società non quotate e/o in società di piccole dimensioni e/o in quote societarie non di controllo. Nell’ambito di queste ultime tre fattispecie, infatti, aumenta il rischio di non riuscire a disinvestire le partecipazioni, entro il termine di vita del fondo. Nel caso di investimento in società non quotate, infatti, nel caso in cui il Fondo non riesca ad addivenire a una loro quotazione, potrebbe risultare difficile la loro dismissione. E’ possibile quindi che, al termine di vita del Fondo, sia necessario distribuire in natura ai sottoscrittori parte dei propri investimenti, circostanza che li renderebbe azionisti di minoranza di un numero non precisato di società non quotate, con effetti sul rischio di liquidità del loro investimento, oltreché di tipo fiscale o regolamentare. Il fatto che il fondo investa inoltre in quote non di controllo aumenta la difficoltà di disinvestimento di tali partecipazioni, per la minor appetibilità nei confronti di quote di minoranza da parte di potenziali acquirenti e per il minor grado di protezione di tale tipologia di investimento. Da ultimo, il rischio di liquidità aumenta al diminuire della dimensione delle società oggetto di investimento da parte del Fondo. Non è un caso, infatti, che i fondi di venture capital, che investono in fasi di start up o di avvio dell’impresa, presentino un maggior rischio di liquidità dovuto alla minor cedibilità di società di ridotte dimensioni.
    Va inoltre sottolineato come il rischio complessivo di un fondo di private equity aumenti nel caso di utilizzo di leva finanziaria. In alcuni casi il Fondo può investire in società che hanno strutture di capitale con alto indebitamento o che prevedono il ricorso alla leva finanziaria per effettuare tali acquisizioni. Il ricorso alla leva finanziaria per acquisire le società in portafoglio aumenta l’esposizione di tali società al rischio derivante da avverse condizioni economiche come l’aumento dei tassi di interesse, il rallentamento delle condizioni generali dell’economia o del settore di appartenenza. Nel caso in cui la società non sia in grado di ripagare gli interessi e il capitale preso in prestito, il valore della partecipazione del Fondo potrebbe ridursi significativamente e, in casi estremi, annullarsi.
    Da ultimo, ma non meno importante, il rischio di un fondo di private equity è maggiormente legato alla capacità del gestore di trovare investimenti promettenti, strutturare un contesto regolamentare efficiente, valorizzare le partecipazioni e dismetterle con profitto. Eventuali circostanze che riducano la capacità dei team di investimento all’interno della società di gestore, come la fuoriuscita di manager chiave, impattano particolarmente sul rischio del fondo ed è per tale motivo che molto spesso vengono strutturate delle clausole che proteggono l’investitore contro tale tipologia di rischio.
    A fronte di tali maggior rischi, il fondo di private equity presenta rendimenti attesi superiori rispetto a investimenti maggiormente liquidi.
    Due misure vengono generalmente utilizzate per valutarne la performance.
    Il multiplo del capitale investito rappresenta il rapporto tra il capitale distribuito a seguito dei disinvestimenti e quello richiamato per investimenti. Il multiplo fornisce una indicazione del ritorno sull’investimento, ma manca di evidenziare l’effetto temporale sulla distribuzione dei cash flow.
    Nel caso di fondi che abbiano ancora delle partecipazioni in portafoglio, il multiplo complessivo può essere calcolato prendendo in considerazione i flussi in uscita e in entrata, per le partecipazioni già dismesse, e, per le partecipazioni ancora da dismettere, i loro flussi in uscita e il loro fair market value, che viene quindi assimilato al flusso in ingresso.
    Al fine di cogliere l’effetto tempo che incide sulla dinamica dei cash flow delle partecipate, in entrata e in uscita, la misura di performance più adatta è rappresentata dall’IRR, l’internal rate of return, ovvero il tasso annuo composto che eguaglia la sommatoria del valore attuale di tutti i cash flow in entrata e in uscita:

    L’IRR è una misura non lineare, ovvero l’IRR di un fondo determinato sommando algebricamente i cash flow di due fondi o due partecipazioni non è pari all’IRR medio ponderato dei due fondi o delle due partecipazioni. A tal riguardo, nelle statistiche internazionali, per il calcolo della redditività di un Fondo, si utilizza un "IRR pooled" ovvero ottenuto sommando tutti cash flow relativi ai diversi investimenti e disinvestimenti, piuttosto che la media ponderata dell’IRR dei singoli investimenti. Ciò anche in caso venga calcolato l’IRR complessivo di due o più fondi (combined)2.
    Le modalità di calcolo dell’IRR dipendono dalla prospettiva della valutazione. L’IRR "since inception" rappresenta una misura della redditività complessiva di un fondo per i sottoscrittori, dalla data di costituzione a quella di valutazione. Esso rappresenta il tasso annuo composto includendo la somma algebrica dei cash flow, utilizzando, per le partecipazioni ancora in portafoglio, il loro fair market value alla data di valutazione come flusso in ingresso e rappresenta quindi una misura di performance storica del portafoglio.
    L’IRR "from inception" considera invece unicamente i flussi di cassa degli investimenti che hanno trovato disinvestimento nell’anno di riferimento e rappresenta pertanto la performance relativa alle partecipazioni dismesse nel corso di quel particolare anno di riferimento3.
    L’IRR horizon rappresenta un indicatore di trend di settore. Esso utilizza i flussi in entrata e in uscita effettivi verso gli investitori nei periodi temporali considerati, il NAV del fondo all’inizio del periodo come cash outflow iniziale e il valore residuo del fondo alla fine del periodo di riferimento come cash flow finale. Un IRR horizon di tre anni, ad esempio, rappresenta il rendimento di un fondo in un periodo di tre anni indietro.
    Relativamente al mercato italiano, il Gross Pooled IRR since inception dal 1986 al 2008 è stato nel complesso pari al 29%, con valori superiori per le operazioni di buy out, rispetto a quelle di minoranza (grafico 4).
    Graf. 4

    Considerando invece l’IRR from inception del mercato italiano, ovvero considerando unicamente i cash flow delle società disinvestite per anno di disinvestimento, la redditività per le operazioni disinvestite nel 2008 si riduce al 19% circa (grafico 5)
    Graf. 5

    La redditività maggiore si ha per le operazioni di buy out e quando il disinvestimento avviene attraverso la quotazione della società partecipata sul mercato regolamentato (grafico 6)
    Graf. 6

    La redditività delle operazioni aumenta, inoltre all’aumentare dell’orizzonte temporale di riferimento, come mostrano i valori sull’IRR horizon del mercato italiano (grafico 7), confermando l’ottica di medio lungo termine dello strumento.
    Graf. 7

    L’origine di tale maggiore redditività dei fondi di private equity rispetto a strumenti quotati su mercati regolamentati4, risiede nell’apporto dell’investitore istituzionale, legato, non solo al capitale investito, ma anche alla creazione di informazione, alla consulenza specializzata su tematiche strategiche, alle competenze manageriali, alle esperienze professionali e al network di relazioni in campo finanziario e industriale. Non meno importante è il contributo della diversificazione di portafoglio anche alla riduzione del rischio5. Diversi studi dimostrano come una corretta diversificazione tra i settori di investimento produca un generale incremento di rendimento, mentre meno univoche risultano le verifiche relative alla diversificazione tra stadi di sviluppo delle imprese6.
    In considerazione della caratteristiche di rischio/rendimento, l’investimento in quote di fondi di private equity risulta particolarmente adatto per l’investitore con un orizzonte temporale di medio lungo termine e una buona propensione al rischio che, non avendo le capacità o il tempo per selezionare, gestire e disinvestire un portafoglio di investimenti diretti in imprese, affida il proprio capitale a un intermediario specializzato, il cui team di investimento possiede risorse e capacità superiori, ed è in grado, attraverso la raccolta e l’elaborazione di informazioni in modo professionale, la consulenza strategica alle imprese, la definizione di corrette regole di corporate governance, la capacità di identificare le way out più idonee, di offrire rendimenti attesi superiori.
    Per i rischi che tale forma di investimento comporta e per l’orizzonte temporale particolarmente lungo, l’investimento in un fondo di private equity è particolarmente adattato per Investitori Istituzionali come fondi pensione, fondazioni e compagnie di assicurazione che hanno orizzonti temporali di investimento di medio lungo termine. L’investimento in un fondo di private equity è inoltre adatto per investitori di tipo affluent per effettuare un’ulteriore diversificazione di portafoglio, all’interno di una strategia che investe parzialmente in asset class alternative, come hedge funds, fondi immobiliari e fondi di private equity, che presentano rendimenti non correlati con quelli dei prodotti quotati su mercati regolamentati7. Nel tempo si è assistita alla crescita di investitori istituzionali specializzati in investimenti di private equity, come i fondi di fondi, ovvero fondi specializzati nella sottoscrizione di quote di fondi di private equity, che, rispetto al singolo fondo, presentano una maggiore diversificazione del portafoglio.
    Per la sua natura di investimento di medio lungo termine e per i rischi sottostanti, la normativa italiana limita il ricorso a tale forma di investimento unicamente agli "investitori qualificati", che, ai sensi dell’art. 1, lettera h) D.M. del Tesoro del 24 maggio 1999, n. 228, sono individuati come i seguenti soggetti: (i) le imprese di investimento, le banche, gli agenti di cambio, le società di gestione del risparmio (SGR), le società di investimento a capitale variabile (SICAV), i fondi pensione, le imprese di assicurazione, le società finanziarie capogruppo di gruppi bancari e i soggetti iscritti negli elenchi previsti dagli articoli 106, 107 e 113 del Testo Unico Bancario; (ii) i soggetti esteri autorizzati a svolgere, in forza della normativa in vigore nel proprio paese di origine, le medesime attività svolte dai soggetti di cui al precedente punto; (iii) le fondazioni bancarie; (iv) le persone fisiche e giuridiche e gli altri enti in possesso di specifica competenza ed esperienza in operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dalla persona fisica o dal legale rappresentante della persona giuridica o dell’ente.
    ____________________________
    1Cfr. Grabenwarter, Weidig (2005).
    2Sulle criticità dell’uso dell’IRR, sulle relative difficoltà e sulla costruzione di misure di performance relative, cfr. Kaserer, Diller (2004).
    3
    Cfr. KPMG Corporate Finance (2006).
    4Cfr. Ljungqvist, Richardson (2003).
    5Cfr. Schmidt (2003).
    6Cfr. Lossen (2006).
    7Cfr. Grabenwarter, Weidig (2005). Una rassegna dei lavori sulle caratteristiche del rischio e del rendimento di un fondo di private equity e di numerose verifiche empiriche è contenuta nella tavola a pagg. 28-30.


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  • PRIVATIZZAZIONE DELLE IMPRESE

    Con il termine privatizzazione, nella sua accezione più ampia, si suole indicare quel procedimento in virtù del quale un’impresa pubblica cambia il proprio regime giuridico. Ciò può avvenire mediante trasformazione in società per azioni e conseguente collocamento sul mercato delle azioni, oppure in seguito alla dismissione della partecipazione pubblica sul mercato, a seconda che si tratti di c.d. “aziende di Stato” o municipalizzate oppure di imprese ancora sotto il controllo pubblico ma già costituite in forma di spa. La disciplina delle privatizzazioni è contenuta nella l. 30.7.1994 n. 474 (Norme per l’accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni). In materia bisogna distinguere fra privatizzazione formale e privatizzazione sostanziale. La prima si realizza con la modifica della forma giuridica, mediante l’adozione di un modello societario al posto del precedente regime di ente pubblico economico o azienda municipalizzata. Permane in questo caso, tuttavia, un controllo da parte del potere pubblico attraverso l’uso di alcuni strumenti quali p.e. il possesso della cosiddetta “golden share” che gli attribuisce poteri speciali. Con la privatizzazione sostanziale, invece, cambia effettivamente il controllo dell’impresa, la quale passa in capo a soggetti privati svincolati dall’influenza dominante del potere pubblico e dello Stato che non rimane neanche l’azionista di riferimento. Concettualmente la privatizzazione vera e propria coincide con la seconda ipotesi, relegando la prima situazione ad un ruolo marginale in cui vi è una semplice trasformazione giuridica senza modifica del controllo. Tuttavia, la privatizzazione formale deve essere considerata strumentale rispetto a quella sostanziale, in quanto spesso rappresenta una fase necessaria nella trasformazione di un ente pubblico in spa al fine di cedere ai privati le azioni di quest’ultima. L’esito della procedura di privatizzazione può essere ricondotta sostanzialmente a tre ipotesi relative all’assetto proprietario ed all’influenza dominante sulla spa: spa in mano pubblica; spa ad azionariato diffuso; spa sotto il controllo di un nucleo stabile di azionisti di riferimento. Nel primo caso, coincidente di fatto con la privatizzazione formale, si tende a perseguire obiettivi di economicità ed efficienza nella gestione dell’impresa che resta in mano pubblica a fronte di una partecipazione del capitale privato in posizione minoritaria. La società ad azionariato diffuso, ispirata al modello della public company anglosassone, presenta un notevole diffusione delle azioni fra il pubblico dei risparmiatori con un limitato assetto di controllo ancorato a patti di sindacato. Infine, la terza ipotesi si basa sull’esistenza di un c.d. “nocciolo duro” costituito da un nucleo di azionisti privati di riferimento in grado di esercitare un forte ed assoluto controllo sulla società e di evitare scalate alla stessa che, invece, nel modello precedente, data la limitata forza del gruppo di controllo, sono spesso effettuate con successo. L’art. 2 della normativa suindicata ha disposto che, nello statuto delle società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, venga introdotta una clausola che attribuisce al Ministero del Tesoro uno o più poteri speciali che costituiscono il contenuto della cosiddetta “golden share” in mano allo Stato. I poteri speciali in questione consistono nella c.d. “clausola di gradimento”, vincolante circa l’ammissione e l’assunzione nella società, da parte di qualsiasi soggetto, di partecipazioni rilevanti pari al 5% delle azioni con diritto di voto nelle assemblee ordinarie; nel gradimento alla conclusione di accordi o patti o che coinvolgano una percentuale di azioni uguale a quella precedente; nel diritto di veto in relazione all’adozione di delibere di scioglimento della società, di modifiche dell’atto costitutivo e di soppressione della golden share; nella nomina di almeno un amministratore o di un numero di amministratori non superiore ad un quarto dei membri del consiglio e di un sindaco (come già previsto dagli artt. 2458 e 2459 c.c.). In materia di possesso azionario, l’art. 3 della disciplina ha previsto la possibilità di inserire un limite pari al 5% per tutti i soggetti diversi dallo Stato. Tuttavia, in seguito alla modifica della norma apportata dall’art. 212 del TU, tale clausola decade comunque quando il limite viene superato per effetto di un’offerta pubblica di acquisto promossa ai sensi degli artt. 106 e 107 del TUF. La disciplina delle privatizzazioni ha introdotto, inoltre, alcuni istituti diretti a favorire la partecipazione degli azionisti alla assemblee ed agli organi sociali. Ci riferiamo al voto per corrispondenza ed al voto di lista. Il voto per corrispondenza, nell’introdurre un’importante novità sotto il profilo del diritto societario, deve essere previsto nello statuto e legittima i soci ad esprimere in tal modo la propria volontà sulla delibera indicata per esteso nell’avviso di convocazione che contiene anche la scheda del voto. L’introduzione della clausola che dispone il voto di lista per l’elezione degli amministratori, diretta a tutelare le minoranze azionarie, deve obbligatoriamente effettuarsi quando nello statuto di una società operante nell’ambito dei servizi pubblici sia stata introdotta una clausola di limitazione del possesso azionario.

  • PRIVATIZZAZIONE DI CASSA DEPOSITI E PRESTITI (CDP)


    Nel 2003, il Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF) pone in essere una serie di operazioni di dismissione relative a Gruppi e Società sottoposte a “controllo tradizionale” da parte dello Stato, per la necessità di riduzione dello stock di debito pubblico. Obiettivo è anche la riduzione della presenza dello Stato nell'economia.

    La Storia di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) descrive l'iter di cambiamento del ruolo della Cassa nel sistema italiano.
    Il fondamento normativo dell’iter di trasformazione è l’art. 5 del D.L. n. 269/2003 convertito nella Legge n. 326 del 2003, che disciplina la trasformazione dell’Istituto, la sua ri-denominazione in “Cassa depositi e prestiti Società per Azioni (CDP SPA) demandando la fase attuativa del citato iter al Decreto del Ministro dell’Economia e Finanze, in particolare l’approvazione dello Statuto della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP)
    Il MEF in attuazione di quanto stabilito dalla normativa di trasformazione, procede a:
    - modifica dell’assetto organizzativo, funzionale e contabile dell’Istituto;
    - trasferimento dei beni e delle partecipazioni dello Stato da CDP a CDP SPA, con assegnazione all’Area della cd. Gestione Separata;
    - cessione alla CDP di una quota del 10,35% del capitale di ENEL, di un pacchetto pari al 10% del capitale di ENI e del 35% del capitale di Poste Italiane;
    - vendita del 30% del capitale sociale della CDP,
    trasformando l’originaria CDP in una Società per Azioni a “diritto speciale”.
    Con la privatizzazione essa assume il ruolo di “intermediario finanziario non bancario” cui vengono cedute quote di partecipazioni di minoranza in primarie società detenute dal Ministero (10% di ENI, 10,35% di Enel e 35% di Poste Italiane, per un controvalore complessivo di circa €11 miliardi).
    Inoltre, il capitale sociale viene suddiviso in azioni ordinarie e privilegiate quest’ultime contenenti una serie di prerogative e vantaggi, in particolare quella connessa al diritto di recesso; la totalità delle seconde viene ceduta alle 65 Fondazioni bancarie interessate dall’operazione che, a tutti gli effetti, rappresentano dei soci privati.
    L’intero processo, seppur abbastanza celere, è stato preceduto ed accompagnato da un’intensa attività di riforma normativa, con l’emanazione dei necessari provvedimenti di definizione delle più adeguate forme statutarie e di corporate governance.
    Al riguardo, nel corso di un’audizione alle Camere, il Ministro dell’Economia e Finanze procede ad illustrare il processo di trasformazione della CDP in SPA “…la ristrutturazione e trasformazione della CDP in Società Per Azioni, propedeutica alla graduale apertura del capitale di CDP al settore privato, ha inteso rendere compatibile la sua tradizionale missione di interesse pubblico con gli obiettivi di equilibrio economico-finanziario tipici di una società per azioni. L’operazione, inoltre, risulta coerente con i più recenti orientamenti della Commissione Europea ed in linea con gli assetti istituzionali vigenti in tutti gli altri principali Paesi europei, dove realtà simili alla CDP S.p.A. operano da lungo tempo…”.
    In esito al processo di trasformazione in società per azioni, muta la struttura della CDP SPA, con la previsione di due distinte Aree di operatività (Unità Operative - U.O.):
    - un’Area tradizionale a “gestione separata” che prosegue l’attività istituzionale della CDP, concedendo finanziamenti, sotto qualsiasi forma, allo Stato, Enti Pubblici Territoriali ed Organismi di diritto pubblico attraverso l’erogazione dei proventi del risparmio postale e dell’emissione di titoli, tutti assistiti dalla garanzia dello Stato;
    - un’Area innovativa “a gestione ordinaria” che si occupa della concessione di finanziamenti, sotto qualsiasi forma, per la realizzazione di opere, impianti, reti e dotazioni per la fornitura di servizi pubblici e per le attività di bonifica. La raccolta dei fondi da destinare alla gestione ordinaria è effettuata esclusivamente presso investitori istituzionali e, a differenza della gestione separata, non è garantita dallo Stato,
    alle quali si aggiunge una terza Unità Operativa (cd. U.O. Servizi Comuni) che si occupa delle funzioni comuni di governo, indirizzo, controllo e supporto, riferibili alla CDP SPA considerata come soggetto giuridico.
    Inoltre, a seguito della privatizzazione, l’attività di gestione “separata” e “ordinaria” deve avvenire garantire un ritorno economico agli azionisti. Tale obiettivo ha influito … non poco … sulla Mission sociale della CDP contribuendo alla progressiva trasformazione in una “merchant bank operante per conto del Governo” che, tra partecipazioni azionarie in:
    - società quotate, in ragione del ruolo di “Istituto che opera per conto del Governo” (25,76% Eni, 29,85% Terna, 32,38% Snam,72,5% Fincantieri, 76% Simest, 100% Sace, 100% Fintecna);
    - società non quotate (80% FSI, Fondo Strategico Italiano, 16,52% F2i, Fondo italiano per le infrastrutture, 12,5% FII, Fondo italiano d'investimento)
    - fondi d'investimento di varia natura,
    è divenuta un colosso dell'economia e della finanza italiana in grado di intervenire in tutti i settori della politica economica nazionale ed internazionale oltre che produrre utili per gli azionisti.
    Inoltre, alla privatizzazione del 2003, sono seguiti ulteriori interventi normativi che hanno ulteriormente ampliato la Mission istituzionale e l’oggetto sociale della CDP SPA che, ad oggi, è in grado di assicurare:
    - il finanziamento di investimenti pubblici, infrastrutture e imprese in un asse temporale di medio lungo-periodo;
    - investimenti nel capitale di rischio, in reti strategiche e in asset strategici;
    - investimenti a sostegno della crescita dimensionale e lo sviluppo internazionale delle Piccole e Medie Imprese (PMI) e delle Imprese di rilevanza strategica;
    - il finanziamento di attività finalizzate alla cooperazione internazionale;
    - investimenti nel settore della ricerca,
    in un’ottica di lungo periodo, con l’obiettivo strategico di contribuire alla crescita e allo sviluppo dell’economia del Paese a livello internazionale.

    Sito Istituzionale di CDP è questo.

  • PRIVILEGIO

    Il privilegio è la preferenza accordata al creditore in considerazione della causa del suo credito (art. 2745 c.c.). La costituzione del privilegio, come pure l’ordine di priorità tra i crediti privilegiati, è rimessa all’esclusiva valutazione del legislatore. Le parti, infatti, non possono creare altri privilegi oltre a quelli stabiliti dalla legge. Il privilegio può essere generale, se si esercita su tutti i beni mobili del debitore, speciale, se si esercita soltanto su determinati beni mobili od immobili (art. 2746 c.c.). Il primo costituisce una semplice qualità del credito e non attribuisce il diritto di sequela; più in generale, anzi, esso non può esercitarsi in pregiudizio dei diritti spettanti ai terzi sul bene che ne forma oggetto. Tra i crediti muniti di privilegio generale si possono ricordare quelli derivanti da rapporti di lavoro subordinato o autonomo e quelli spettanti allo Stato a titolo di tributi diretti. Il privilegio speciale ha natura reale: infatti, seguendo il bene anche nel caso in cui questo sia stato alienato, può esercitarsi in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi posteriormente al suo sorgere, anche se talora il privilegio può essere esercitato solo se i beni continuino a trovarsi in un determinato luogo. Se poi la cosa è mobile e il terzo acquirente è in buona fede, la proprietà si consegue libera da ogni privilegio (art. 1153, comma 2, c.c.).

  • PRIVILEGIO BANCARIO

    In base all’art. 46 TUBC, i finanziamenti a medio e lungo termine da parte delle banche alle imprese possono essere garantiti da privilegio speciale su beni mobili non iscritti nei pubblici registri. Oggetto del diritto di garanzia possono essere, in particolare, i beni comprendenti il capitale fisso delle imprese (impianti ed opere esistenti e futuri, concessioni e beni strumentali destinati all’esercizio dell’impresa), il capitale circolante, cioè destinato ad essere consumato e rimpiazzato nel normale ciclo di produzione (materie prime, prodotti in corso di lavorazione, scorte, prodotti finiti, frutti, bestiame e merci), oltre che i beni acquistati con il finanziamento concesso e i crediti, anche futuri, derivanti dalla vendita dei beni indicati. La norma pone numerosi problemi interpretativi. Si discute soprattutto se il privilegio possa estendersi al capitale fluttuante futuro e cioè venuto ad esistenza successivamente alla costituzione della garanzia. La dottrina tende a dare risposta positiva, sicuramente ove i beni siano acquistati con il finanziamento concesso, ma anche affermando, pur nel silenzio della legge, che il privilegio su tale capitale è sicuramente assistito da un patto di rotatività, cioè di estensione automatica ai beni acquistati dopo la concessione del privilegio in aggiunta o in sostituzione di quelli originariamente oggetto della garanzia. Il privilegio necessita di forma scritta a pena di nullità. L’atto deve contenere, tra le altre indicazioni, la descrizione esatta dei beni e dei crediti su cui il privilegio viene costituito: ove l’oggetto fosse un bene relativo al capitale fluttuante, si reputa dalla dottrina sufficiente descrivere i beni in questione con riferimento al genere merceologico cui appartengono (omettendo dunque una identificazione individuale). Ai fini dell’opponibilità ai terzi del privilegio si richiede la trascrizione dell’atto costitutivo del privilegio nel registro di cui all’art. 1524 c.c. (art. 46, comma 3, TUBC). È prevista anche, con valore di mera notizia, la pubblicazione sul Foglio degli Annunzi Legali. II privilegio, in conseguenza della trascrizione, attribuisce alla banca diritto di sequela: esso può essere esercitato anche nei confronti dei terzi che abbiano acquistato diritti sul bene. Sono fatti salvi, tuttavia, i terzi di buona fede che possano invocare la tutela dell’art. 1153 c.c. Quando il privilegio comprenda anche beni futuri, pur nel silenzio dell’art. 46 TUBC, la dottrina ritiene necessarie, ai fini dell’opponibilità ai terzi e sulla base dei principi comuni, ulteriori trascrizioni dell’atto nel momento in cui i beni vengano ad esistenza. A tale diritto di garanzia, inquadrabile appunto nella figura generale del privilegio, sebbene di natura convenzionale, la dottrina ritiene applicabili, in quanto non derogate, le norme in materia di privilegi (e non quelle relative al pegno e all’ipoteca). Il privilegio bancario si colloca nel grado indicato nell’art. 2777, comma ultimo, c.c. e non pregiudica gli altri titoli di prelazione di pari grado con data certa anteriore a quella della trascrizione.

  • PRIVILEGIO CONVENZIONALE

    Si tratta di un privilegio, la cui nascita, nei casi espressamente previsti dalla legge, come per tutti i privilegi, richiede però un apposito atto di costituzione, rappresentato da una convenzione tra debitore e creditore (v. p.e. quello previsto dall’art. 2766 comma 3 c.c., a garanzia dei crediti degli istituti di credito agrario).

  • PRIVILEGIO FISCALE

    Preferenza a favore dell’Amministrazione finanziaria accordata dalla legge in considerazione della causa del credito tributario; l’Amministrazione, quindi, ha diritto a essere soddisfatta con precedenza rispetto agli altri creditori, secondo un ordine disposto dal codice civile, integrato dalla l. 29.7.1975 n. 426, che ha adattato il sistema del codice civile alle nuove leggi d’imposta. Così, per il nuovo art. 2752 c.c. hanno privilegio generale sui mobili del debitore i crediti dello Stato per le imposte sul reddito, ma limitatamente all’imposta, o alla quota d’imposta che non è imputabile ai redditi immobiliari e a quelli di natura fondiaria non determinabili catastalmente. In materia di crediti per le imposte sul reddito sopra indicate lo Stato ha poi un privilegio speciale sopra i mobili che servono all’esercizio di imprese commerciali e sopra le merci che si trovano nel locale adibito all’esercizio delle stesse o nell’abitazione dell’imprenditore, a garanzia appunto dei crediti d’imposta derivanti dalle imprese predette e relativi ai due anni anteriori a quello in cui lo Stato stesso procede esecutivamente e limitatamente all’importo del tributo o alla quota di esso imputabile al reddito d’impresa. Questo privilegio speciale si applica anche se i beni sopraindicati appartengono a un terzo. Ancora a favore del credito dello Stato per le imposte sul reddito, l’art. 2771 c.c. stabilisce, infine, un privilegio che grava su tutti gli immobili del contribuente situati nel territorio del Comune in cui il tributo si riscuote, oltre che sopra i frutti, i fitti e le pigioni degli immobili stessi. Tale privilegio garantisce le predette imposte limitatamente all’imposta, o alla quota proporzionale di imposta, imputabile ai redditi immobiliari, compresi quelli di natura fondiaria non determinabili catastalmente. Per le imposte indirette, i crediti dello Stato hanno privilegio sui mobili ai quali i tributi si riferiscono e sugli altri beni indicati dalle leggi relative, con gli effetti da esse stabiliti. Quanto all’imposta di successione, il privilegio non ha effetto in pregiudizio dei creditori che hanno esercitato il diritto di separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede. Per le imposte indirette, oltre che per l’imposta comunale sull’incremento degli immobili, esiste pure un privilegio sugli immobili ai quali il tributo si riferisce; privilegio che non può essere esercitato in pregiudizio dei terzi che hanno anteriormente acquistato diritti sugli immobili. Quanto all’imposta sul valore aggiunto, lo Stato ha un privilegio generale sui mobili del debitore, che si estende anche alle pene pecuniarie e alle soprattasse relative. Quest’ultima disposizione è importante perché conferma che il privilegio non si estende alle sanzioni amministrative se la legge non dispone diversamente. Inoltre, per una più efficace tutela dei diritti dell’erario in questo settore, si prevede che, in caso di infruttuosa esecuzione sui mobili, gli stessi crediti siano collocati sussidiariamente sul prezzo degli immobili con preferenza rispetto ai creditori chirografari. Hanno, infine, privilegio generale sui mobili, subordinatamente a quello dello Stato, i crediti per imposte, tasse e tributi dei Comuni e delle Province, già previsti dalla legislazione sulla finanza locale oltre che i crediti per l’imposta comunale sulla pubblicità e i diritti sulle pubbliche affissioni. Nessun privilegio è invece previsto per i tributi regionali.

  • PRO QUOTA

    Sistema usato per determinare la partecipazione di più soggetti ad un medesimo rapporto giuridico (p.e., i vari partecipantialla comunione concorrono ciascuno pro quota alle spese di manutenzione delle cosa comune). L’espressione, implicando un frazionamento degli obblighi e dei diritti facenti capo ai singoli, comporta che questi partecipino (attivamente o passivamente) al rapporto solo entro le porzioni predeterminate.

  • PRO RATA

    Regola relativa alla ripartizione, tra più ricevitori, di merci trasportate alla rinfusa. Nei contratti di trasporto di merci, in particolare in campo marittimo, si trova spesso inserita tale clausola (riparto pro rata o più semplicemente pro rata). Durante il trasporto possono verificarsi dispersioni, cali naturali, ammanchi ecc.; pertanto, la quantità di merce che giunge a destino è quasi sempre inferiore a quella risultante al momento del carico. La clausola del pro rata ha lo specifico scopo di evitare che l’intero calo di peso gravi sull’ultimo ricevitore. Il procedimento seguito per operare una ripartizione equa del carico tra i diversi ricevitori inizia con la fissazione di una percentuale presuntiva dei cali. In base a tale percentuale ciascun avente diritto ritirerà una quantità pari al quantitativo indicato sulla polizza decurtato della percentuale presuntiva di calo. Quando l’ultimo ricevitore avrà ritirato la propria parte di carico si potrà conoscere l’entità esatta della resa di bordo e solo allora sarà possibile calcolare il quantitativo esatto spettante a ciascun ricevitore. Risulterà che alcuni ricevitori avranno ritirato merce in più e altri in meno così che si renderà necessario regolare le differenze. Tale regolamento, che avviene, in genere, in valore anche perché i ricevitori possono operare in porti diversi, consiste nel conteggiare, per ciascuno di essi, il conguaglio che dovrà essere pagato (se è stato ritirato un quantitativo superiore a quello spettante) o incassato (in caso contrario) in base al prezzo CIF corrente nel giorno e nel luogo in cui termina la discarica.

  • PRO SOLUTO

    Lett.: come pagato. Cessione che il titolare di un credito verso un terzo (anche di una cambiale o di un titolo di credito) fa del credito stesso a un proprio creditore a titolo di pagamento (v cessione di credito). Il cedente è tenuto solo a garantire l’esistenza del credito, non anche la solvibilità del suo debitore.

  • PRO SOLVENDO

    Lett.: per [provvedere al] pagamento. Cessione che il titolare di un credito verso un terzo (anche di una cambiale o di un titolo di credito) fa del credito stesso a un proprio creditore

  • PROCEDIMENTO CONCORSUALE

    Procedura giudiziale avente ad oggetto la sottoposizione ad esecuzione forzata dell’intero patrimonio di un’impresa, al fine di assicurare la soddisfazione di tutti i creditori della stessa. Lo stato di insolvenza dell’imprenditore commerciale è, di norma, il presupposto di carattere oggettivo necessario ed essenziale per farsi luogo all’apertura di tutti i procedimenti concorsuali. La legge non consente azioni esecutive individuali, ma interviene autoritativamente mediante tale particolare forma di esecuzione, poiché tutti i creditori, avendo fatto affidamento sulla prosperità dell’impresa, debbono subire in eguale misura le conseguenze della crisi economica di essa. La procedura ha scopo di liquidare l’attivo dell’impresa ed è necessariamente concorsuale: per l’universalità dei beni cui si riferisce (tutti i beni del debitore); per la generalità dei soggetti nel cui interesse essa è eseguita (tutti i creditori). L’esecuzione forzata collettiva si attua mediante uno più dei procedimenti disciplinati dalla legge fondamentale dell’intera materia, contenuta nel r.d.l. 16.3.1942 n. 267 e cioè mediante il fallimento, la liquidazione coatta amministrativa (per le banche v. liquidazione coatta amministrativa di banche), il concordato preventivo, L’amministrazione controllata che pure si suole definire procedura concorsuale, non tende però all’esecuzione forzata e al soddisfacimento dei creditori, bensì solo a dare la possibilità all’imprenditore di adempiere attraverso una sospensione dei pagamenti da lui dovuti. La procedura concorsuale implica una serie di fasi collegate e tendenti: all’identificazione, acquisizione e conservazioni di tutti i beni del soggetto passivo; all’accertamento di tutti i suoi creditori; alla liquidazione dei beni stessi; al riparto del ricavato fra i vari creditori. Competenti per la pronuncia di apertura dei procedimenti in questione è il tribunale del luogo ove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa. A differenza dell’esecuzione singolare (che è promossa per mera iniziativa del creditore), nell’esecuzione collettiva l’iniziativa spetta anche allo stesso debitore, al pubblico ministero e, d’ufficio, al tribunale. Un procedimento concorsuale può seguire a un altro e, in tal caso, si parla di consecuzione di procedimenti.

  • PROCEDURA DEGLI SQUILIBRI MACROECONOMICI

    Procedura di sorveglianza degli squilibri macroeconomici introdotta nella UE con il cosiddetto six-pack (regolamenti UE/2011/1174 e UE/2011/1176). Tale procedura prevede un meccanismo di allerta basato su un insieme armonizzato di indicatori quantitativi (scoreboard), per i quali sono previste soglie minime e massime di criticità, che sono all’occasione integrati con altre informazioni utili per una più completa rappresentazione delle condizioni macroeconomiche di ogni paese. Il complesso degli indicatori è analizzato in un Rapporto annuale della Commissione europea (Alert Mechanism Report) e viene utilizzato per identificare annualmente i paesi da sottoporre a un’analisi più accurata (in-depth review), per ciascuno dei quali viene prodotto un rapporto approfondito allo scopo di identificare eventuali misure di correzione.
    In caso di gravi squilibri tali da compromettere il corretto funzionamento della UEM, può essere avviata una Procedura per gli squilibri macroeconomici. Quest’ultima - nel caso dei paesi appartenenti all’area dell’euro - può condurre all’imposizione di una sanzione sotto forma di deposito fruttifero, che viene convertito in multa in caso di inosservanza reiterata delle raccomandazioni del Consiglio della UE.
    Fonte: Banca d'Italia

  • PROCEDURA DEI DISAVANZI ECCESSIVI

    Per l’art. 104 TCE (ex 104c) la Commissione della UE sorveglia l’evoluzione dei conti pubblici dei Paesi membri e ne verifica la conformità ai criteri di convergenza. Se questi non sono rispettati, La Commissione predispone una relazione in base alla quale il Consiglio dei Ministri economici e finanziari delibera a maggioranza qualificata circa l’esistenza o meno di un disavanzo eccessivo. In caso affermativo, lo stesso Consiglio formula raccomandazioni agli Stati interessati per l’eliminazione della situazione di disavanzo eccessivo (v. patto di stabilità e crescita).

  • PROCEDURE DOGANALI SEMPLIFICATE

    Insieme di agevolazioni per le importazioni e le esportazioni temporanee o definitive che l’Agenzia delle Dogane può concedere alle imprese industriali e commerciali e alle case di spedizione internazionale che effettuano frequenti scambi con l’estero. La normativa viene estesa anche alle imprese di trasporto internazionale, limitatamente alle sole esportazioni. Il procedimento di accertamento è eseguito periodicamente attraverso gli esami delle scritture e della contabilità aziendale. Alla base di tali procedure, vi è un principio di fiducia da accordare all’operatore; il sistema prevede l’esonero dalla presentazione delle merci alla dogana e la possibilità di dichiarazione incompleta o di disporre delle merci subito dopo l’arrivo, secondo la destinazione doganale prescelta. Consente di provvedere all’invio delle merci spedite in esportazione, in riesportazione, in transito, prescindendo dalla completezza o dalla presentazione della dichiarazione e delle merci alla dogana del luogo di partenza. L’azienda beneficiaria deve fornire una garanzia globale. Il beneficiario delle procedure semplificate si sostituisce alle dogane e le verifiche periodiche della dogana rappresentano un semplice controllo. Non è ammessa la procedura semplificata per le merci in regime TIR, poiché il carico dev’essere presentato all’autorità doganale di partenza per la verifica e l’apposizione dei sigilli. Le imprese che intendono avvalersi delle operazioni semplificate devono presentare domanda particolareggiata all’Amministrazione finanziaria, che può rifiutare o revocare l’autorizzazione se accerta che non sussistono o sono venute meno le condizioni prescritte per il rilascio o ritenga vi sia pericolo o sospetto di abusi.

  • PROCESSO A MEDIA MOBILE

    E' un processo in funzione del tempo, ed esprimibile attraverso la sommatoria della combinazione lineare di variabili casuali ε, indipendenti identicamente distribuite, con media zero e varianza σ2.

    In particolare, viene detto processo a media mobile del primo ordine MA(1), quello per cui il valore corrente della variabile casuale rt è determinato con la seguente relazione:

    dove φ è il coefficiente di peso del valore ε precedente. Di questo processo possiamo conoscere media, varianza e autocovarianza, infatti rispettivamente, troviamo:



    Si noti che l’ultima è sempre pari a zero, poiché gli ε sono indipendenti identicamente distribuiti, con media zero e varianza σ2; salvo che in s=1 dove per un MA(1) troviamo:

    e conseguentemente la funzione di autocorrelazione di un MA(1):

    Quindi i processi MA(1), ma anche gli MA(q) generici, hanno la varianza e la funzione di auto covarianza non dipendenti dal tempo, aspetto che implica la stazionarietà del processo, indipendentemente dal valore di φ.

    Redattore: Giuliano DI TOMMASO

  • PROCESSO A TRAIETTORIE CONTINUE

    E' un processo Y(t) distribuito secondo una normale con media e varianza data:

    definito sull'asse tempo T[0,+∞) divisibile in un numero arbitrariamente grande di intervalli, nei quali gli incrementi del processo, sono indipendenti e identicamente distribuiti. Quindi, la conoscenza di tutti i possibili incrementi subiti dal processo fino all'istante t equivale alla conoscenza della traiettoria fino a t.

    Bibliografia
    AA.VV., Matematica Finanziaria, Monduzzi Editore, 1998.
    GRINSTEAD  M. C. e SNELL J. L., Introduction to Probability, American Mathematical Society, 1997.

    Redattore: Giuliano DI TOMMASO

  • PROCESSO AD INCREMENTI INDIPENDENTI

    E' un processo in cui, gli incrementi subiti in intervalli di tempo non sovrapposti, sono variabili aleatorie indipendenti. Quindi dati gli istanti:



    le variabili aleatorie I, pari agli incrementi subiti dal processo Y:



    sono indipendenti.
    Quando gli incrementi subiti in intervalli di uguale lunghezza, sono ugualmente distribuiti, il processo si dice omogeneo ad incrementi indipendenti.

    Bibliografia
    AA.VV., Matematica Finanziaria, Monduzzi Editore, 1998.
    GRINSTEAD M. C. e  SNELL J. L., Introduction to Probability, American Mathematical Society, 1997.

    Redattore: Giuliano DI TOMMASO

  • PROCESSO DI MARKOV

    E' un processo stocastico con funzione di distribuzione di probabilità dipendente unicamente dallo stadio attuale della variabile aleatoria ed indipendente dall’intera serie storica di quest’ultima.

  • PROCESSO GAUSSIANO

    E' un processo stocastico reale (Xt) con t ? R+, le cui variabili aleatorie costituenti il vettore aleatorio n-dimensionale (Xt1, Xt2, Xt3, …, Xtn) per ?n ? N, al variare del tempo (t1, t2, t3, …, tn) per ?n ? R+, si distribuiscono come una distribuzione gaussiana multivariata, secondo la seguente relazione di densità di probabilità:

    Dove b rappresenta il valore atteso della variabile aleatoria al variare del tempo e k la covarianza tra le variabili aleatorie.

    Si osservi che questo processo è univocamente determinato assegnando le funzioni:

    dove K è una funzione simmetrica e semi definita positiva.

    Redattore: Giuliano DI TOMMASO

  • PROCESSO POISSON

    E' un processo stocastico in cui la variabile aleatoria compie, nel tempo continuo, incrementi/salti sempre della stessa ampiezza.

  • PROCESSO STOCASTICO

    E' uno strumento, processo, teoria, modello, sviluppato per descrivere e studiare stadi che variano seguendo le leggi probabilistiche. Nella finanza l’andamento dei prezzi è descritto da funzioni aleatorie, di conseguenza i processi stocastici sono diventati la base di varie teorie economiche e l’oggetto di una intensa ricerca, da parte di matematici ed economisti, nel comune obiettivo di realizzare e definire validi modelli di evoluzione dei mercati finanziari.

  • PROCESSO STOCASTICO STAZIONARIO E DEBOLMENTE STAZIONARIO

    E’ un processo stocastico la cui espressione di descrizione (normalmente la funzione di distribuzione di probabilità) condizionata in funzione di un parametro (in genere l’informazione) non cambia al variare del tempo (stazionario in senso stretto) o in un intervallo di tempo considerato (debolmente stazionario).

  • PROCESSO VERBALE

    Documento redatto da un pubblico ufficiale allo scopo di attestare fatti accaduti in sua presenza, ovvero dichiarazioni dallo stesso ricevute. Elementi essenziali dell’atto sono l’indicazione delle persone intervenute e delle circostanze di tempo e luogo nelle quali sono compiuti i fatti documentati, oltre che la sottoscrizione del compilante e degli altri soggetti indicati dalla legge. Il documento può essere redatto in varie circostanze, nel corso o fuori dal processo. Sono di volta in volta abilitati alla sua formazione il cancelliere, l’ufficiale giudiziario, il notaio, l’ufficiale di polizia giudiziaria, il consulente tecnico ecc. Il processo verbale è un atto pubblico e fa piena prova dei fatti avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale, oltre che della provenienza delle dichiarazioni. I soggetti interessati a metterein dubbio la genuinità della documentazione e vincerne la partico lare efficacia probatoria devono impugnare l’atto proponendo la querela di falso; non è più richiesto, invece, tale specifico mezzo di impugnazione per contestare la verità sostanziale delle dichiarazioni fatte dalle parti che intervengono nell’atto, quando, cioè, non si nega che le dichiarazioni stesse siano state fatte, ma si assume che non sono vere.

  • PROCURA

    Negozio giuridico unilaterale mediante il quale una persona conferisce ad un’altra (procuratore) il potere di rappresentarla. Esso attiene al lato esterno della rappresentanza, in quanto serve a rendere noto ai terzi, con i quali il rappresentante entra in contatto, che egli è autorizzato ad agire in nome e per conto del rappresentato: non va confusa con il mandato (v. mandato), che è un contratto nel quale può mancare il potere di rappresentanza e, d’altro canto, la procura può essere concessa con un negozio diverso dal mandato (p.e., contratto institorio che dà luogo a un rapporto di lavoro). In ordine al modo di conferimento, la procura può essere espressa (se risulta da un documento o da altro mezzo materiale da esibire ai terzi), o tacita (se risulta da fatti concludenti: p.e., il commesso addetto alle vendite in un negozio). Si distingue altresì in generale o speciale a seconda che abbia per oggetto tutti gli affari del rappresentato ovvero solo uno o più di essi. Di regola è revocabile, salvo nell’ipotesi in cui sia conferita anche nell’interesse del rappresentante (p.e., nella cessione dei beni ai creditori). Si estingue per scadenza del termine, per effetto del compimento del negozio (nella procura speciale), per morte o sopravvenuta incapacità di una delle parti, per revoca del rappresentato o per rinuncia del rappresentante, e per abuso del potere di rappresentanza (quando, cioè, il rappresentante esplichi tale potere in contrasto con il fine assegnatogli, perseguendo interessi propri o di terzi). Di procura si parla pure, nell’ambito del processo, con riferimento all’incarico di rappresentanza in giudizio conferito dalla parte a un avvocato o a un procuratore legale; la stessa può essere rilasciata con atto a parte oppure può essere stesa in calce o a margine del primo atto difensivo e, in tal caso, la firma del rappresentato viene autenticata dallo stesso avvocato o procuratore.

  • PROCURATORE DI BORSA

    Sostituto dell’agente di cambio che coadiuvava questi nell’esercizio dell’attività di mediazione. Il procuratore doveva avere gli stessi requisiti di moralità, immunità da condanne penali e correttezza commerciale dell’agente di cambio, ma non è tenuto al versamento della cauzione. Se riceveva una procura speciale, il procuratore poteva prendere anche parte alle negoziazioni alle grida.

  • PRODOTTI MISTI FINANZIARI-ASSICURATIVI

    Combinano coperture assicurative, tipicamente del ramo vita, con prodotti finanziari di banche e di altri intermediari finanziari. Traggono la loro esistenza dalla soddisfazione di bisogni complementari della clientela. L’esempio tipico è la copertura assicurativa in caso di morte combinata con un piano di accumulo finanziario presso una banca o un fondo comune d’investimento. In caso di morte l’assicurazione fornisce le risorse necessarie per completare il piano di accumulo previsto. Un’altra possibile combinazione concerne l’assunzione di un mutuo o di un prestito personale con copertura in caso di morte destinata a rimborsare il capitale residuo. Sono possibili anche mix di polizze miste, cioè coperture che danno un capitale in caso di sopravvivenza ad una data o di premorienza, con piani di accumulo finanziario.

  • PRODOTTI SEMILAVORATI

    Beni che non hanno concluso il loro ciclo di lavorazione. Occorre distinguere i “semilavorati” che possono essere oggetto di vendita, in quanto “materie prime” per altre imprese che ne completano la lavorazione fino a renderli prodotti finiti, da quelli che non hanno “mercato”. In quest’ultimo caso la “rilevazione” dei prodotti semilavorati viene eseguita dalla stessa impresa che li ha ottenuti, e ne completerà poi il ciclo di fabbricazione, per ragioni meramente contabili o tecnologiche. Ciò dipende dall’esigenza di determinare, a conclusione dell’esercizio, il risultato di gestione. A tal fine si dovrà procedere, tra le c.d. scritture di assestamento, anche alla determinazione del costo dei semilavorati per trasferirlo al conto economico del futuro esercizio. In questo modo il costo dei semilavorati andrà ad aggiungersi alle rimanenze di magazzino. Riguardo alla valutazione dei semilavorati è necessario il ricorso all’analisi dei costi.

  • PRODOTTI STRUTTURATI

    Trad. dell’amer. structured products. Espressione generica per indicare strumenti finanziari escogitati per il finanziamento con garanzia concentrata su beni dell’attivo patrimoniale specificatamente identificati.

  • PRODOTTO COMPOSTO

    Schema negoziale composto da due o più contratti tra loro collegati che realizzano un'unica operazione economica.
    Fonte: Banca d'Italia

  • PRODOTTO INTERNO LORDO (PIL)

    Il Prodotto Interno Lordo (PIL) rappresenta il valore complessivo dei beni e servizi finali prodotti all'interno di un paese in un certo intervallo di tempo, generalmente in un anno. Il PIL è una misura della contabilità nazionale ed è dato dalla somma dei seguenti elementi: consumi (C), investimenti (I), spesa pubblica (G) e saldo netto della bilancia commerciale (X-M):

    PIL = C + I + G + (X-M)

    Non è da confondere con il Prodotto Nazionale Lordo (PNL) poichè quest'ultimo è un aggregato nazionale e non interno. Il PIL può essere anche definito come il valore della ricchezza o del benessere di un paese.

    Redattore: Giovanni AVERSA

  • PRODOTTO NAZIONALE LORDO (PNL)

    Il prodotto nazionale lordo (PNL) è costituito dalla somma di tutti i beni e servizi finali prodotti in un anno sia all'interno che all'esterno, dagli operatori residenti in un determinato paese. Il PNL è una statistica economica di contabilità nazionale che si ottiene dal Prodotto Interno Lordo (PIL) aggiungendovi il reddito percepito da soggetti residenti nel paese per investimenti all’estero e sottraendovi il reddito percepito nel paese da soggetti non residenti.

    Il PNL è, come il PIL, una variabile flusso che costituisce un indicatore sintetico del livello di attività economica di un paese, ma mentre il primo si riferisce alle attività svolte, in una qualsiasi parte del mondo, dai soggetti residenti in un paese, il secondo si riferisce all'ammontare delle attività svolte all'interno di un paese.


    Redattore: Giovanni AVERSA

  • PRODUTTIVITÀ

    Indice ottenuto dal rapporto tra l’output di un processo e le quantità di uno o più input impiegati nella sua produzione. A livello microeconomico si calcolano generalmente indici di produttività parziale in cui l’output, misurato in quantità fisiche (in numero di pezzi, in tonnellate o altra unità di misura quantitativa) o in valore monetario (a prezzi correnti e/o a prezzi costanti), è rapportato a un solo fattore produttivo, p.e. il numero dei dipendenti (o le ore-uomo), la quantità di energia impiegata, la quantità di materia prima applicata nella lavorazione, le ore di funzionamento ecc. Quando l’output e l’input sono misurati in quantità fisiche, il concetto di produttività si confonde con quello degli ingegneri di rendimento di una macchina. A livello macroeconomico, se si indica con K lo stock di capitale, la produttività del lavoro è Q/L, la produttività del capitale è Q/K e la produttività totale è Q/(aL+bK), con a e b parametri di ponderazione. Gli indici di produttività oggi più usati anche nei documenti pubblici di politica economica misurano il prodotto interno lordo (PIL; v. contabilità nazionale) in rapporto all’occupazione (produttività del lavoro) e la produttività dovuta al progresso tecnico (TFP).

  • PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO

    Indice, a livello macroeconomico, della quantità di prodotto Q, generalmente misurato dal prodotto interno lordo (PIL; v. contabilità nazionale) e per unità del fattore lavoro L, cioè del numero degli occupati. I cambiamenti della produttività del lavoro sono dovuti a diverse cause, tra cui principalmente i miglioramenti (o i peggioramenti) del livello di istruzione, di educazione civile e mentalità, di addestramento, dell’ambiente di lavoro, della motivazione e delle relazioni industriali. L’indice di produttività del lavoro è in genere abbastanza affidabile nel periodo medio-breve, più dell’altro indice correntemente utilizzato della produttività totale dei fattori (TFP) ed è preferibile a questo quando ci sono dubbi sull’andamento del processo di crescita e quando i dati sullo stock di capitale sono inaffidabili.

  • PRODUTTIVITÀ DELLE BANCHE

    Indicatore di efficienza operativa ottenuto dal rapporto tra la quantità di prodotto in un certo periodo di tempo e la quantità di fattori produttivi impiegati nel processo produttivo. A seconda che si tenga conto dell’insieme dei fattori di produzione o di alcuni di essi si distingue tra produttività globale o produttività parziale. Quest’ultimo concetto è generalmente riferito al fattore capitale (produttività del capitale) o al fattore lavoro (produttività del lavoro). La produttività può essere espressa in termini fisici oppure in termini monetari. Nel primo caso essa si determina come rapporto tra quantità di output e quantità di input e generalmente è una misura parziale, ovvero riferita ad un singolo fattore di produzione. In termini monetari la produttività si esprime come rapporto tra valore della produzione e valore dei fattori impiegati, spesso valore di costo dei fattori stessi. La misurazione della produttività delle banche e, più in generale, degli intermediari creditizi incontra alcune difficoltà di ordine metodologico connesse in particolare alla definizione di prodotto bancario. Sul piano logico una prima difficoltà di definizione del prodotto bancario trova origine nella natura multiprodotto delle banche e nella difficoltà di schematizzare secondo le categorie impiegate per le imprese industriali il processo produttivo oltre che di identificare cosa è input e cosa è output. Secondo un’interpretazione ormai generalmente accettata, i prestiti ed i servizi sono considerati output vero e proprio, mentre i depositi sono definiti come output intermedio. Ulteriori problemi si presentano nel momento in cui si voglia procedere ad una costruzione di indicatori di produttività per gli intermediari creditizi. Si ricordi la natura di aziende di servizi e la conseguente difficoltà di misurarne univocamente e esaurientemente l’output in termini fisici. Inoltre, dal momento che l’oggetto dell’attività di intermediazione creditizia è costituita dalla moneta, un indicatore sintetico del prodotto bancario non può che essere desunto dal bilancio ed incorporare il fattore prezzo confondendo le misure di produttività con quelle di redditività. L’aggregato generalmente impiegato come proxy del prodotto bancario è il valore aggiunto, ottenuto dal conto economico in forma scalare come somma algebrica del margine di intermediazione e degli altri ricavi e costi operativi non di personale.

  • PRODUTTIVITA' AGRICOLA ED EFFICIENZA (ENCICLOPEDIA)

    La prima definizione di produttività è il rapporto fra il rendimento e il costo delle risorse usate nel processo produttivo. In generale, gli economisti si riferiscono all’insieme dei fattori produttivi, ovvero la misura della produttività (quale rapporto tra l’insieme dei costi di produzione e le entrate) che coinvolge tutti i fattori di produzione e le entrate in presenza di una struttura complessa della redditività. Misure alternative di produttività sono conosciute come indici di produttività parziale, quali la produttività o rendita per acro, il rendimento della forza lavoro, e questi devono essere considerati congiuntamente per evitare informazioni devianti sulla produttività generale.
    A volte, gli autori si riferiscono al "Produttività totale dei fattori" o "Total Factor Productivity" (TFP). Questa è definita come la quantità di servizi forniti dai fattori produttivi per unità di tempo e, in aggiunta alle produttività dei singoli fattori, una produttività totale definita come il rapporto tra un indice di output e un indice di input, media ponderata degli indici di lavoro e capitale.
    Una semplice analisi della produzione dell’azienda agricola è la stima dello standard della funzione di produzione Cobb-Douglas1.
    Per esplorare i fattori determinanti della TFP, si può introdurre una variabile di produttività potenziale al fine di individuare le variabili contenute nella destra dell’equazione. La formula generale è:
    (1)
    dove Q è una misura del valore di produzione dell’azienda Agricola, è una serie di fattori di produzione come la terra, il lavoro e le risorse, sono i coefficienti stimati di ciascun fattore (l’elasticità, se è specificata la forma logaritmica), è un vettore delle determinanti della TFP come le caratteristiche della famiglia, e è il termine di errore i.i.d. indipendente ed identicamente distribuito.
    La produttività agricola dovrebbe non essere confusa con il rendimento agricolo. Quest’ultimo si riferisce generalmente al modo in cui l’azienda agricola minimizza l’allocazione delle risorse per ottenere il massimo del rendimento. In economia si distinguono due tipi di rendimento: l’efficienza tecnica e l’efficienza nello sfruttamento delle risorse disponibili. Il rendimento tecnico si riferisce al modo in cui le risorse sono combinate tra loro o utilizzate al fine di produrre il massimo ottenibile tenendo conto delle risorse impiegate. Le aziende agricole che operano sfruttando al massimo le risorse sono definite tecnicamente efficienti. Data una certa combinazione di fattori produttivi, ogni elemento è sfruttato al meglio per ottenere il massimo in termini di rendimento. Un’azienda agricola che riesce a sfruttare al massimo le proprie risorse combinandole al meglio è dunque tecnicamente efficiente ma, allo stesso tempo, ha margini di miglioramento in termini di produttività. Ma l’innalzamento della produttività dovuto a cambiamenti nel settore operazionale (cioè, un innalzamento nella produttività) non può essere raggiunto in tempi brevi, pertanto, la componente del tempo entra nella definizione di produttività. Un’analisi degli incrementi di produttività raggiunti tramite l’ammodernamento delle tecniche agricole non può prescindere da paragoni di produttività nel tempo. Questo tipo di paragoni coinvolge le quantità fisiche e le relazioni tecniche. L’efficienza nello sfruttamento delle risorse disponibili implica la disponibilità di informazioni sui costi e i profitti, e la previsione di determinati comportamenti.
    L’efficienza nello sfruttamento delle risorse disponibili si riferisce all’uso delle risorse (lavoro, capitale) che permettono di ottenere un determinato livello di redditività al minimo costo e con il massimo dei profitti. Perciò, l’efficienza nello sfruttamento delle risorse disponibili indica se i fattori di produzione siano usati in modo da assicurare il massimo del profitto visti i costi delle risorse e il rendimento.
    Riassumendo, in base a quanto asserisce Farrell (1957), la redditività totale deriva dal prodotto dell’efficienza tecnica e dall’efficienza nello sfruttamento delle risorse disponibili. L’efficienza tecnica è associata alla capacità dell’azienda agricola di produrre nella produzione. Un’azienda agricola tecnicamente efficiente è capace di produrre il massimo rendimento combinando le risorse. Un’azienda agricola che è efficiente nello sfruttamento delle risorse disponibili dovrebbe essere capace di produrre il massimo della redditività combinando al meglio i costi più bassi possibile delle risorse. In altre parole, l’efficienza tecnica può essere misurata come una deviazione dalla frontiera di produzione e l’efficienza nello sfruttamento delle risorse disponibili può essere misurata come la deviazione dal minimo dei costi e il massimo dei profitti. L’efficienza totale economica è, dunque, espressa come la capacità degli agricoltori di produrre una predeterminata quantità di rendimento al minimo costo dato un preciso livello di tecnologia (Farrell, 1957; Kopp e Diewert, 1982).

    1Ulteriori più complicate e più flessibili forme di funzioni sono translog ecc.

    Bibliografia

    FARRELL  M.J. (1957) "The Measurement of Productive Efficiency" Journal of the Royal Statistical Society 120(3):253-290.
    KOPP  R. J. and DIEWERT  W. E.  (1982), "
    The decomposition of frontier cost function deviations into measures of technical and allocative efficiency" Journal of Econometrics, Elsevier, vol. 19(2-3), pages 319-331, August.

    © 2010 ASSONEBB

  • PROFIT-LOSS SHARING

    Nella finanza islamica, il principio di profit-loss sharing (PLS) consente la condivisione del rischio di impresa. In ambito bancario, lo schema PLS è applicato sia alle operazioni di provvista e di gestione del risparmio, sia nell’ambito degli impieghi. Dal lato della raccolta, pur non potendovi essere una remunerazione convenzionalmente pattuita, alla fine di ogni anno finanziario e a discrezione della banca, i clienti correntisti possono essere ricompensati con doni in natura (hadiyya), con piccole donazioni (hiba), con alcune condizioni privilegiate nell’accesso al credito (tamwil) per l’acquisto di beni di consumo durevoli o strumentali. Come conseguenza teorica della generale applicazione del principio partecipativo e della conseguente idea di rischio che influenza tutta l’attività bancaria islamica, non è teoricamente consentita alcuna forma di garanzia sul capitale depositato.
    Al termine del periodo predeterminato, in caso di profitto, questo viene ripartito nella proporzione stabilita, mentre se ci sono perdite, queste vengono assunte in carico dalla banca (a meno che non vi sia stata una palese negligenza dell’altra parte).

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  • PROFITTO PURO

    Grandezza economica, importante per le decisioni imprenditoriali, che si ottiene sottraendo i costi figurativi all’utile di bilancio. I costi figurativi sono valori che corrispondono all’effettivo utilizzo di fattori produttivi, ma che non possono essere misurati da variazioni finanziarie, poiché non sono legati a scambi (neppure indiretti) con terze economie. Gli oneri figurativi non possono essere inseriti in un bilancio d’esercizio, poiché sono al di fuori della logica di scambio effettivo sul mercato a cui (direttamente od indirettamente) sono collegati i valori di conto economico e stato patrimoniale. Tipici oneri figurativi sono: a) salario direzionale (remunerazione che il proprietario di un’azienda percepirebbe come lavoratore dipendente. Questo valore va calcolato nei casi in cui manca un compenso esplicito per il lavoro direzionale); b) interesse di computo (remunerazione che otterrebbe il capitale proprio se fosse impiegato in investimenti alternativi, p.e. BOT trimestrali) a bassissimo livello i rischio; c) fitti figurativi sugli immobili di proprietà.

  • PROGETTO "CRESCITA E AMBIENTE"

    Progetto pilota della Comunità Europea (fr. Projet pilote Croissance et environnement; ingl. Growth and Environment Scheme), gestito dal FEI. Il progetto è stato istituito con l’emendamento n. 0233 del Parlamento europeo al progetto di bilancio della Comunità per il 1995 e prevede il rilascio alle banche e ad altri istituti finanziari di una garanzia parziale (50%) dell’ammontare di prestiti concessi a PMI della UE di piccole dimensioni e cioè con meno di 100 dipendenti (con preferenza per quelle con meno di 50). La garanzia copre prestiti relativi a nuovi investimenti di durata minima di tre anni e di ammontare inferiore a € 1 milione (1.936,3 milioni di lire). Gli investimenti devono apportare benefici diretti o indiretti, ma signifi cativi, per l’ambiente (prevenzione o riduzione di ogni forma di inquinamento; risparmi energetici; miglioramento dei metodi produttivi dal punto di vista ambientale; perfezionamento dei prodotti o dei servizi che comporta una migliore protezione dell’ambiente ecc.). Il progetto è destinato a procedere fino a esaurimento delle disponibilità di bilancio (€ 25 milioni; Lit 48,4 miliardi).

  • PROGRAM TRADING

    Il termine program trading indica le operazioni di acquisto e vendita contemporaneamente di diverse tipologie di azioni. Gli investitori istituzionali possono impiegare i program trade di titoli per attuare diverse strategie di investimento ad esempio mutando la composizione del portafoglio di investimento, impiegando nuova liquidità disponibile nel mercato, trasferendo fondi tra mercato obbligazionario e azionario. La strategia di investimento più comunemente attuata mediante l’impiego di program trade è l’arbitraggio sugli indici che permette di ottenere dei guadagni sfruttando le differenze di prezzo tra il mercato azionario e il mercato dei future su indici azionari. Un’altra caratteristica comune nel program trading è l’utilizzo dei computer,per questo motivo spesso erroneamente i program trade vengono considerati "scambi via computer". In realtà nella definizione data dal NYSE si precisa che non tutte le strategie computer driven (CD) sono classificabili come program trading, in quanto gli elementi caratterizzanti del program sono l’obiettivo della strategia di investimento e il rapporto che lega i titoli oggetto di compravendita utile a perseguire la strategia. Sempre nella stessa definizione va precisato inoltre che è indicato il numero minimo di azioni oggetto dell’operazione pari a 15 titoli.

    Bibliografia
    FABOZZI FRANK  J. e MODIGLIAN  F. (1995), Mercati Finanziari Strumenti e Istituzioni, Prentice Hall International

    Redattore: Bianca GIANNINI
    © 2010 ASSONEBB

     

     

  • PROGRAMMA COMUNITARIO PLURIENNALE A FAVORE DELL'IMPRESA E DELL'IMPRENDITORIALITÀ

    Il Programma pluriennale a favore dell’impresa e dell’imprenditorialità, in particolare per le piccole e medie imprese-PMI per il 2001-2005, più noto con l’acronimo: MAP dalle prime due parole della denominazione inglese (fr. fr. Programme pluriannuel pour les entreprises et l’esprit d’entreprise, en particulier pour les petites et moyen- nes entreprises-PME; ingl. Multiannual programme for enterprise and entrepreneurship, and in particular for small and medium-sized enterprises-SMEs) è stato deliberato con la Decisione del Consiglio dell’UE 2000/819/CE del 20 dicembre 2000. Gli obiettivi del MAP sono: a) rafforzare la crescita e la competitività delle imprese in un’economia internazionalizzata e fondata sulla conoscenza; b) promuovere lo spirito imprenditoriale; c) semplificare e migliorare il contesto amministrativo e normativo delle imprese per favorire in particolare la ricerca, l’innovazione e la creazione di nuove imprese; d) migliorare il contesto finanziario delle imprese, in particolare per le PMI; e) agevolare l’accesso delle imprese ai servizi di supporto, ai programmi e alle reti comunitarie e migliorarne il coordinamento. Il programma è, inoltre, utilizzato per gli obiettivi della Carta europea per le piccole imprese.

  • PROGRAMMA DELLE NAZIONI UNITE PER LO SVILUPPO (UNDP)

    Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) è un'organizzazione internazionale creata in seno alle Nazioni Unite che ha come obiettivo principale il sostegno allo sviluppo. L’organizzazione comprende cinque aree tematiche e di intervento: governance democratica, riduzione della povertà, prevenzione di crisi e supporto, energia ed ambiente, HIV/AIDS.
    L’UNDP è sorta il 1 gennaio 1966, facendo seguito alla risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1965 e costituisce il risultato della fusione di due organizzazioni pre-esistenti: il Programma Allargato di Assistenza Tecnica delle Nazioni Unite creato nel 1949 e il Fondo Speciale delle Nazioni Unite creato nel 1958. Il nuovo Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), risultante dalla fusione dei due enti precedenti, ha lo scopo di armonizzarne finalità e metodi e di facilitare le procedure di erogazione di fondi per lo sviluppo, operando sotto il controllo diretto delle Nazioni Unite. 
    La sede principale dell’UNDP è a New York, con numerosi uffici di raccordo a Ginevra, Bruxelles, Copenhagen, Tokyo e Washington. In molte sedi nei Paesi in via di Sviluppo, i rappresentanti dell’UNDP coordinano in maniera diretta le attività di sostegno allo sviluppo per conto delle Nazioni Unite. L’organizzazione conta oggi circa 7000 dipendenti in 166 paesi.

    Redattore: Valentina GENTILE
    © 2010 ASSONEBB

  • PROGRAMMA DI STABILITA'

    Come previsto dal Patto di stabilità e crescita, ogni paese dell’area dell’euro deve presentare al Consiglio della UE e alla Commissione europea, nell’ambito del semestre europeo, le informazioni necessarie ai fini della sorveglianza multilaterale - stabilita dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea - dell’economia e delle politiche economiche. Tali informazioni sono fornite annualmente entro la fine di aprile mediante documenti elaborati dai governi denominati Programmi di stabilità. Tali documenti includono: informazioni sull’obiettivo di bilancio di medio termine, sul percorso di avvicinamento a tale obiettivo e sull’evoluzione del rapporto fra il debito e il prodotto; previsioni sulla crescita delle spese e delle entrate; le principali ipotesi sull’andamento atteso per le più importanti variabili macroeconomiche; una valutazione quantitativa degli interventi discrezionali di politica di bilancio e di altre politiche adottate e/o proposte per raggiungere gli obiettivi fissati nel Programma; un’analisi dell’impatto sui conti pubblici di eventuali modifiche alle ipotesi macroeconomiche adottate. I Programmi di stabilità vengono esaminati dalla Commissione europea e dal Comitato economico e finanziario; i loro rapporti costituiscono la base per la valutazione dei Programmi da parte del Consiglio dell’Ecofin, in particolare con riferimento al rispetto del complesso delle regole di bilancio europee. Anche i paesi della UE che non appartengono all’area dell’euro devono presentare annualmente documenti programmatici denominati Programmi di convergenza.
    Fonte: Banca d'Italia

  • PROGRAMMAZIONE LINEARE

    Tecnica matematica, introdotta agli inizi degli anni Cinquanta, che offre notevoli vantaggi applicativi quando occorre risolvere un problema di massimizzazione o di minimizzazione di una c.d. “funzione obiettivo”. Applicando al problema da risolvere il metodo dell’analisi matematica i giunge alla formulazione di un sistema di equazioni lineare in più variabili la cui soluzione è tale da soddisfare il vincolo contenuto nella “funzione obiettivo”. Questi problemi sono detti “lineari” perché tutte le variabili sono legate da relazioni (le equazioni che costituiscono i vicoli del problema) che assumono forma lineare, i cui cioè le variazioni stesse compaiono con esponente 0 (zero) o 1. La programmazione lineare determina quali delle variabili sono nulle o fornisce il valore di quelle non nulle per la soluzione ottima. Estensione della programmazione lineare si sono avute con la “teoriadei giochi” che conduce alla formulazione di strategie per i giocatori partecipanti (v. teoria dei giochi).

  • PROGRAMMAZIONE NEGOZIATA

    Modello di intervento dei pubblici poteri in campo economico, caratterizzato da un orientamento di apertura nei confronti dei privati attraverso la loro partecipazione all’elaborazione e alla realizzazione delle politiche economiche pubbliche e dall’emergere dello Stato quasi esclusivamente regolatore. Dal punto di vista del diritto amministrativo questa tendenza è stata accompagnata da un notevole processo di delegificazione e da innovazioni dei procedimenti nel senso di sostituire alla programmazione autoritativa (dominante fino agli inizi degli anni Novanta) procedimenti di programmazione consensuale. Questa nuova forma di programmazione è stata consacrata dalla l. 23.12.1996 n. 662 ed è diventata nel linguaggio usuale un’espressione generale per raccogliere tutti i procedimenti per concertazione tra amministrazioni diverse. L’art. 2 n.223 della l. 1996/662 definisce la programmazione negoziata come regolamentazione concordata tra soggetti pubblici o tra il soggetto pubblico competente e altre parti, pubbliche o private, per realizzare interventi diversi, riferiti a un’unica finalità di sviluppo, che richiedono una valutazione complessiva delle attività di competenza. L’art. 203 istituzionalizza poi una serie di strumenti di concertazione negoziata: l’intesa istituzionale di programma (accordo tra amministrazione centrale, regionale o delle province autonome con cui tali soggetti si impegnano a collaborare per la realizzazione di un piano pluriennale di interventi d’interesse comune o funzionalmente collegati); l’accordo di programma-quadro (accordo tra Stato o Regione ed enti locali e altri soggetti pubblici e privati per definire un programma esecutivo di attuazione di un’intesa istituzionale di programma); il patto territoriale accordo promosso da enti locali o da altri soggetti pubblici o privati per l’attuazione di un programmaquadro); il contratto di programma (contratto stipulato tra un’amministrazione statale, grandi imprese, consorzi di medie e piccole imprese e rappresentanze di distretti industriali per la realizzazione di interventi oggetto di programmazione negoziata); il contratto di area (ogni strumento tra amministrazioni anche locali, sindacati e datori di lavoro ecc. per azioni in favore dello sviluppo e dell’occupazione). Se si esclude l’intesa istituzionale di programma, la concertazione di tutti gli strumenti testé elencati prevede la partecipazione di privati nel procedimento di formazione e di compimento dell’accordo (v. anche in senso affermativo al riguardo la delibera C.I.P.E. del 21 marzo 1997). Più recentemente la materia è stata riordinata dalla legge l. 8.3.1999 n. 50 che, all’all. 3 (integrato dall’art. 7 della . 24.11.2000 n. 340), riprende gli istituti già contemplati dalla l. 1996/662 e rinvia a un apposito testo unico, il processo di delegificazione già intrapreso dalla normativa precedente. Da quanto emerge dal complesso normativo, ogni singolo istituto presenta delle peculiarità: così i contratti di programma vedono impegnati l’Amministrazione statale, le grandi imprese, i consorzi di medie e piccole imprese; i patti territoriali vedono invece coinvolti in particolar modo gli enti locali e le parti sociali nella promozione dello sviluppo locale: i contratti d’area impegnano amministrazioni, rappresentanze dei lavoratori e dei datori di lavoro, nell’obiettivo di raggiungere più consistenti livelli occupazionali nell’ambito delle c. d. “aree di crisi” e nelle aree di sviluppo industriale; l’intesa istituzionale di programma (come già evidenziato) si risolve invece in una collaborazione tra amministrazioni (p.e. centrale e regionali) che si impegnano a realizzare un piano di interventi nei quali vengono coinvolte competenze ed interessi comuni; l’accordo di programma quadro vede, invece, ancora una volta inseriti nella definizione di un piano esecutivi di interventi, accanto all’Amministrazione centrale ed a quelle territoriali, soggetti privati interessati.

  • PROGRAMMAZIONE NON LINEARE

    Tecnica matematica che si usa ogni qual volta un problema di massimizzazione o di minimizzazione di una “funzione obiettivo” non sia risolvibile attraverso equazioni lineari. Ha un campo di utilizzazione molto più esteso della programmazione lineare perché nella realtà aziendale i problemi ricadono, nella massima parte dei casi, in tale tipo di programmazione che è detta anche dinamica o convessa. Le sue applicazioni pratiche sono rese spesso più difficili dal fatto che le soluzioni numeriche dei problemi sono possibili solo in casi studiati teoricamente e sotto condizioni prefissate. È una tecnica in continua evoluzione ed oggi i mezzi di calcolo elettronico consentono di affrontare con il metodo della simulazione problemi che in sede teorica sarebbero spesse volte insormontabili.

  • PROGRAMMAZIONE RETICOLARE

    Procedimento tecnico che raffigura graficamente i programmi in forma di reticoli. Ha il pregio di evidenziare con grande efficacia le durate e le interdipendenze delle singole operazioni previste per la realizzazione del programma. I due sistemi di programmazione reticolare più usati sono il Critical Path Method (CPM detto anche tecnica del sentiero critico), e il Program Evaluation & Review Technique (PERT). I due procedimenti differiscono per il criterio utilizzato nella stima dei tempi di ciascuna operazione da compiere. Nel CPM si determina una unico possibile intervallo temporale per l’esecuzione di ciascuna fase operativa, mentre nel PERT si perviene alla fissazione di tale intervallo su base probabilistica. Più precisamente si ponderano i tempi previsti in tre ipotesi: ottimistica, pessimistica, più probabile; dando a quest’ultima un “peso” quattro volte superiore a quello delle altre due. La formula tipica per il calcolo in questione è: 

           t0 + tp + tpp

    T = —————

                 6


    dove t0 corrisponde al tempo previsto nell’ipotesi ottimistica; tp a quello previsto nell’ipotesi pessimistica; tpp a quello previsto nell’ipotesi più probabile; T il tempo da utilizzare nel programma.

     

  • PROJECT FINANCING

    Termine anglosassone usato comunemente per indicare un finanziamento concesso ai fini della realizzazione di un progetto di investimento, normalmente di dimensioni rilevanti e localizzato in paesi terzi, sulla base delle prospettive di rendimento del progetto stesso più che sulle capacità patrimoniali o reddituali dei soggetti che ne sono promotori. In un’accezione più estesa, tale termine identifica una tecnica finanziaria, costituita da un pacchetto di prodotti e servizi bancari e finanziari (packaging finanziario), avente lo scopo di realizzare una nuova attività produttiva, in forma di impresa autonoma, attraverso opportune allocazioni dei rischi ad essa associati. L’aspetto realmente innovativo di tale tecnica sta nel fatto che il finanziamento è considerato indipendente dai soggetti che intraprendono il progetto, al punto che essi non assumono alcuna responsabilità nel caso in cui quest’ultimo non sia in grado di generare i flussi di cassa attesi. Il project financing si differenzia quindi dalle tradizionali operazioni di credito per via della separazione dell’oggetto di finanziamento dall’attività condotta dai richiedenti credito. Tale separazione si concretizza nella costituzione ex novo di una unità giuridica ed economica distinta, ossia di una nuova impresa che sì identifica con il progetto finanziato, ed origina una serie di rischi di natura differente rispetto a quelli che sorgono in un classico rapporto di finanziamento; ciò comporta un’attenta analisi e contrattazione circa la spartizione di essi tra i diversi soggetti coinvolti nell’operazione. Tipicamente ad un progetto partecipano le seguenti categorie di operatori: i promotori (sponsors), i quali sviluppano l’idea dell’investimento nei suoi elementi tecnologici, commerciali, finanziari, fiscali, valutari, legali ecc. (avvalendosi talvolta di società di consulenza esterne), ne analizzano e verificano la fattibilità socio-politica con gli organi competenti del paese che ospiterà l’investimento, costituiscono la società nella quale l’investimento stesso troverà manifestazione contabile e conferiscono una parte di capitale a titolo di azionisti, contattano le istituzioni bancarie e finanziarie che si occuperanno della raccolta dei fondi necessari er l’implementazione dell’investimento; le autorità del paese in cui l’investimento verrà dislocato, le quali, in talune circostanze, per via della particolare natura dei progetti di investimento (centrali nucleari, oleodotti, grandi arterie di comunicazione, importanti impianti industriali ecc.), possono essere ritenute gli effettivi sponsors del progetto; il committente dei contratti di esecuzione dei lavori richiesti per la realizzazione del progetto, che in genere corrisponde all’ente economicamente e giuridicamente autonomo che gestisce il progetto; gli appaltatori (contractors), in genere selezionati tramite una gara internazionale d’appalto, che eseguono materialmente i lavori e cui può fare capo un certo numero di sub-appaltatori (subcontractors) per l’esecuzione di alcune fasi del progetto o per specifiche forniture di beni o servizi; le istituzioni bancarie e finanziarie, cioè gli enti che si fanno carico del finanziamento dell’investimento e che possono, inoltre, essere delegate all’espletamento delle funzioni di organizzazione del pacchetto finanziario che garantisce il funding del progetto e di gestione dei prestiti. Nel project financing “puro” (non recourse project financing), che rappresenta la formula estrema e storicamente originaria, la separazione dei valori patrimoniali e delle prospettive economico-reddituali tra sponsors e unità finanziata è assoluta. Le istituzioni finanziarie si accollano la copertura totale del fabbisogno finanziario del progetto e ne sopportano tutti i rischi, essendo i rimborsi in linea capitale e per interessi garantiti unicamente dai flussi di reddito attesi dall’iniziativa intrapresa. La partecipazione degli enti finanziatori avviene, inoltre, quasi esclusivamente con apporti di capitale a titolo di debito e, non essendovi contributi finanziari significativi da parte di altri soggetti, il grado di leverage di questo tipo di iniziative è piuttosto elevato. La ratio di tale formula, dunque, è rinvenibile, da parte delle banche, in un equilibrio tra rischio e rendimento atteso realizzantesi per valori elevati di entrambi. Per le imprese promotrici, tale ratio si sostanzia nella possibilità di intraprendere progetti di investimento di dimensioni ragguardevoli e generalmente caratterizzati da tempi di rientro piuttosto lunghi senza alterare il proprio equilibrio economico-finanziario. Il processo di innovazione di taluni aspetti dello strumento, con particolare riferimento all’allocazione dei rischi tra i diversi soggetti coinvolti, intrapreso dalle banche al fine di sfruttare le grosse opportunità di profitto insite in esso, hanno condotto al progressivo abbandono della formula del project financing di tipo non recourse ed alla definizione di modelli di ripartizione dei rischi che implicassero un maggior coinvolgimento dei promotori o degli enti governatori nell’iniziativa. La maggior partecipazione di questi è stata tecnicamente realizzata con la definizione di specifiche garanzie a favore dei finanziatori. Si possono identificare tre diversi livelli di garanzie. Il livello più basso è rappresentato dall’esistenza di “garanti esterni” rispetto agli attori principali del project financing e si risolve nell’assunzione di determinate tipologie di rischi da parte di enti governativi, organismi sovranazionali e/o altri istituti finanziari. Tipici esempi sono l’accollo a terzi dei rischi commerciali (operating risk, o rischio di inadeguatezza del reddito generato dall’impresa) attraverso appositi impegni ad acquistare determinate quantità di beni prodotti a prezzi prestabiliti e le garanzie fornite da banche ed enti di assistenza a copertura dei rischi di mancato completamento degli impianti (completion risk) da parte delle imprese appaltatrici entro i tempi stabiliti e nei limiti del budget iniziale (v. performance bond). Un secondo livello di garanzia è offerto dal limited recourse project financing. Tale schema prevede specifici impegni anche da parte degli sponsors, quantunque limitati nel tempo e nell’ammontare. Può trattarsi di garanzie afferenti al completamento del progetto, alla copertura dei costi di costruzione eccedenti quelli preventivati (cost sharing agreement), alla fornitura di beni e servizi strumentali al funzionamento dell’investimento ed all’acquisto degli outputs a prezzi tali da garantire il rimborso dei debiti contratti (throughput agreement). Un terzo livello di garanzia, infine, quello sotteso allo schema del full recourse project financing, nel quale gli sponsors si pongono come garanti per il complesso degli impegni assunti dalla società committente nei confronti dei finanziatori. In quest’ultima fattispecie gli elementi tipici del project financing risultano fortemente ridimensionati, in quanto i soggetti promotori, pur non evidenziando contabilmente gli elementi patrimoniali e reddituali relativi al progetto intrapreso, ne sono per intero responsabili per quanto attiene alla parte finanziaria.

  • PROJECT FINANCING DI OPERE PUBBLICHE

    Modello di finanziamento privato di opere pubbliche introdotto dalla l. 18.11.1998 n. 415 (Merloni ter). Valgono anche qui le considerazioni svolte in generale alla voce project financing. Il project financing di opera pubbliche è un sistema complesso di finanziamento di progetti di investimento che si realizza attraverso il frazionamento dei prestiti derivanti dai soggetti coinvolti, ed il collegamento di ognuno di questi al fabbisogno finanziario del relativo progetto, avente come scopo la realizzazione di infrastrutture economiche di grandi dimensioni che impegnano solo in parte la Pubblica Amministrazione mediante una rete di garanzie che coinvolge anche le parti private. Lo strumento va progressivamente sostituendosi ad altre forme di finanziamento privato finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche e di pubblica utilità, quali le concessioni piene di costruzione e gestione, le società miste pubblico-privato e i programmi urbanistici integrati. Questa tecnica di finanziamento trova la propria base giuridica, nel preesistente istituto della concessione di costruzione e gestione di lavori pubblici, già disciplinato dalla l. 11.2.1994 n. 109 (legge Merloni). Rispetto a quest’ultimo istituto il project financing differisce, da un lato, per la presenza di una pluralità di finanziatori e garanti e, dall’altro, per la costituzione di un’unica entità economica finalizzata alla gestione dell’opera oltre che per la ripartizione del rendimento tra i vari soggetti coinvolti. Proceduralmente un’operazione di project financing vede come principali attori i promotori, quali soggetti privati dotati di idonei requisiti tecnici, organizzativi, finanziari e gestionali, aventi il compito di elaborare e proporre alle amministrazioni interessate (entro il 30 giugno di ciascun anno) un progetto sulla base di uno “schema” generalmente rientrante in un programma triennale predisposto dalla Pubblica Amministrazione (ex art. 14, comma 3, l. 11.12.1994 n. 109). Al fine di rendere più agevole la valutazione della Pubblica Amministrazione in relazione ai parametri di efficienza ed efficacia cui deve corrispondere il progetto (valutazione che deve avvenire entro il 31 ottobre), devono essere identificati, all’interno di esso, gli elementi finanziari, giuridici ed economici che caratterizzano l’iniziativa. Successiva alla valutazione è l’indizione di una gara (da effettuarsi entro il 31 dicembre di ciascun anno), nella quale la Pubblica Amministrazione utilizza il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa di cui all’art. 21, comma 2, della l. 11.2.1994 n. 109. Tale gara ha come oggetto “il progetto preliminare presentato dal promotore, eventualmente modificato sulla base delle determinazioni delle amministrazioni stesse” (art. 37 quater, comma primo, lett. a della stessa legge). L’aggiudicazione della concessione, successiva alla gara, avviene mediante una procedura negoziata che si svolge tra il promotore ed i soggetti presentatori delle due offerte risultate migliori a seguito della gara. Gli stessi promotori possono, successivamente all’aggiudicazione, costituire una società di progetto il cui oggetto sociale è rappresentato dalla realizzazione e gestione della precedente elaborazione progettuale, avendo comunque la successiva opportunità di delegare a società specializzate la gestione delle opere. La veste di promotore può, tuttavia, essere assunta dallo stesso soggetto pubblico, il quale partecipa alla realizzazione dell’iniziativa acquistando una quota della società di progetto.

  • PROMESSA AL PUBBLICO

    Negozio giuridico, appartenente alla categoria delle promesse unilaterali, contenente l’obbligo di eseguire una determinata prestazione a favore di chi compia una certa azione o si trovi in una certa situazione. È irrevocabile, senza bisogno di accettazione, non appena viene resa pubblica; la revoca è ammessa solo se ricorre una giusta causa e se è resa pubblica nello stesso modo della promessa o in modo equivalente. Se l’azione prevista è posta in essere da più persone o se la situazione è comune a più persone, la promessa, ove sia unica, ha effetto nei confronti di colui che per primo ne ha dato notizia al promittente. La promessa al pubblico (che si ha, p.e., quando il promittente si obbliga a pagare una somma di denaro a colui che troverà un oggetto da lui smarrito) non va confusa con l’offerta al pubblico che è un elemento di un possibile e futuro contratto.

  • PROMESSA DI PAGAMENTO

    Negozio giuridico, facente parte della categoria delle promesse unilaterali, contenente l’obbligo di pagare una somma di denaro determinata, di cui il promittente si dichiara debitore. Appartengono a tale figura giuridica la promessa contenuta in qualsiasi documento diverso dalla cambiale o dall’assegno o quella contenuta in una cambiale o in un assegno invalidi come tali. Come avviene per la ricognizione di debito, il destinatario della promessa non è tenuto a dare la prova del rapporto, spettando al promittente di dimostrare in giudizio l’invalidità della promessa o la sua illiceità o che la controprestazione non ha avuto luogo (c.d. inversione dell’onere della prova in connessione con un negozio processualmente astratto).

  • PROMESSA UNILATERALE

     Fonte di obbligazioni civili nei soli casi espressamente previsti dalla legge (art. 1987 c.c.). Consiste in una dichiarazione c